Catechesi 2005-2013 25042

Mercoledì, 25 aprile 2012: Il primato della preghiera e della Parola di Dio (Ac 6,1-7)

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(
Ac 6,1-7)


Cari fratelli e sorelle,

nella scorsa catechesi, ho mostrato che la Chiesa, fin dagli inizi del suo cammino, si è trovata a dover affrontare situazioni impreviste, nuove questioni ed emergenze a cui ha cercato di dare risposta alla luce della fede, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo. Oggi vorrei soffermarmi a riflettere su un’altra di queste situazioni, su un problema serio che la prima comunità cristiana di Gerusalemme ha dovuto fronteggiare e risolvere, come ci narra san Luca nel capitolo sesto degli Atti degli Apostoli, circa la pastorale della carità verso le persone sole e bisognose di assistenza e aiuto. La questione non è secondaria per la Chiesa e rischiava in quel momento di creare divisioni all’interno della Chiesa; il numero dei discepoli, infatti, andava aumentando, ma quelli di lingua greca iniziavano a lamentarsi contro quelli di lingua ebraica perché le loro vedove venivano trascurate nella distribuzione quotidiana (cfr Ac 6,1). Di fronte a questa urgenza che riguardava un aspetto fondamentale nella vita della comunità, cioè la carità verso i deboli, i poveri, gli indifesi, e la giustizia, gli Apostoli convocano l’intero gruppo dei discepoli. In questo momento di emergenza pastorale risalta il discernimento compiuto dagli Apostoli. Essi si trovano di fronte all’esigenza primaria di annunciare la Parola di Dio secondo il mandato del Signore, ma - anche se è questa l'esigenza primaria della Chiesa - considerano con altrettanta serietà il dovere della carità e della giustizia, cioè il dovere di assistere le vedove, i poveri, di provvedere con amore alle situazioni di bisogno in cui si vengono a trovare i fratelli e le sorelle, per rispondere al comando di Gesù: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi (cfr Jn 15,12 Jn 15,17). Quindi le due realtà che devono vivere nella Chiesa - l'annuncio della Parola, il primato di Dio, e la carità concreta, la giustizia -, stanno creando difficoltà e si deve trovare una soluzione, perché ambedue possano avere il loro posto, la loro relazione necessaria. La riflessione degli Apostoli è molto chiara, dicono, come abbiamo sentito: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la Parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola» (Ac 6,2-4).

Due cose appaiono: primo, esiste da quel momento nella Chiesa, un ministero della carità. La Chiesa non deve solo annunciare la Parola, ma anche realizzare la Parola, che è carità e verità. E, secondo punto, questi uomini non solo devono godere di buona reputazione, ma devono essere uomini pieni di Spirito Santo e di sapienza, cioè non possono essere solo organizzatori che sanno «fare», ma devono «fare» nello spirito della fede con la luce di Dio, nella sapienza nel cuore, e quindi anche la loro funzione - benché soprattutto pratica - è tuttavia una funzione spirituale. La carità e la giustizia non sono solo azioni sociali, ma sono azioni spirituali realizzate nella luce dello Spirito Santo. Quindi possiamo dire che questa questa situazione viene affrontata con grande responsabilità da parte degli Apostoli, che prendono questa decisione: vengono scelti sette uomini; gli Apostoli pregano per chiedere la forza dello Spirito Santo; e poi impongono loro le mani perché si dedichino in modo particolare a questa diaconia della carità. Così, nella vita della Chiesa, nei primi passi che essa compie, si riflette, in un certo modo, quanto era avvenuto durante la vita pubblica di Gesù, in casa di Marta e Maria a Betania. Marta era tutta presa dal servizio dell’ospitalità da offrire a Gesù e ai suoi discepoli; Maria, invece, si dedica all’ascolto della Parola del Signore (cfr Lc 10,38-42). In entrambi i casi, non vengono contrapposti i momenti della preghiera e dell’ascolto di Dio, e l’attività quotidiana, l’esercizio della carità. Il richiamo di Gesù: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno, Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10,41-42), come pure la riflessione degli Apostoli: «Noi… ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola» (Ac 6,4), mostrano la priorità che dobbiamo dare a Dio, Non vorrei entrare adesso nell'interpretazione di questa pericope Marta-Maria. In ogni caso non va condannata l'attività per il prossimo, per l'altro, ma va sottolineato che deve essere penetrata interiormente anche dallo spirito della contemplazione. D'altra parte, sant'Agostino dice che questa realtà di Maria è una visione della nostra situazione del cielo, quindi sulla terra non possiamo mai averla completamente, ma un po' di anticipazione deve essere presente in tutta la nostra attività. Deve essere presente anche la contemplazione di Dio. Non dobbiamo perderci nell'attivismo puro, ma sempre lasciarci anche penetrare nella nostra attività dalla luce della Parola di Dio e così imparare la vera carità, il vero servizio per l'altro, che non ha bisogno di tante cose - ha bisogno certamente delle cose necessarie - ma ha bisogno soprattutto dell'affetto del nostro cuore, della luce di Dio.

