Catechesi 79-2005 27128

Mercoledì 27 dicembre 1978

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1. Ci incontriamo nel tempo liturgico del Natale. Desidero quindi che le parole, che oggi vi rivolgerò, corrispondano alla gioia di questa festa e di questa ottava. Desidero inoltre che corrispondano a quella semplicità e insieme profondità che il Natale irradia su tutti. Affiora spontaneo alla mia mente il ricordo dei miei sentimenti e delle mie vicende, cominciando dagli anni della mia infanzia nella casa paterna, attraverso gli anni difficili della giovinezza, il periodo della seconda guerra, la guerra mondiale. Possa essa non ripetersi mai più nella storia dell’Europa e del mondo! Eppure, perfino negli anni peggiori, il Natale ha sempre portato con sé qualche raggio. E questo raggio penetrava anche nelle più dure esperienze di disprezzo dell’uomo, di annientamento della sua dignità, di crudeltà. Basta, per rendersene conto, prendere in mano le memorie degli uomini che sono passati per le carceri o per i campi di concentramento, per i fronti di guerra e per gli interrogatori e i processi.

Questo raggio della Notte natalizia, raggio della nascita di Dio, non è soltanto un ricordo delle luci dell’albero, accanto al presepio nella casa, nella famiglia o nella chiesa parrocchiale, ma è qualcosa di più. Esso è il più profondo barlume dell’umanità che è stata visitata da Dio, l’umanità nuovamente accolta e assunta da Dio stesso; assunta nel Figlio di Maria nell’unità della Persona divina: il Figlio-Verbo. Natura umana assunta misticamente dal Figlio di Dio in ciascuno di noi, che siamo stati adottati nella nuova unione col Padre. L’irradiazione di questo mistero si estende lontano, molto lontano; raggiunge anche quelle parti e quelle sfere dell’esistenza degli uomini, nelle quali qualsiasi pensiero su Dio è stato quasi offuscato, sembra essere assente, come se fosse bruciato e spento del tutto. Ed ecco, con la notte di Natale, spunta un barlume: forse nonostante tutto? Felice questo “forse nonostante tutto”: esso è già un barlume di fede e di speranza.

2. Nella festività del Natale leggiamo dei pastori di Betlemme, che per primi furono chiamati al presepe, a vedere il Neonato: “Andarono dunque senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino che giaceva nella mangiatoia” (
Lc 2,16).

Fermiamoci a quel “trovarono”. Questa parola indica la ricerca. Infatti, i pastori di Betlemme, mettendosi a riposare col loro gregge, non sapevano che era giunto il tempo, in cui sarebbe avvenuto ciò che da secoli avevano preannunziato i profeti di quel Popolo, a cui essi stessi appartenevano; e che si sarebbe compiuto proprio in quella notte; e che sarebbe avvenuto nelle vicinanze del luogo dove sostavano. Anche dopo il risveglio dal sonno in cui erano immersi, essi non sapevano né che cosa fosse successo né dove fosse successo. Il loro arrivo alla grotta della Natività era il risultato di una ricerca. Ma, nello stesso tempo, essi erano stati condotti, erano – come leggiamo – guidati dalla voce e dalla luce. E se risaliamo ancor più nel passato, li vediamo guidati dalla tradizione del loro Popolo, dalla sua attesa. Sappiamo che Israele aveva ottenuto la promessa del Messia.

Ed ecco l’Evangelista parla dei semplici, dei modesti, dei poveri d’Israele: dei pastori che per primi l’hanno trovato. Parla, del resto, con tutta semplicità, come se si trattasse di un avvenimento “esteriore”: hanno cercato dove potesse essere, e infine hanno trovato. Allo stesso tempo questo “trovarono” di Luca indica una dimensione interiore: ciò che si è avverato negli uomini la notte di Natale, in quei semplici pastori di Betlemme. “Trovarono Maria e Giuseppe e il bambino che giaceva nella mangiatoia”, e poi: “...se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro” (Lc 2,16-20).

3. “Trovarono” indica “la ricerca”.

L’uomo è un essere che cerca. Tutta la sua storia lo conferma. Anche la vita di ciascuno di noi lo testimonia. Molti sono i campi in cui l’uomo cerca e ricerca e poi trova e, talvolta, dopo aver trovato, ricomincia nuovamente a cercare. Fra tutti questi campi in cui l’uomo si rivela come un essere che cerca, ve n’è uno, il più profondo. È quello che penetra più intimamente nella stessa umanità dell’essere umano. Ed è il più unito al senso di tutta la vita umana.

L’uomo è l’essere che cerca Dio.

Diverse sono le vie di questa ricerca. Molteplici sono le storie delle anime umane proprio su queste strade. Talvolta le vie sembrano molto semplici e vicine. Altre volte sono difficili, complicate, lontane. A volte l’uomo arriva facilmente al suo “heureka”: “ho trovato!”. A volte lotta con le difficoltà, come se non potesse penetrare se stesso e il mondo, e soprattutto come se non potesse comprendere il male che c’è nel mondo. Si sa che perfino nel contesto della Natività questo male ha mostrato il suo volto minaccioso.

