Catechesi 79-2005 14181

Mercoledì, 14 gennaio 1981, Aula Paolo VI: La vita secondo lo spirito, fondata nella vera libertà

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1. San Paolo scrive nella Lettera ai Galati: "Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge, infatti, trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso" (
Ga 5,13-14). Già una settimana fa ci siamo soffermati su questo enunciato; tuttavia lo riprendiamo oggi, in rapporto all’argomento principale delle nostre riflessioni.

Sebbene il passo citato si riferisca anzitutto al tema della giustificazione, tuttavia l’Apostolo tende qui esplicitamente a far capire la dimensione etica della contrapposizione "corpo-spirito", cioè tra la vita secondo la carne e la vita secondo lo Spirito. Anzi, proprio qui egli tocca il punto essenziale, svelando quasi le stesse radici antropologiche dell’ethos evangelico. Se, infatti, "tutta la Legge" (legge morale dell’Antico Testamento) "trova la sua pienezza" nel comandamento della carità, la dimensione del nuovo ethos evangelico non è nient’altro che un appello rivolto alla libertà umana, un appello alla sua più piena attuazione e, in certo senso, alla più piena "utilizzazione" della potenzialità dello spirito umano.

2. Potrebbe sembrare che Paolo contrapponga solamente la libertà alla Legge e la Legge alla libertà. Tuttavia un’analisi approfondita del testo dimostra che San Paolo nella Lettera ai Galati sottolinea anzitutto la subordinazione etica della libertà a quell’elemento in cui si compie tutta la Legge, ossia all’amore, che è il contenuto del più grande comandamento del Vangelo. "Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi", proprio nel senso che Egli ci ha manifestato la subordinazione etica (e teologica) della libertà alla carità e che ha collegato la libertà con il comandamento dell’amore. Intendere così la vocazione alla libertà ("Voi,... fratelli, siete stati chiamati alla libertà" (Ga 5,13) significa configurare l’ethos, in cui si realizza la vita "secondo lo Spirito". Esiste infatti anche il pericolo di intendere la libertà in modo erroneo, e Paolo lo addita con chiarezza, scrivendo nello stesso contesto: "Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma, mediante la carità, siate a servizio gli uni degli altri" (Ga 5,13).


3. In altre parole: Paolo ci mette in guardia dalla possibilità di fare uso cattivo della libertà, un uso che contrasti con la liberazione dello spirito umano compiuta da Cristo e che contraddica quella libertà con cui "Cristo ci ha liberati". Difatti, Cristo ha realizzato e manifestato la libertà che trova la pienezza nella carità, la libertà grazie alla quale siamo "a servizio gli uni degli altri"; in altre parole: la libertà che diviene sorgente di "opere" nuove e di "vita" secondo lo Spirito. L’antitesi e, in certo qual modo, la negazione di tale uso della libertà ha luogo quando essa diventa per l’uomo "un pretesto per vivere secondo la carne". La libertà diventa allora una sorgente di "opere" e di "vita" secondo la carne. Cessa di essere l’autentica libertà, per la quale "Cristo ci ha liberati" e diviene "un pretesto per vivere secondo la carne", sorgente (oppure strumento) di uno specifico "giogo" da parte della superbia della vita, della concupiscenza degli occhi e della concupiscenza della carne. Chi in questo modo vive "secondo la carne", cioè si assoggetta – sebbene in modo non del tutto cosciente, ma nondimeno effettivo – alla triplice concupiscenza, e in particolare alla concupiscenza della carne, cessa di essere capace di quella libertà per cui "Cristo ci ha liberati"; cessa anche di essere idoneo al vero dono di sé, che è frutto ed espressione di tale libertà. Cessa, inoltre, di essere capace di quel dono, che è organicamente connesso col significato sponsale del corpo umano, di cui abbiamo trattato nelle precedenti analisi del Libro della Genesi (cfr Gn 2,23-25)

4. In questo modo, la dottrina paolina circa la purezza, dottrina in cui troviamo la fedele ed autentica eco del Discorso della Montagna, ci consente di vedere la "purezza di cuore" evangelica e cristiana, in una prospettiva più ampia, e soprattutto ci permette di collegarla con la carità in cui tutta "la legge trova la sua pienezza". Paolo, in modo analogo a Cristo, conosce un duplice significato della "purezza" e dell’"impurità": un senso generico ed uno specifico. Nel primo caso è "puro" tutto ciò che è moralmente buono, "impuro" invece ciò che è moralmente cattivo. Lo affermano con chiarezza le parole di Cristo secondo Matteo(Gn 15,18-20), citate in precedenza. Negli enunciati di Paolo circa le "opere della carne", che egli contrappone al "frutto dello Spirito", troviamo la base per un analogo modo di intendere questo problema. Tra le "opere della carne" Paolo colloca ciò che è moralmente cattivo, mentre ogni bene morale viene collegato con la vita "secondo lo Spirito". Così, una delle manifestazioni della vita "secondo lo Spirito" è il comportamento conforme a quella virtù, che Paolo, nella Lettera ai Galati, sembra definire piuttosto indirettamente, ma di cui parla in modo diretto nella prima Lettera ai Tessalonicesi.

