Catechesi 79-2005 10109

Mercoledì, 10 ottobre 1979: L’uomo alla ricerca della definizione di se stesso

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1. Nell’ultima riflessione del presente ciclo siamo giunti ad una conclusione introduttiva, tratta dalle parole del Libro della Genesi sulla creazione dell’uomo quale maschio e femmina. A queste parole, ossia al "principio", si è riferito il Signore Gesù nel suo colloquio sull’indissolubilità del matrimonio (cfr
Mt 19,3-9 Mc 10,1-12). Ma la conclusione, alla quale siamo pervenuti, non pone ancora fine alla serie delle nostre analisi. Dobbiamo infatti rileggere le narrazioni del primo e del secondo capitolo del Libro della Genesi in un contesto più ampio, che ci permetterà di stabilire una serie di significati del testo antico, al quale Cristo si è riferito. Oggi pertanto rifletteremo sul significato dell’originaria solitudine dell’uomo.

2. Lo spunto per tale riflessione ci viene dato direttamente dalle seguenti parole del Libro della Genesi: "Non è bene che l’uomo (maschio) sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile" (Gn 2,18). È Dio-Jahvè che pronunzia queste parole. Esse fanno parte del secondo racconto della creazione dell’uomo e provengono quindi dalla tradizione jahvista. Come abbiamo già ricordato in precedenza, è significativo che, quanto al testo jahvista, il racconto della creazione dell’uomo (maschio) sia un brano a sé (cf. Gn 2,7), che precede il racconto della creazione della prima donna (cfr Gn 2,21-22). È inoltre significativo che il primo uomo ("‘adam"), creato dalla "polvere del suolo", soltanto dopo la creazione della prima donna venga definito come un "maschio" ("‘iš"). Così, dunque, quando Dio-Jahvè pronunzia le parole circa la solitudine, le riferisce alla solitudine dell’"uomo" in quanto tale, e non soltanto a quella del maschio (Il testo ebraico chiama costantemente il primo uomo "ha’adam", mentre il termine "‘iš" ["maschio"] viene introdotto soltanto quando emerge il confronto con la "‘iššâ" ["femmina"]. Solitario era quindi l’uomo senza riferimento al sesso. Nella traduzione in alcune lingue europee è difficile però esprimere questo concetto della Genesi, perché "uomo" e "maschio" vengono definiti, di solito, con un unico vocabolo: "homo", "uomo", "homme", "hombre", "man".).

È difficile però, solo in base a questo fatto, andare troppo lontano nel trarre le conclusioni. Nondimeno il contesto completo di quella solitudine, di cui parla la Genesi Gn 2,18, può convincerci che qui si tratti della solitudine dell’"uomo" (maschio e femmina) e non soltanto della solitudine dell’uomo-maschio, causata dalla mancanza della donna.

Sembra quindi, in base al contesto intero, che questa solitudine abbia due significati: uno che deriva dalla natura stessa dell’uomo, cioè dalla sua umanità (e ciò è evidente nel racconto di Gn 2), e l’altro che deriva dal rapporto maschio-femmina, e ciò è evidente, in un certo modo, in base al primo significato. Una particolareggiata analisi della descrizione sembra confermarlo.

3. Il problema della solitudine si manifesta soltanto nel contesto del secondo racconto della creazione dell’uomo. Il primo racconto non conosce questo problema. Ivi l’uomo viene creato in un solo atto come "maschio e femmina" ("Dio creò l’uomo a sua immagine... maschio e femmina li creò") (Gn 1,27). Il secondo racconto che, come abbiamo già menzionato, parla prima della creazione dell’uomo e soltanto dopo della creazione della donna dalla "costola" del maschio, concentra la nostra attenzione sul fatto che "l’uomo è solo" e ciò appare un fondamentale problema antropologico anteriore, in un certo senso, a quello posto dal fatto che tale uomo sia maschio e femmina.

Questo problema è anteriore non tanto nel senso cronologico, quanto nel senso esistenziale: esso è anteriore "per sua natura". Tale si rivelerà anche il problema della solitudine dell’uomo dal punto di vista della teologia del corpo, se riusciremo a fare un’analisi approfondita del secondo racconto della creazione in Genesi 2.