Non pochi sono gli uomini che hanno descritto la loro ricerca di Dio sulle strade della propria vita. Ancor più numerosi sono coloro che tacciono, considerando come il proprio mistero più profondo e più intimo tutto ciò che su queste strade hanno vissuto: quello che hanno sperimentato, come hanno cercato, come hanno perduto l’orientamento e come l’hanno nuovamente ritrovato.

L’uomo è l’essere che cerca Dio.

E perfino dopo averlo trovato, continua a cercarlo. E se lo cerca con sincerità, lo ha già trovato; come, in un celebre frammento di Pascal, Gesù dice all’uomo: “Consolati, tu non mi cercheresti, se non mi avessi già trovato” (Pascal, Pensées, 553: “Il mistero di Gesù”).

Questa è la verità sull’uomo.


Non la si può falsificare. Non la si può nemmeno distruggere. La si deve lasciare all’uomo perché essa lo definisce.

Che cosa dire dell’ateismo di fronte a questa verità? Bisogna dire moltissime cose, più di ciò che è possibile racchiudere nella cornice di questo mio breve discorso. Ma almeno una cosa è necessario dire: è indispensabile applicare un criterio, cioè il criterio della libertà dello spirito umano. Non va d’accordo con questo criterio – fondamentale criterio – l’ateismo, sia quando nega a priori che l’uomo è l’essere che cerca Dio, sia quando mutila in vari modi tale ricerca nella vita sociale, pubblica e culturale. Tale atteggiamento è contrario ai diritti fondamentali dell’uomo.

4. Ma non voglio fermarmi su questo. Se vi accenno, lo faccio per dimostrare tutta la bellezza e la dignità della ricerca di Dio.

Questo pensiero mi è stato suggerito dalla festa del Natale.

Come è nato il Cristo? Come è venuto al mondo? Perché è venuto al mondo? È venuto al mondo perché Lo possano trovare gli uomini; coloro che lo cercano. Così come l’hanno trovato i pastori nella grotta di Betlemme.

Dirò ancor di più. Gesù è venuto al mondo per rivelare tutta la dignità e nobiltà della ricerca di Dio, che è il più profondo bisogno dell’anima umana, e per venire incontro a questa ricerca.



Ai malati

Un affettuoso saluto desidero rivolgere adesso alle nostre sorelle e ai nostri fratelli ammalati, presenti in questa udienza. Pensando a voi e a tutti gli infermi, vedo una profonda e misteriosa analogia tra la vostra situazione e quella di Gesù neonato sulla mangiatoia di Betlemme: quel bimbo era un essere piccolo, fragile, debole, bisognoso di tutto, dipendente da tutti: eppure era il Figlio di Dio, il Verbo eterno incarnato nel tempo, il Salvatore dell’umanità, il Signore della storia. Quante volte, figlie e figli carissimi, nella vostra infermità vi siete forse sentiti inutili, di peso ai vostri cari; avete provato – possiamo ben dirlo – l’umiliazione, così intimamente umana, di dover avere in tutto bisogno degli altri, di essere quasi alla mercé degli altri.Guardate Gesù nella grotta di Betlemme, il quale vi assicura che è il mondo ad aver bisogno della ricchezza incommensurabile della vostra sofferenza per la sua purificazione e la sua crescita. Coraggio! Dio vi ama, perché vede in voi l’immagine del suo Figlio sofferente sulla terra! I vostri cari vi amano, perché siete sangue del loro sangue! La Chiesa vi ama, perché arricchite il tesoro della comunione dei Santi! Il Papa vi predilige, perché siete i suoi figli più sensibili e vi chiede l’aiuto e la forza della vostra apparente debolezza, delle vostre preghiere e dei vostri sacrifici!



Alle coppie di giovani sposi

Buon Natale di gran cuore agli sposi novelli!

Figlie e figli carissimi, questo mio cordiale augurio, che è anche quello di tutti i presenti e della Chiesa intera, vuole essere un paterno invito perché fin dall’inizio della vostra vita coniugale – che è stata consacrata col Sacramento – sappiate guardare, come a vostro costante modello, alla Santa Famiglia di Nazaret, che è stata una scuola autentica e singolare di vita e di virtù domestiche. Nell’unirvi in matrimonio, voi, di fronte a Dio, alla Chiesa e ai vostri cari, avete solennemente promesso di esservi fedeli in ogni circostanza felice o avversa, e di amarvi e rispettarvi per tutta la vita: fedeltà, amore, rispetto sono gli atteggiamenti fondamentali che debbono stare alla base di ogni ordinata convivenza familiare e che, nel Sacramento, vengono elevati e sono quelle virtù cristiane, che vi daranno la possibilità di formare la vostra “Chiesa domestica”. Sull’esempio di Maria Santissima e di San Giuseppe, brilli la vostra casa per tali virtù, perché la gioia e la pace di Cristo siano sempre con voi.









