Catechesi 79-2005 19979

Mercoledì, 19 settembre 1979

19979
1. In riferimento alle parole di Cristo sul tema del matrimonio, in cui egli si richiama al “principio”, abbiamo rivolto la nostra attenzione, una settimana fa, al primo racconto della creazione dell’uomo nel Libro della Genesi (
Gn 1) Oggi passeremo al secondo racconto il quale, poiché Dio vi è chiamato “Jahvè”, viene spesso definito “jahvista”.

Il secondo racconto della creazione dell’uomo (legato alla presentazione sia dell’innocenza e felicità originarie che della prima caduta) ha per sua natura un carattere diverso. Pur non volendo anticipare i particolari di questa narrazione – perché ci converrà richiamarli nelle ulteriori analisi – dobbiamo constatare che tutto il testo, nel formulare la verità sull’uomo, ci stupisce con la sua tipica profondità, diversa da quella del primo capitolo della Genesi. Si può dire che è una profondità di natura soprattutto soggettiva e quindi, in certo senso, psicologica. Il capitolo 2 della Genesi costituisce, in certo qual modo, la più antica descrizione e registrazione dell’auto-comprensione dell’uomo e, insieme al capitolo 3, è la prima testimonianza della coscienza umana. Con una approfondita riflessione su questo testo – attraverso tutta la forma arcaica della narrazione, che manifesta il suo primitivo carattere mitico (Se nel linguaggio del razionalismo del XIX secolo il termine “mito” indicava ciò che non si conteneva nella realtà, il prodotto di immaginazione [Wundt], o ciò che è irrazionale [Lévy-Bruhl], il secolo XX ha modificato la concezione del mito. L. Walk vede nel mito la filosofia naturale, primitiva e areligiosa; R. Otto lo considera strumento di conoscenza religiosa; per C. G. Jung invece il mito è manifestazione degli archetipi e l’espressione dell’“inconscio collettivo”, simbolo dei processi interiori. M. Eliade scopre nel mito la struttura della realtà che è inaccessibile all’indagine razionale ed empirica: il mito infatti trasforma l’evento in categoria e rende capaci di percepire la realtà trascendente; non è soltanto simbolo dei processi interiori [come afferma Jung], ma un atto autonomo e creativo dello spirito umano, mediante il quale si attua la rivelazione [cf. Traité d’histoire des religiones, Paris 1949, p. 363; Images et symboles, Paris 1952, pp. 199-235]. Secondo P. Tillich il mito è un simbolo, costituito dagli elementi della realtà per presentare l’assoluto e la trascendenza dell’essere, ai quali tende l’atto religioso. H. Schlier sottolinea che il mito non conosce i fatti storici e non ne ha bisogno, in quanto descrive ciò che è destino cosmico dell’uomo che è sempre tale e quale. Infine il mito tende a conoscere ciò che è inconoscibile.) – vi troviamo “in nucleo” quasi tutti gli elementi dell’analisi dell’uomo, ai quali è sensibile l’antropologia filosofica moderna e soprattutto contemporanea. Si potrebbe dire che Genesi 2 presenta la creazione dell’uomo specialmente nell’aspetto della sua soggettività. Confrontando insieme ambedue i racconti, giungiamo alla convinzione che questa soggettività corrisponde all’oggettiva realtà dell’uomo creato “a immagine di Dio”. E anche questo fatto è – in un altro modo – importante per la teologia del corpo, come vedremo nelle analisi seguenti.


2. È significativo che il Cristo, nella sua risposta ai farisei in cui si richiama al “principio”, indica innanzitutto la creazione dell’uomo con riferimento a Genesi 1,27: “Il Creatore da principio li creò maschio e femmina”; soltanto in seguito cita il testo di Genesi 2,24. Le parole, che direttamente descrivono l’unità e indissolubilità del matrimonio, si trovano nell’immediato contesto del secondo racconto della creazione, il cui tratto caratteristico è la creazione separata della donna (cf Gn 2,18-23), mentre il racconto della creazione del primo uomo (maschio) si trova in Genesi 2,5-7. Questo primo essere umano la Bibbia lo chiama “uomo” (“‘adam”), mentre invece dal momento della creazione della prima donna, comincia a chiamarlo “maschio”, “‘is”, in relazione a “‘iššâ” (“femmina”, perché è stata tolta dal maschio = “‘iš”) (Quanto all’etimologia, non è escluso che il termine ebraico “‘iš” derivi da una radice che significa “forza” [“‘iš” oppure “‘wš”]; invece “‘iššâ” è legata ad una serie di termini semitici, il cui significato oscilla tra “femmina” e “moglie”. L’etimologia proposta dal testo biblico è di carattere popolare e serve a sottolineare l’unità della provenienza dell’uomo e della donna; ciò sembra confermato dall’assonanza di ambedue le voci.). Ed è anche significativo che, riferendosi a Genesi 2,24, Cristo non soltanto collega il “principio” col mistero della creazione, ma anche ci conduce, per così dire, al confine della primitiva innocenza dell’uomo e del peccato originale.