4. L’affermazione di Dio-Jahvè: "Non è bene che l’uomo sia solo", appare non soltanto nel contesto immediato della decisione di creare la donna ("gli voglio fare un aiuto che gli sia simile"), ma anche nel contesto più vasto di motivi e di circostanze, che spiegano più profondamente il senso della solitudine originaria dell’uomo. Il testo jahvista lega anzitutto la creazione dell’uomo col bisogno di "lavorare il suolo" (Gn 2,5), e ciò corrisponderebbe, nel primo racconto, alla vocazione di assoggettare e dominare la terra (cf. Gn 1,28). Poi, il secondo racconto della creazione parla della collocazione dell’uomo nel "giardino in Eden", e in questo modo ci introduce nello stato della sua felicità originaria. Fino a questo momento l’uomo è oggetto dell’azione creatrice di Dio-Jahvè, il quale nello stesso tempo, come legislatore, stabilisce le condizioni della prima alleanza con l’uomo. Già attraverso ciò viene sottolineata la soggettività dell’uomo. Essa trova un’ulteriore espressione quando il Signore Dio "plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo (maschio), per vedere come li avrebbe chiamati" (Gn 2,19). Così dunque il primitivo significato della solitudine originaria dell’uomo viene definito in base ad uno specifico "test", o ad un esame che l’uomo sostiene di fronte a Dio (e in certo modo anche di fronte a se stesso). Mediante tale "test", l’uomo prende coscienza della propria superiorità, e cioè che non può essere messo alla pari con nessun’altra specie di esseri viventi sulla terra.

Infatti, come dice il testo, "in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome" (Gn 2,19). "Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma – finisce l’autore – l’uomo (maschio) non trovò un aiuto che gli fosse simile" (Gn 2,19-20).

5. Tutta questa parte del testo è senza dubbio una preparazione al racconto della creazione della donna. Tuttavia essa possiede un suo profondo significato anche indipendentemente da questa creazione. Ecco, l’uomo creato si trova, fin dal primo momento della sua esistenza, di fronte a Dio quasi alla ricerca della propria entità; si potrebbe dire: alla ricerca della definizione di se stesso. Un contemporaneo direbbe: alla ricerca della propria "identità". La constatazione che l’uomo "è solo" in mezzo al mondo visibile e, in particolare, tra gli esseri viventi, ha in questa ricerca un significato negativo, in quanto esprime ciò che egli "non è".

Nondimeno la constatazione di non potersi essenzialmente identificare col mondo visibile degli altri esseri viventi ("animalia") ha, nello stesso tempo, un aspetto positivo per questa ricerca primaria: anche se tale constatazione non è ancora una definizione completa, pur tuttavia costituisce uno dei suoi elementi. Se accettiamo la tradizione aristotelica nella logica e nell’antropologia, bisognerebbe definire quest’elemento come "genere prossimo" ("genus proximum").

6. Il testo jahvista ci consente tuttavia di scoprire anche ulteriori elementi in quel mirabile brano, nel quale l’uomo si trova solo di fronte a Dio soprattutto per esprimere, attraverso una prima autodefinizione, la propria autoconoscenza, quale primitiva e fondamentale manifestazione di umanità. L’autoconoscenza va di pari passo con la conoscenza del mondo, di tutte le creature visibili, di tutti gli esseri viventi ai quali l’uomo ha dato il nome per affermare di fronte ad essi la propria diversità. Così dunque la coscienza rivela l’uomo come colui che possiede la facoltà conoscitiva rispetto al mondo visibile. Con questa conoscenza che lo fa uscire, in certo modo, al di fuori del proprio essere, in pari tempo l’uomo rivela sé a se stesso in tutta la peculiarità del suo essere. Egli non è soltanto essenzialmente e soggettivamente solo. Solitudine infatti significa anche soggettività dell’uomo, la quale si costituisce attraverso l’autoconoscenza. L’uomo è solo perché è "differente" dal mondo visibile, dal mondo degli esseri viventi. Analizzando il testo del Libro della Genesi siamo, in certo senso, testimoni di come l’uomo "si distingue" di fronte a Dio-Jahvè da tutto il mondo degli esseri viventi ("animalia") col primo atto di autocoscienza, e di come pertanto si riveli a se stesso e insieme si affermi nel mondo visibile come "persona". Quel processo delineato in modo così incisivo in Genesi 2,19-20, processo di ricerca di una definizione di sé, non porta soltanto ad indicare – riallacciandoci alla tradizione aristotelica – il "genus proximum", che nel capitolo 2 della Genesi viene espresso con le parole: "ha dato il nome", a cui corrisponde la "differentia" specifica che è, secondo la definizione di Aristotele, "noû, zoón noetikón". Tale processo porta anche alla prima delineazione dell’essere umano come persona umana con la propria soggettività che la caratterizza.


Interrompiamo qui l’analisi del significato della originaria solitudine dell’uomo. La riprenderemo tra una settimana.

Ad alcuni gruppi di lingua tedesca


All’Assemblea Generale dell’Unione Superiore Maggiori d’Italia (USMI)

Sono presenti all’Udienza circa seicento Superiore Generali e Provinciali, partecipanti alla XXVII Assemblea dell’"Unione Superiore Maggiori d’Italia" (USMI) che ha trattato il tema: "Presenza pastorale dei religiosi nella Chiesa oggi in Italia e loro carisma specifico".

Vi ringrazio di questa vostra presenza, così significativa, che avrebbe meritato un’udienza privata. Purtroppo, i molteplici ed assillanti impegni di questo periodo di tempo non me lo hanno permesso.