Mercoledì, 3 gennaio 1979

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1. L’ultima notte di attesa dell’umanità, che ci viene ricordata ogni anno dalla liturgia della Chiesa con la vigilia e la festa della Natività del Signore, è nello stesso tempo la notte in cui la promessa si è compiuta. Nasce Colui che era atteso, che era il fine dell’avvento e non cessa di esserlo. Nasce il Cristo. Ciò è avvenuto una volta, nella notte di Betlemme, ma nella liturgia si ripete ogni anno, in un certo modo “si attua” ogni anno. E anche ogni anno è ricco degli stessi contenuti: divini e umani, che sovrabbondano così che l’uomo non è capace di abbracciarli tutti con un solo sguardo; ed è difficile trovare parole per esprimerli tutti insieme. Perfino il periodo liturgico del Natale ci sembra troppo breve per fermarsi su questo avvenimento, che presenta più le caratteristiche di “mysterium fascinosum”, che quelle di “mysterium tremendum”. Troppo breve, per “godere” in pieno la venuta del Cristo, la nascita di Dio nella natura umana. Troppo breve, per snodare i singoli fili di questo evento e di questo mistero.

2. La liturgia accentra la nostra attenzione su uno di quei fili e lo pone particolarmente in rilievo. La nascita del Bambino nella notte di Betlemme ha dato inizio alla Famiglia. Per questo la domenica, durante l’ottava del Natale, è la festa della Famiglia di Nazaret. Questa è la Santa Famiglia, perché è stata plasmata per la nascita di Colui, che perfino il suo “Avversario” sarà costretto a proclamare, un giorno, “Santo di Dio” (
Mc 1,24). Famiglia Santa, perché la santità di Colui che è nato è divenuta sorgente di una singolare santificazione, sia della sua Vergine-Madre, sia dello Sposo di lei, che davanti agli uomini, come legittimo consorte, veniva considerato padre del Bambino nato durante il censimento a Betlemme.

Questa Famiglia è in pari tempo Famiglia umana, e perciò la Chiesa, nel periodo natalizio, si rivolge, attraverso la Santa Famiglia, ad ogni famiglia umana. La santità imprime a questa Famiglia, in cui è venuto al mondo il Figlio di Dio, un carattere unico, eccezionale, irripetibile, soprannaturale. E allo stesso tempo tutto ciò che possiamo dire di ciascuna famiglia umana, della sua natura, dei suoi doveri, delle sue difficoltà, possiamo dirlo anche di questa sacra Famiglia. Difatti, questa Santa Famiglia è veramente povera: nel momento della nascita di Gesù è senza un tetto, poi sarà costretta all’esilio, e quando il pericolo sarà passato, resta una famiglia che vive modestamente, in povertà, col lavoro delle proprie mani.

La sua condizione è simile a quella di tante altre famiglie umane. Essa è il luogo d’incontro della nostra solidarietà, con ogni famiglia, con ogni comunità di uomo e donna, in cui nasce un nuovo essere umano. È una Famiglia che non rimane soltanto sugli altari, come oggetto di lode e di venerazione, ma attraverso tanti episodi a noi noti dal Vangelo di San Luca e di San Matteo, si avvicina, in un certo modo, ad ogni famiglia umana. Si fa carico di quei problemi profondi, belli e insieme difficili, che la vita coniugale e familiare porta con sé. Quando leggiamo con attenzione ciò che gli Evangelisti (soprattutto Matteo) hanno scritto sulle vicende vissute da Giuseppe e da Maria prima della nascita di Gesù, questi problemi, di cui ho sopra accennato, diventano ancora più evidenti.

3. La solennità del Natale, e, nel suo contesto, la festa della Santa Famiglia, ci sono particolarmente vicine e care, proprio perché in esse s’incontrano la fondamentale dimensione della nostra fede, cioè il mistero dell’Incarnazione, con la dimensione non meno fondamentale delle vicende dell’uomo. Ognuno deve riconoscere che questa dimensione essenziale delle vicende dell’uomo è proprio la famiglia. E nella famiglia lo è la procreazione: un nuovo uomo viene concepito e nasce, e attraverso questo concepimento e questa nascita l’uomo e la donna, nella qualità di marito e moglie, diventano padre e madre, genitori, raggiungendo una nuova dignità e assumendo nuovi doveri. L’importanza di questi doveri fondamentali è grandissima sotto molteplici punti di vista. Non soltanto dal punto di vista di questa concreta comunità che è la loro famiglia, ma anche dal punto di vista di ogni comunità umana, di ogni società, Nazione, Stato, scuola, professione, ambiente. Tutto dipende, in linea di massima, da come i genitori e la famiglia adempieranno i loro primi e fondamentali doveri, dal modo e dalla misura con cui insegneranno ad “essere uomo” a questa creatura, che grazie a loro è divenuta essere umano, ha ottenuto “l’umanità”.

In questo la famiglia è insostituibile. Bisogna far di tutto perché la famiglia non debba essere sostituita. Ciò è richiesto non soltanto per il bene “privato” di ogni persona, ma anche per il bene comune di ogni società, Nazione, Stato di qualsiasi continente. La famiglia è posta al centro stesso del bene comune nelle sue varie dimensioni, appunto perché in essa viene concepito e nasce l’uomo. Bisogna far tutto il possibile, affinché questo essere umano sin dall’inizio, dal momento del suo concepimento, sia voluto, atteso, vissuto come un valore particolare, unico e irripetibile. Egli deve sentire che è importante, utile, caro e di gran valore, anche se invalido o minorato; anzi per questo ancor più amato.