La seconda descrizione della creazione dell’uomo è stata fissata nel Libro della Genesi proprio in tale contesto. Vi leggiamo innanzitutto: “Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta”” (Gn 2,22-23).

“Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne” (Gn 2,24).

“Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non provavano vergogna” (Gn 2,25).

3. In seguito, immediatamente dopo questi versetti, inizia Genesi 3, il racconto della prima caduta dell’uomo e della donna, collegato con l’albero misterioso, che già prima è stato chiamato “albero della conoscenza del bene e del male” (Gn 2,17). Con ciò emerge una situazione completamente nuova, essenzialmente diversa da quella precedente. L’albero della conoscenza del bene e del male è una linea di demarcazione tra le due situazioni originarie, di cui parla il libro della Genesi. La prima situazione è quella dell’innocenza originaria, in cui l’uomo (maschio e femmina) si trova quasi al di fuori della conoscenza del bene e del male, fino al momento in cui non trasgredisce la proibizione del Creatore e non mangia il frutto dell’albero della conoscenza. La seconda situazione, invece, è quella in cui l’uomo, dopo aver trasgredito il comando del Creatore per suggerimento dello spirito maligno simboleggiato dal serpente, si trova, in un certo modo, dentro la conoscenza del bene e del male. Questa seconda situazione determina lo stato di peccaminosità umana, contrapposto allo stato di innocenza primitiva.

Sebbene il testo jahvista sia nell’insieme molto conciso, basta però a differenziare e a contrapporre con chiarezza quelle due situazioni originarie. Parliamo qui di situazioni, avendo davanti agli occhi il racconto che è una descrizione di eventi. Nondimeno attraverso questa descrizione e tutti i suoi particolari, emerge la differenza essenziale tra lo stato di peccaminosità dell’uomo e quello della sua innocenza originaria (“Lo stesso linguaggio religioso richiede la trasposizione da “immagini” o piuttosto “modalità simboliche” a “modalità concettuali” di espressione. A prima vista questa trasposizione può sembrare un cambiamento puramente “estrinseco”... Il linguaggio simbolico sembra inadeguato a prendere la via del concetto per un motivo che è peculiare della cultura occidentale. In questa cultura il linguaggio religioso è sempre stato condizionato da un altro linguaggio, quello filosofico, che è il linguaggio concettuale “per eccellenza”... Se è vero che un vocabolario religioso è compreso solo in una comunità che lo interpreta e secondo una tradizione di interpretazione, è vero però anche che non esiste tradizione di interpretazione che non sia “mediata” da qualche concezione filosofica. Ecco che la parola “Dio”, che nei testi biblici riceve il suo significato dalla “convergenza” di diversi modi del discorso [racconti e profezie, testi di legislazione e letteratura sapienziale, inni], – vista, questa convergenza, sia come il punto di intersezione che come l’orizzonte sfuggente ad ogni e qualsiasi forma – dovette essere assorbita nello spazio concettuale, per essere reinterpretata nei termini dell’Assoluto filosofico, come primo motore, causa prima, “Actus essendi”, essere perfetto, ecc. Il nostro concetto di Dio appartiene quindi ad una onto-teologia, nella quale si organizza l’intera costellazione delle parole-chiave della semantica teologica, ma in una cornice di significati dettati dalla metafisica” [P. Ricoeur, Ermeneutica biblica, Morcelliana, Brescia 1978, PP 140-141 tit. orig.: Biblical Ermeneutics, Montana 1975]. La questione, se la riduzione metafisica esprima realmente il contenuto che nasconde in sé il linguaggio simbolico e metaforico, è un tema a parte.). La teologia sistematica scorgerà in queste due situazioni antitetiche due diversi stati della natura umana: “status naturae integrae” (stato di natura integra) e “status naturae lapsae” (stato di natura decaduta). Tutto ciò emerge da quel testo jahvista di Genesi 2 e 3, che racchiude in sé la più antica parola della rivelazione, ed evidentemente ha un significato fondamentale per la teologia dell’uomo e per la teologia del corpo.

4. Quando Cristo, riferendosi al “principio”, indirizza i suoi interlocutori alle parole scritte in Genesi 2,24, ordina loro, in certo senso, di oltrepassare il confine che, nel testo jahvista della Genesi, corre tra la prima e la seconda situazione dell’uomo. Egli non approva ciò che “per durezza del... cuore” Mosè ha permesso, e si richiama alle parole del primo ordinamento divino, che in questo testo è espressamente legato allo stato di innocenza originaria dell’uomo. Ciò significa che questo ordinamento non ha perduto il suo vigore, benché l’uomo abbia perso la primitiva innocenza. La risposta di Cristo è decisiva e senza equivoci. Perciò dobbiamo trarne le conclusioni normative, che hanno un significato essenziale non soltanto per l’etica, ma soprattutto per la teologia dell’uomo e per la teologia del corpo, la quale, come un momento particolare dell’antropologia teologica, si costituisce sul fondamento della parola di Dio che si rivela. Cercheremo di trarre tali conclusioni durante il prossimo incontro.

