Catechesi 79-2005 24109

Mercoledì, 24 ottobre 1979: L’uomo dall’originaria solitudine alla consapevolezza che lo fa persona

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1. Nella precedente conversazione abbiamo cominciato ad analizzare il significato della solitudine originaria dell’uomo. Lo spunto ci è stato dato dal testo jahvista, e in particolare dalle seguenti parole: "Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile" (
Gn 2,18). L’analisi dei relativi passi del Libro della Genesi (cfr Gn 2) ci ha già portato a sorprendenti conclusioni che riguardano l’antropologia, cioè la scienza fondamentale circa l’uomo, racchiusa in questo libro. Infatti, in frasi relativamente scarse, l’antico testo delinea l’uomo come persona con la soggettività che la caratterizza.

Quanto a questo primo uomo, così formato, Dio-Jahvè dà il comando che riguarda tutti gli alberi che crescono nel "giardino in Eden", soprattutto quello della conoscenza del bene e del male, ai lineamenti dell’uomo, sopra descritti, si aggiunge il momento della scelta e dell’autodeterminazione, cioè della libera volontà. In questo modo, l’immagine dell’uomo, come persona dotata di una propria soggettività, appare davanti a noi come rifinita nel suo primo abbozzo.

Nel concetto di solitudine originaria è inclusa sia l’autocoscienza che l’autodeterminazione. Il fatto che l’uomo sia "solo" nasconde in sé tale struttura ontologica e insieme è un indice di autentica comprensione. Senza di ciò, non possiamo capire correttamente le parole successive, che costituiscono il preludio alla creazione della prima donna: "voglio fare un aiuto". Ma, soprattutto, senza quel significato così profondo della solitudine originaria dell’uomo, non può essere intesa e correttamente interpretata l’intera situazione dell’uomo creato a immagine di Dio", che è la situazione della prima, anzi primitiva alleanza con Dio.

2. Quest’uomo, di cui il racconto del capitolo dice che è stato creato "a immagine di Dio", si manifesta nel secondo racconto come soggetto dell’alleanza, e cioè soggetto costituito come persona, costituito a misura di "partner dell’Assoluto" in quanto deve consapevolmente discernere e scegliere tra il bene e il male, tra la vita e la morte. Le parole del primo comando di Dio-Jahvè (Gn 2,16-17) che parlano direttamente della sottomissione e della dipendenza dell’uomo-creatura dal suo Creatore, rivelano indirettamente appunto tale livello di umanità, quale soggetto dell’alleanza e "partner dell’Assoluto". L’uomo è "solo": ciò vuol dire che egli, attraverso la propria umanità, attraverso ciò che egli è, viene nello stesso tempo costituito in un’unica, esclusiva ed irripetibile relazione con Dio stesso. La definizione antropologica contenuta nel testo jahvista si avvicina dal canto suo a ciò che esprime la definizione teologica dell’uomo, che troviamo nel primo racconto della creazione: "Facciamo l’uomo a nostra immagine e nostra somiglianza" (Gn 1,26).

3. L’uomo, così formato, appartiene al mondo visibile, è corpo tra i corpi. Riprendendo e, in certo modo, ricostruendo, il significato della solitudine originaria, lo applichiamo all’uomo nella sua totalità. Il corpo, mediante il quale l’uomo partecipa al mondo creato visibile, lo rende nello stesso tempo consapevole di essere "solo". Altrimenti non sarebbe stato capace di pervenire a quella convinzione, alla quale, in effetti, come leggiamo, è giunto (cfr Gn 2,20), se il suo corpo non lo avesse aiutato a comprenderlo, rendendo la cosa evidente. La consapevolezza della solitudine avrebbe potuto infrangersi proprio a causa dello stesso corpo. L’uomo ("‘adam") avrebbe potuto, basandosi sull’esperienza del proprio corpo, giungere alla conclusione di essere sostanzialmente simile agli altri esseri viventi ("animalia"). E invece, come leggiamo, non è arrivato a questa conclusione, anzi è giunto alla persuasione di essere "solo". Il testo jahvista non parla mai direttamente del corpo; perfino quando dice che "il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo", parla dell’uomo e non del corpo. Ciononostante il racconto preso nel suo insieme ci offre basi sufficienti per percepire quest’uomo, creato nel mondo visibile, proprio come corpo tra i corpi.

L’analisi del testo jahvista ci permette inoltre di collegare la solitudine originaria dell’uomo con la consapevolezza del corpo, attraverso il quale l’uomo si distingue da tutti gli "animalia" e "si separa" da essi, e anche attraverso il quale egli è persona. Si può affermare con certezza che quell’uomo così formato ha contemporaneamente la consapevolezza e la coscienza del senso del proprio corpo. E ciò sulla base dell’esperienza della solitudine originaria.


4. Tutto ciò può essere considerato come implicazione del secondo racconto della creazione dell’uomo, e l’analisi del testo ce ne consente un ampio sviluppo.

Quando all’inizio del testo jahvista, prima ancora che si parli della creazione dell’uomo dalla "polvere del suolo", leggiamo che "nessuno lavorava il suolo e faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare tutto il suolo" (Gn 2,5-6), associamo giustamente questo brano a quello del primo racconto, in cui viene espresso il comando divino: "Riempite la terra: soggiogatela e dominate" (Gn 1,28). Il secondo racconto allude in modo esplicito al lavoro che l’uomo svolge per coltivare la terra. Il primo fondamentale mezzo per dominare la terra si trova nell’uomo stesso. L’uomo può dominare la terra perché soltanto lui e nessun altro degli esseri viventi è capace di "coltivarla" e trasformarla secondo i propri bisogni ("faceva salire dalla terra l’acqua dei canali per irrigare il suolo"). Ed ecco, questo primo abbozzo di un’attività specificamente umana sembra fare parte della definizione dell’uomo, così come essa emerge dall’analisi del testo jahvista. Di conseguenza, si può affermare che tale abbozzo è intrinseco al significato della solitudine originaria e appartiene a quella dimensione di solitudine, attraverso la quale l’uomo, sin dall’inizio, è nel mondo visibile quale corpo tra i corpi e scopre il senso della propria corporalità.

Su questo argomento ritorneremo nella prossima meditazione.