Così ci insegna il mistero dell’Incarnazione. Questa è la logica della nostra fede. Questa è anche la logica di ogni autentico umanesimo; penso infatti che non possa essere diversamente. Non cerchiamo qui degli elementi di contrapposizione, ma cerchiamo dei punti d’incontro, che sono la semplice conseguenza della piena verità sull’uomo. La fede non allontana i credenti da questa verità, ma li introduce proprio nel suo cuore.

4. E ancora una cosa. Nella notte di Natale, la Madre che doveva partorire (“Virgo paritura”) non trovò per sé un tetto. Non trovò le condizioni, in cui si attua normalmente quel grande divino e insieme umano Mistero del dare alla luce un uomo.

Permettete che mi serva della logica della fede e della logica di un conseguente umanesimo. Questo fatto di cui parlo è un grande grido, è una permanente sfida ai singoli e a tutti, particolarmente forse nella nostra epoca, in cui alla madre in attesa viene spesso richiesta una grande prova di coerenza morale. Infatti, ciò che viene eufemisticamente definito come “interruzione della gravidanza” (aborto) non può essere valutato con altre categorie autenticamente umane, che non siano quelle della legge morale, cioè della coscienza. Molto potrebbero a tale proposito dire, se non le confidenze fatte nei confessionali, certamente quelle nei consultori per la maternità responsabile.


Di conseguenza, non si può lasciare sola la madre che deve partorire, lasciarla con i suoi dubbi, difficoltà, tentazioni. Dobbiamo starle accanto, perché abbia sufficiente coraggio e fiducia, perché non aggravi la sua coscienza, perché non sia distrutto il più fondamentale vincolo di rispetto dell’uomo per l’uomo. Difatti, tale è il vincolo, che ha inizio al momento del concepimento, per cui tutti dobbiamo, in un certo modo, essere con ogni madre che deve partorire; e dobbiamo offrirle ogni aiuto possibile.

Guardiamo a Maria: “Virgo paritura” (Vergine partoriente). Guardiamo noi Chiesa, noi uomini, e cerchiamo di capire meglio quale responsabilità porti con sé il Natale del Signore verso ciascun uomo che deve nascere sulla terra. Per ora ci fermiamo a questo punto e interrompiamo queste considerazioni: certamente dovremo, e non una sola volta, ritornarvi ancora.




Mercoledì, 10 gennaio 1979

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1. È giunto al termine il tempo di Natale. È passata pure la festa dell’Epifania. Ma le meditazioni dei nostri incontri del mercoledì si riferiranno ancora al contenuto fondamentale delle verità, che tutti gli anni il periodo natalizio ci mette davanti agli occhi. Esse appaiono in una densità particolare. Ci vuole tempo per guardarle con gli occhi aperti dello spirito, che ha il diritto e il bisogno di meditare la verità, di contemplare tutta la sua semplicità e profondità.

Durante l’ottava di Natale, la Chiesa fa volgere lo sguardo del nostro spirito verso il mistero della Maternità. L’ultimo giorno dell’ottava, che è anche il primo giorno dell’anno nuovo, è la festa della Maternità della Madre di Dio. In questo modo viene messo in risalto “il posto” della Madre, “la dimensione” materna in tutto il mistero della nascita di Dio.

2. Questa Madre porta il nome di Maria. La Chiesa la venera in modo particolare. Il culto che le rende, supera il culto di tutti gli altri santi (“cultus iperduliae”). La venera proprio così perché è stata la Madre; perché è stata eletta per essere la Madre del Figlio di Dio; perché a quel Figlio, che è il Verbo Eterno, ha dato nel tempo “il corpo”, ha dato in un momento storico “l’umanità”. La Chiesa inserisce questa venerazione particolare della Madre di Dio in tutto il ciclo dell’anno liturgico, durante il quale in modo discreto ma anche molto solenne viene accentuato, attraverso la festa dell’Annunciazione celebrata nove mesi prima del Natale, il 25 marzo, il momento del concepimento umano del Figlio di Dio. Si può dire che durante tutto questo periodo, dal 25 marzo fino al 25 dicembre, la Chiesa cammina con Maria che, come ogni madre, aspetta il momento della nascita: il giorno del Natale. E contemporaneamente durante questo tempo Maria “cammina” con la Chiesa.

La sua materna attesa è iscritta in modo discreto nella vita della Chiesa di ogni anno. Tutto ciò che è successo tra Nazaret, Ain-Karin e Betlemme, è il tema della liturgia della vita della Chiesa, della preghiera – specialmente della preghiera del rosario – e della contemplazione. Oggi ormai è sparita dall’anno liturgico una festa particolare dedicata alla “Virgo paritura”, la festa “della materna attesa della Vergine”, celebrata prima il 18 dicembre.

3. Inserendo in questo modo nel ritmo della sua liturgia il Mistero “della materna attesa della Vergine”, la Chiesa medita, sullo sfondo del Mistero di quei mesi che uniscono il momento della nascita con il momento del concepimento, tutta la dimensione spirituale della maternità della Madre di Dio.