Vi esorto, carissime Sorelle, a meditare sempre, con amore e con generosità, i grandi documenti che riguardano la vostra vita: il capitolo sesto della Costituzione Conciliare Lumen Gentium, il Decreto Perfectae Caritatis e la Lettera Apostolica Evangelica Testificatio. Ciò che maggiormente mi stava a cuore di comunicare a tutte le religiose, l’ho espresso recentemente nei discorsi tenuti il 1° ottobre a Maynooth in Irlanda e il 7 ottobre nel Santuario dell’Immacolata Concezione a Washington

Ora, vorrei soltanto suggerire a voi superiore la fermezza e la delicatezza necessarie in questo momento. Dimostratevi soprattutto madri, sensibili e illuminate, non mai irritate o amareggiate per nulla, ma santamente intrepide nel seguire la voce del Vicario di Cristo, in modo che nessuna suora si senta depressa o emarginata, anche se in qualcosa può aver sbagliato.

Anche a voi ripeto ciò che dissi in Irlanda: "Dovete essere coraggiose nelle vostre imprese apostoliche, non lasciamo che le difficoltà, la diminuzione di personale, l’insicurezza del futuro possano abbattervi o deprimervi. Ricordate sempre che il primo dovere apostolico è la vostra santificazione" (Giovanni Paolo II, Allocutio in "Maynooth", 1 ottobre 1979).

Vi sia particolarmente vicina e confortatrice la mia Benedizione Apostolica


Ai partecipanti al dialogo tra Cattolici e Pentecostali


Miei cari partecipanti al dialogo Cattolico-Pentecostale, benvenuti ancora a Roma. Questo lavoro di reciproca comprensione e riconciliazione viene portato avanti da ormai sette anni, e desidero assicurarvi che esso ha la mia piena approvazione e il mio sostegno nella preghiera. Se noi cristiani conseguiamo l’unità voluta da nostro Signore, siamo anche chiamati a una "comune ricerca della verità nel pieno senso evangelico e cristiano" (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis RH 6). Voi state contribuendo a questo con il lavoro di questa settimana. Voglia Dio sostenervi in questo lavoro e con la luce del suo Santo Spirito vi renda capaci di conoscere e di sperimentare la sua verità, la sua grazia e il suo amore.

Ai membri del Consiglio generale straordinario della Compagnia di Maria

Rivolgo un saluto cordiale e affettuoso ai membri del Consiglio generale straordinario della Compagnia di Maria, meglio conosciuta col nome di Congregazione dei Padri Monfortani. Saluto il Reverendo Padre Generale, i suoi Assistenti, i superiori provinciali e, attraverso essi, tutti coloro che si donano a Dio e al servizio della Chiesa secondo lo spirito di Louis Marie Grignion de Montfort che personalmente mi è molto caro. In quest’ultimo anno, e ancora recentemente durante quest’ultimo viaggio, ho molto parlato della vita sacerdotale e della vita religiosa. Meditate questi pensieri, cari Figli, sono anche per voi, con tutte le loro esigenze. Avrete così la certezza di essere fedeli alla Chiesa. Siate fedeli allo spirito del vostro santo fondatore, alla sorgente inesauribile di spiritualità che ci ha lasciato insegnando il senso della vera devozione alla Santa Vergine. Secondo le sue parole: "Aprite la porta a Gesù Cristo", in ciascuno di voi, innanzitutto attraverso la vita di preghiera, e poi negli altri attraverso la vita missionaria. E per questo, siate sempre docili alle lezioni interiori della Vergine Immacolata, a cui vi raccomando di tutto cuore, con una particolare Benedizione Apostolica.

Ai numerosi pellegrini francesi


Numerosi pellegrini rappresentano oggi le diocesi di Clermont-Ferrand e di Moulins. Siano i benvenuti. Raccomando loro di approfondire il loro senso della Chiesa per essere poi più convinti, più generosi nella loro vita cristiana, e li benedico di cuore.

Ai giovani

Un cordiale saluto va anche a voi giovani, che come sempre fate vibrare questa piazza di San Pietro della vostra esuberante letizia. Vi ringrazio per questa vostra visita e per il conforto che essa mi procura nel vedervi così entusiasti nella manifestazione della vostra fede in Cristo e, al tempo stesso, così vicini al suo Vicario in terra.

Facendo eco ai miei incontri con i vostri coetanei d’Irlanda e degli Stati Uniti d’America, e ai ripetuti appelli alla giustizia, alla libertà e alla pace, che ho rivolto in occasione del mio recente viaggio apostolico, esorto soprattutto voi, figli della nuova generazione, ad essere sempre all’avanguardia, con quell’ardimento che voi sapete porre in tutto ciò che è grande e nobile, nella difesa e nella promozione di tali inalienabili valori, indispensabili per ogni cristiano, che intende porsi seriamente alla sequela di Cristo. Vi sia di aiuto in questo impegno l’esempio del Cristo e la sua corroborante assistenza.