Saluti:

Ai Superiori della "Société des Missions Etrangères de Paris"


Desidero particolarmente salutare il Superiore Generale e i Superiori regionali della Société des Missions Etrangères de Paris. Abbiamo da poco celebrato la Giornata missionaria: voi siete, cari amici, l’immagine vivente dell’apostolato missionario. Molti vostri confratelli hanno abbandonato il loro Paese nativo e consacrato tutta la loro vita, a volte fino al martirio, per portare il Vangelo ed impiantare la Chiesa nei Paesi dell’Asia soprattutto dell’Estremo Oriente, e oggi anche in altri continenti. Grazie a Istituzioni come la vostra, Pastori autoctoni hanno avuto la possibilità di sorgere e di assumersi la responsabilità delle loro comunità.

Ma non dimentichiamoci che hanno sempre molto bisogno di aiuto fraterno e che l’ardore missionario della Chiesa non deve diminuire, anche se, ahimè, alcuni campi di apostolato attualmente le sono chiusi. "Vae enim mihi est, si non evangelizavero!" (1Co 9,16). Contribuite a mantenere questo spirito, e continuate a servire là dove siete chiamati. Benedico di cuore tutti i vostri missionari.

Agli organizzatori della " Staffetta internazionale " per il disarmo


Saluto anche gli organizzatori dell’"Iniziativa della staffetta internazionale". Avete qui trovato un mezzo per sensibilizzare le popolazioni europee verso la necessità di allontanare la minaccia degli armamenti di distruzione massiva, e siete pronti a portare davanti ai rappresentanti dei popoli i messaggi che ne sono la conseguenza. Il vostro contributo è un’ulteriore testimonianza degli uomini di buona volontà. Chi non sottoscriverebbe il grido d’allarme che si leva da ogni dove a questo proposito? Beati gli operatori di pace!

A un gruppo di ammalati provenienti dall’Inghilterra

Un saluto particolare a un gruppo proveniente dall’Inghilterra: pellegrini ammalati e handicappati che sono venuti a Roma con l’Across Trust. Sono veramente felice che voi abbiate potuto essere presenti oggi, e pregherò per voi e per i vostri cari rimasti a casa. Raccomando tutti voi alla protezione della nostra Santissima Madre Maria.

A due gruppi di pellegrini


Rivolgo un particolare saluto al grosso pellegrinaggio della diocesi di Limburg. Attraverso il vostro pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli voi rafforzate in modo gioioso la vostra fede in Cristo e la vostra appartenenza alla sua chiesa. Come Cristo ha inviato i suoi apostoli come messaggeri di fede, così anche voi siete chiamati ad essere suoi testimoni, in famiglia, nei luoghi di lavoro, nelle vostre comunità. Ritornate al vostro Paese con la certezza che Cristo, che oggi chiama voi, vi rimane accanto, vi rafforza e vi protegge. La vostra fedeltà sia incrollabile!
* * *




Saluto con gioia particolare il gruppo dell’associazione degli imprenditori cattolici per lavori legati all’ambito dell’elettricità. La vostra attività trasmette a molti luce e calore. Siate preoccupati a diffondere ciò, in spirito di responsabilità e solidarietà cristiana, anche ai vostri impiegati e collaboratori. Questo incontro con i memorabili luoghi della città di Roma e con i più alti pastori della Chiesa, voglia illuminare la vostra vita e il vostro lavoro come cristiani, con la grazia di Dio, e rafforzare la vostra fede. Per questo imparto di cuore a voi a tutti i pellegrini presenti la Benedizione Apostolica.

Ai Superiori e agli Alunni del Pio Collegio Latino Americano



Agli Assistenti parrocchiali dell’Azione Cattolica Italiana

Saluto di cuore il gruppo degli Assistenti parrocchiali dell’Azione Cattolica Italiana, riuniti in questi giorni a Roma per un convegno incentrato sul tema: "L’itinerario di spiritualità dell’adulto oggi". L’argomento è certamente molto importante, ed io cordialmente vi incoraggio a studiarlo come si conviene, auspicando sinceramente che il Signore vi aiuti nel vostro prezioso ministero, affinché, come dice San Paolo, siate "potentemente rafforzati dallo Spirito nell’uomo interiore" (Ep 3,16). E vi sia di approvazione e di stimolo la mia Benedizione Apostolica.

Ai numerosi alunni dei distretti scolastici di Chiusi-Pienza e Montepulciano

Sono presenti all’udienza oltre duemila ragazzi e bambine dei Distretti scolastici di Chiusi-Pienza e Montepulciano, insieme al loro Vescovo, Monsignor Alberto Giglioli, e a numerosi loro genitori. Siete veramente tanti, e, certamente, tutti felici di essere venuti a Roma e dal Papa, accompagnati da coloro che vi vogliono bene. Voi avete preso veramente sul serio l’"Anno del Fanciullo", vi siete impegnati in tanti modi per aiutare i bambini sofferenti ed avete voluto concludere qui con me le vostre iniziative. Ringrazio di cuore voi ed i vostri superiori e genitori per queste attività così benemerite, e vi esorto, cari ragazzi e bambine, a mantenervi sempre così, buoni, generosi, sinceri, studiosi, per la consolazione dei genitori e degli insegnanti, per il bene della società, per l’edificazione spirituale delle diocesi da cui provenite, e per la vostra stessa intima gioia di autentici amici di Gesù! Vi accompagni sempre il mio affetto con la mia particolare Benedizione.

Alle ex-Alunne dell’Istituto del Sacro Cuore

Un’affettuosa parola di saluto, di incoraggiamento e di augurio rivolgo al numeroso gruppo delle ex Alunne dell’Istituto del Sacro Cuore, le quali si trovano a Roma per un congresso sul tema: "La preghiera". Desidero dirvi, sorelle carissime, tutto il mio plauso per codesta vostra iniziativa spirituale, e – secondo il desiderio da voi stesse manifestato – vi lascio a ricordo di questo nostro incontro, un brevissimo pensiero di Sant’Agostino sulla preghiera: "Qui vult audiri a Deo, prius audiat Deum" ("Chi vuole essere ascoltato da Dio, ascolti prima Dio") (S. Agostino, Serm. XVII, 4): Sì! Ascoltate docilmente Dio che parla nella Sacra Scrittura; che ci guida attraverso l’insegnamento e le direttive della Chiesa e dei suoi Pastori; ascoltate Dio, che si fa sentire nel silenzio misterioso della vostra coscienza, rettamente illuminata. A voi tutte e ai vostri cari la mia Benedizione Apostolica.