Questa maternità “spirituale” (“quoad spiritum”) si è iniziata insieme con la maternità fisica (“quoad corpus”). Nel momento dell’annunciazione Maria ha avuto questo colloquio con l’Annunziatore: “Come è possibile? Non conosco uomo” (
Lc 1,34); risposta: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio” (Lc 1,35). Contemporaneamente con la maternità fisica (“quoad corpus”) è incominciata la sua maternità spirituale (“quoad spiritum”). Questa maternità ha riempito così i nove mesi dell’attesa del momento della nascita, come i trenta anni passati fra Betlemme, Egitto e Nazaret, come pure gli ulteriori anni durante i quali Gesù, dopo aver lasciato la casa di Nazaret, ha insegnato il Vangelo del Regno, gli anni che sono terminati con gli avvenimenti del Calvario e con la Croce. Lì la maternità “spirituale” è arrivata in un certo senso al suo momento chiave. “Gesù allora vedendo la Madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Ecco il tuo figlio”” (Jn 19,26).

Così, in maniera nuova, ha legato lei, la propria Madre, all’uomo: all’uomo, al quale ha trasmesso il Vangelo. L’ha legata ad ogni uomo. L’ha legata alla Chiesa nel giorno della sua nascita storica, il giorno della Pentecoste. Da quel giorno tutta la Chiesa l’ha come Madre. E tutti gli uomini l’hanno come Madre. Essi comprendono le parole pronunziate dall’alto della Croce come rivolte a ciascuno. Madre di tutti gli uomini. La maternità spirituale non conosce limiti. Si estende nel tempo e nello spazio. Raggiunge tanti cuori umani. Raggiunge le intere nazioni. La maternità costituisce un argomento prediletto e forse il più frequente della creatività dello spirito umano. È un elemento costitutivo della vita interiore di tanti uomini. È una chiave di volta della cultura umana. Maternità: grande, splendida, fondamentale realtà umana, dall’inizio chiamata con il proprio nome dal Creatore. Di nuovo riaccettata nel Mistero della nascita di Dio nel tempo. In esso, in questo Mistero, racchiusa. Con esso inseparabilmente unita.

4. Nei primi giorni del mio ministero nella sede romana di San Pietro ho avuto il piacere di incontrare un Uomo, che da quel primo incontro mi è divenuto particolarmente vicino. Permettetemi di non pronunciare qui il nome di questa Persona la cui autorità nella vita della Nazione italiana e così grande, e le cui parole ho anch’io ascoltato nell’ultimo giorno dell’anno con attenzione unita a gratitudine. Erano semplici, profonde e piene di sollecitudine per il bene dell’uomo, della Patria e dell’umanità intera e della gioventù in particolare. Mi perdonerà il mio Egregio Interlocutore se, pur non dicendo il suo nome, mi permetto in qualche modo di riferirmi alle parole, che durante quel primo incontro ho sentito da lui. Queste parole riguardavano la madre: la sua madre. Dopo tanti anni di vita, di esperienza, di lotte politiche e sociali, egli ricordava sua madre come colei a cui insieme alla vita deve anche tutto ciò che costituisce l’inizio e l’ossatura della storia del suo spirito. Ho ascoltato queste parole con sincera commozione. Le ho ritenute nella memoria e non le dimenticherò mai. Erano per me come un annunzio e in pari tempo come un appello.


Non parlo qui della mia madre, perché l’ho persa troppo presto; però so che a lei devo le stesse cose che il mio Egregio Interlocutore ha espresso in modo così semplice. Per questo mi permetto di riferirmi a ciò che ho sentito da lui.

5. E parlo, oggi, di questo per adempiere ciò che ho annunziato una settimana fa. Allora ho detto che dobbiamo stare accanto ad ogni madre in attesa; che dobbiamo circondare con una particolare assistenza la maternità e il grande evento collegato con essa, il concepimento e la nascita dell’uomo, che si pone sempre alla base dell’educazione umana. L’educazione poggia sulla fiducia in colei che ha dato la vita. Questa fiducia non può essere mai esposta al pericolo. Nel tempo di Natale la Chiesa mette dinanzi agli occhi del nostro animo la Maternità di Maria, e lo fa il primo giorno del nuovo anno. Lo fa anche per mettere in evidenza la dignità di ogni madre, per definire e ricordare il significato della maternità, non solo nella vita di ogni uomo, ma anche in tutta la cultura umana. La maternità è la vocazione della donna. E una vocazione eterna, ed è anche vocazione contemporanea. “La Madre che capisce tutto e con il cuore abbraccia ognuno di noi”: sono parole di una canzone, cantata dalla gioventù in Polonia, che mi vengono in mente in questo momento; la canzone in seguito annunzia che oggi il mondo in modo particolare “ha fame e sete” di quella maternità, che “fisicamente” e “spiritualmente” è la vocazione della donna, così come è di Maria.

Bisogna far di tutto, affinché la dignità di questa splendida vocazione non venga spezzata nella vita interiore delle nuove generazioni; affinché non venga diminuita l’autorità della donna-madre nella vita familiare, sociale e pubblica, e in tutta la nostra civiltà: in ogni nostra legislazione contemporanea, nell’organizzazione del lavoro, nelle pubblicazioni, nella cultura della vita quotidiana, nell’educazione e nello studio. In ogni campo della vita.