Sant’Ambrogio, commentando l’episodio di Marta e Maria, così esorta i suoi fedeli e anche noi: «Cerchiamo di avere anche noi ciò che non ci può essere tolto, porgendo alla parola del Signore una diligente attenzione, non distratta: capita anche ai semi della parola celeste di essere portati via, se sono seminati lungo la strada. Stimoli anche te, come Maria, il desiderio di sapere: è questa la più grande, più perfetta opera» E aggiunge che anche «la cura del ministero non distragga dalla conoscenza della parola celeste», dalla preghiera (Expositio Evangelii secundum Lucam, VII, 85: PL 15, 1720). I Santi, quindi, hanno sperimentato una profonda unità di vita tra preghiera e azione, tra l’amore totale a Dio e l’amore ai fratelli. San Bernando, che è un modello di armonia tra contemplazione ed operosità, nel libro De consideratione, indirizzato al Papa Eugenio III per offrigli alcune riflessioni circa il suo ministero, insiste proprio sull’importanza del raccoglimento interiore, della preghiera per difendersi dai pericoli di una attività eccessiva, qualunque sia la condizione in cui ci si trova e il compito che si sta svolgendo. San Bernardo afferma che le troppe occupazioni, una vita frenetica, spesso finiscono per indurire il cuore e far soffrire lo spirito (cfr II, 3).

E’ un prezioso richiamo per noi oggi, abituati a valutare tutto con il criterio della produttività e dell’efficienza. Il brano degli Atti degli Apostoli ci ricorda l’importanza del lavoro - senza dubbio viene creato un vero e proprio ministero -, dell’impegno nelle attività quotidiane che vanno svolte con responsabilità e dedizione, ma anche il nostro bisogno di Dio, della sua guida, della sua luce che ci danno forza e speranza. Senza la preghiera quotidiana vissuta con fedeltà, il nostro fare si svuota, perde l’anima profonda, si riduce ad un semplice attivismo che, alla fine, lascia insoddisfatti. C’è una bella invocazione della tradizione cristiana da recitarsi prima di ogni attività, che dice così: «Actiones nostras, quaesumus, Domine, aspirando praeveni et adiuvando prosequere, ut cuncta nostra oratio et operatio a te semper incipiat, et per te coepta finiatur», cioè: «Ispira le nostre azioni, Signore, e accompagnale con il tuo aiuto, perché ogni nostro parlare ed agire abbia sempre da te il suo inizio e in te il suo compimento». Ogni passo della nostra vita, ogni azione, anche della Chiesa, deve essere fatta davanti a Dio, alla luce della sua Parola.

Nella catechesi del mercoledì scorso avevo sottolineato la preghiera unanime della prima comunità cristiana di fronte alla prova e come, proprio nella preghiera, nella meditazione sulla Sacra Scrittura essa ha potuto comprendere gli eventi che stavano accadendo. Quando la preghiera è alimentata dalla Parola di Dio, possiamo vedere la realtà con occhi nuovi, con gli occhi della fede e il Signore, che parla alla mente e al cuore, dona nuova luce al cammino in ogni momento e in ogni situazione. Noi crediamo nella forza della Parola di Dio e della preghiera. Anche la difficoltà che stava vivendo la Chiesa di fronte al problema del servizio ai poveri, alla questione della carità, viene superata nella preghiera, alla luce di Dio, dello Spirito Santo. Gli Apostoli non si limitano a ratificare la scelta di Stefano e degli altri uomini. ma «dopo aver pregato, imposero loro le mani» (Ac 6,6). L’Evangelista ricorderà nuovamente questi gesti in occasione dell’elezione di Paolo e Barnaba, dove leggiamo: «dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li congedarono» (Ac 13,3). Conferma di nuovo che il servizio pratico della carità è un servizio spirituale. Ambedue le realtà devono andare insieme.

Con il gesto dell’imposizione delle mani, gli Apostoli conferiscono un ministero particolare a sette uomini, perché sia data loro la grazia corrispondente. La sottolineatura della preghiera – «dopo aver pregato», dicono – è importante perché evidenzia proprio la dimensione spirituale del gesto; non si tratta semplicemente di conferire un incarico come avviene in un’organizzazione sociale, ma è un evento ecclesiale in cui lo Spirito Santo si appropria di sette uomini scelti dalla Chiesa, consacrandoli nella Verità che è Gesù Cristo: è Lui il protagonista silenzioso, presente nell’imposizione delle mani affinché gli eletti siano trasformati dalla sua potenza e santificati per affrontare le sfide pratiche, le sfide pastorali. E la sottolineatura della preghiera ci ricorda inoltre che solo dal rapporto intimo con Dio coltivato ogni giorno nasce la risposta alla scelta del Signore e viene affidato ogni ministero nella Chiesa.