Ai partecipanti all’Assemblea straordinaria della categoria degli ascensoristi

Un saluto speciale vada anche al foltissimo gruppo degli ascensoristi, che partecipano in questi giorni a Roma all’Assemblea straordinaria della loro benemerita categoria. Chiedo al Signore per voi la grazia della fedeltà e della perseveranza nel vostro impegno umano e cristiano, affinché i buoni propositi ispirati da questo incontro con l’umile Successore di Pietro lascino un solco profondo nella vostra vita, a edificazione delle vostre famiglie e di quanti incontrerete nell’ambito del vostro lavoro. A tutti voi la mia Benedizione.

Al pellegrinaggio di Fidenza

Un cordiale saluto rivolgo al numeroso pellegrinaggio della diocesi di Fidenza, guidato dal Vescovo Monsignor Zanchin, ed esprimo a tutti i partecipanti la mia sincera soddisfazione per questo incontro, che assume il significato di una fervida attestazione di fede in Cristo e di filiale affetto verso il successore di Pietro. Non posso che ripetervi, carissimi fratelli e sorelle, il mio più forte incoraggiamento per quanto fate di buono, di caritatevole e di esemplare; vi auguro che l’impegno di testimonianza cristiana sia continuo e sempre maggiore, e sia sempre fonte di vera letizia e di pace operosa.

Ai Superiori e agli Alunni del Pio Collegio Latino Americano


Vada ora il mio saluto ai Superiori ed Alunni del Pontificio Pio Collegio Latino Americano, presenti a questa udienza e accompagnati dai membri della Commissione Episcopale nominata dalla Santa Sede, che compie la sua visita ordinaria. Provo una grande gioia ricevendovi oggi, cari Fratelli e figli, che formate l’attuale famiglia di una Istituzione che conta già 120 anni di storia. Approfittate della vostra permanenza a Roma per formarvi solidamente nelle scienze sacre ed umane. Colmate i vostri spiriti di un profondo senso soprannaturale riguardo al valore della vostra vita consacrata al servizio delle anime. Porrete così le basi per il vostro futuro ministero.

Dirigo le mie più cordiali parole di incoraggiamento a voi Vescovi, che rappresentate davanti al Collegio tutto l’Episcopato latinoamericano, affinché seguiate con cure particolari e diligenza questo importante e delicato incarico. Per concludere chiedo al Signore per tutta la grande famiglia del Collegio, e le do con affetto la mia speciale Benedizione.

Ai giovani

Vogliamo rivolgere ora una parola a voi, giovani, gioia e primavera di questa adunanza. Non è un’immagine logora che usiamo; perché voi, come la primavera, sentite davvero in voi il tumulto della vita, e la gioia di viverla. Ebbene, fate posto, nel dispiegarsi dell’attività di ogni giorno, all’autore delle cose, alla fonte di ogni dono, alla luce di ogni intelletto: a Gesù.

Ai malati

Dinanzi a Dio, Essere degli esseri, siamo tutti dei poveri ammalati, bisognosi della sua paterna misericordia. Ma voi, per suo inscrutabile disegno, partecipate più da vicino a questa misteriosa sorte. E siete più cari a Cristo che, pur essendo Figlio di Dio, provò il dolore: non della malattia, ma della passione e della morte. Che Dio vi assista, vi aiuti e vi consoli con la sua fede certissima che il vostro dolore è fecondo per la Chiesa, e sarà mutato nella gioia più pura, oggi e nell’eternità.

Agli sposi

Agli sposi, oltre che augurare ogni bene da Colui che ha istituito il Matrimonio, vorremmo ricordare le parole dell’Apostolo San Paolo agli Efesini (Ph 5,22), il quale paragona lo sposo a Cristo e la sposa alla Chiesa. E come Cristo è morto per la Chiesa, e questa non ha altro desiderio che di piacergli e di servirlo, così dovete fare anche voi. Il pensiero della vostra scambievole dignità sarà fonte di profondo rispetto, di saldezza, di amore e di ogni dolce consolazione.




Mercoledì, 31 ottobre 1979: Nella definizione stessa dell’uomo l’alternativa tra morte ed immortalità

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1. Ci conviene ritornare oggi ancora una volta sul significato della solitudine originaria dell’uomo, che emerge soprattutto dall’analisi del cosiddetto testo jahvista di Genesi 2. Il testo biblico ci permette, come già abbiamo constatato nelle precedenti riflessioni, di mettere in rilievo non soltanto la coscienza del corpo umano (l’uomo è creato nel mondo visibile come "corpo tra i corpi"), ma anche quella del suo significato proprio.

Tenendo conto della grande concisione del testo biblico, non si può, senz’altro, ampliare troppo questa implicazione. È però certo che tocchiamo qui il problema centrale dell’antropologia. La coscienza del corpo sembra identificarsi in questo caso con la scoperta della complessità della propria struttura che, in base a un’antropologia filosofica, consiste, in definitiva, nel rapporto tra anima e corpo. Il racconto jahvista col proprio linguaggio (cioè con la sua propria terminologia) lo esprime dicendo: "Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente" (
Gn 2,7). E proprio quest’uomo, "essere vivente", si distingue in continuazione da tutti gli altri esseri viventi del mondo visibile. La premessa di questo distinguersi dell’uomo è proprio il fatto che solo lui è capace di "coltivare la terra" (cfr Gn 2,5) e di "soggiogarla" (cfr Gn 1,28). Si può dire che la consapevolezza della "superiorità", iscritta nella definizione di umanità, nasce fin dall’inizio in base a una prassi o comportamento tipicamente umano. Questa consapevolezza porta con sé una particolare percezione del significato del proprio corpo, la quale emerge appunto dal fatto che sta all’uomo "coltivare la terra" e "assoggettarla". Tutto ciò sarebbe impossibile senza un’intuizione tipicamente umana del significato del proprio corpo.