Ai malati

A voi ammalati, che portate nel vostro corpo e nel vostro spirito le stigmate di Cristo (Ga 6,17), va, in maniera del tutto singolare, la mia paterna, affettuosa e benedicente parola. Vi ringrazio per la vostra preziosa presenza, che offre allo sguardo di tutti noi una sofferta testimonianza di fortezza cristiana, di coraggio e di fede: virtù queste che sostengono voi nelle dure prove a cui siete stati chiamati e, in pari tempo, fanno riflettere gli altri sul vero significato di questa vita terrena così fragile ed effimera, e così incomprensibile senza una fede superiore. Voi quindi siete i benefattori dell’umanità. Il Signore vi ricompensi e vi conforti nel vostro dolore.

Agli sposi novelli

Un saluto speciale va ora agli sposi novelli, che all’indomani delle loro nozze sono venuti dal Papa per ricevere la sua Benedizione sulla loro unione matrimoniale e sulla loro nascente famiglia. Mentre esprimo felicitazioni ed augurio per questo passo decisivo che resterà al centro della vostra vita, vi ringrazio per essere qui venuti a testimoniare davanti alla comunità cristiana la bellezza e la grandezza del sacramento, istituito da Gesù per santificare l’amore e renderlo stabile. Sia il vostro esempio per i più giovani un salutare richiamo a quei principi cristiani, che soli possono garantire al focolare domestico la vera e duratura felicità. Vi accompagni sempre la mia Benedizione.



Mercoledì, 17 ottobre 1979: Sono andato in pellegrinaggio al santuario vivente del Popolo di Dio

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1. "Il vescovo che visita le comunità della sua Chiesa è l’autentico pellegrino che ogni volta arriva a quel particolare santuario del buon Pastore, che è il Popolo di Dio, partecipante del sacerdozio regale di Cristo. Anzi, questo santuario è ogni uomo il cui "mistero" si spiega e si risolve solamente nel mistero del Verbo incarnato" (Gaudium et Spes
GS 22 cf. Segno di contraddizione, p. 160).

Mi si è offerta l’occasione di pronunciare le suddette parole nella cappella Matilde, quando il Papa Paolo VI mi invitò a predicare gli esercizi spirituali in Vaticano.

Queste parole mi vengono di nuovo in mente oggi, poiché sembra che esse racchiudano in sé ciò che è stato il contenuto più essenziale del mio viaggio in Irlanda e negli Stati Uniti, viaggio la cui occasione è stata l’invito del Segretario Generale dell’ONU.

Tale viaggio, in ambedue le tappe, è stato proprio un autentico pellegrinaggio al santuario vivente del Popolo di Dio.

Se l’insegnamento del Concilio Vaticano II ci permette di guardare così a ogni visita del Vescovo in una parrocchia, lo stesso si potrà dire anche di quella visita del Papa. Ritengo di avere un particolare dovere di esprimermi su questo tema. Desidero anche molto che coloro i quali, con tanta ospitalità, mi hanno accolto, sappiano che ho cercato di trovarmi in intimità con quel mistero che Cristo, Buon Pastore, ha plasmato e continua a plasmare nelle loro anime, nella loro storia e nella loro comunità. Per dare a ciò un rilievo, ho deciso di interrompere, in questo mercoledì, il ciclo di riflessioni riguardanti le parole di Cristo sul tema del matrimonio. Lo riprenderemo fra una settimana.

2. Voglio anzitutto dare testimonianza dell’incontro col mistero della Chiesa in terra irlandese.Non dimenticherò mai quel luogo, nel quale ci siamo brevemente fermati, nelle ore mattutine, la domenica del 30 settembre: Clonmacnois. Le rovine dell’abbazia e del tempio parlano della vita che ivi una volta pulsava. Si tratta di uno di quei monasteri, in cui i monaci irlandesi non soltanto innestarono il cristianesimo nell’Isola Verde, ma da dove lo portarono anche agli altri paesi dell’Europa. È difficile guardare quel complesso di rovine soltanto come un monumento del passato; le intere generazioni dell’Europa devono ad esse la luce del Vangelo e la struttura portante della loro cultura. Quelle rovine sono sempre cariche di una grande missione. Costituiscono sempre una sfida. Parlano sempre di quella pienezza di vita, alla quale ci ha chiamati Cristo. È difficile che un pellegrino giunga in quei posti senza che quelle tracce del passato, apparentemente morto, rivelino una dimensione permanente e non peritura della vita. Ecco l’Irlanda: nel cuore della missione perenne della Chiesa, alla quale ha dato inizio San Patrizio.