Cari fratelli e sorelle, il problema pastorale che ha indotto gli Apostoli a scegliere e ad imporre le mani su sette uomini incaricati del servizio della carità, per dedicarsi loro stessi alla preghiera e all’annuncio della Parola, indica anche a noi il primato della preghiera e della Parola di Dio, che, tuttavia, produce poi anche l'azione pastorale. Per i Pastori questa è la prima e più preziosa forma di servizio verso il gregge loro affidato. Se i polmoni della preghiera e della Parola di Dio non alimentano il respiro della nostra vita spirituale, rischiamo di soffocare in mezzo alle mille cose di ogni giorno: la preghiera è il respiro dell’anima e della vita. E c’è un altro prezioso richiamo che vorrei sottolineare: nel rapporto con Dio, nell’ascolto della sua Parola, nel dialogo con Dio, anche quando ci troviamo nel silenzio di una chiesa o della nostra stanza, siamo uniti nel Signore a tanti fratelli e sorelle nella fede, come un insieme di strumenti che, pur nella loro individualità, elevano a Dio un’unica grande sinfonia di intercessione, di ringraziamento e di lode. Grazie.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi qui presenti. Carissimi, la preghiera e l’ascolto della Parola di Dio sono il respiro dell’anima e la fonte della vita spirituale. E’ anche questo il fondamento e l’espressione dell’unione di tutti coloro che alzano a Dio la lode, il ringraziamento e l’intercessione con fede e amore. Il vostro pellegrinare sia una scuola di preghiera e di meditazione! Dio vi benedica!

Saluto in lingua croata:

Di cuore saluto e benedico tutti i pellegrini croati, particolarmente i fedeli della parrocchia “Beata Vergine Maria Regina degli Apostoli” e il coro di voci bianche “Klinci s Ribnjaka”, insieme con il Sindaco di Zagabria. Cari amici, con la preghiera e con il canto testimoniate coraggiosamente la gioia pasquale. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua slovacca:

Con affetto do un benvenuto ai pellegrini slovacchi, particolarmente a quelli provenienti da Košice, Prešov e Žilina.
Fratelli e sorelle, domenica prossima celebreremo la Giornata di preghiera per le Vocazioni. Domandate a Cristo, Buon Pastore, di mandare sempre nuovi operai al suo servizio.
Volentieri benedico voi ed i vostri cari.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ungherese:

Un saluto cordiale ai fedeli di lingua ungherese, specialmente ai membri del gruppo arrivato da Belgio.
Come un tempo gli apostoli, anche voi lieti e coraggiosi annunciate il Cristo risorto. Di cuore vi benedico!
Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli di Bari, accompagnati dall’Arcivescovo Mons. Francesco Cacucci, che ricordano il quarto Centenario di fondazione del Seminario diocesano, per il quale auspico una feconda prosecuzione dell’opera formativa a servizio dei candidati al sacerdozio. Saluto i partecipanti al pellegrinaggio delle Suore Minime della Passione, guidato dall’Arcivescovo di Cosenza-Bisignano Mons. Salvatore Nunnari, e li esorto, sull’esempio della Beata Elena Aiello, a continuare il cammino di fede e di carità. Saluto le famiglie con vittime di incidenti stradali e, mentre assicuro la mia preghiera per quanti hanno perso la vita sulle strade, ricordo il dovere di guidare sempre con prudenza e senso di responsabilità. Saluto i partecipanti al corso «Progetto Policoro» e faccio voti che esso, alla luce dei valori evangelici, possa sostenere quanti si adoperano in favore delle problematiche lavorative delle giovani generazioni. Saluto con affetto il gruppo Guide e Scouts d’Europa Cattolici, di Mortara: cari amici, testimoniate con gioia la fede in Gesù Cristo che vi chiama a edificare insieme con i vostri Pastori la sua Chiesa.

Rivolgo, infine, il mio pensiero ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Cari giovani, ponetevi alla scuola di Cristo per imparare a seguire fedelmente le sue orme. Voi, cari ammalati, accogliete con fede le vostre prove e vivetele in unione a quelle di Cristo. A voi, cari sposi novelli, auguro di diventare servitori generosi del Vangelo della vita.





Piazza San Pietro

Mercoledì, 2 maggio 2012: La preghiera del primo martire cristiano\i (@AC 7,53-60@)

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Cari fratelli e sorelle,

nelle ultime Catechesi abbiamo visto come, nella preghiera personale e comunitaria, la lettura e la meditazione della Sacra Scrittura aprano all’ascolto di Dio che ci parla e infondano luce per capire il presente. Oggi vorrei parlare della testimonianza e della preghiera del primo martire della Chiesa, santo Stefano, uno dei sette scelti per il servizio della carità verso i bisognosi. Nel momento del suo martirio, narrato dagli Atti degli Apostoli, si manifesta, ancora una volta, il fecondo rapporto tra la Parola di Dio e la preghiera.