2. Sembra quindi che occorra parlare innanzitutto di questo aspetto, piuttosto che del problema della complessità antropologica in senso metafisico. Se l’originaria descrizione della coscienza umana, riportata dal testo jahvista, comprende nell’insieme del racconto anche il corpo, se essa racchiude quasi la prima testimonianza della scoperta della propria corporeità (e perfino, come è stato detto, la percezione del significato del proprio corpo), tutto ciò si rivela non in base a una qualche primordiale analisi metafisica, ma in base a una concreta soggettività dell’uomo abbastanza chiara. L’uomo è un soggetto non soltanto per la sua autocoscienza e autodeterminazione, ma anche in base al proprio corpo. La struttura di questo corpo è tale da permettergli di essere l’autore di un’attività prettamente umana. In questa attività il corpo esprime la persona. Esso è quindi, in tutta la sua materialità ("plasmò l’uomo con polvere del suolo"), quasi penetrabile e trasparente, in modo da rendere chiaro chi sia l’uomo (e chi dovrebbe essere) grazie alla struttura della sua coscienza e della sua autodeterminazione. Su questo poggia la fondamentale percezione del significato del proprio corpo, che non si può non scoprire analizzando la solitudine originaria dell’uomo.

3. Ed ecco che, con tale fondamentale comprensione del significato del proprio corpo, l’uomo, quale soggetto dell’antica alleanza col Creatore, viene posto dinanzi al mistero dell’albero della conoscenza. "Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi certamente moriresti" (Gn 2,16-17). L’originario significato della solitudine dell’uomo si basa sull’esperienza dell’esistenza ottenuta dal Creatore. Tale esistenza umana è caratterizzata appunto dalla soggettività, che comprende pure il significato del corpo. Ma l’uomo, il quale nella sua coscienza originaria conosce esclusivamente l’esperienza dell’esistere e quindi della vita, avrebbe potuto capire che cosa significasse la parola "morirai"? Sarebbe stato egli capace di giungere a comprendere il senso di questa parola attraverso la complessa struttura della vita, datagli quando "il Signore Dio... soffiò nelle sue narici un alito di vita..."? Bisogna ammettere che questa parola, completamente nuova, sia apparsa sull’orizzonte della coscienza dell’uomo senza che egli ne abbia mai sperimentato la realtà, e che nello stesso tempo questa parola sia apparsa davanti a lui come una radicale antitesi di tutto ciò di cui l’uomo era stato dotato.

L’uomo udiva per la prima volta la parola "morirai", senza avere con essa alcuna familiarità nell’esperienza fatta fino ad allora; ma d’altra parte non poteva non associare il significato della morte a quella dimensione di vita di cui aveva fino ad allora fruito. Le parole di Dio-Jahvè rivolte all’uomo confermavano una dipendenza nell’esistere, tale da fare dell’uomo un essere limitato e, per sua natura, suscettibile di non-esistenza. Queste parole posero il problema della morte in modo condizionale: "Quando tu ne mangiassi... moriresti". L’uomo, che aveva udito tali parole, doveva ritrovarne la verità nella stessa struttura interiore della propria solitudine. E, in definitiva, dipendeva da lui, dalla sua decisione e libera scelta, se con la solitudine fosse entrato anche nel cerchio dell’antitesi rivelatagli dal Creatore, insieme all’albero della conoscenza del bene e del male, e avesse così fatto propria l’esperienza del morire e della morte. Ascoltando le parole di Dio-Jahvè, l’uomo avrebbe dovuto capire che l’albero della conoscenza aveva messo le radici non soltanto nel "giardino in Eden", ma anche nella sua umanità. Egli, inoltre, avrebbe dovuto capire che quell’albero misterioso nascondeva in sé una dimensione di solitudine, fino ad allora sconosciuta, della quale il Creatore lo aveva dotato in mezzo al mondo degli esseri viventi, ai quali lui, l’uomo – dinanzi allo stesso Creatore – aveva "imposto nomi", per giungere a comprendere che nessuno di loro gli era simile.

4. Quando dunque il fondamentale significato del suo corpo era già stato stabilito attraverso la distinzione dal resto delle creature, quando per ciò stesso era divenuto evidente che l’"invisibile" determina l’uomo più che il "visibile", allora dinanzi a lui si è presentata l’alternativa collegata strettamente e direttamente da Dio-Jahvè all’albero della conoscenza del bene e del male. L’alternativa tra la morte e l’immortalità, che emerge da Genesi 2,17, va oltre il significato essenziale del corpo dell’uomo, in quanto coglie il significato escatologico non soltanto del corpo, ma dell’umanità stessa, distinta da tutti gli esseri viventi, dai "corpi". Questa alternativa riguarda però in un modo del tutto particolare il corpo creato dalla "polvere dei suolo".

Per non prolungare di più questa analisi, ci limitiamo a constatare che l’alternativa tra la morte e l’immortalità entra, sin dall’inizio, nella definizione dell’uomo e che appartiene "da principio" al significato della sua solitudine di fronte a Dio stesso. Questo originario significato di solitudine, permeato dall’alternativa tra morte e immortalità, ha anche un significato fondamentale per tutta la teologia del corpo.

Con questa constatazione concludiamo per ora le nostre riflessioni sul significato della solitudine originaria dell’uomo. Tale constatazione, che emerge in modo chiaro e incisivo dai testi del Libro della Genesi, induce anche a riflettere tanto sui testi quanto sull’uomo, il quale ha forse troppo scarsa coscienza della verità che lo riguarda, e che è racchiusa già nei primi capitoli della Bibbia.

Saluti:

Ai pellegrini di lingua tedesca



Saluto in modo particolare, per finire, ancora il pellegrinaggio diocesano di Hildesheim, guidato dal Vescovo ausiliario Monsignor Pachowiak; inoltre, i pellegrini della diocesi di Magonza, Limburgo e Fulda, così come i lettori oggi qui presenti, della rivista per famiglie "Vivere ed educare". Il vostro pellegrinaggio a Roma e la vostra preghiera alle tombe degli Apostoli e dei Santi non sono rivolti esclusivamente ad onorare la memoria dei morti che una volta hanno fatto grandezze per Cristo e la Chiesa; ma tutto questo vale per i fratelli che oggi vivono nello splendore e nella contemplazione di Cristo. Il vostro pellegrinaggio è una gioiosa confessione alla comunità degli angeli, che non sono passato, bensì presente vivo. La festa di Tutti i Santi di oggi ce lo ricorda nuovamente. Dio, che è Dio dei viventi, vi colmi del grande desiderio dell’ideale della santità, attraverso il quale la nostra vita trova in Dio il suo pieno compimento. Nell’impartire a voi tutti la mia Benedizione Apostolica, auguro tutto questo di cuore a voi tutti.