5. Nei brani della Lettera ai Galati, che già anteriormente abbiamo sottoposto ad analisi dettagliata, l’Apostolo elenca al primo posto fra le "opere della carne": "fornicazione, impurità, libertinaggio"; tuttavia, in seguito, quando a queste opere contrappone il "frutto dello Spirito", non parla direttamente della "purezza", ma nomina solo il "dominio di sé", la enkráteia. Questo "dominio" si può riconoscere come virtù che riguarda la continenza nell’ambito di tutti i desideri dei sensi, soprattutto nella sfera sessuale; è quindi in contrapposizione alla "fornicazione, all’impurità, al libertinaggio", e anche all’"ubriachezza", alle "orge". Si potrebbe quindi ammettere che il paolino "dominio di sé" contiene ciò che viene espresso nel termine "continenza" o "temperanza", che corrisponde al termine latino temperantia. In tal caso, ci troveremmo di fronte al noto sistema delle virtù, che la teologia posteriore, specie la scolastica, prenderà in prestito, in certo senso, dall’etica di Aristotele. Tuttavia, Paolo certamente non si serve, nel suo testo, di questo sistema. Dato che per "purezza" si deve intendere il giusto modo di trattare la sfera sessuale a seconda dello stato personale (e non necessariamente un astenersi assoluto dalla vita sessuale), allora indubbiamente tale "purezza" è compresa nel concetto paolino di "dominio" o enkráteia.Perciò, nell’ambito del testo paolino troviamo solo una generica ed indiretta menzione della purezza, in tanto in quanto a tali "opere della carne", come "fornicazione, impurità, libertinaggio", l’autore contrappone il "frutto dello Spirito", cioè opere nuove, in cui si manifesta "la vita secondo lo Spirito". Si può dedurre che una di queste opere nuove sia proprio la "purezza": quella, cioè, che si contrappone all’"impurità" e anche alla "fornicazione" e al "libertinaggio".

6. Ma già nella prima Lettera ai Tessalonicesi, Paolo scrive su questo argomento in modo esplicito e inequivoco. Vi leggiamo: "Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dalla impudicizia, che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo [Senza entrare nelle discussioni particolareggiate degli esegeti, occorre tuttavia segnalare che l’espressione greca tò heautoû skeûos può riferirsi anche alla moglie (cfr 1P 3,7)] con santità e rispetto, non come oggetto di passioni e libidine, come i pagani che non conoscono Dio" (1Th 4,3-5). E poi: "Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste norme non disprezza un uomo, ma Dio stesso che vi dona il suo Santo Spirito" (1Th 4,7-8). Sebbene anche in questo testo abbiamo a che fare col significato generico della "purezza", identificata in questo caso con la "santificazione" (in quanto si nomina l’"impurità" come antitesi della "santificazione"), nondimeno tutto il contesto indica chiaramente di quale "purezza" o di quale "impurità" si tratti, cioè in che cosa consista ciò che Paolo chiama qui "impurità", e in qual modo la "purezza" contribuisca alla "santificazione" dell’uomo.

E perciò, nelle successive riflessioni, converrà riprendere il testo della prima lettera ai Tessalonicesi, or ora citato.

Saluti:

A pellegrini provenienti dall’Iraq


Al " Catholic Journalist Club " del Giappone



Ai numerosi pellegrini polacchi

Colgo l'occasione per salutare ancora una volta tutti i presenti, e per loro tramite tutti i compatrioti in Patria, nelle città e nei paesi, la Chiesa in Polonia, il Cardinale Primate e tutti i Vescovi, come anche tutti i fratelli e le sorelle ai quali mi sento sempre profondamente legato, specialmente nelle ultime settimane e negli ultimi mesi.

A due pellegrinaggi napoletani

Un affettuoso saluto va ai pellegrinaggi napoletani delle Parrocchie di santa Maria del Carmine e di Maria Santissima Addolorata, del quartiere di Poggioreale, accompagnati dai loro benemeriti Parroci.

Carissimi, siate i benvenuti! So delle grandi sofferenze provocate tra voi dal recente terremoto, ma so pure che la vostra fede è tenace. Non arrendetevi mai alle prove della vita. la vostra ricca umanità, unita ad una profonda adesione al Signore, potrà fare certo grandi cose. E sappiate che il Papa vi vuole bene ed è con voi.

Molto volentieri benedico, insieme a voi ed ai vostri Cari, la statua della Madonna del Carmine, perché Maria Santissima vi assista ogni giorno con materna protezione.

Ai partecipanti al convegno annuale sul tema "La risposta dell’uomo a Dio"

Saluto anche il gruppo dei volontari italiani del Movimento dei Focolari, che in questi giorni tengono il loro convegno annuale sul tema: " La risposta dell’uomo a Dio "

Miei cari, nel vostro ambiente di vita siate sempre testimoni fedeli e generosi di Gesù Cristo e del suo Vangelo. Le vostre quotidiane occupazioni, lungi dall’essere motivo di distrazione, devono costituire quasi la materia prima per una solida unione con Dio, al quale si risponde solo offrendo tutto se stessi.