Stefano viene condotto in tribunale, davanti al Sinedrio, dove viene accusato di avere dichiarato che «Gesù …distruggerà questo luogo, [il tempio], e sovvertirà le usanze che Mosè ci ha tramandato» (
Ac 6,14). Durante la sua vita pubblica, Gesù aveva effettivamente preannunciato la distruzione del tempio di Gerusalemme: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Jn 2,19). Tuttavia, come annota l’evangelista Giovanni, «egli parlava del tempio del suo corpo. Quando, poi, fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù» (Jn 2,21-22).

Il discorso di Stefano davanti al tribunale, il più lungo degli Atti degli Apostoli, si sviluppa proprio su questa profezia di Gesù, il quale è il nuovo tempio, inaugura il nuovo culto, e sostituisce, con l’offerta che fa di se stesso sulla croce, i sacrifici antichi. Stefano vuole dimostrare come sia infondata l’accusa che gli viene rivolta di sovvertire la legge di Mosè e illustra la sua visione della storia della salvezza, dell’alleanza tra Dio e l’uomo. Egli rilegge così tutta la narrazione biblica, itinerario contenuto nella Sacra Scrittura, per mostrare che esso conduce al «luogo» della presenza definitiva di Dio, che è Gesù Cristo, in particolare la sua Passione, Morte e Risurrezione. In questa prospettiva Stefano legge anche il suo essere discepolo di Gesù, seguendolo fino al martirio. La meditazione sulla Sacra Scrittura gli permette così di comprendere la sua missione, la sua vita, il suo presente. In questo egli è guidato dalla luce dello Spirito Santo, dal suo rapporto intimo con il Signore, tanto che i membri del Sinedrio videro il suo volto «come quello di un angelo» (Ac 6,15). Tale segno di assistenza divina, richiama il volto raggiante di Mosè disceso dal Monte Sinai dopo aver incontrato Dio (cfr Ex 34,29-35 2Co 3,7-8).

Nel suo discorso, Stefano parte dalla chiamata di Abramo, pellegrino verso la terra indicata da Dio e che ebbe in possesso solo a livello di promessa; passa poi a Giuseppe, venduto dai fratelli, ma assistito e liberato da Dio, per giungere a Mosè, che diventa strumento di Dio per liberare il suo popolo, ma incontra anche e più volte il rifiuto della sua stessa gente. In questi eventi narrati dalla Sacra Scrittura, della quale Stefano mostra di essere in religioso ascolto, emerge sempre Dio, che non si stanca di andare incontro all’uomo nonostante trovi spesso un’ostinata opposizione. E questo nel passato, nel presente e nel futuro. Quindi in tutto l’Antico Testamento egli vede la prefigurazione della vicenda di Gesù stesso, il Figlio di Dio fattosi carne, che – come gli antichi Padri – incontra ostacoli, rifiuto, morte. Stefano si riferisce quindi a Giosuè, a Davide e a Salomone, messi in rapporto con la costruzione del tempio di Gerusalemme, e conclude con le parole del profeta Isaia (66,1-2): «Il cielo è il mio trono e la terra sgabello dei miei piedi. Quale casa potrete costruirmi, dice il Signore, e quale sarà il luogo del mio riposo? Non è forse la mia mano che ha creato tutte queste cose?» (Ac 7,49-50). Nella sua meditazione sull’agire di Dio nella storia della salvezza, evidenziando la perenne tentazione di rifiutare Dio e la sua azione, egli afferma che Gesù è il Giusto annunciato dai profeti; in Lui Dio stesso si è reso presente in modo unico e definitivo: Gesù è il «luogo» del vero culto. Stefano non nega l’importanza del tempio per un certo tempo, ma sottolinea che «Dio non abita in costruzioni fatte da mano d’uomo» (Ac 7,48). Il nuovo vero tempio in cui Dio abita è il suo Figlio, che ha assunto la carne umana, è l’umanità di Cristo, il Risorto che raccoglie i popoli e li unisce nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. L’espressione circa il tempio «non costruito da mani d’uomo», si trova anche nella teologia di san Paolo e della Lettera agli Ebrei: il corpo di Gesù, che Egli ha assunto per offrire se stesso come vittima sacrificale per espiare i peccati, è il nuovo tempio di Dio, il luogo della presenza del Dio vivente; in Lui Dio e uomo, Dio e il mondo sono realmente in contatto: Gesù prende su di sé tutto il peccato dell’umanità per portarlo nell’amore di Dio e per «bruciarlo» in questo amore. Accostarsi alla Croce, entrare in comunione con Cristo, vuol dire entrare in questa trasformazione. E questo è entrare in contatto con Dio, entrare nel vero tempio.