Questo è un criterio fondamentale.

Dobbiamo fare di tutto, affinché la donna meriti l’amore e la venerazione. Dobbiamo fare di tutto, affinché i figli, la famiglia, la società vedano in lei quella dignità che vi ha visto Cristo.

“Mater genetrix, spes nostra”!

A vari gruppi

Rivolgo un cordiale saluto ai dirigenti degli enti aggregati alla “Riunione delle Opere per l’aiuto alle Chiese Orientali”, convenuti a Roma in questi giorni per organizzare e dare sempre più pratica attuazione ai piani d’intervento e di assistenza a favore delle comunità cristiane dipendenti dalla Sacra Congregazione per le Chiese Orientali. Il Papa, carissimi, sa con quale sensibilità e generosa dedizione adempite questo incarico missionario, rispettosi e garanti al tempo stesso del principio di priorità che ha l’annuncio e la diffusione del messaggio evangelico, in modo che la vostra azione, silenziosa e benefica, mentre rende omaggio a quella del missionario, ne facilita lo sviluppo e la rende strumento di promozione umana e cristiana. Accompagno con sentimenti di viva riconoscenza e con voti di serena prosperità la Benedizione Apostolica, che estendo a quanti con voi hanno merito nello svolgimento di tale nobile compito.

Un saluto speciale ai fedeli della Parrocchia romana di Santa Maria Ausiliatrice in via Tuscolana, come pure alle Volontarie del Movimento dei Focolari, riunite a Roma per il loro annuale congresso sul tema: “La presenza di Gesù nel fratello”.

A questi due gruppi particolarmente numerosi, come pure a tutti i vari gruppi che partecipano a questo incontro, esprimo di cuore il mio grazie per la visita, il mio incoraggiamento nel loro impegno di vita cristiana e i miei voti di ogni bene per l’anno da poco iniziato.

Agli ammalati


Ma desidero riservare una speciale parola, anche se brevissima, agli infermi e a coloro che sono in ansia per le precarie condizioni di salute. Nel ringraziarvi della vostra visita, carissime sorelle e fratelli, vi esorto a guardare nella vostra sofferenza, con rinnovata fede e amore, il Crocifisso. Vi accompagni il mio augurio di ogni conforto avvalorato dalla Benedizione Apostolica, che estendo a tutti i vostri cari.

Agli sposi novelli

Infine, non posso dimenticare gli sposi novelli, ai quali rivolgo di cuore il mio benvenuto. La liturgia che segue il tempo natalizio presenta alla nostra riflessione la vita nascosta a Nazaret dalla Santa Famiglia e, in particolar modo, la Madonna che medita in cuor suo le parole riguardanti Gesù (cfr Lc 2,19 Lc 2,51). Ecco, carissimi figli, il segreto per progredire nella vostra unione e nel vostro vicendevole affetto. Riandare sempre col pensiero alla grazia del sacramento, da voi stessi celebrato, che ha fatto presente Gesù nelle vostre anime con i suoi insegnamenti, e cioè con le sue parole di vita eterna. Meditando quelle parole, troverete incoraggiamento e sostegno per la vostra vita.Di cuore vi benedico.

Al termine dell’udienza generale nell’aula “Paolo VI”, Giovanni Paolo II ricorda il grande architetto Pier Luigi Nervi.

È morto ieri, a Roma, l’ingegner Pier Luigi Nervi all’età di 87 anni. Da lui è stata progettata e realizzata anche quest’Aula delle Udienze, le cui linee architettoniche si impongono per eleganza e arditezza, per armonia e funzionalità. Come sapete, le sue costruzioni in cemento armato – nelle quali la tecnica più avanzata si trasforma in espressioni di vera arte – lo avevano reso noto in tutto il mondo.

Nel ricordare con riconoscenza l’insigne artista, che ha magistralmente contribuito ad ideare abitazioni sempre più degne dell’uomo, noi eleviamo per lui una speciale preghiera di suffragio, affinché Dio ne accolga l’anima nell’abitazione eterna del cielo.




Mercoledì, 17 gennaio 1979

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Si apre domani la Settimana mondiale di preghiere per l’unità dei cristiani. Vorrei perciò oggi riflettere insieme con voi su questo importante tema che impegna ogni battezzato, pastori e fedeli (cfr Unitatis Redintegratio
UR 5), ognuno secondo la propria capacità, la propria funzione e il posto che occupa nella Chiesa.

1. Questo problema impegna in modo speciale il vescovo di questa antica Chiesa di Roma, fondata sulla predicazione e le testimonianze del martirio dei Santi Pietro e Paolo. Il servizio all’unità è il dovere primordiale del ministero del vescovo di Roma.

Per questo sono lieto di sapere che nella nostra diocesi di Roma, come in tante altre diocesi del mondo, questa settimana è stata organizzata con cura e con lo scopo di coinvolgere tutti, le parrocchie, le comunità religiose, le organizzazioni cattoliche, le scuole, i gruppi giovanili, e perfino gli ambienti di sofferenza, come gli ospedali. Sono lieto di sapere che, là dove è possibile, si cerca di organizzare anche preghiere comuni con gli altri fratelli cristiani, in armonia di sentimenti, affinché, in obbedienza alla volontà del Signore, possiamo crescere nella fede, verso la piena unità, per l’edificazione del corpo di Cristo, “finché tutti insieme, arriviamo all’unità della fede – come scrive l’apostolo Paolo ai primi cristiani di Efeso – alla piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ep 4,13).