E vi accompagni il mio paterno affetto, di cui è pegno la benedizione che di cuore vi imparto.

Ai religiosi e alle religiose mercedari e a tutti i membri dell’Opera Redentrice della Mercede


Rivolgo un particolare benvenuto ai Religiosi Mercedari, alle Religiose Mercedarie ed a quanti fanno capo all’Opera Redentrice della Mercede, qui accompagnati dal neo-Vescovo Lucas Donnelly, che ho ordinato in San Pietro il 6 gennaio scorso.

Cari Fratelli e Sorelle, mentre vi saluto vivamente, vi ringrazio anche di cuore per quanto avete fatto e state facendo per la diffusione del Nuovo Testamento in alcuni Paesi europei a me cari. Il Signore ricompensi il vostro zelo e la vostra carità ecclesiale, traendone frutti abbondanti di rinnovata vita cristiana.

E tutti voi affido alla protezione della Madonna della Mercede, mentre vi imparto la mia paterna Benedizione.

Ai giovani

Il breve pensiero che rivolgo a voi, cari giovani, mi viene suggerito dalla festa dell’Epifania, che ha concluso il tempo natalizio. E’ il concetto di Gesù luce del mondo, a cui i Magi vengono condotti dalla stella. La stella è sempre lì, anche per noi; e ci guida infallibilmente a Dio e al suo Figliolo Gesù; è la fede; ma anche l’intelligenza, ossia la luce con cui ognuno può leggere nelle cose e negli avvenimenti. Se saremo docili ai cuoi impulsi, essa ci condurrà prima a Dio, di cui l’universo ci mostra le meraviglie, poi al suo diletto Figlio Gesù. E potremo adorarlo anche noi con infinita gioia del cuore, come i Magi.

Agli ammalati

La luce che emana da Cristo, Verbo incarnato e adorato dai Magi, può essere un dono anche per noi, figli e figlie ammalati e parte davvero eletta di questa Udienza. Quella luce infatti, se accolta, illuminerà la vostra intelligenza e la renderà più idonea a comprendere la funzione del dolore. Sapere che Cristo ha sofferto fin dal suo primo apparire, e che la Croce l’ha accompagnato, come legge inderogabile, dalla Culla al Calvario, può non solo rendere più sopportabile la vostra condizione, ma può essere addirittura fonte di gioia, come nei Santi. Che essi vi assistano sempre! Così vi auguro, con l’amore del Signore.

Agli sposi novelli

La luce di Gesù, che si mostra e si offre ai Magi, illumina anche voi, Sposi novelli. La luce, quando sorge al mattino, non solo dirada le tenebre e riporta la gioia, ma restituisce ad ogni cosa la sua fisionomia e la sua personalità. tutto diventa nitido, Ciò avviene anche nella vita spirituale. Quanti problemi e incertezze! Che fare? Come districarsi? Ma ecco Gesù e la sua luce, e tutto si fa limpido, nella vita.



Aula Paolo VI

Mercoledì, 21 gennaio 1981: Inquietudine e azione di grazia per l’unità della Chiesa

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La settimana di preghiere per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio), che è in pieno svolgimento, invita tutti i battezzati ad una comune riflessione e ad intensa preghiera. Per questo desidero, come ogni anno, dedicare le riflessioni dell’odierno incontro a tale argomento, a cui attribuisco una grandissima importanza.

1. Questa settimana di preghiere ritorna puntuale a sollecitare la coscienza dei cristiani ad un esame di fronte a Dio, sul tema della ricomposizione della piena unità. Essa ritorna anche a ricordare che l’unità è un dono di Dio e che perciò occorre chiederla intensamente al Signore. Il fatto, poi, che i cristiani delle diverse confessioni si uniscano in una preghiera comune – particolarmente in questo tempo o nella settimana di Pentecoste, ma vorrei sperare che ciò avvenga sempre più spesso anche in altre circostanze – riveste un significato del tutto speciale. I cristiani riscoprono con crescente lucidità la parziale, ma vera comunione esistente, e si avviano insieme, di fronte a Dio e con il suo aiuto, verso la piena unità.

Si avviano verso questa meta incominciando appunto dalla preghiera al Signore, a Colui che purifica e libera, che redime ed unisce.

La preghiera per l’unità si estende sempre più nel mondo, tanto tra i cattolici quanto fra gli altri cristiani. Essa sta perdendo il carattere di avvenimento straordinario ed entra nella vita normale delle Chiese. La settimana di preghiere viene ormai ricordata nei calendari e nelle guide liturgico-pastorali. In questo periodo anche le più piccole parrocchie vengono invitate a questa preghiera che deve coinvolgere l’intera comunità cristiana. Questo è un segno positivo. Occorre però essere molto attenti ad evitare che la preghiera perda quella carica sconvolgente, che deve scuotere la coscienza di tutti davanti alla divisione dei cristiani, "che non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma anche è di scandalo al mondo e danneggia la santissima causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura" (cfr Unitatis Redintegratio
UR 1).