La vita e il discorso di Stefano improvvisamente si interrompono con la lapidazione, ma proprio il suo martirio è il compimento della sua vita e del suo messaggio: egli diventa una cosa sola con Cristo. Così la sua meditazione sull’agire di Dio nella storia, sulla Parola divina che in Gesù ha trovato il suo pieno compimento, diventa una partecipazione alla stessa preghiera della Croce. Prima di morire, infatti esclama: «Signore Gesù, accogli il mio spirito» (Ac 7,59), appropriandosi delle parole del Salmo 31 (v. 6) e ricalcando l’ultima espressione di Gesù sul Calvario: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46); e, infine, come Gesù, grida a gran voce davanti a coloro che lo stavano lapidando: «Signore, non imputare loro questo peccato» (Ac 7,60). Notiamo che, se da un lato la preghiera di Stefano riprende quella di Gesù, diverso è il destinatario, perché l’invocazione è rivolta allo stesso Signore, cioè a Gesù che egli contempla glorificato alla destra del Padre: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio» (v. 55).

Cari fratelli e sorelle, la testimonianza di santo Stefano ci offre alcune indicazioni per la nostra preghiera e la nostra vita. Ci possiamo chiedere: da dove questo primo martire cristiano ha tratto la forza per affrontare i suoi persecutori e giungere fino al dono di se stesso? La risposta è semplice: dal suo rapporto con Dio, dalla sua comunione con Cristo, dalla meditazione sulla storia della salvezza, dal vedere l’agire di Dio, che in Gesù Cristo è giunto al vertice. Anche la nostra preghiera dev’essere nutrita dall’ascolto della Parola di Dio, nella comunione con Gesù e la sua Chiesa.

Un secondo elemento: santo Stefano vede preannunciata, nella storia del rapporto di amore tra Dio e l’uomo, la figura e la missione di Gesù. Egli - il Figlio di Dio – è il tempio «non fatto da mano d’uomo» in cui la presenza di Dio Padre si è fatta così vicina da entrare nella nostra carne umana per portarci a Dio, per aprirci le porte del Cielo. La nostra preghiera, allora, deve essere contemplazione di Gesù alla destra di Dio, di Gesù come Signore della nostra, della mia esistenza quotidiana. In Lui, sotto la guida dello Spirito Santo, possiamo anche noi rivolgerci a Dio, prendere contatto reale con Dio con la fiducia e l’abbandono dei figli che si rivolgono ad un Padre che li ama in modo infinito. Grazie.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini polacchi. Mi rallegro per la vostra, cosi numerosa presenza a Roma in occasione del primo l’anniversario della beatificazione di Giovanni Paolo II. La testimonianza della sua vita, l’insegnamento e l’amore per la patria rimangano la vostra particolare eredità. Rafforzati della sua celeste l’intercessione, siate fedeli a Dio, alla Croce e al santo Vangelo. Vi benedico di cuore. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua ceca:

Saluto cordialmente i pellegrini della Repubblica Ceca, in particolare i fedeli delle parrocchie di Lidecko e Hovezi. Il vostro pellegrinaggio alle Tombe degli Apostoli, in questo tempo gioioso della Pasqua, vi liberi da ogni timore e vi infonda il coraggio di essere gioiosi annunciatori e testimoni della Resurrezione di Cristo. e l’incontro con la tradizione della Città Eterna rafforzino la vostra fede e diventino fonte di crescita spirituale. A tutti voi la mia benedizione!

Saluto in lingua croata:

Con gioia saluto e benedico tutti i pellegrini croati, particolarmente i giovani di Dubrovnik ed i fedeli delle parrocchie di Tutti i Santi a Sesvete, di San Marco a Selnica e di Sant’Antonio abate a Kršan. Cari amici, abbiamo iniziato il mese dedicato alla Beata Vergine Maria! Pregate quotidianamente affinché la Sua intercessione vi accompagni sulla via della vita. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua lituana:

Saluto di cuore i fedeli venuti dalla Lituania, soprattutto gli alunni del Seminario diocesano di Vilnius e i pellegrini da Telšiai.
Che il Buon Pastore, risorto per tutti noi, ogni giorno attragga i vostri cuori alla pienezza della vita. Il Signore vi benedica abbondantemente!
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua rumena:

Saluto cordialmente i pellegrini della Romania, in particolare i giovani sacerdoti della diocesi di Iasi. Il vostro pellegrinaggio alle Tombe degli Apostoli e l’incontro con la tradizione della Città Eterna, siano fonte di arricchimento spirituale per il vostro sacerdozio e rafforzino il coraggio della fede nella Resurrezione di Cristo. A tutti voi la mia benedizione!
Cristo è risorto!