Ai sacerdoti colombiani della diocesi di Santa Rosa de Osos

Saluto con profondo affetto i sacerdoti di Santa Rosa de Osos (Colombia), che hanno accompagnato il loro Vescovo, venuto a Roma per la visita "ad limina". Con voi saluto anche i fratelli sacerdoti della vostra amata diocesi. Siate costanti nella vostra missione pastorale di guide dei fedeli, attraverso i cammini della fede autentica, della rinnovata speranza e della carità solidale. A tutti voi do di cuore una speciale Benedizione.

Al pellegrinaggio della diocesi di Nardò (Lecce)

Un affettuoso saluto desidero rivolgere anche ai numerosi pellegrini della diocesi di Nardò, i quali, sotto la guida del loro Vescovo, Monsignor Antonio Rosario Mennonua, intendono iniziare qui, a Roma, accanto al Papa, l’Anno Mariano diocesano per l’ulteriore incremento della vita spirituale della loro comunità e per la santificazione delle anime.

Vi esprimo il mio vivo compiacimento per questa iniziativa, che coinvolge tutte le forze migliori della vostra comunità. Siate interiormente docili ai materni suggerimenti che la Madonna Santissima non mancherà di ispirarvi in questo periodo, perché possiate testimoniare, di fronte al mondo, la vostra fede, che trovi la sua concretezza nell’adesione gioiosa e totale alle esigenze morali del messaggio di Gesù; la vostra carità generosa ed operosa verso tutti coloro che si trovano nel bisogno; la vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo (cfr 1Th 1,2). Con questi auspici invoco su voi tutti, sul vostro Pastore, sui Sindaci dei Comuni della diocesi l’abbondanza delle grazie del Signore e di cuore vi imparto la mia Benedizione Apostolica.

Ai giovani


Un saluto particolarmente affettuoso va a voi tutti, giovani, accorsi anche oggi numerosi ad allietare questa udienza generale. Carissimi, vi ringrazio di cuore per questa vostra significativa presenza, segno di donazione a Cristo e di comunione con il suo Vicario in terra. Le generose aspirazioni del vostro animo mi recano sempre tanta gioia. Celebrando domani la Chiesa le festa di Tutti i Santi, vi invito, cari giovani, a rivolgere il vostro pensiero verso le realtà indefettibili, ragione della nostra speranza, e a trarre esempio e conforto da chi ha seguito il Signore con eroica adesione e vuole ora aiutare noi a percorrere con coraggio la stessa strada di salvezza. A voi tutti imparto una speciale Benedizione.

Agli ammalati

Desidero assicurare a tutti voi, ammalati, che vi sono particolarmente vicino con il cuore e con la preghiera, consapevole della preziosità del vostro sacrificio che, mentre eleva e rafforza i vostri animi, è fonte di tanta gioia per tutta la Chiesa. Concludendosi oggi il mese del Rosario, mi è caro invitarvi a trarre ispirazione, gioia e conforto da questa preghiera tanto cara alla tradizione cristiana. Rivolgete incessantemente il vostro sguardo alla Vergine Santissima; essa, che è la Madre dei dolori e Madre anche della consolazione, può capirvi fino in fondo e soccorrervi. Guardando a lei, pregando lei, voi otterrete che il vostro tedio diventi serenità, che la vostra angoscia si tramuti in speranza, che la vostra pena si trasformi in amore. Vi accompagno con la mia Benedizione che volentieri estendo a tutti quanti vi assistono.

Alle coppie di sposi novelli

Ed ora mi rivolgo a voi, cari sposi novelli, per porgervi il mio augurio paterno, che è insieme invito alla fiducia e alla gioia. La letizia sbocciata dai vostri cuori con la grazia del Sacramento vi accompagni per tutta la vita e vi aiuti a vincere le tentazioni sempre insorgenti dell’egoismo, il grande nemico dell’unione familiare. Fate che le nuove famiglie, sorte dal vostro libero consenso, vivificato e reso offerta di amore alla presenza di Cristo, siano sempre pervase da costante volontà reciproca di bene; rimangano salde sulla roccia dell’unità e della fedeltà; siano ricche di quelle virtù cristiane che fondano e garantiscono la prosperità del focolare domestico. Accompagno questi auspici con la mia Benedizione.



Mercoledì, 7 novembre 1979: L’unità originaria dell’uomo e della donna nell’umanità

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1. Le parole del libro della Genesi, "Non è bene che l’uomo sia solo" (
Gn 2,18), sono quasi un preludio al racconto della creazione della donna. Insieme a questo racconto, il senso della solitudine originaria entra a far parte del significato dell’originaria unità, il cui punto chiave sembrano essere proprio le parole di Genesi (Gn 2,24), alle quali si richiama Cristo nel suo colloquio con i farisei: "L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola" (Mt 19,5). Se Cristo, riferendosi al "principio", cita queste parole, ci conviene precisare il significato di quella originaria unità, che affonda le radici nel fatto della creazione dell’uomo come maschio e femmina.

Il racconto del capitolo primo della Genesi non conosce il problema della solitudine originaria dell’uomo: l’uomo infatti sin dall’inizio è "maschio e femmina". Il testo jahvista del capitolo secondo, invece, ci autorizza, in certo modo, a pensare prima solamente all’uomo in quanto, mediante il corpo, appartiene al mondo visibile, però oltrepassandolo; poi, ci fa pensare allo stesso uomo, ma attraverso la duplicità del sesso. La corporeità e la sessualità non s’identificano completamente. Sebbene il corpo umano, nella sua normale costituzione, porti in sé i segni del sesso e sia, per sua natura, maschile o femminile, tuttavia il fatto che l’uomo sia "corpo" appartiene alla struttura del soggetto personale più profondamente del fatto che egli sia nella sua costituzione somatica anche maschio o femmina. Perciò il significato della solitudine originaria, che può essere riferito semplicemente all’"uomo", è sostanzialmente anteriore al significato dell’unità originaria; quest’ultima infatti si basa sulla mascolinità e sulla femminilità, quasi come su due differenti "incarnazioni", cioè su due modi di "essere corpo" dello stesso essere umano, creato "a immagine di Dio" (Gn 1,27).