Pellegrinando sulle sue orme, camminiamo in direzione della sede primaziale di Armagh, e ci fermiamo, strada facendo, a Drogheda, dove per l’occasione erano solennemente esposte le reliquie del Santo Olivier Plunkett, Vescovo e Martire. Soltanto inginocchiandosi davanti a quelle reliquie, si può esprimere tutta la verità sull’Irlanda storica e contemporanea e si possono toccare anche le sue ferite, con la fiducia che esse si rimargineranno e non impediranno a tutto l’organismo di pulsare con la pienezza della vita. Tocchiamo dunque anche i dolorosi problemi contemporanei, ma non cessiamo di pellegrinare attraverso quel magnifico santuario del Popolo di Dio, che si apre davanti a noi, su tanti luoghi, in tante meravigliose assemblee liturgiche, durante le celebrazioni dell’Eucaristia a Dublino, a Galway, a Knock Santuario Mariano, a Maynooth, a Limerick. E, in particolare, ho e avrò sempre presente nel mio pensiero anche l’incontro col Presidente dell’Irlanda Signor Patrick J. Hillery, e con le illustri Autorità di quella Nazione. Ricordino tutti coloro con cui mi sono incontrato – i sacerdoti, i missionari, i fratelli e le sorelle religiose, gli alunni, i laici, gli sposi e i genitori, la gioventù irlandese, i malati, tutti – ricordino soprattutto gli amati fratelli nell’Episcopato, che sono stato presente in mezzo a loro come un pellegrino, che visita il Santuario del Buon Pastore, il quale abita in tutto il Popolo di Dio; che ho camminato attraverso quel magnifico alveo della storia della salvezza che, dai tempi di San Patrizio, è diventato l’Isola Verde, con il capo chino e il cuore grato, cercando, insieme a loro, le strade che conducono verso il futuro.

3. Lo stesso desidero dire anche ai miei Fratelli e Sorelle di oltre Oceano. Giovane è ancora la loro Chiesa, perché giovane è la loro grande società: sono passati solo due secoli della sua storia sulla mappa politica del globo. Desidero ringraziarli tutti, per l’accoglienza che mi hanno riservato; per la risposta che hanno dato a questa visita, a questa presenza, necessariamente breve. Confesso che sono rimasto sorpreso per tale accoglienza e per tale risposta. Abbiamo persistito sotto la pioggia dirotta durante la messa per i giovani, la prima sera, a Boston. La pioggia ci ha accompagnati sulle strade di quella città, così come poi anche sulle strade di New York, fra i grattacieli. Quella pioggia non ha impedito a tanti uomini di buona volontà di perseverare nella preghiera, di attendere il momento del mio arrivo, la mia parola, la mia benedizione.

Per me rimarranno indimenticabili i quartieri di Harlem, con la maggioranza della popolazione negra; di South Bronx, con i nuovi venuti dai paesi dell’America Latina; l’incontro con la gioventù nel Madison Square Garden e nel Battery Park sotto la pioggia torrenziale e la tempesta furiosa, e nello stadio a Brooklyn, quando finalmente è apparso il sole. E il giorno precedente il grande Yankee Stadium, strapieno per la partecipazione alla liturgia eucaristica. E poi: l’illustre Philadelphia, la prima capitale degli Stati indipendenti con la sua campana della libertà, e forse quasi due milioni di partecipanti alla Santa Messa pomeridiana, al centro stesso della città. E l’incontro con l’America rurale a Des Moines. E in seguito, Chicago, in cui in modo più appropriato si è potuta sviluppare l’analogia sull’argomento "e pluribus unum". Infine la città di Washington, capitale degli Stati Uniti, con tutto il ponderoso programma, fino all’ultima Messa sullo sfondo del Campidoglio.

Il Vescovo di Roma, come pellegrino, è entrato, sulle orme del Buon Pastore, al suo santuario nel nuovo continente e ha cercato di vivere insieme con voi la realtà della Chiesa, che emerge dall’insegnamento del Concilio Vaticano II, con tutta la profondità e rigorosità, che questa dottrina porta con sé. Sembra infatti che tutto ciò sia stato accompagnato soprattutto da una grande gioia, per il fatto che siamo questa Chiesa; che siamo il Popolo, al quale il Padre offre redenzione e salvezza nel suo Figlio e nello Spirito Santo. La gioia per il fatto che – tra tutte le tensioni della civiltà contemporanea, dell’economia e della politica – esiste proprio tale dimensione dell’esistenza umana sulla terra; e che noi vi partecipiamo. E benché la nostra attenzione sia orientata anche verso tali tensioni, che vogliamo risolvere in modo umano e degno, tuttavia la divina gioia del Popolo, che si rende consapevole di essere il Popolo di Dio, e che in questo carattere cerca la propria unità, è più grande e piena di speranza.