La collaborazione instaurata nel campo della preghiera col Consiglio ecumenico delle Chiese si è mostrata feconda. L’elaborazione di testi appropriati su un tema concordato e la loro divulgazione fatta insieme, oltre a facilitare una divulgazione della preghiera in zone ed ambienti altrimenti irraggiungibili, offre una testimonianza di intenzione e di azione comune dei cristiani per l’unità. Esprime la comune volontà di mettersi in attento ascolto della Parola di Dio per fare la sua volontà.

2. Questa settimana di preghiere genera annualmente anche una certa inquietudine. Ci fa infatti costatare che, se dobbiamo ancora implorare l’unità, se dobbiamo cercarla, la piena unità di tutti i cristiani non è ancora raggiunta e ci troviamo in difetto davanti al Signore. Anche questa inquietudine, che si vela a volte di amarezza, mi sembra un segno positivo. Essa dovrebbe spronarci ad un maggiore impegno di fede e di amore, e nella ricerca della piena unità. Il Concilio Vaticano II ha ricordato che la preoccupazione per la ricomposizione dell’unità deve riguardare tutti, pastori e fedeli, ognuno secondo il proprio ruolo e le proprie capacità, anche nella vita di ogni giorno (cfr Unitatis Redintegratio UR 5).

3. Abbiamo però anche fondamentali motivi per ringraziare il Signore. Solo guardando a quest’ultimo anno si possono rilevare avvenimenti ed elementi estremamente positivi, densi di prospettive e di speranze. Tanto nei rapporti con le Chiese d’Oriente quanto con le Chiese e comunità ecclesiali d’Occidente, anche a me personalmente il Signore ha concesso di incontrare, a Roma o durante i miei viaggi, tanti fratelli che svolgono importanti funzioni nelle proprie Chiese. Abbiamo insieme parlato sulla ricerca dell’unità e costatato le difficoltà ancora esistenti, ma abbiamo anche percepito la comune volontà di proseguire ogni sforzo a questo fine. Il Signore che colma le umane lacune, farà il resto. L’incontro fraterno e leale, nel reciproco rispetto, è essenziale per la mutua conoscenza e per concordare insieme il resto del cammino da compiere. Abbiamo avuto incontri fecondi. Ne sia ringraziato il Signore.

Le relazioni con le Chiese ortodosse hanno poi registrato, quest’anno, un avvenimento particolarmente importante: l’inizio ufficiale del dialogo teologico attraverso un’ampia e qualificata commissione mista. In essa sono rappresentate tutte le Chiese ortodosse. Il dialogo teologico avverrà così con la Chiesa ortodossa nel suo insieme. Le sotto-commissioni di studio hanno già programmato ed iniziato con sollecitudine il proprio lavoro.

L’orientamento è positivo e costruttivo. Ma esso non preserva automaticamente il dialogo da momenti di eventuali difficoltà. Se da quasi un millennio le Chiese d’Oriente e d’Occidente non concelebrano più l’Eucaristia, ciò vuol dire che esse hanno giudicato gravi i problemi controversi. Non si può ridurre tutto a fattori storici e culturali, anche se questi hanno avuto un influsso pesante e deleterio nel progressivo estraniamento fra Oriente e Occidente. Occorre pertanto che il dialogo sia sostenuto dalla fervida preghiera di tutti. Il dialogo per sé è chiamato a risolvere tutti i maggiori problemi aperti che abbiano una relazione con la fede; d’altra parte esso costituisce anche uno strumento prezioso per chiarire malintesi e pregiudizi reciproci e anche per concordare quelle legittime varietà e diversità compatibili nell’unità della fede. In questa prospettiva di dialogo, e nel contesto di relazioni fraterne con le Chiese d’Oriente, ho voluto dichiarare i santi orientali Cirillo e Metodio compatroni d’Europa, insieme con san Benedetto. Per la piena unità dobbiamo tutti abituarci ad avere una mentalità reciprocamente aperta tanto verso la tradizione orientale quanto verso quella occidentale.

Nell’anno trascorso, sono continuati i rapporti con le Chiese precalcedonesi, ed anch’io personalmente ho potuto incontrare loro degni rappresentanti. Ugualmente, il dialogo con le Chiese e comunità ecclesiali d’Occidente prosegue il suo corso. Su temi essenziali per la vita della Chiesa come il Battesimo, l’Eucaristia, il ministero, si approfondisce un positivo confronto, sia in dialogo multilaterale sia in conversazioni teologiche bilaterali, il quale fa sperare un superamento delle gravi controversie del passato.


Senza dubbio, dobbiamo essere certi, ciò che sostiene questi passi delicati e questo lento ma vero progresso è anche e soprattutto la preghiera dei cristiani, che per l’unità si leva da ogni parte del mondo.

Per questo vi invito a includere nella vostra preghiera, anche quotidiana, l’intenzione dell’unità.