Ad un gruppo di fedeli ucraini

Sia lodato Gesù Cristo. A voi che siete venuti a Roma per venerare le tombe degli Apostoli in occasione del 40° anniversario di episcopato del a voi e a noi caro e venerabile Cardinale Giuseppe Slipyj, e che vedete in questa Sede Apostolica un segno della vostra unione con il Vicario di Cristo, uno speciale saluto. Il nostro paterno saluto è anche indirizzato alle vostre famiglie, ai vostri Vescovi, Sacerdoti, Religiosi e Religiose come anche agli Ucraini tutti, in Patria e nella diaspora. Che Iddio con l’intercessione della Vergine Madre di Dio vi assista nella vostra vita cristiana. Sia lodato Gesù Cristo.

A un pellegrinaggio proveniente dal Kenya

Ed ora rivolgo un particolare saluto al pellegrinaggio organizzato dai Vescovi del Kenya. Voi avete visitato la terra che è stata santificata dalla vita terrena di nostro Signore Gesù Cristo, di sua Madre, e di molti altri santi del Vecchio e del Nuovo Testamento. Avete proseguito il vostro pellegrinaggio venendo il Roma. San Luca considerava l’arrivo di San Paolo in questa città il momento opportuno per concludere la storia della crescita della Chiesa dopo l’Ascensione di Gesù. La città fu santificata ulteriormente non solo dal martirio di San Paolo, ma anche da quello di San Pietro, il primo degli Apostoli, la roccia su cui Cristo costruì la sua Chiesa. La mia preghiera per voi è che attraverso questo pellegrinaggio Dio vi doni molte grazie di mente e di cuore, grazie che vi permettano di santificarvi e di portare santità a tutto il vostro popolo. Imparto la mia benedizione a voi, alle vostre famiglie e ai vostri cari, e a tutto il vostro paese.

Ai membri della Società di San Giovanni


Sono felice di salutare i membri della Società di San Giovanni, fondata quasi centoquaranta anni fa dal celebre Padre Lacordaire per lo sviluppo dell’arte cristiana. Vi incoraggio, cari amici, non solo a rinsaldare il legame fraterno e spirituale che vi unisce, ma anche a portare il vostro contributo per promuovere l’arte sacra, quella antica e quella contemporanea, per farla apprezzare, onorare, poiché l’arte sacra resta una voce molto importante per suggerire il mistero cristiano e condurre le anime al dialogo con Dio. Vi benedico di gran cuore.

Ai partecipanti al Convegno Internazionale sull’Automazione


Saluto anche i partecipanti al nono Convegno Internazionale sull’Automazione, riunito per studiare i problemi inerenti alla modernizzazione e all’organizzazione bancaria, Dio vi aiuti a realizzare i vostri sforzi come servizio alla società e benedica le vostre famiglie!


A un gruppo di pellegrini tedeschi

Rivolgo un saluto particolare di benvenuto ai “missionari della Sacra famiglia”, che partecipano ad un corso di perfezionamento spirituale, ed agli alunni del seminario San Giorgio a Francoforte sul Meno e Würzburg. Questa importante esperienza di “Chiesa di molti popoli” possa, qui presso la tomba e la cattedra di San Pietro, approfondire la vostra fede e la vostra vocazione e rafforzare il vostro amore a Cristo e alla sua Chiesa. Vi accompagni la mia Benedizione Apostolica e Cristo vi rafforzi e vi mantenga nella grazia della vostra vocazione sacerdotale.

A due gruppi di messicani




Un saluto cordiale al pellegrinaggio messicano, organizzato dal programma radiofonico “Cammini di luce”. Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio molto per questa visita che, come altre dei vostri connazionali, mi riportano il fedele ricordo di alcune giornate intense per grazia, vissute in Messico. Desidero esortarvi oggi perché continuiate a fomentare nella vostra interiorità gli stessi sentimenti di Cristo Gesù (cfr Ph 2,5), la luce vera che venendo al mondo, ha illuminato tutti gli uomini (cfr Jn 1,9) e ha dimostrato il cammino che conduce alla vita, alla dimora del Padre (cfr Jn 14,1-6). Tornando alle vostre famiglie, recate a tutti il saluto del Papa ed una Benedizione Apostolica speciale.

Do anche il mio cordiale benvenuto ai nuovi alunni del Pontificio Collegio Messicano. Carissimi: che la vostra permanenza a Roma per completare la vostra formazione, sia sempre gradita agli occhi del Signore. Tenete sempre presente che siete stati scelti, come suoi ministri, per essere annunciatori e testimoni degni di fede, della vita nuova in Cristo resuscitato. A voi ed ai vostri maestri, una speciale benedizione.
* * *


A vari gruppi

Un saluto, come di consueto cordiale, va questa sera a due pellegrinaggi di malati, accompagnati dall’Associazione UNITALSI delle Marche e dall’Associazione Genitori di handicappati del Molise. La vostra presenza mi ricorda in modo particolare la mia recente visita a Loreto, dove tra le intenzioni primarie della mia preghiera ho inserito le necessità spirituali e fisiche di voi sofferenti. Benedico con voi tutti coloro che con tanto amore vi curano, vi assistono, vi confortano.