Saluto in lingua slovacca:

Saluto cordialmente i pellegrini slovacchi, particolarmente quelli provenienti da Nitra e dintorni, da Kysuce e Považie, come pure gli studenti e i docenti della Scuola media infermieristica Mária Terézia Schererová di Ružomberok.
Fratelli e sorelle, ieri abbiamo iniziato il mese mariano di maggio. Vi invito a mettervi alla scuola della Madre di Dio per imparare da Lei ad amare il Signore e il prossimo. Con affetto vi benedico.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua slovena:

Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli provenienti da Škofja Loka e da Kostanjevica na Krki, nonché a tutti gli altri pellegrini sloveni. Il giorno della Pasqua ha rivelato la potenza suprema del Cristo Risorto. Siate sempre intimamente uniti a Lui, affinché siate anche voi resi partecipi della Sua vittoria sul peccato. Vi accompagni la mia Benedizione!

Saluto in lingua ungherese:

Un saluto affettuoso ai fedeli di lingua ungherese, specialmente ai membri dei gruppi arrivati da Budapest e da Mukachevo.
Fratelli e sorelle, in questo mese mariano di maggio voglio affidarvi alla Madonna – Madre della Chiesa. Ella vi accompagni nella ricerca della vera pace.
Con questo desiderio benedico voi e le vostre famiglie.
Sia lodato Gesù Cristo!
* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto le scolaresche e i gruppi parrocchiali, in particolare i fedeli di Oliveto Citra venuti per la benedizione del busto d’argento del Santo Patrono; saluto i partecipanti al Convegno del Pontificio Consiglio degli Operatori Sanitari sulle persone non vedenti e i seminaristi di Reggio Calabria e San Marco Argentano-Scalea, ai quali auguro di proseguire nel loro itinerario formativo rinvigorendo l’amore a Cristo e il sensus Ecclesiae.

Un pensiero infine per i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. La gioia della Pasqua continui ad allietare la nostra vita: cari giovani, non spegnete l’aspirazione alla felicità della vostra età, sapendo trovare la gioia vera, che solo il Risorto può donare; cari ammalati, affrontate coraggiosamente la prova della vostra sofferenza sapendo che la vita va sempre vissuta come dono di Dio; e voi, cari sposi novelli, sappiate trarre dagli insegnamenti del Vangelo quanto è necessario per costruire un’autentica comunità di amore.



Piazza San Pietro

Mercoledì, 9 maggio 2012

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Cari fratelli e sorelle,


oggi vorrei soffermarmi sull’ultimo episodio della vita di san Pietro raccontato negli Atti degli Apostoli: la sua carcerazione per volere di Erode Agrippa e la sua liberazione per l’intervento prodigioso dell’Angelo del Signore, alla vigilia del suo processo a Gerusalemme (cfr
Ac 12,1-17).

Il racconto è ancora una volta segnato dalla preghiera della Chiesa. San Luca, infatti, scrive: «Mentre Pietro dunque era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui» (Ac 12,5). E, dopo aver miracolosamente lasciato il carcere, in occasione della sua visita alla casa di Maria, la madre di Giovanni detto Marco, si afferma che «molti erano riuniti e pregavano» (Ac 12,12). Fra queste due annotazioni importanti che illustrano l’atteggiamento della comunità cristiana di fronte al pericolo e alla persecuzione, viene narrata la detenzione e la liberazione di Pietro, che comprende tutta la notte. La forza della preghiera incessante della Chiesa sale a Dio e il Signore ascolta e compie una liberazione impensabile e insperata, inviando il suo Angelo.

Il racconto richiama i grandi elementi della liberazione d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto, la Pasqua ebraica. Come avvenne in quell’evento fondamentale, anche qui l’azione principale è compiuta dall’Angelo del Signore che libera Pietro. E le stesse azioni dell’Apostolo - al quale viene chiesto di alzarsi in fretta, di mettersi la cintura e di legarsi i fianchi – ricalcano quelle del popolo eletto nella notte della liberazione per intervento di Dio, quando venne invitato a mangiare in fretta l’agnello con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano, pronto per uscire dal Paese (cfr Ex 12,11). Così Pietro può esclamare: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode» (Ac 12,11). Ma l’Angelo richiama non solo quello della liberazione di Israele dall’Egitto, ma anche quello della Risurrezione di Cristo. Narrano, infatti, gli Atti degli Apostoli: «Ed ecco, gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro e lo destò» (Ac 12,7). La luce che riempie la stanza della prigione, l’azione stessa di destare l’Apostolo, rimandano alla luce liberante della Pasqua del Signore che vince le tenebre della notte e del male. L’invito, infine: «Metti il mantello e seguimi» (Ac 12,8), fa risuonare nel cuore le parole della chiamata iniziale di Gesù (cfr Mc 1,17), ripetuta dopo la Risurrezione sul lago di Tiberiade, dove il Signore dice per ben due volte a Pietro: «Seguimi» (Jn 21,19 Jn 21,22). E’ un invito pressante alla sequela: solo uscendo da se stessi per mettersi in cammino con il Signore e fare la sua volontà, si vive la vera libertà.