4. Quest’anno viene proposto un tema ricco di prospettive spirituali e di implicazioni ecclesiali: "Uno Spirito, diversi doni, un solo corpo" (cfr 1Co 12,3-13). San Paolo, scrivendo ai cristiani di Corinto, i quali erano esuberanti di vitalità con espressioni simili ai fenomeni estatici delle assemblee religiose pagane, dà delucidazioni sul discernimento dei veri dai falsi carismi. La retta fede, l’adesione a Gesù Cristo, è la prima norma della loro autenticità. Egli afferma che tra i credenti si può manifestare una grande varietà di doni, di ministeri, di attività. Ad uno viene data la parola di sapienza, ad un altro parole di scienza, ad un altro il dono della profezia, ad altri il potere dei prodigi e delle guarigioni, ad altri ancora la varietà delle lingue o l’interpretazione delle lingue (cfr 1Co 12,8-10).

"Ma tutte queste cose – egli assicura – è il medesimo ed identico Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole" (1Co 12,11). I carismi autentici provengono da una unica sorgente. Per il loro discernimento san Paolo indica un altro criterio, quello dell’unità. Questa varietà di carismi non deve generare l’anarchia, come se si trattasse di orgogliose espressioni dell’istinto umano; al contrario, gli autentici carismi sono orientati a cementare e a fecondare l’unità. "A ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per l’utilità comune" (1Co 12,7). Per rendere più percepibile il suo pensiero, san Paolo richiama alla mente un’immagine che i greci di Corinto dovevano ben comprendere. I filosofi stoici avevano già utilizzato la metafora del corpo per suggerire il rapporto che i singoli individui hanno verso la società. Usando l’immagine san Paolo non fa un semplice paragone, ma gli conferisce un nuovo contenuto. Per lui la comunità è il Corpo di Cristo. Ecco che cosa scrive: "Come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra, e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Siamo stati infatti battezzati tutti in un solo Spirito, per formare un solo corpo" (1Co 12,12-13). Nella comunità cristiana la varietà dei doni ricevuti deve essere messa a servizio dell’edificazione dell’unico Corpo di Cristo e dell’armonica esplicazione della sua vitalità.

In tal modo non soltanto i carismi non devono generare fratture o opposizioni, bensì devono essere a servizio dell’unità. E quando questa unità è lesa occorre adoperare ogni dono per il suo ristabilimento. L’unità e l’armonica articolazione fanno parte della salute del corpo stesso e della sua normale attività.

E così occorre che tutti i carismi, presenti oggi in varie forme, siano messi anche a servizio dell’unità per dare alla comunità cristiana le condizioni essenziali per annunciare e testimoniare che Gesù Cristo e il Signore.

5. Per queste ragioni e fino a che la piena unità fra i cristiani non è raggiunta, abbiamo motivo di intensificare anche noi la nostra preghiera.

Chiediamo al Signore che fortifichi in tutti i cristiani la fede in Cristo, Salvatore del mondo.

Chiediamo al Signore che con i suoi doni sostenga ed orienti i cristiani sulla via della piena unità.

Chiediamo al Signore il dono dell’unità e la pace per il mondo.

Preghiamo: Ti chiediamo, o Signore, i doni del tuo Spirito, fa’ che possiamo penetrare la profondità della Verità tutta intera, e concedici di partecipare anche agli altri i beni che tu disponi per noi.


Insegnaci a superare le divisioni. Inviaci il tuo Spirito per condurre alla piena unità tutti i tuoi figli nella carità piena, in obbedienza alla tua volontà, per Cristo nostro Signore.

Amen.

Saluti:

Al Capitolo Generale della Congregazione delle Suore del Bambino Gesù di Chauffailles

Ad un gruppo di cristiani ed ebrei provenienti da Seattle


Ad un gruppo di giovani lavoratori del Perù, della Colombia e di Ecuador


Ad un gruppo di Avvocati brasiliani, riuniti a Roma per un incontro di studi



Ai Missionari e alle Missionarie della Consolata

Rivolgo ora un saluto particolarmente sentito ai Missionari e alle Missionarie dell’Istituto della Consolata, che frequentano presso l’Università Urbaniana un corso di rinnovamento teologico-pastorale.

Sono molto lieto per la vostra presenza, e mi compiaccio sinceramente sia per la vostra vocazione missionaria, di insostituibile valore, sia per la vostra buona volontà nell’impegno di incoraggiamento per un sempre più efficace apostolato in Patria e nella varie missioni. Nel manifestarvi il mio incoraggiamento, vi esorto ad approfondire con spirito di fede e di amore il messaggio di Cristo e la dottrina della Chiesa, in una solida sintesi dottrinale che tenga anche presenti le esigenze della società moderna, senza dimenticare gli insegnamenti e gli esempi del vostro Fondatore, il Canonico Giuseppe Allamano, sacerdote dotto nella scienza dell’amor di Dio e ardente di fervore apostolico. Vi ispiri sempre e vi guidi la Vergine Consolatrice, a cui siete consacrati, e vi accompagni anche la mia Benedizione.