Vada ora un saluto particolare ai membri del Capitolo Generale dei Cooperatori parrocchiali di Cristo Re. Sappiate, figli carissimi, che il Papa apprezza il contributo che voi recate alla vita ed alle attività della parrocchia, “cellula della diocesi”, come ha ricordato il Concilio, il quale ha anche sottolineato che “essa offre un luminoso esempio di apostolato “comunitario”, fondendo insieme tutte le differenze umane che vi si trovano e inserendole nell’universalità della Chiesa” (cfr Apostolicam Actuositatem AA 10). Con la mia paterna Benedizione Apostolica.

Sono lieto di porgere ora un cordiale benvenuto ai due gruppi di pellegrini, provenienti da due antiche Chiese locali, le diocesi di Padova e di Aosta. Carissimi figli, la vostra presenza attesta la vitalità della vostra fede e del vostro impegno cristiano. Auspico che questo incontro romano, al centro della cristianità, segni una ulteriore tappa nel vostro cammino di fede, segnato dall’amore al Cristo, dalla fedeltà alla Chiesa e dalla carità verso i fratelli. Ritornando a casa, portate nelle vostre famiglie e nel vostro lavoro la forza dei buoni propositi attinti sul Sepolcro di Pietro e dalla viva voce del suo Successore, che ora vi parla. A voi la mia Benedizione.

Ai giovani

Cari ragazzi e ragazze! Giunga particolarmente cordiale e sentito il mio saluto a voi, che vi affacciate alla vita, che siete pieni di vita, che attendete tutto dalla vita! Voi in modo speciale siete presenti nel mio affetto e nella mia preghiera, e io vi esorto a mantenervi sempre uniti a Gesù! Nessuno può cancellare la presenza di Gesù dalla storia degli uomini! Fate in modo che egli sia sempre presente anche nella vostra vita di ogni giorno con la sua grazia, con la sua luce, con la sua consolazione. Per questo di gran cuore vi do la mia Benedizione.

Ai malati


Carissimi ammalati! A voi che soffrite con tanta pazienza e rassegnazione, porgo il mio saluto riverente e affettuoso nel Signore. Tutti dobbiamo confortarci per la presenza di Cristo nella storia e nella vita degli uomini; ma specialmente per voi, sofferenti, ai quali tante volte mancano le consolazioni terrene. Gesù, il Verbo Incarnato, che ha voluto patire e morire in croce, piagato, dissanguato, assetato, tormentato da chiodi e da spine, è sempre vicino ai vostri dolori, raccoglie le vostre lacrime, ascolta i vostri gemiti, e vi assicura che nessuna sofferenza va perduta, se è unita al suo amore e alla sua opera redentrice. La continua presenza di Cristo in voi e con voi vi dia consolazione e serenità, mentre vi accompagna la mia Benedizione.

Agli sposi novelli

Carissimi sposi novelli! Anche per voi riservo il mio saluto speciale, unito alle felicitazioni e agli auguri per la vostra nuova vita! È logico che ai novelli sposi si porgano auguri di gioia imperitura, nell’amore reciproco e nel raggiungimento dei comuni ideali proposti. Ma il segreto della vostra consolazione sta nella presenza di Cristo che vi ha uniti in matrimonio con la sua grazia divina. Rimanete uniti in Cristo: ecco il mio augurio! La presenza di Gesù nella vostra casa, nel vostro amore, nelle vostre scelte sia sempre la luce che vi illumina e la consolazione che vi allieta. Con la mia Benedizione e la mia costante benevolenza.

Un accorato appello per la liberazione dei giovani torinesi Giorgio e Maria Casana, che da circa un mese sono nelle mani dei loro rapitori, viene lanciato dal Santo Padre al termine dell’udienza generale. Queste le parole del Papa.

Desidero ora farmi interprete, ancora una volta, del dolore di una famiglia, colpita nei suoi affetti più cari dalla dilagante piaga dei sequestri di persona. Si tratta della famiglia Casana di Torino, alla quale sono stati rapiti, or fa quasi un mese, i due ragazzi Giorgio e Marina, rispettivamente di 14 e 15 anni.

Come esprimere lo sbigottimento e l’esecrazione di fronte a questo ennesimo atto di violenza, che si rivolge, con fredda determinazione, contro chi, per la giovane età, è più fragile ed inerme? Non sarà restata nell’animo dei rapitori una scintilla di umanità che li disponga ad accogliere questo mio appello alla comprensione dell’ansia che attanaglia il cuore dei genitori? Non mi rassegno a pensarlo e invito, pertanto, tutti voi ad unirvi alla mia preghiera, per ottenere dal Signore che muova a pietà i responsabili e li induca a restituire quanto prima i due ragazzi, sani e salvi, all’affetto dei loro familiari.