4. In questo contesto, anche le parole pronunciate dinanzi all’Organizzazione delle Nazioni Unite sono diventate un frutto particolare del mio pellegrinaggio su queste importanti tappe della storia di tutta la Chiesa e del cristianesimo. Che cos’altro potevo dire dinanzi a quel supremo "forum" di carattere politico, se non ciò che costituisce il midollo stesso del messaggio evangelico? Le parole di un grande amore per l’uomo, che vive nelle comunità di tanti popoli e nazioni, entro le frontiere di tanti Stati e sistemi politici. Se l’attività politica, nelle dimensioni dei singoli Stati e nelle dimensioni internazionali, deve assicurare un reale primato all’uomo sulla terra, se deve servire alla sua vera dignità, è necessaria la testimonianza dello spirito e della verità, resa dal Cristianesimo e dalla Chiesa. E perciò, a nome del Cristianesimo e della Chiesa, sono grato a tutti coloro che il 2 ottobre 1979 hanno voluto ascoltare le mie parole nella sede dell’ONU a New York. Come pure sono profondamente grato per l’accoglienza che mi è stata riservata, il 6 ottobre, dal Presidente degli Stati Uniti, Signor Jimmy Carter, nello storico incontro alla Casa Bianca con lui e con la sua cara famiglia, nonché con tutte le alte Autorità colà riunite.

5. "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare" (Lc 17,10). Così insegnava Cristo ai suoi apostoli. Anch’io, con queste parole che provengono dalla mia più profonda convinzione, termino la mia odierna allocuzione, la cui necessità mi è stata dettata dall’importanza dell’ultimo mio viaggio. Almeno in questo modo io ripaghi quel grande debito che ho contratto nei confronti del Buon Pastore e nei confronti di coloro che hanno aperto le strade della mia peregrinazione.

Saluti:

Ai fedeli giunti in occasione della beatificazione di don Enrique de Ossó y Cervelló

Con particolare affetto dirigo uno speciale saluto a voi, religiose e secolari, membri della numerosa peregrinazione venuta a Roma per la beatificazione del sacerdote don Enrique de Ossó y Cervelló. So che venite per la maggior parte dalla Spagna, ma anche dal Messico, Venezuela, Colombia, Paraguay, Uruguay, Argentina, Cile, Italia, Francia, Portogallo, Angola, Brasile e Stati Uniti. Avete vissuto qui giorni di intensa gioia interiore, tanto voi, Religiose della Compagnia di Santa Teresa del Gesù, come le alunne, ex alunne e amici che vi hanno accompagnato in giornate così memorabili. Che il ricordo di questi giorni, e soprattutto l’esempio ammirevole del Beato Enrique de Ossó, siano per tutti voi una perenne chiamata a mete sempre più alte di spiritualità, di offerta generosa per la diffusione del Regno di Cristo, di inserimento fecondo nei vostri rispettivi ambienti di lavoro.

Ai pellegrini spagnoli di Vitoria



Un saluto cordiale giunga ai componenti della peregrinazione della città di Vitoria (Spagna). Mi rallegra molto che il motivo della vostra venuta a Roma sia quello di celebrare i 25 anni dell’Incoronazione canonica della Vergine Bianca, Patrona della Vittoria. Vi incoraggio a coltivare sempre con cura la devozione alla Santissima Vergine Maria, di modo che ella vi conduca a Cristo, il Salvatore. Che ella vi conceda anche quel vero spirito filiale che ci fa guardare tutti, senza limiti né distinzioni, come fratelli in Cristo e figli della dolce Madre della Chiesa. Con i miei rispetti per le Autorità qui presenti, vi esprimo la mia profonda stima e impartisco su di voi e tutti i figli della cara provincia di Alava, la mia speciale Benedizione.

Ai pellegrinaggi della regione apostolica "Midi-Pyrénées" e della diocesi di Digne

Mi rivolgo ora ai pellegrini della regione apostolica "Midi-Pyrénées" e a quelli della diocesi di Digne. Dico loro la mia gioia, la mia grande gioia di ricevere la loro visita, prima di andare forse un giorno da loro, Dio permettendolo, per incoraggiare e stimolare la fede di tutti i loro compatrioti. Faccio loro ugualmente assicurazione della mia preghiera secondo le loro intenzioni, perché il loro pellegrinaggio doni loro nuovo vigore nella testimonianza che devono rendere davanti a Dio e davanti agli uomini: mostratevi convinti, non esitate, siate felici di credere e di proclamare tutto ciò che avete ricevuto dalla Chiesa. Poiché dovete far fronte a molti problemi, questa è l’ora della chiarezza e della fedeltà. Grazie, grazie per ciò che ciascuno di voi, dal più umile al più oberato dal peso delle responsabilità, farà per annunciare generosamente la Buona Novella.

Ai fedeli provenienti dalla Svizzera Romanda



Cari Fratelli e Sorelle della Svizzera Romanda. Se anche volessi dimenticarvi non lo potrei fare. Le mie guardie mi richiamerebbero all’ordine! Voi intuite con quale soddisfazione il Papa vi accolga, e incontri il vostro Vescovo Monsignor Mamie. Senza dubbio volete affidarmi delle intenzioni, le vostre preoccupazioni per l’apostolato, i vostri progetti pastorali, le vostre famiglie, i vostri amici. Tutto ciò che avete nel profondo del cuore, io lo presenterò al Signore e alla Santa Vergine. Da parte mia, resterò unito a voi attraverso la preghiera, nel vostro lavoro quotidiano, nella vostra vita personale come pure nel vostro impegno ecclesiale, prolungando così in qualche modo il nostro incontro di oggi.