Ai pellegrini delle parrocchie di Montemassi e di Plaino

Giunga uno speciale saluto anche ai fedeli della Parrocchia di Montemassi (Grosseto) e della Parrocchia di Plaino (Udine), che la carità umana e cristiana ha unito nella dolorosa circostanza del terremoto del Friuli. Carissimi! Mi compiaccio vivamente per l’atto di solidarietà che avete compiuto verso i fratelli tanto provati dalla sventura, e vi esorto a perseverare in questo atteggiamento di amore reciproco, per realizzare in modo concreto la fede cristiana che professate.

Ad altri pellegrinaggi organizzati da comunità parrocchiali italiane

Saluto ora con particolare affetto il folto gruppo di pellegrini della Comunità Parrocchiale "S. Maria del Soccorso", in diocesi di Prato, e quello, pur esso numeroso, proveniente da Montecatini Terme, in occasione del 75° anniversario della costituzione di quel Comune e del 50° della fondazione del Corpo dei Vigili Urbani della città.


Ringrazio profondamente gli uni e gli altri per questa testimonianza di fede in Cristo, di amore alla Chiesa e di attaccamento alla Cattedra di Pietro. Vi sia di stimolo questo incontro spirituale per rinnovare la vostra vita cristiana e per conseguire sempre di più quelle virtù civiche, fatte di rispetto reciproco e di pacifica convivenza, che tanto nobilitano l’uomo ed elevano la sua dignità.

A questo fine vi benedico di gran cuore.

Ai giovani

Una parola adesso ai giovai, tra i quali si distinguono quelli provenienti da tutta Europa del Movimento GEN 2, partecipanti a un loro congresso nel Centro Mariapoli di Rocca di Papa. Oggi la Chiesa ricorda Sant’Agnese, la fanciulla romana martirizzata verso la metà del III secolo. Le tradizioni che ne parlano testimoniano soprattutto l’universale stupore per il coraggio dimostrato dalla ragazza che, appena dodicenne, seppe affrontare impavida il carnefice.

Carissimi, non è possibile essere cristiani, se non si ha il coraggio di fare delle scelte che sappiano andare, all’occorrenza, anche contro corrente; scelte, quindi, che possono anche richiedere eroismo. Una cosa è certa, tuttavia: il dono più prezioso che voi possiate fare ai vostri coetanei è quello di offrire loro una fresca testimonianza di vita, che quotidianamente si misuri sul Vangelo. Con questo augurio, benedico tutti di gran cuore.

Agli ammalati

La mia parola si volge ora agli ammalati, per esprimere la mia profonda considerazione per l’importante ruolo, che essi sono chiamati a svolgere nella Comunità cristiana. Sorelle e Fratelli carissimi, la luce della fede vi aiuti a vivere appieno questo particolare momento della vostra esistenza, che si pone in diretto rapporto con la Croce di Cristo. Se il Figlio di Dio ha scelto di salvare il mondo mediante la Passione, questo significa che il contributo più decisivo alla salvezza del mondo lo potete recare voi, con la vostra sofferenza santificata dalla fede e sublimata dall’amore. A questo atteggiamento di cristiana generosità vi incoraggi la mia Apostolica Benedizione.

Agli sposi novelli

Un saluto ed un augurio, infine, agli sposi novelli, presenti all’Udienza. Il cammino che avete iniziato insieme, con tanti propositi e con tante speranze, figli carissimi, è un cammino in ascesa: richiede impegno e costanza, ma offre la gioia di scoprire, salendo, orizzonti sempre più vasti. A voi il compito di corrispondere con generosità alla grazia del " sacramento grande ", che avete ricevuto, maturando progressivamente in vivezza di fede, in fermezza di speranza, in ricchezza di amore. Ne va del vostro futuro e di quello dei figli che Dio vorrà donarvi. Vi accompagni la mia Apostolica Benedizione.
***


Il Santo Padre manifesta la propria soddisfazione con cui ha accolto la notizia della liberazione degli ostaggi americani a Teheran con le seguenti parole:



Desidero ora esprimere la mia viva e profonda soddisfazione per la liberazione, avvenuta ieri, degli ostaggi degli Stati Uniti d’America, ai quali in questi quattordici mesi sono stato particolarmente vicino con la mia preghiera:

Saluto con profonda soddisfazione la notizia della liberazione degli ostaggi americani tenuti prigionieri per oltre quattordici mesi a Teheran. Sono profondamente lieto che sia stato possibile raggiungere un accordo tra i due paesi dopo un negoziato così lungo e difficile.

Durante tutto questo periodo ho seguito con costante interesse e preoccupazione gli sviluppi della loro situazione. Ho condiviso il dolore e l’ansia dei loro familiari. Ho fatto ciò che ho potuto con la parola e con una continua e fervente preghiera per sollecitare una soluzione.

Ora che gli ostaggi hanno riacquistato la loro libertà, gioisco con loro e con i loro cari ai quali si riuniranno. E chiedo a Dio che li benedica negli anni a venire.