Mercoledì, 26 settembre 1979

26979
1. Cristo, rispondendo alla domanda sull’unità e indissolubilità del matrimonio, si è richiamato a ciò che sul tema del matrimonio è stato scritto nel Libro della Genesi. Nelle due precedenti nostre riflessioni abbiamo sottoposto ad analisi sia il cosiddetto testo elohista (
Gn 1), sia quello jahvista (Gn 2). Oggi desideriamo trarre da queste analisi alcune conclusioni.

Quando Cristo si riferisce al “principio”, chiede ai suoi interlocutori di superare, in un certo senso, il confine che, nel Libro della Genesi, passa tra lo stato di innocenza originaria e quello di peccaminosità, iniziato con la caduta originale.

Simbolicamente si può legare questo confine con l’albero della conoscenza del bene e del male, che nel testo jahvista delimita due situazioni diametralmente opposte: la situazione dell’innocenza originaria e quella del peccato originale. Queste situazioni hanno una propria dimensione nell’uomo, nel suo intimo, nella sua conoscenza, coscienza, scelta e decisione, e tutto ciò in rapporto a Dio Creatore che, nel testo jahvista (Gn 2-3), è, al tempo stesso, il Dio dell’alleanza, della più antica alleanza del Creatore con la sua creatura, cioè con l’uomo. L’albero della conoscenza del bene e del male, come espressione e simbolo dell’alleanza con Dio infranta nel cuore dell’uomo, delimita e contrappone due situazioni e due stati diametralmente opposti: quello dell’innocenza originaria e quello del peccato originale, e insieme della peccaminosità ereditaria dell’uomo che ne deriva. Tuttavia le parole di Cristo, che si riferiscono al “principio”, ci permettono di trovare nell’uomo una continuità essenziale e un legame fra questi due diversi stati o dimensioni dell’essere umano. Lo stato di peccato fa parte dell’“uomo storico”, sia di colui del quale leggiamo in Matteo 19 cioè dell’interlocutore di Cristo d’allora, sia pure di ogni altro potenziale o attuale interlocutore di tutti i tempi della storia, e quindi, naturalmente, anche dell’uomo di oggi. Quello stato però – lo stato “storico”, appunto – in ogni uomo, senza alcuna eccezione, affonda le radici nella sua propria “preistoria” teologica, che è lo stato dell’innocenza originaria.

2. Non si tratta qui di sola dialettica. Le leggi del conoscere rispondono a quelle dell’essere. È impossibile capire lo stato della peccaminosità “storica”, senza riferirsi o richiamarsi (e Cristo infatti vi si richiama) allo stato di originaria (in un certo senso “preistorica”) e fondamentale innocenza. Il sorgere quindi della peccaminosità come stato, come dimensione della esistenza umana è, sin dagli inizi, in rapporto con questa reale innocenza dell’uomo come stato originario e fondamentale, come dimensione dell’essere creato “a immagine di Dio”.


E così avviene non soltanto per il primo uomo, maschio e femmina quali “dramatis personae” e protagonisti delle vicende descritte nel testo jahvista dei capitoli 2 e 3 della Genesi, ma anche per l’intero percorso storico dell’esistenza umana. L’uomo storico è dunque, per così dire, radicato nella sua preistoria teologica rivelata; e perciò ogni punto della sua peccaminosità storica si spiega (sia per l’anima che per il corpo) col riferimento all’innocenza originaria. Si può dire che questo riferimento è “coeredità” del peccato, e proprio del peccato originale. Se questo peccato significa, in ogni uomo storico, uno stato di grazia perduta, allora esso comporta pure un riferimento a quella grazia, che era precisamente la grazia dell’innocenza originaria.

3. Quando Cristo, secondo il capitolo 19 di Matteo, si richiama al “principio”, con questa espressione egli non indica soltanto lo stato di innocenza originaria quale orizzonte perduto dell’esistenza umana nella storia. Alle parole, che egli pronunzia proprio con la sua bocca, abbiamo il diritto di attribuire contemporaneamente tutta l’eloquenza del mistero della redenzione. Infatti già nell’ambito dello stesso jahvista di Genesi 2 e 3, siamo testimoni di quando l’uomo, maschio e femmina, dopo aver rotto l’alleanza originaria col suo Creatore, riceve la prima promessa di redenzione nelle parole del cosiddetto Protoevangelo in Genesi Gn 3,15 (Già la traduzione greca dell’Antico Testamento, quella dei Settanta, risalente circa al II secolo a. C. interpreta Gn 3,15 nel senso messianico, applicando il pronome maschile “autòs” in riferimento al sostantivo neutro greco “sperma” [“semen” nella Volgata]. La traduzione giudaica continua questa interpretazione.