Ad alcuni pellegrinaggi provenienti da regioni di lingua tedesca

Saluto in modo particolare i numerosi ammalati ed i loro assistenti del Pellegrinaggio austriaco dal servizio di soccorso di Malta. La mia partecipazione e il mio amore sono rivolti in modo speciale ai fratelli e alle sorelle provati dal dolore e dal bisogno. Vi incoraggio, laddove manca l’aiuto umano, ad un amore e ad una fiducia ancora più grandi nella provvidenza e nella bontà divina. Egli sa volgere al meglio per noi anche il male e il dolore, addirittura la morte, secondo l’esempio e attraverso la grazia redentrice di Cristo. Perciò io chiedo per voi fiducia e fede nella vicinanza consolatrice e rafforzatrice di Cristo, e vi imparto unitamente a coloro che vi sono vicini, la Benedizione Apostolica.

Ai responsabili dell’Unione Apostolica del Clero

Un fraterno e cordiale saluto giunga ai Responsabili dell’Unione Apostolica del Clero, Consiglieri internazionali e Direttori nazionali, provenienti da quarantaquattro nazioni di tutte le parti del mondo, che in questi giorni a Roma stanno svolgendo l’importante Assemblea Internazionale dell’Associazione.

Carissimi sacerdoti! Vi ringrazio sentitamente della vostra presenza all’Udienza generale, insieme al popolo di Dio! Sappiate che seguo il vostro lavoro con ansia di padre e di amico, ed apprezzo la vostra opera, come già fecero i miei Predecessori, perché specialmente il Clero diocesano, nelle varie situazioni del ministero, ha bisogno di aiuto fraterno e concreto. Infatti l’Unione Apostolica vuole essere proprio un aiuto ai sacerdoti per vivere in modo completo e autentico la spiritualità tipica del ministro di Cristo; vuole essere un servizio, affinché le direttive del Papa e del Vescovo siano fedelmente recepite e realizzate con spirito di generosità e con convinzione; e infine vuole ancora essere un ideale affinché il sacerdote che sente il bisogno di un sostegno spirituale e di una elevante amicizia per mantenere saldi gli impegni della sua consacrazione, sappia dove trovarlo.


Quanto è dunque necessaria, specialmente oggi, la vostra opera! Continuate nel vostro intento in tutte le nazioni in cui operate. Vi illumini e vi incoraggi il Sacro Cuore di Gesù! Vi ispiri Maria Santissima a cui in particolare i sacerdoti sono affidati nelle loro gioie e nelle loro tribolazioni! Faccio voti che l’Unione Apostolica possa contribuire efficacemente a realizzare tra il clero l’unità di dottrina, di carità e di disciplina, che è assolutamente necessaria per l’evangelizzazione. Di cuore benedico voi e tutti i membri dell’Unione!

Ai Superiori Provinciali dell’Istituto dei Fratelli Maristi delle Scuole

Sono lieto ora di porgere il mio saluto al gruppo dei Superiori Provinciali dell’Istituto dei Fratelli Maristi delle Scuole, chiamati anche Piccoli Fratelli di Maria, i quali insieme col loro Superiore generale, fra’ Basilio Rueda Guzman, si sono dati convegno qui a Roma per discutere insieme i problemi che riguardano la loro Congregazione di fronte alle odierne esigenze spirituali e pastorali del mondo moderno.

Carissimi Fratelli, vi esprimo di cuore il mio ringraziamento per questa vostra visita e, in pari tempo, il mio compiacimento ed incoraggiamento per la vostra presenza nella Chiesa cattolica, per la tenera devozione a Maria, dalla quale prende nome e a cui si ispira il vostro Istituto, e per la vostra benemerita attività nel campo dell’istruzione ed educazione cristiana della gioventù nelle scuole, nei convitti, negli esternati e negli orfanotrofi, sparsi nei cinque continenti, non escluse le terre di missione. Il Signore Gesù vi illumini nei lavori di codesta vostra Conferenza Generale, per rispondere sempre di più agli immensi bisogni delle anime, che incontrate lungo le vie del mondo; la Vergine Maria, Sede della Sapienza, vi guidi sempre più vicino a Gesù per la vostra gioia e per il bene degli uomini, da lui redenti, cosicché possiate realizzare in pienezza quanto è scritto nel motto del vostro Istituto: "Ad Iesum per Mariam". A tal fine vi imparto una speciale Benedizione, che estendo volentieri a tutti i membri della vostra Congregazione.