Mercoledì, 28 gennaio 1981, Aula Paolo VI: Santità e rispetto del corpo nella dottrina di san Paolo

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1. Scrive san Paolo nella I Lettera ai Tessalonicesi: "... questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dalla impudicizia, che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto, non come oggetto di passioni libidinose, come i pagani che non conoscono Dio" (
1Th 4,3-5). E dopo qualche versetto, continua: "Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste norme non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo Santo Spirito" (1Th 4,7-8). A queste frasi dell’Apostolo abbiamo fatto riferimento durante il nostro incontro del 14 gennaio scorso. Tuttavia oggi le riprendiamo perché sono particolarmente importanti per il tema delle nostre meditazioni.

2. La purezza, di cui parla Paolo nella I Lettera ai Tessalonicesi (cfr 1Th 4,3-5 1Th 4,7-8), si manifesta nel fatto che l’uomo "sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto, non come oggetto di passioni libidinose". In questa formulazione ogni parola ha un significato particolare e merita pertanto un commento adeguato.

In primo luogo, la purezza è una "capacità", ossia, nel tradizionale linguaggio dell’antropologia e dell’etica: un’attitudine. Ed in questo senso, è virtù. Se questa abilità, cioè virtù, porta ad astenersi "dalla impudicizia", ciò avviene perché l’uomo che la possiede sa "mantenere il proprio corpo con santità e rispetto e non come oggetto di passioni libidinose". Si tratta qui di una capacità pratica, che rende l’uomo atto ad agire in un determinato modo e nello stesso tempo a non agire nel modo contrario. La purezza, per essere una tale capacità o attitudine, deve ovviamente essere radicata nella volontà, nel fondamento stesso del volere e dell’agire cosciente dell’uomo. Tommaso d’Aquino, nella sua dottrina sulle virtù, vede in modo ancor più diretto l’oggetto della purezza nella facoltà del desiderio sensibile, che egli chiama "appetitus concupiscibilis". Appunto questa facoltà deve essere particolarmente "dominata", ordinata e resa capace di agire in modo conforme alla virtù, affinché la "purezza" possa essere attribuita all’uomo. Secondo tale concezione, la purezza consiste anzitutto nel contenere gli impulsi del desiderio sensibile, che ha come oggetto ciò che nell’uomo è corporale e sessuale. La purezza è una variante della virtù della temperanza.

3. Il testo della I Lettera ai Tessalonicesi (cfr 1Th 4,3-5) dimostra che la virtù della purezza, nella concezione di Paolo, consiste anche nel dominio e nel superamento di "passioni libidinose"; ciò vuol dire che alla sua natura appartiene necessariamente la capacità di contenere gli impulsi del desiderio sensibile, cioè la virtù della temperanza. Contemporaneamente, però, lo stesso testo paolino rivolge la nostra attenzione verso un’altra funzione della virtù della purezza, verso un’altra sua dimensione – si potrebbe dire – più positiva che negativa.

Ecco, il compito della purezza, che l’Autore della lettera sembra porre soprattutto in risalto, è non solo (e non tanto) l’astensione dalla "impudicizia" e da ciò che vi conduce, quindi l’astensione da "passioni libidinose", ma, in pari tempo, il mantenimento del proprio corpo e, indirettamente anche di quello altrui in "santità e rispetto".

Queste due funzioni, l’"astensione" e il "mantenimento", sono strettamente connesse e reciprocamente dipendenti. Poiché, infatti, non si può "mantenere il corpo con santità e rispetto", se manchi quell’astensione "dalla impudicizia" e da ciò a cui essa conduce, di conseguenza si può ammettere che il mantenimento del corpo (proprio e, indirettamente, altrui) "con santità e rispetto" conferisce adeguato significato e valore a quell’astensione. Questa richiede di per sé il superamento di qualche cosa che è nell’uomo e che nasce spontaneamente in lui come inclinazione, come attrattiva e anche come valore che agisce soprattutto nell’ambito dei sensi, ma molto spesso non senza ripercussioni sulle altre dimensioni della soggettività umana, e particolarmente sulla dimensione affettivo-emotiva.

4. Considerando tutto ciò, sembra che l’immagine paolina della virtù della purezza – immagine che emerge dal confronto molto eloquente della funzione dell’"astensione" (cioè della temperanza) con quella del "mantenimento del corpo con santità e rispetto" – sia profondamente giusta, completa e adeguata. Dobbiamo forse questa completezza non ad altro se non al fatto che Paolo considera la purezza non soltanto come capacità (cioè attitudine) delle facoltà soggettive dell’uomo, ma, nello stesso tempo, come una concreta manifestazione della vita "secondo lo Spirito", in cui la capacità umana viene interiormente fecondata ed arricchita da ciò che Paolo, nella Lettera ai Galati (Ga 5,22), chiama "frutto dello Spirito". Il rispetto, che nasce nell’uomo verso tutto ciò che è corporeo e sessuale, sia in lui sia in ogni altro uomo, maschio e femmina, si dimostra la forza più essenziale per mantenere il corpo "con santità". Per comprendere la dottrina paolina sulla purezza, bisogna entrare a fondo nel significato del termine "rispetto", ovviamente qui inteso quale forza di ordine spirituale. È appunto questa forza interiore che conferisce piena dimensione alla purezza come virtù, cioè come capacità di agire in tutto quel campo in cui l’uomo scopre, nel proprio intimo, i molteplici impulsi di "passioni libidinose", e talvolta, per vari motivi, si arrende ad essi.