L’esegesi cristiana, cominciando da Sant’Ireneo [Adversus haereses, III, 23,7] vede questo testo come protoevangelo, che preannunzia la vittoria su Satana riportata da Gesù Cristo. Sebbene negli ultimi secoli gli studiosi della Sacra Scrittura abbiano diversamente interpretato questa pericope, ed alcuni di essi contestino l’interpretazione messianica, tuttavia negli ultimi tempi si ritorna ad essa sotto un aspetto un po’ diverso. L’autore jahvista unisce infatti la preistoria con la storia di Israele, che raggiunge il suo vertice nella dinastia messianica di Davide, la quale porterà a compimento le promesse di Genesi Gn 3,15 [cf. ]. Il Nuovo Testamento ha illustrato il compimento della promessa nella stessa prospettiva messianica: Gesù è Messia, discendente di Davide [Rm 1,3 2Tm 2,8], nato da donna [Ga 4,4], nuovo Adamo-Davide [1Co 15], che deve regnare “finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi” [1Co 15,25] E infine [Ap 12,1-10] presenta il compimento finale della profezia di Genesi 3,15, che pur non essendo un chiaro e immediato annunzio di Gesù, come Messia di Israele, conduce tuttavia a Lui attraverso la tradizione regale e messianica che unisce l’Antico e il Nuovo Testamento), e comincia a vivere nella prospettiva teologica della redenzione. Così dunque l’uomo “storico” sia l’interlocutore di Cristo, di quel tempo, di cui parla Matteo 19, sia l’uomo di oggi partecipa a questa prospettiva. Egli partecipa non soltanto alla storia della peccaminosità umana, come un soggetto ereditario e nello stesso tempo personale e irrepetibile di questa storia, ma partecipa pure alla storia della salvezza, anche qui come suo soggetto e concreatore. Egli è quindi non soltanto chiuso a causa della sua peccaminosità, riguardo all’innocenza originaria, ma è contemporaneamente aperto verso il mistero della redenzione, che si è compiuta in Cristo e attraverso Cristo. Paolo, autore della lettera ai Romani, esprime questa prospettiva della redenzione nella quale vive l’uomo “storico”, quando scrive: “...anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando... la redenzione del nostro corpo” (Rm 8,23). Non possiamo perdere di vista questa prospettiva mentre seguiamo le parole di Cristo che, nel suo colloquio sull’indissolubilità del matrimonio, fa ricorso al “principio”. Se quel “principio” indicasse solo la creazione dell’uomo come “maschio e femmina”, se – come già abbiamo accennato – conducesse gli interlocutori solo attraverso il confine dello stato di peccato dell’uomo fino all’innocenza originaria, e non aprisse contemporaneamente la prospettiva di una “redenzione del corpo” la risposta di Cristo non sarebbe affatto intesa in modo adeguato.

Proprio questa prospettiva della redenzione del corpo garantisce la continuità e l’unità tra lo stato ereditario del peccato dell’uomo e la sua innocenza originaria, sebbene questa innocenza sia stata storicamente da lui perduta in modo irrimediabile. È anche evidente che Cristo ha il massimo diritto di rispondere alla domanda postagli dai dottori della Legge e dell’alleanza (come leggiamo in MT 19 in MC 10), nella prospettiva della redenzione sulla quale poggia l’alleanza stessa.

4. Se nel contesto sostanzialmente così delineato della teologia dell’uomo-corpo pensiamo al metodo delle analisi ulteriori circa la rivelazione del “principio”, in cui è essenziale il riferimento ai primi capitoli del Libro della Genesi, dobbiamo subito rivolgere la nostra attenzione ad un fattore che è particolarmente importante per l’interpretazione teologica: importante perché consiste nel rapporto tra rivelazione ed esperienza. Nell’interpretazione della rivelazione circa l’uomo, e soprattutto circa il corpo, per ragioni comprensibili dobbiamo riferirci all’esperienza, poiché l’uomo-corpo viene percepito da noi soprattutto nell’esperienza. Alla luce delle menzionate considerazioni fondamentali, abbiamo il pieno diritto di nutrire la convinzione che questa nostra esperienza “storica” deve, in un certo modo, fermarsi alle soglie dell’innocenza originaria dell’uomo, poiché nei suoi confronti rimane inadeguata. Tuttavia alla luce delle stesse considerazioni introduttive, dobbiamo arrivare alla convinzione che la nostra esperienza umana è, in questo caso, un mezzo in qualche modo legittimo per l’interpretazione teologica, ed è, in un certo senso, un indispensabile punto di riferimento, al quale dobbiamo richiamarci nell’interpretazione del “principio”. L’analisi più particolareggiata del testo ci permetterà di averne una visione più chiara.