Vorrei sottolineare anche un altro aspetto dell’atteggiamento di Pietro in carcere; notiamo, infatti, che, mentre la comunità cristiana prega con insistenza per lui, Pietro «stava dormendo» (Ac 12,6). In una situazione così critica e di serio pericolo, è un atteggiamento che può sembrare strano, ma che invece denota tranquillità e fiducia; egli si fida di Dio, sa di essere circondato dalla solidarietà e dalla preghiera dei suoi e si abbandona totalmente nelle mani del Signore. Così deve essere la nostra preghiera: assidua, solidale con gli altri, pienamente fiduciosa verso Dio che ci conosce nell’intimo e si prende cura di noi al punto che – dice Gesù – «perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura…» (Mt 10,30-31). Pietro vive la notte della prigionia e della liberazione dal carcere come un momento della sua sequela del Signore, che vince le tenebre della notte e libera dalla schiavitù delle catene e dal pericolo di morte. La sua è una liberazione prodigiosa, segnata da vari passaggi descritti accuratamente: guidato dall’Angelo, nonostante la sorveglianza delle guardie, attraversa il primo e il secondo posto di guardia, sino alla porta di ferro che immette in città: e la porta si apre da sola davanti a loro (cfr Ac 12,10). Pietro e l’Angelo del Signore compiono insieme un tratto di strada finché, rientrato in se stesso, l’Apostolo si rende conto che il Signore lo ha realmente liberato e, dopo aver riflettuto, si reca in casa di Maria, la madre di Marco, dove molti dei discepoli sono riuniti in preghiera; ancora una volta la risposta della comunità alla difficoltà e al pericolo è affidarsi a Dio, intensificare il rapporto con Lui.

Qui mi pare utile richiamare un’altra situazione non facile che ha vissuto la comunità cristiana delle origini. Ce ne parla san Giacomo nella sua Lettera. E’ una comunità in crisi, in difficoltà, non tanto per le persecuzioni, ma perché al suo interno sono presenti gelosie e contese (cfr Jc 3,14-16). E l’Apostolo si chiede il perché di questa situazione. Egli trova due motivi principali: il primo è il lasciarsi dominare dalle passioni, dalla dittatura delle proprie voglie, dall’egoismo (cfr Jc 4,1-2); il secondo è la mancanza di preghiera – «non chiedete» (Jc 4,2) – o la presenza di una preghiera che non si può definire come tale – «chiedete e non ottenete, perché chiedete male, per soddisfare le vostre passioni» (Jc 4,3). Questa situazione cambierebbe, secondo san Giacomo, se la comunità parlasse tutta insieme con Dio, pregasse realmente in modo assiduo e unanime. Anche il discorso su Dio, infatti, rischia di perdere la sua forza interiore e la testimonianza inaridisce se non sono animati, sorretti e accompagnati dalla preghiera, dalla continuità di un dialogo vivente con il Signore. Un richiamo importante anche per noi e le nostre comunità, sia quelle piccole come la famiglia, sia quelle più vaste come la parrocchia, la diocesi, la Chiesa intera. E mi fa pensare che hanno pregato in questa comunità di san Giacomo, ma hanno pregato male, solo per le proprie passioni. Dobbiamo sempre di nuovo imparare a pregare bene, pregare realmente, orientarsi verso Dio e non verso il bene proprio.

La comunità, invece, che accompagna la prigionia di Pietro è una comunità che prega veramente, per tutta la notte, unita. Ed è una gioia incontenibile quella che invade il cuore di tutti quando l’Apostolo bussa inaspettatamente alla porta. Sono la gioia e lo stupore di fronte all’azione di Dio che ascolta. Così dalla Chiesa sale la preghiera per Pietro e nella Chiesa egli torna per raccontare «come il Signore lo aveva tratto fuori dal carcere» (Ac 12,17). In quella Chiesa dove egli è posto come roccia (cfr Mt 16,18), Pietro racconta la sua «Pasqua» di liberazione: egli sperimenta che nel seguire Gesù sta la vera libertà, si è avvolti dalla luce sfolgorante della Risurrezione e per questo può testimoniare sino al martirio che il Signore è il Risorto e «veramente ha mandato il suo angelo e lo ha strappato dalle mani di Erode» (Ac 12,11). Il martirio che subirà poi a Roma lo unirà definitivamente a Cristo, che gli aveva detto: quando sarai vecchio un altro ti porterà dove tu non vuoi, per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio (cfr Jn 21,18-19).