5. Per intendere meglio il pensiero dell’Autore della prima Lettera ai Tessalonicesi sarà bene avere presente ancora un altro testo, che troviamo nella prima Lettera ai Corinzi. Paolo vi espone la sua grande dottrina ecclesiologica, secondo cui la Chiesa è Corpo di Cristo; egli coglie l’occasione per formulare la seguente argomentazione circa il corpo umano: "... Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto" (1Co 12,18); e più oltre: "Anzi, quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre" (1Co 12,22-25).

6. Sebbene l’argomento proprio del testo in questione sia la teologia della Chiesa quale Corpo di Cristo, tuttavia in margine a questo passo si può dire che Paolo, mediante la sua grande analogia ecclesiologica (che ricorre in altre lettere, e che riprenderemo a suo tempo), contribuisce, al tempo stesso, ad approfondire la teologia del corpo. Mentre nella prima Lettera ai Tessalonicesi egli scrive circa il mantenimento del corpo "con santità e rispetto", nel passo ora citato dalla prima Lettera ai Corinzi vuole mostrare questo corpo umano come appunto degno di rispetto; si potrebbe anche dire che vuole insegnare ai destinatari della sua lettera la giusta concezione del corpo umano.

Perciò questa descrizione paolina del corpo umano nella prima Lettera ai Corinzi sembra essere strettamente connessa alle raccomandazioni della prima Lettera ai Tessalonicesi: "Che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto" (1Th 4,4). Questo è un filo importante, forse quello essenziale, della dottrina paolina sulla purezza.

Saluti:


Ai partecipanti ad un corso di spiritualità


Alla Famiglia Salesiana

Con vivo compiacimento porgo il mio cordiale saluto ai membri della Famiglia Salesiana, rappresentanti di una trentina di paesi, convenuti in Roma per partecipare ad una settimana di spiritualità in occasione del centenario della morte di S. Maria Domenica Mazzarello, la quale insieme con S. Giovanni Bosco ha dato vita all’operosa e diffusa Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

Rivolgete sempre il vostro sguardo a questi due grandi maestri della pedagogia cattolica, che hanno formato generazioni di giovani ad un illuminato e sereno impegno di testimonianza cristiana. Attingete continuamente dal loro carisma il necessario vigore spirituale, fondato, come già per essi, sulla vita di preghiera e sulla fiducia incrollabile nell’aiuto di Dio e nell’intercessione della Vergine Santissima. Con la mia Benedizione Apostolica.

Al Movimento GEN 2

Saluto tutti i giovani qui presenti. So che oggi sono molto numerosi. In particolare, ricordo che gruppi: i giovani del " Centro di Formazione Professionale " dell’Istituto Salesiano " Teresia Gerini " di Roma-Ponte Mammolo, accompagnati dai loro Operatori, e poi i giovani del " Movimento GEN 2 ", provenienti da tutta Europa.

Carissimi, vivete in pienezza di gioia e di impegno questa stagione della vita, che vi prepara ai futuri ruoli da svolgere nella società. E portate sempre radicata in voi l’adesione di fede a Cristo Signore, che accende il vostro entusiasmo, stimola la vostra generosità e dà un orientamento sicuro alle vostre energie, invitandovi a metterle a servizio dei fratelli, nella Chiesa e nel mondo. Così vivendo, voi mantenete giovane la Chiesa. E siate certi che il Papa vi vuole bene, mentre vi incoraggia nella vostra quotidiana testimonianza cristiana. Sempre vi accompagni la mia paterna benedizione.

Ai malati

Rivolgo un saluto tutto particolare ai cari ammalati qui convenuti, tra i quali c’è un gruppo di bambini e un’adulta del Centro Socio-Sanitario di torre Spaccata, insieme con le loro assistenti infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana.

Miei figli carissimi, vi dico subito tutto il grande affetto che ho per voi, e che la vostra presenza odierna accresce ancora di più. Vorrei poter lenire le vostre sofferenze, e per questo vi assicuro che avete un posto tutto speciale nella mia preghiera. Vi raccomando vivamente al Signore, perché egli vi dia tutta la forza necessaria per vivere con frutto cristiano la vostra condizione. Affidatevi pienamente a lui. E sentitevi vicino con la premura di un padre, che vi benedice con tutto il cuore.

Alle coppie di sposi novelli

Voglio anche salutare i Novelli Sposi presenti a questa Udienza, per fare loro ogni miglior augurio di letizia e di prosperità cristiana. Il vostro matrimonio sia davvero fecondo, non solo di figli, ma anche di genuina testimonianza cristiana. Sappiate sempre attingere alla superiore comunione col Signore tutta la bellezza della vostra unione reciproca e tutta la forza che occorre per affrontare insieme le difficoltà della vita. Di questi sentiti auspici è pegno la benedizione, che di cuore di imparto.




Catechesi 79-2005 14181