5. Sembra che le parole della lettera ai Romani(Rm 8,23), or ora citata, rendano nel modo migliore l’orientamento delle nostre ricerche incentrate sulla rivelazione di quel “principio”, al quale si è riferito Cristo nel suo colloquio sull’indissolubilità del matrimonio (Mt 19 Mc 10). Tutte le successive analisi che a questo proposito saranno fatte in base ai primi capitoli della Genesi, rifletteranno quasi necessariamente la verità delle parole paoline: “Noi che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando... la redenzione del nostro corpo”. Se ci mettiamo in questa posizione – così profondamente concorde con l’esperienza (Parlando qui del rapporto tra l’“esperienza” e la “rivelazione”, anzi di una sorprendente convergenza tra loro, vogliamo soltanto constatare che l’uomo, nel suo attuale stato dell’esistere nel corpo, sperimenta molteplici limiti, sofferenze, passioni, debolezze ed infine la morte stessa, i quali, in pari tempo, riferiscono questo suo esistere nel corpo ad un altro e diverso stato o dimensione. Quando San Paolo scrive della “redenzione del corpo”, parla con il linguaggio della rivelazione; l’esperienza infatti non è in grado di cogliere questo contenuto, l’autore della Lettera ai Rm 8,23 riprende tutto ciò che tanto a lui quanto, in certo modo, ad ogni uomo [indipendentemente dal suo rapporto con la rivelazione] è offerto attraverso l’esperienza dell’esistenza umana, che è un’esistenza nel corpo. Abbiamo quindi il diritto di parlare del rapporto tra l’esperienza e la rivelazione, anzi abbiamo il diritto di porre il problema della loro reciproca relazione, anche se per molti tra l’una e l’altra passa una linea di totale antitesi e di radicale antinomia. Questa linea, a loro parere, deve senz’altro essere tracciata tra la fede e la scienza, tra la teologia e la filosofia. Nel formulare tale punto di vista, vengono presi in considerazione piuttosto concetti astratti che non l’uomo quale soggetto vivo.) – il “principio” deve parlarci con la grande ricchezza di luce che proviene dalla rivelazione, alla quale desidera rispondere soprattutto la teologia. Il seguito delle analisi ci spiegherà perché e in quale senso questa deve essere teologia del corpo.

A monaci e laici delle diverse scuole buddiste


Un caloroso benvenuto alla delegazione giapponese di persone appartenenti alle religioni maggiormente rappresentative delle venerabili e tradizionali scuole di Buddismo: Zen, Pure Land, Shingon e Nichiren; e specialmente all’eminente guida del Rinzai Zen giapponese. Vi ringrazio per essere venuti in Europa per uno scambio Est-Ovest a livello spirituale. Sono lieto che il dialogo interreligioso prenda le mosse da questo livello basilare.

Mi congratulo con coloro tra voi che hanno vissuto in piccoli gruppi nei grandi monasteri cristiani e hanno condiviso pienamente la loro vita di preghiera e di lavoro per tre settimane. La vostra esperienza è veramente un evento di importanza storica nella storia del dialogo interreligioso. Spero che la vostra esperienza vi abbia dato una migliore comprensione di ciò che Cristo può significare per l’uomo e una più profonda capacità di penetrazione di quanto dice Cristo quando parla di Dio, di suo Padre.

Benedico tutti coloro che in Giappone e in Europa hanno reso possibile, col loro lavoro, la realizzazione di questo progetto. Prego lo Spirito di ispirare ulteriormente il dialogo interreligioso in Giappone, specialmente a livello Spirituale.

Ai pellegrini della parrocchia di Limerick

Un particolare benvenuto ai sacerdoti delle diocesi di Glasgow e di Motherwell in Scozia, che hanno terminato un corso mensile di aggiornamento teologico. Prendetevi cura volentieri e con zelo del gregge di Dio che vi è stato affidato, essendo un esempio per il gregge. E quando il Pastore Supremo si manifesterà riceverete la corona di gloria eterna.

Saluto anche i nuovi studenti del Collegio Nord Americano e del Venerabile Collegio Inglese di Roma, gli studenti del Collegio Monte Carmelo di Bangalore, India, i membri del Womens International Club di Giacarta, il pellegrinaggio della Eparchia Ucraina di Toronto, Canada, e quello della parrocchia di S. Joseph di Limerick, Irlanda, dove spero di celebrare la Messa lunedì prossimo. Su tutti voi e su tutti gli altri visitatori qui presenti, invoco le più ricche grazie del Signore.


Ad un gruppo di tedeschi

Saluto cordialmente il gruppo di pellegrini del giornale ecclesiastico per l’arcivescovado di Colonia. Attraverso questo viaggio nella città eterna continuate una tradizione che dura ormai da vent’anni. È espressione visibile del vostro attaccamento al Successore di San Pietro che rafforza ed incoraggia la vostra fede. Rimanete in Cristo e nella Chiesa. Nel raccomandare alla vostra preghiera personale il mio imminente viaggio apostolico, imparto di cuore a voi ed alle vostre famiglie che sono rimaste a casa, la Benedizione Apostolica.