Ai partecipanti al Convegno internazionale sul tema "La violenza contro gli anziani – Gli anziani contro la violenza"

Ed ora mi rivolgo al numeroso gruppo di partecipanti al Convegno internazionale, indetto sul tema: "La violenza contro gli anziani. Gli anziani contro la violenza". Carissimi, vi saluto tutti cordialmente e vi esprimo il mio sincero compiacimento per le vostre iniziative, intese a studiare e a promuovere la condizione delle persone anziane, uno dei problemi più urgenti nella società attuale. Ho la convinzione, infatti, che il rispetto e l’amore per l’anziano sono indice evidente e garanzia sicura del rispetto e dell’amore per ogni uomo e per tutto l’uomo. I vostri problemi, perciò, sono propri della società intera, la quale nella loro soluzione ritroverà per se stessa una misura più umana. Di cuore benedico voi e quanti si dedicano con amorosa sollecitudine a favore degli anziani.

Ai fedeli provenienti da Pescara

Rivolgo un cordiale saluto al pellegrinaggio della città di Pescara, che guidato dal Parroco della Cattedrale è qui presente per compiere un atto di fede ecclesiale e per chiedere la benedizione del Papa sulle tre statue di bronzo che saranno collocate sulla facciata della medesima Chiesa Cattedrale. Benedico volentieri tali statue, mentre invoco la protezione della Madonna, di San Pietro e di San Cetteo – in esse effigiati – sull’intera comunità di Pescara.

Ai giovani

Un saluto particolarmente caloroso e affettuoso ai giovani e alle giovani, ai ragazzi e alle ragazze presenti all’udienza! In occasione della prossima Giornata missionaria mondiale voglio ripetere anche a voi le parole che rivolsi alla moltitudine dei giovani riuniti nel "Madison Square Garden" di New York, durante il mio recente viaggio apostolico: "io vi invito a guardare a Cristo. Quando siete stupiti del mistero di voi stessi, guardate a Cristo che dà il significato della vita. Quando cercate di sapere che cosa significhi essere una persona matura, guardate a Cristo che è la pienezza dell’essere umano. E quando cercate di immaginare quale sarà il ruolo del futuro del mondo e della vostra Patria, guardate a Cristo. È solo in Cristo che raggiungerete le vostre possibilità come cittadini della vostra Patria e della comunità mondiale" (cf. Giovanni Paolo II, 3 ottobre 1979). Tenete presente questo mio invito e siate anche voi missionari e missionarie di Cristo, oggi e per tutta la vostra vita.

Agli ammalati

E ora un saluto e un abbraccio pieno di umana e cristiana sensibilità e simpatia giunga ognuno di voi, carissimi ammalati! Anche a voi, in prossimità della Giornata missionaria, così importante per la vita della Chiesa, voglio ripetere considerazioni che mi stanno particolarmente a cuore: "Con la sua sofferenza e la sua morte, Gesù prese su di sé l’umana sofferenza, conferendo ad essa un nuovo valore. Di fatto, egli chiama ogni ammalato, ogni persona che soffre, a collaborare con lui nella salvezza del mondo. Per questo, il dolore e la sofferenza non vengono sopportati da soli né invano. Sebbene riesca difficile capire la sofferenza, Gesù ha chiarito che questo valore è legato alla sua stessa sofferenza, al suo stesso sacrificio. In altre parole, con le vostre sofferenze aiutate Gesù nella sua opera di salvezza... La vostra chiamata alla sofferenza richiede una fede forte e pazienza. Sì, questo vuol dire che voi siete chiamati all’amore con una particolare intensità, ma ricordate che la Beata Madre di Dio è insieme con voi, così come era insieme con Gesù ai piedi della croce. E non vi lascerà mai soli" (Omelia del 30 settembre 1979). Coraggio, dunque, cari ammalati! Voi siete i primi nell’opera missionaria della Chiesa! Vi aiuti e vi conforti sempre la mia benedizione.

Alle coppie di sposi novelli

E infine ancora un saluto affettuoso e augurale agli sposi novelli, che sono qui venuti per iniziare la loro vita coniugale con la benedizione del Papa! Grazie per la vostra gioiosa e significativa presenza! Pensando al lavoro indefesso di tanti missionari e missionarie sparsi nel mondo per annunziare il Vangelo, vi dico con ansia e con calore: Mantenete ferma la vostra fede! "Il messaggio di amore portato da Cristo è sempre importante, sempre interessante. Non è difficile vedere come il mondo odierno, nonostante le conquiste della scienza e della tecnologia, nonostante la sua bellezza e grandezza, nonostante i ricercati e abbondanti beni materiali che offre, è bramoso di più verità, di più amore, di più gioia. E tutto ciò si trova in Cristo e nel suo modello di vita" (Omelia dell’1 ottobre 1979). Siate anche voi missionari nel vostro ambiente! Chiedete a Dio la grazia di diventare genitori di futuri missionari e missionarie! Per questi grandi motivi volentieri vi imparto la mia particolare benedizione!





Catechesi 79-2005 10109