La ricerca dell’unità deve penetrare tutti i livelli della vita della Chiesa, coinvolgere l’intero popolo di Dio, per giungere finalmente a una concorde e unanime professione di fede.


2. Strumento privilegiato per la partecipazione alla ricerca per l’unità di tutti i cristiani è la preghiera. Gesù Cristo stesso ci ha lasciato il suo estremo desiderio di unità attraverso una preghiera al Padre: “Affinché siano tutti una cosa sola, come tu sei in me, o Padre, e io in te; che siano anch’essi una cosa sola, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Jn 17,21).

Anche il Concilio Vaticano II ci ha fortemente raccomandato la preghiera per l’unità dei cristiani definendola “l’anima di tutto il movimento ecumenico” (Unitatis Redintegratio UR 8). Come l’anima al corpo, così la preghiera dà vita, coerenza, spirito, finalità al movimento ecumenico.

La preghiera ci pone innanzitutto di fronte al Signore, ci purifica nelle intenzioni, nei sentimenti, nel nostro cuore, e produce quella “interiore conversione”, senza la quale non c’è vero ecumenismo (cfr Jn 17,7).

La preghiera poi ci ricorda che l’unità, in definitiva, è un dono di Dio, dono che dobbiamo chiedere e a cui prepararci perché ci sia concesso. Così anche l’unità, come ogni dono, come ogni grazia, dipende “da Dio che usa misericordia” (Rm 9,16). Poiché la riconciliazione di tutti i cristiani “supera le forze e le doti umane” (Unitatis Redintegratio UR 24), la preghiera continua e fervente esprime la nostra speranza, che non inganna, e la nostra fiducia nel Signore che farà nuova ogni cosa (cfr Rm 5,5 Ap 21,5).

3. Ma l’azione di Dio domanda la nostra risposta, sempre più fedele, sempre più piena. Questo anche e soprattutto per la costruzione dell’unità di tutti i cristiani.

Quest’anno, il tema della Settimana di preghiera per l’unità richiama appunto la nostra attenzione sull’esercizio di alcune virtù fondamentali della vita cristiana. “Siate al servizio gli uni degli altri per la gloria di Dio”. Questo tema è tratto da un brano della Prima Lettera di Pietro (1P 4,7-11).

L’apostolo si rivolge ad alcune comunità della diaspora, del Ponto, della Galizia, della Cappadocia, della Bitinia, dell’Asia, in un momento di particolare difficoltà. Egli richiama queste comunità alla fede cristiana e afferma che “la fine di tutte le cose è vicina” (1P 4,7). Il tempo che viviamo è il tempo escatologico, il tempo cioè che va dalla redenzione operata da Cristo al suo ritorno glorioso. Bisogna perciò vivere nell’attesa attiva. In questo contesto l’apostolo Pietro richiama alla sobrietà per dedicarsi alla preghiera, domanda che si conservi la carità, “una grande carità”, che si pratichi l’ospitalità, e cioè l’apertura e la donazione generosa ai fratelli, in particolare agli emarginati e agli emigrati, chiede che si viva secondo la grazia ricevuta e che si metta questa grazia al servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio.

L’ascolto fedele di questi consigli e la loro pratica realizzazione, da una parte purifica i rapporti fra le persone perché “la carità, copre una moltitudine di peccati” (1P 4,8), dall’altra rinsalda la comunità, la rafforza e la fa crescere. Si tratta di un vero esercizio della ricerca dell’unità. Il tema ci propone di vivere insieme il più possibile l’eredità comune ai cristiani. I contatti, la cooperazione, l’amore vicendevole, il servizio reciproco, ci fanno meglio conoscere gli uni gli altri, ci fanno riscoprire ciò che abbiamo in comune e ci fanno anche vedere quanto tra noi è ancora divergente. Questi contatti ci spingono anche a trovare le vie per superare tali divergenze.

Il Concilio Vaticano secondo ci aveva fatto rilevare che dalla cooperazione si può facilmente imparare “come si appiani la via verso l’unità dei cristiani” (Unitatis Redintegratio UR 12). Infatti la preghiera, la mutua carità, il servizio degli uni verso gli altri, costruiscono la comunione tra i cristiani e li avviano verso la piena unità.

4. In questa settimana la nostra preghiera per l’unità dei cristiani deve essere soprattutto preghiera di ringraziamento e di impetrazione. Sì, dobbiamo ringraziare il Signore che ha suscitato tra tutti i cristiani il desiderio dell’unità (cfr Unitatis Redintegratio UR 1) e che ha benedetto questa ricerca, la quale si estende e si approfondisce sempre più.