2. Seguendo il testo jahvista, nel quale la creazione della donna è stata descritta separatamente (Gn 2,21-22), dobbiamo avere davanti agli occhi, nello stesso tempo, quell’"immagine di Dio" del primo racconto della creazione. Il secondo racconto conserva, nel linguaggio e nello stile, tutte le caratteristiche del testo jahvista. Il modo di narrare concorda col modo di pensare e di esprimersi dell’epoca alla quale il testo appartiene. Si può dire, seguendo la filosofia contemporanea della religione e quella del linguaggio, che si tratta di un linguaggio mitico. In questo caso, infatti, il termine "mito" non designa un contenuto fabuloso, ma semplicemente un modo arcaico di esprimere un contenuto più profondo. Senza alcuna difficoltà, sotto lo strato dell’antica narrazione, scopriamo quel contenuto, veramente mirabile per quanto riguarda le qualità e la condensazione delle verità che vi sono racchiuse. Aggiungiamo che il secondo racconto della creazione dell’uomo conserva, fino ad un certo punto, una forma di dialogo tra l’uomo e Dio-Creatore, e ciò si manifesta soprattutto in quella tappa nella quale l’uomo ("‘adam") viene definitivamente creato quale maschio e femmina ("‘is-issah") (Il termine ebraico "‘adam" esprime il concetto collettivo della specie umana, cioè l’"uomo" che rappresenta l’umanità; [la Bibbia definisce l’individuo usando l’espressione: "figlio dell’uomo", "ben-’adam"]. La contrapposizione: "‘iš-’iššah" sottolinea la diversità sessuale [come in greco "aner-gyne"] Dopo la creazione della donna, il testo biblico continua a chiamare il primo uomo "‘adam" [con l’articolo definito], esprimendo così la sua "corporate personality", in quanto è diventato "padre dell’umanità", suo progenitore e rappresentante, come poi Abramo è stato riconosciuto quale "padre dei credenti" e Giacobbe è stato identificato con Israele-Popolo Eletto.). La creazione si attua quasi contemporaneamente in due dimensioni; l’azione di Dio-Jahvè che crea si svolge in correlazione al processo della coscienza umana.


3. Così dunque Dio-Jahvè dice: "Non è bene che l’uomo sia solo; gli voglio dare un aiuto che gli sia simile" (Gn 2,18). E nello stesso tempo l’uomo conferma la propria solitudine (Gn 2,20). In seguito leggiamo: "Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola che aveva tolta all’uomo una donna" (Gn 2,21-22). Prendendo in considerazione la specificità del linguaggio bisogna prima di tutto riconoscere che ci fa molto pensare quel torpore genesiaco, nel quale, per opera di Dio-Jahvè, l’uomo s’immerge in preparazione del nuovo atto creatore. Sullo sfondo della mentalità contemporanea, abituata – per via delle analisi del subcosciente – a legare al mondo del sonno dei contenuti sessuali, quel torpore può suscitare un’associazione particolare (Il torpore di Adamo [in ebraico "tardemah"] è un profondo sonno [latino: "sopor"; inglese: "sleep"], in cui l’uomo cade senza conoscenza o sogni [la Bibbia ha un altro termine per definire il sogno: "halom"]; cf. Gn 15,12 1S 26,12, esamina, invece, il contenuto dei "sogni" [latino: "somnium"; inglese: "dream"], i quali formandosi con elementi psichici "respinti nel subconscio", permettono, secondo lui, di farne emergere i contenuti inconsci, che sarebbero, in ultima analisi, sempre sessuali. Questa idea è naturalmente del tutto estranea all’autore biblico. Nella teologia dell’autore jahvista, il torpore nel quale Dio fece cadere il primo uomo sottolinea l’"esclusività dell’azione di Dio" nell’opera della creazione della donna; l’uomo non aveva in essa alcuna partecipazione cosciente. Dio si serve della sua costola soltanto per accentuare la comune natura dell’uomo e della donna.). Tuttavia il racconto biblico sembra andare oltre la dimensione del subconscio umano. Se si ammette poi una significativa diversità di vocabolario, si può concludere che l’uomo ("‘adam") cade in quel "torpore" per risvegliarsi "maschio" e "femmina". Infatti per la prima volta in Genesi Gn 2,23 ci imbattiamo nella distinzione "‘is-issah". Forse quindi l’analogia del sonno indica qui non tanto un passare dalla coscienza alla subcoscienza, quanto uno specifico ritorno al non-essere (il sonno ha in sé una componente di annientamento dell’esistenza cosciente dell’uomo) ossia al momento antecedente alla creazione, affinché da esso, per iniziativa creatrice di Dio, l’"uomo" solitario possa riemergere nella sua duplice unità di maschio e femmina ("Torpore" ["tardemah"] è il termine che appare nella Sacra Scrittura, quando durante il sonno o direttamente dopo di esso debbono accadere degli avvenimenti straordinari [cf. Gn 15,12 1S 26,12 Is 29,10 Jb 4,13 Jb 33,15]. I Settanta traducono "tardemah" con "éktasis" [un’estasi]. Nel Pentateuco "tardemah" appare ancora una volta in un contesto misterioso: Abram, su comando di Dio, ha preparato un sacrificio di animali, scacciando da essi gli uccelli rapaci: "Mentre il sole stava per tramontare, "un torpore" cadde su Abram, ed ecco "un oscuro terrore" lo assalì... " [Gn 15,12]. Proprio allora Dio comincia a parlare e conclude con lui un’alleanza, che è "il vertice della rivelazione" fatta ad Abram. Questa scena somiglia in certo modo a quella del giardino di Getsemani: Gesù "cominciò a sentire paura e angoscia... " [Mc 14,33] e trovò gli Apostoli "che "dormivano per la tristezza"" [Lc 22,45]. L’autore biblico ammette nel primo uomo un certo senso di carenza e di solitudine ["non è bene che l’uomo sia solo"; "non trovò un aiuto che gli fosse simile"], anche se non di paura. Forse questo stato provoca "un sonno causato dalla tristezza", o forse, come in Abramo "da un oscuro terrore" di non-essere; come alla soglia dell’opera della creazione: "la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso" [Gn 1,2]. In ogni caso, secondo tutti e due i testi, in cui il Pentateuco o piuttosto il Libro della Genesi parla del sonno profondo [tardemah], ha luogo una speciale azione divina, cioè un’"alleanza" carica di conseguenze per tutta la storia della salvezza: Adamo dà inizio al genere umano, Abramo al Popolo Eletto.).