Ai sacerdoti, religiosi e religiose

Particolarmente numerose sono oggi le presenze di religiosi e di religiose: vi sono i partecipanti al Capitolo generale dei Missionari di Mariannhill, i membri del Consiglio generale straordinario della Compagnia di Maria (Monfortani); i Superiori maggiori della Società dell’Apostolato Cattolico (Pallottini), i membri del Congresso internazionale dei Fatebenefratelli – Ospedalieri di San Giovanni di Dio; e ancora un gruppo di missionari e di missionarie di ventiquattro Istituti diversi, riuniti per un Corso di rinnovamento spirituale e culturale, e uno di sacerdoti, di religiosi e di laici, che partecipano ad un Corso di preparazione alla missione in Africa.

Figlie e figli carissimi! Sarebbe mio vivo desiderio potervi salutare personalmente, ad uno ad uno, per esprimere a ciascuno il mio apprezzamento, per testimoniarvi la mia fiducia, per rivolgervi una particolare parola di incoraggiamento. Ciò che la ristrettezza del tempo non permette, si attui davanti a Dio nello spirituale incontro della preghiera, che diventi fonte di conforto e quotidiano stimolo ad una donazione sempre più piena a Cristo, alla Chiesa, alle anime. Ne sia pegno la paterna Benedizione, che di cuore concedo a voi; ai vostri istituti e alle persone affidate alle vostre sollecitudini pastorali.

Ai pellegrini della diocesi di Telese

Saluto con paterno affetto i numerosi pellegrini della diocesi di Telese o Cerreto Sannita e quelli, anch’essi numerosi, del Centro Volontari della Sofferenza della Regione umbra.

Carissimi figli, vi sono molto grato per questa vostra visita e, soprattutto, per la carità che anima la fede cristiana sia di voi Telesini, che vi distinguete per l’attaccamento alle tradizioni religiose della vostra terra, sia di voi Volontari della Sofferenza, che siete i generosi ed ingegnosi realizzatori del Comandamento nuovo (cfr Jn 13,34), il quale vi fa riconoscere Cristo stesso nell’assistenza gioiosa al fratello ammalato. Il Signore vi benedica e vi assista sempre.

Ai sacerdoti e laici delle comunità neocatecumenali


Partecipa all’odierna udienza un folto gruppo di appartenenti al Movimento, che si propone di aiutare i cristiani a riscoprire la realtà del battesimo e da viverne, nella gioia, la liberante ricchezza. Possa la vostra testimonianza, resa in piena sintonia con i legittimi pastori, suscitare in tanti fratelli il desiderio e l’impegno di una vita più coerente con le esigenze del battesimo e della sua inesauribile ricchezza. Vi accompagni la mia Apostolica Benedizione.

Ai giovani

Carissimi giovani! Cari ragazzi e ragazze! Vi saluto con grande simpatia e affetto, e a ognuno porgo il mio augurio più sentito. È iniziato il nuovo anno scolastico e io desidero per voi ogni bene e ogni più bella consolazione. Ritornando nelle vostre aule e rivedendo i vostri insegnanti, i vostri condiscepoli, porgete loro il saluto del Papa e dite loro che egli tutti ricorda con amore e per tutti prega.

Incominciano di nuovo i vostri impegni di scuola: ebbene, siate contenti di occupare anche voi con diligenza il vostro tempo. Portate con voi nella scuola la bontà, la serietà dello studio, il senso della disciplina e del dovere. Così il tempo della scuola diventerà anche piacevole, e porterà frutti di gioia e di soddisfazione. Vi aiuti la mia Benedizione.

Agli ammalati

Carissimi ammalati! Vi giunga particolarmente cordiale e affettuoso il saluto del Papa, che sempre vi ricorda, vi tiene presenti nella preghiera e vi ringrazia per tutto ciò che fate o offrite al Signore per lui e per la sua missione. Certo, dovete sempre sperare nella guarigione e usare tute le armi della medicina e della farmacia per ridare salute al corpo e sollievo allo spirito. Ma quando purtroppo la malattia continua a tormentare il corpo, guardiamo il Crocifisso! Poiché effettivamente Dio ha voluto salvare l’umanità per mezzo del dolore; impegnatevi anche voi a soffrire per la salvezza del mondo! Vi assista sempre e vi dia il coraggio necessario Maria Santissima, la Madre Addolorata, la Regina dei Martiri! E vi accompagni la mia confortatrice Benedizione.

Alle coppie di sposi novelli

Carissimi sposi novelli! Anche a voi, che avete iniziato una nuova vita, giunga il mio saluto e il mio augurio più sentito! Voi siete stati i “ministri” del vostro matrimonio; e cioè la “grazia sacramentale” di Cristo, che rende sacro e perenne il vostro vincolo, vi è giunta attraverso la vostra stessa volontà di amore e di consacrazione reciproca. Immensa è la dignità del matrimonio! Perciò, rimanete nell’amore di Cristo! Ricordate ciò che disse Gesù: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto... In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto!”. Portate frutti di bontà, di carità, di santificazione: questo sia il vostro impegno di vita coniugale. Vi aiuti la mia propiziatrice Benedizione.





Catechesi 79-2005 19979