Cari fratelli e sorelle, l’episodio della liberazione di Pietro raccontato da Luca ci dice che la Chiesa, ciascuno di noi, attraversa la notte della prova, ma è la vigilanza incessante della preghiera che ci sostiene. Anche io, fin dal primo momento della mia elezione a Successore di san Pietro, mi sono sempre sentito sorretto dalla preghiera di voi, dalla preghiera della Chiesa, soprattutto nei momenti più difficili. Ringrazio di cuore. Con la preghiera costante e fiduciosa il Signore ci libera dalle catene, ci guida per attraversare qualsiasi notte di prigionia che può attanagliare il nostro cuore, ci dona la serenità del cuore per affrontare le difficoltà della vita, anche il rifiuto, l’opposizione, la persecuzione. L’episodio di Pietro mostra questa forza della preghiera. E l’Apostolo, anche se in catene, si sente tranquillo, nella certezza di non essere mai solo: la comunità sta pregando per lui, il Signore gli è vicino; anzi egli sa che «la forza di Cristo si manifesta pienamente nella debolezza» (2Co 12,9). La preghiera costante e unanime è un prezioso strumento anche per superare le prove che possono sorgere nel cammino della vita, perché è l’essere profondamente uniti a Dio che ci permette di essere anche profondamente uniti agli altri. Grazie.

Saluti:

Saluto in lingua polacca:

Do il benvenuto ai pellegrini polacchi. La Chiesa in Polonia ha celebrato ieri la solennità di San Stanislao, Vescovo e Martire, patrono della nazione polacca. Alla sua intercessione affido tutti voi, le vostre famiglie e l’intero Paese. Impetri la grazia della pace, dell’unità e della solidarietà sociale nella realizzazione del bene comune. Dio vi benedica!

Saluto in lingua croata:

Rivolgo un sincero saluto a tutti i pellegrini croati, particolarmente ai fedeli della parrocchia di Cristo Re a Zagabria. Cari amici, il Signore Risorto vi sia di sostegno nel cammino della vita e la Sua benedizione accompagni voi e quanti vi stanno a cuore. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua slovacca:

Di cuore do il benvenuto ai pellegrini slovacchi, particolarmente a quelli provenienti da Bijacovce, Bratislava, Kysucké Nové Mesto, Michalovce, Kežmarok e Svit come pure al Ginnasio San Vincenzo de Paul di Topolcany e ad un gruppo di sacerdoti dell’Arcidiocesi di Košice, che celebrano decimo anniversario della loro Ordinazione sacerdotale.
Fratelli e sorelle, cari giovani, auguro a tutti voi un proficuo soggiorno a Roma e con affetto benedico voi ed i vostri cari in Patria.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua ungherese:

Un cordiale saluto ai pellegrini di lingua ungherese, specialmente ai membri dei gruppi arrivati da Budapest e da Kál.
Cari fratelli e sorelle, Maria, la Madre di Cristo, protegga le vostre famiglie e la vostra Patria. Accompagnandovi con la preghiera vi imparto volentieri la mia Benedizione.
Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua russa:

Saluto di cuore i fedeli venuti dalla Federazione Russa, in particolare i pellegrini di Mosca e di Pioniersk.
Che il Signore vi benedica abbondantemente in questo mese di maggio, nel corso del quale ci rivolgiamo ancora più intensamente alla Purissima Vergine Maria che intercede per noi!

Saluto in lingua lettone:

Saluto di cuore i fedeli venuti dalle Diocesi di Jelgava e di Liepaja in Lettonia.
Che la Vergine Maria, in questo mese a Lei dedicato, ogni giorno attragga i vostri cuori alla pienezza della vita cristiana. Il Signore vi benedica abbondantemente!
Sia lodato Gesù Cristo!

* * *


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto le consacrate, i seminaristi e i frati Francescani dell’Immacolata ai quali auguro di nutrirsi della Parola di Dio e del Pane eucaristico per sentire cum Ecclesia. Un saluto ai volontari della protezione civile della Provincia di Roma e ai Medici con l’Africa CUAMM, accompagnati dal Vescovo Mons. Mattiazzo, riuniti per il Convegno sull’accesso gratuito alle cure per le mamme e i bambini tra le popolazioni più bisognose dell’Africa sub-Sahariana. Incoraggio questa importante associazione missionaria laicale che da oltre 60 anni svolge una preziosa attività per il diritto alla salute e la difesa del valore della vita umana.

Un pensiero infine per i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. Il mese di maggio richiama la nostra devozione alla Madre di Dio: cari giovani, non disdegnate di recitare il Rosario, preghiera semplice ma efficace; cari ammalati, la Vergine sia sostegno al vostro soffrire e modello nell’offerta al Signore; e voi, cari sposi novelli, sappiate guardare alla Madonna come madre e come sposa mentre iniziate a costruire la vostra vita in comune.



Piazza San Pietro

Mercoledì, 16 maggio 2012


Catechesi 2005-2013 25042