In ogni caso alla luce del contesto di Genesi Gn 2,18-20 non vi è alcun dubbio che l’uomo cada in quel "torpore" col desiderio di trovare un essere simile a sé. Se possiamo, per analogia col sonno, parlare qui anche di sogno, dobbiamo dire che quel biblico archetipo ci consente di ammettere come contenuto di quel sogno un "secondo io", anch’esso personale e ugualmente rapportato alla situazione di solitudine originaria, cioè a tutto quel processo di stabilizzazione dell’identità umana in relazione all’insieme degli esseri viventi ("animalia"), in quanto è processo di "differenziazione" dell’uomo da tale ambiente. In questo modo, il cerchio della solitudine dell’uomo-persona si rompe, perché il primo "uomo" si risveglia dal suo sonno come "maschio e femmina".

4. La donna è plasmata "con la costola" che Dio-Jahvè aveva tolto all’uomo. Considerando il modo arcaico, metaforico e immaginoso di esprimere il pensiero, possiamo stabilire che si tratta qui di omogeneità di tutto l’essere di entrambi; tale omogeneità riguarda soprattutto il corpo, la struttura somatica, ed è confermata anche dalle prime parole dell’uomo alla donna creata: "Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa" (Gn 2,23, interessante notare che per gli antichi Suméri il segno cuneiforme per indicare il sostantivo "costola" coincideva con quello usato per indicare la parola "vita". Quanto poi al racconto jahvista, secondo una certa interpretazione di Genesi Gn 2,21, Dio piuttosto ricopre la costola di carne [invece di rinchiudere la carne al suo posto] e in questo modo "forma" la donna, che trae origine dalla "carne e dalle ossa" del primo uomo [maschio]. Nel linguaggio biblico questa è una definizione di consanguineità o appartenenza alla stessa discendenza [ad es. cf. Gn 29,14]: la donna appartiene alla stessa specie dell’uomo, distinguendosi dagli altri esseri viventi prima creati. Nell’antropologia biblica le "ossa" esprimono una componente importantissima del corpo; dato che per gli Ebrei non vi era una precisa distinzione tra "corpo" e "anima" [il corpo veniva considerato come manifestazione esteriore della personalità], le "ossa" significavano semplicemente, per sineddoche, l’"essere" umano [cf. ad es. Ps 139,15, "Non ti erano nascoste le mie ossa"]. Si può quindi intendere "osso dalle ossa", in senso relazionale, come l’"essere dall’essere"; "carne dalla carne" significa che, pur avendo diverse caratteristiche fisiche, la donna possiede la stessa personalità che possiede l’uomo. Nel "canto nuziale" del primo uomo, l’espressione "osso dalle ossa, carne dalla carne" è una forma di superlativo, sottolineato inoltre dalla triplice ripetizione: "questa", "essa", "la".). E nondimeno le parole citate si riferiscono pure all’umanità dell’uomo-maschio. Esse vanno lette nel contesto delle affermazioni fatte prima della creazione della donna, nelle quali, pur non esistendo ancora l’"incarnazione" dell’uomo, essa viene definita come "aiuto simile a lui" (cfr Gn 2,18 Gn 2,20), difficile tradurre esattamente l’espressione ebraica "cezer kenegdô", che viene tradotta in vario modo nelle lingue europee, ad esempio: latino: "adiutorium ei conveniens sicut oportebat iuxta eum"; tedesco: "eine Hilfe..., die ihm entspricht"; francese: "égal vis-á-vis de lui"; italiano: "un aiuto che gli sia simile"; spagnolo: "como él que le ayude"; inglese: "a helper fit for him"; polacco: "odopowicdnia alla niego pomoc". Poiché il termine "aiuto" sembra suggerire il concetto di "complementarità" o meglio di "corrispondenza esatta", il termine "simile" si collega piuttosto con quello di "similarità", ma in senso diverso dalla somiglianza dell’uomo con Dio.). Così, dunque, la donna viene creata, in certo senso, sulla base della medesima umanità.

L’omogeneità somatica, nonostante la diversità della costituzione legata alla differenza sessuale, è così evidente che l’uomo (maschio), svegliatosi dal sonno genetico, la esprime subito, quando dice: "Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta" (Gn 2,23). In questo modo l’uomo (maschio) manifesta per la prima volta gioia e perfino esaltazione, di cui prima non aveva motivo, a causa della mancanza di un essere simile a lui. La gioia per l’altro essere umano, per il secondo "io", domina nelle parole dell’uomo (maschio) pronunziate alla vista della donna (femmina). Tutto ciò aiuta a stabilire il pieno significato dell’originaria unità. Poche sono qui le parole, ma ognuna è di grande peso. Dobbiamo quindi tener conto – e lo faremo anche di seguito – del fatto che quella prima donna, "plasmata con la costola tolta... all’uomo" (maschio), viene subito accettata come aiuto adeguato a lui.

A questo stesso tema, cioè al significato dell’unità originaria dell’uomo e della donna nell’umanità, torneremo ancora nella prossima meditazione.