La Chiesa cattolica ha instaurato in questi ultimi tempi fraterni rapporti con tutte le altre Chiese e Comunità ecclesiali, rapporti che vogliamo continuare e approfondire con fiducia e con speranza. Con le Chiese ortodosse d’Oriente il dialogo della carità ci ha fatto riscoprire una comunione quasi piena, anche se ancora imperfetta. È motivo di conforto vedere come questo nuovo atteggiamento di comprensione non si limiti solamente ai maggiori responsabili delle Chiese, ma penetri gradualmente nelle Chiese locali, poiché il cambiamento dei rapporti sul piano locale è indispensabile per ogni ulteriore progresso.


La pratica delle virtù, a cui ci richiama questa settimana di preghiere, può inoltre far scaturire nuove esperienze creative di unità.

A questo riguardo desidero ricordare che sta per aprirsi un dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese d’Oriente di tradizione bizantina al fine di eliminare quelle difficoltà che ancora impediscono la concelebrazione eucaristica e la piena unità. È questo un momento importante e per esso imploriamo l’aiuto di Dio. Da tempo sono in corso dialoghi anche con i fratelli d’Occidente, anglicani, luterani, metodisti, riformati, e su temi che nel passato costituivano profonde divergenze, si sono riscontrate consolanti convergenze. Sono stati inoltre istituiti utili rapporti con il Consiglio Ecumenico delle Chiese e con altre organizzazioni cristiane confessionali e interconfessionali. Il cammino però non è finito, e dobbiamo continuarlo, per raggiungere la meta. Rinnoviamo perciò la nostra preghiera al Signore, affinché dia a tutti i cristiani luce e forza per fare tutto quanto è possibile per conseguire al più presto la piena unità nella verità, così che “professando la verità noi cresceremo per mezzo della carità sotto ogni aspetto in colui che è il Capo, Cristo. È in virtù sua che il corpo tutto intero, grazie ai vari legami che gli danno coesione e unità, cresce mediante l’attività propria di ciascuno dei suoi organi e si ricostruisce nella carità” (Ep 4,15-16).

5. E ora, cari fratelli e sorelle, uniamoci in preghiera e facciamo nostre le intenzioni sopra esposte, con le seguenti invocazioni, alle quali tutti siete invitati a rispondere: Ascoltaci, o Signore!

– Nello spirito del Cristo, nostro Signore, preghiamo per la Chiesa Cattolica, per le altre Chiese, per tutta l’umanità.

– Preghiamo per tutti coloro che soffrono persecuzioni a causa della giustizia e per quanti si adoperano per la libertà e per la pace.

– Preghiamo per coloro che esercitano un ministero nella Chiesa, per coloro che hanno particolari responsabilità nella vita sociale e per tutti quelli che sono al servizio dei piccoli e dei deboli.

– Chiediamo a Dio per noi stessi il coraggio di perseverare nel nostro impegno per la realizzazione dell’unità di tutti i cristiani.

Signore Iddio, noi confidiamo in te. Dacci di agire come tu gradisci. Dacci di essere fedeli servitori della tua gloria. Amen.

Nella speranza che durante la Settimana per l’unità continuerete a pregare per queste intenzioni, di cuore vi impartiamo la Benedizione Apostolica.

Ai malati

Desidero rivolgere un saluto particolare a tutti gli ammalati qui presenti. Carissimi Fratelli e Sorelle, vi auguro di cuore l’alleviamento delle vostre sofferenze e soprattutto la conformazione del vostro dolore a quello di Gesù Cristo, il quale proprio mediante la passione diventò il nostro Salvatore benedetto. Mentre vi assicuro il mio ricordo nella preghiera, affinché il Signore vi sia vicino con la sua assistenza e col suo conforto, vi imparto la mia affettuosa Benedizione Apostolica.


Alle coppie di giovani sposi

Anche i novelli sposi devono avere il mio saluto speciale. Il matrimonio sia per voi la felice occasione per una vera e comune crescita umana e cristiana, e che il vostro amore sia fecondo di vite nuove per la Chiesa e per la società. Il Signore vi protegga sempre, vi accompagni anche la mia paterna Benedizione Apostolica.

A un gruppo della diocesi di Diano-Teggiano

Fra i gruppi presenti a questo incontro, merita una speciale parola il pellegrinaggio della diocesi di Diano-Teggiano, guidato dal proprio Vescovo. Figli carissimi, siete venuti a ritemprare la vostra fede presso la Tomba dell’Apostolo Pietro. Vi saluto di cuore e vi esorto ad alimentare sempre la vostra fede con l’ascolto della Parola di Dio, con la riflessione, con lo studio e soprattutto con la preghiera. Siate sempre come raccomanda San Pietro “forti nella fede” (1P 5,9). Vi accompagni e vi sostenga la mia benedizione, che di cuore estendo a tutti i vostri cari.

Ai pescatori e agli operai provenienti da Burano

Un pensiero affettuoso rivolgo poi ai pescatori e agli operai che provengono da Burano, la bella isoletta della Laguna Veneta. Carissimi, siate sempre fedeli alle vostre tradizioni religiose, e tenete sempre alto il nome di “cristiani”. Ritornando alle vostre famiglie e al vostro lavoro, siate portatori di generosi propositi di vita cristiana sempre più cosciente e più autentica. Il Papa vi è vicino e vi benedice di cuore.





Catechesi 79-2005 27128