Saluti:

Ai gruppi di pellegrini provenienti dalle regioni ovest della Francia


Ed ora rivolgo a tutti i pellegrini francesi un saluto affettuoso e un cordiale ringraziamento per la loro presenza a questo impressionante incontro familiare. So che siete venuti numerosi dall’Ovest della Francia, guidati dal Cardinale Arcivescovo di Rennes, dai vostri Vescovi e dai vostri sacerdoti. So che anche la diocesi di Aix-en-Provence è ben rappresentata. Pastori e fedeli voi siete profondamente felici di ritrovarvi insieme alla fonte, due volte millenaria e sempre zampillante, dell’unità nella verità e nella carità di Cristo. Questa venuta a Roma sia per tutti e per ciascuno una nuova Pasqua, un passaggio veramente decisivo verso una vita secondo il Signore Gesù e il suo Vangelo! E proseguiremo tutti insieme, Papa e Vescovi, sacerdoti e laici cristiani, nella fiducia reciproca, nel coraggio e nella fedeltà, l’opera gigantesca della Redenzione del mondo. Non abbiate paura! Dio è con voi, e io gli chiedo di benedirvi, insieme alle vostre diocesi, alle vostre parrocchie e ai vostri luoghi di vita.


Ai rappresentanti della " Loyola University "

Sono felice di ricevere la visita del Presidente della Loyola University di Chicago, degli studenti e degli istituti del Rome Center. Voi avete un ruolo importante da giocare nella decisione del futuro del vostro Paese e del mondo intero. Le sfide che dovrete affrontare saranno serie. In Cristo troverete l’ispirazione e la forza di affrontarle con coraggio e nella verità, con la consapevolezza della vera grandezza della vostra umanità e con rispetto verso la dignità umana e individuale di tutti gli altri. Chiedo a Cristo di benedirvi, adesso e in futuro.

Ai partecipanti all’Assemblea annuale delle Pontificie Opere Missionarie

Saluto di cuore i Membri delle Pontificie Opere Missionarie, che hanno in questi giorni la loro Assemblea e che rivedo volentieri dopo l’incontro della primavera scorsa. Voglio ampiamente incoraggiare il vostro lavoro e dirvi quanto apprezzo ciò che fate per la causa missionaria, che è la causa di tutta la Chiesa e di Cristo stesso. Continuate con impegno e con entusiasmo la vostra zelante e competente dedizione allo studio e alla soluzione dei concreti problemi attinenti all’espansione del Regno di Dio. E Colui che non lascia senza ricompensa "anche solo un bicchiere di acqua fresca" dato ad un discepolo (Mt 10,42) vi colmi abbondantemente delle sue grazie.

Con la mia particolare Benedizione Apostolica.

Al pellegrinaggio di Oria (Brindisi)

Un cordiale saluto rivolgo ora al pellegrinaggio della diocesi di Oria, guidato dal Vescovo Monsignor De Giorgi, ed esprimo a tutti i partecipanti la mia gioia per questo incontro, che assume il significato di un evento di fede. Figli carissimi, so che questo pellegrinaggio si inserisce tra le numerose iniziative pastorali, poste in atto nella vostra diocesi durante questo Anno Mariano. Il mio augurio cordiale è che la devozione a Maria, tanto sentita nella vostra Terra, che diede i natali al venerabile Bartolo Longo, permanga viva nel cuore delle nuove generazioni e susciti in tutti propositi efficaci di generosa coerenza cristiana.

Ai trentini

E sono altrettanto lieto di porgere il mio affettuoso benvenuto ai pellegrini provenienti dall’antica e gloriosa Chiesa di Trento. A voi e al vostro zelante Pastore, Monsignor Alessandro Maria Gottardi, l’espressione della mia gratitudine per questa visita e l’augurio che la sosta sulle tombe degli Apostoli valga a corroborare l’impegno di proseguire generosamente nel cammino di fede, segnato dall’amore a Cristo, dalla fedeltà alla Chiesa e dalla carità verso i fratelli.

Ai due numerosi pellegrinaggi diocesani va la mia particolare Benedizione Apostolica.

Ai giovani

Vi domanderete, carissimi giovani, perché il Papa nei suoi discorsi ha sempre una parola particolare per voi. La risposta è semplice: egli ha l’inderogabile dovere di far avvicinare, quanto più possibile, l’umanità a Gesù, il quale, essendo Dio fatto uomo, è eternamente giovane e suscitatore di sempre più generose iniziative e di nuovi programmi di vita. Voi che siete alla ricerca di qualcosa che risponda alle vostre legittime aspirazioni e che pienamente vi soddisfino, per essere, a vostra volta, datori di gioia e di consolazione, avete in Gesù l’incomparabile modello. Egli, infatti, è la vera vita, la vera luce. Voi la potete godere, questa vita, nella sua pienezza; potete inebriarvi di questa luce attraverso l’esercizio delle virtù, santamente operose, della fede e della carità. Vi sarà dato, così, di poter diffondere di tali beni tra quanti incontrerete. Mentre vi invito a compiere quest’opera meravigliosa, vi accompagno con la mia Benedizione Apostolica estensibile a tutti i vostri cari.

Agli ammalati

Carissimi malati! Il Papa, come ripete continuamente in questi incontri e in quelli straordinari, vi è vicino con il suo costante ricordo, la sua comprensione, il suo affetto e la sua preghiera. So quanto bisogno avete di non sapervi soli nella vostra sofferenza. Ebbene, vi dico con tutta cordialità e umiltà: non perdetevi mai di coraggio, siate sempre vicini a Gesù, con Gesù; egli per primo è l’uomo dei dolori e di tutte le umane sofferenze; egli vi conforta con la presenza della sua grazia, vi ripete con il suo esempio, che voi siete preziosi collaboratori della Chiesa perché, come lui la rende feconda con il suo sacrificio, così voi ne impetrate con i vostri dolori la misericordia e particolari doni di assistenza e di protezione. Su di voi, sui vostri cari, su quanti vi curano discenda, a comune conforto, la Benedizione Apostolica.

Agli sposi

Ed ora a voi, sposi novelli, presenti a questa udienza per porgervi paterni auguri di un santa e feconda unione coniugale. Come ho avuto occasione di ribadire nel recente incontro con i rappresentanti del "Centro di collegamento tra gruppi di ricerca", il matrimonio proprio perché comporta una speciale partecipazione a quell’amore nuziale di Cristo e della sua Chiesa, di cui è sacramento, cioè segno efficace, è un totalità dove si incontrano tutte le componenti della persona; una unità profondamente personale, che esige l’indissolubilità e la fedeltà reciproca definitiva, e si apre alla fecondità. Abbia il vostro amore questo significato nuovo del cristianesimo che lo purifica e lo consolida: Con la mia benedizione apostolica per voi e per tutti i vostri cari.





Catechesi 79-2005 24109