Catechesi 79-2005 20180

Mercoledì, 2 gennaio 1980: La creazione come dono fondamentale e originario

20180
1. Ritorniamo all’analisi del testo della Genesi (
Gn 2,25), iniziato alcune settimane fa.

Secondo tale passo, l’uomo e la donna vedono se stessi quasi attraverso il mistero della creazione; vedono se stessi in questo modo, prima di conoscere "di essere nudi". Questo reciproco vedersi, non è solo una partecipazione all’"esteriore" percezione del mondo, ma ha anche una dimensione interiore di partecipazione alla visione dello stesso Creatore - di quella visione di cui parla più volte il racconto del capitolo primo: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona" (Gn 1,31). La "nudità" significa il bene originario della visione divina. Essa significa tutta la semplicità e pienezza della visione attraverso la quale si manifesta il valore "puro" dell’uomo quale maschio e femmina, il valore "puro" del corpo e del sesso. La situazione che viene indicata, in modo così conciso e insieme suggestivo, dall’originaria rivelazione del corpo come risulta in particolare dal Genesi Gn 2,25, non conosce interiore rottura e contrapposizione tra ciò che è spirituale e ciò che è sensibile, così come non conosce rottura e contrapposizione tra ciò che umanamente costituisce la persona e ciò che nell’uomo è determinato dal sesso: ciò che è maschile e femminile.

Vedendosi reciprocamente, quasi attraverso il mistero stesso della creazione, uomo e donna vedono se stessi ancor più pienamente e più distintamente che non attraverso il senso stesso della vista, attraverso cioè gli occhi del corpo. Vedono infatti, e conoscono se stessi con tutta la pace dello sguardo interiore, che crea appunto la pienezza dell’intimità delle persone. Se la "vergogna" porta con sé una specifica limitazione del vedere mediante gli occhi del corpo, ciò avviene soprattutto perché l’intimità personale è come turbata e quasi "minacciata" da tale visione. Secondo Genesi 2, 25, l’uomo e la donna "non provavano vergogna": vedendo e conoscendo se stessi in tutta la pace e tranquillità dello sguardo interiore, essi "comunicano" nella pienezza dell’umanità, che si manifesta in loro come reciproca complementarietà proprio perché "maschile" e "femminile". Al tempo stesso, "comunicano" in base a quella comunione delle persone, nella quale, attraverso la femminilità e la mascolinità essi diventano dono vicendevole l’una per l’altra. In questo modo raggiungono nella reciprocità una particolare comprensione del significato del proprio corpo. L’originario significato della nudità corrisponde a quella semplicità e pienezza di visione, nella quale la comprensione del significato del corpo nasce quasi nel cuore stesso della loro comunità-comunione. La chiameremo "sponsale". L’uomo e la donna in Genesi Gn 2,23-25 emergono, al "principio" stesso appunto, con questa coscienza del significato del proprio corpo. Ciò merita un’analisi approfondita.

2. Se il racconto della creazione dell’uomo nelle due versioni, quella del capitolo primo e quella jahvista del capitolo secondo ci permette di stabilire il significato originario della solitudine, dell’unità e della nudità, per ciò stesso ci permette anche di ritrovarci sul terreno di un’adeguata antropologia, che cerca di comprendere e di interpretare l’uomo in ciò che è essenzialmente umano. (Il concetto di "antropologia adeguata" è stato spiegato nel testo stesso come "comprensione e interpretazione dell’uomo in ciò che è essenzialmente umano". Questo concetto determina il principio stesso di riduzione, proprio della filosofia dell’uomo, indica il limite di questo principio, e indirettamente esclude che si possa varcare questo limite. L’antropologia "adeguata" poggia sull’esperienza essenzialmente "umana", opponendosi al riduzionismo di tipo "naturalistico", che va spesso di pari passo con la teoria evoluzionista circa gli inizi dell’uomo.)

I testi biblici contengono gli elementi essenziali di tale antropologia, che si manifestano nel contesto teologico dell’"immagine di Dio". Questo concetto nasconde in sé la radice stessa della verità sull’uomo, rivelata attraverso quel "principio", al quale Cristo si richiama nel colloquio con i farisei (cf. Mt 19,3-9), parlando della creazione dell’uomo come maschio e femmina. Bisogna ricordare che tutte le analisi che qui facciamo, si ricollegano, almeno indirettamente, proprio a queste sue parole. L’uomo, che Dio ha creato "maschio e femmina", reca l’immagine divina impressa nel corpo "da principio"; uomo e donna costituiscono quasi due diversi modi dell’umano "esser corpo" nell’unità di quell’immagine.

Ora, conviene rivolgersi nuovamente a quelle fondamentali parole di cui Cristo si è servito, cioè alla parola "creò" e al soggetto "Creatore", introducendo nelle considerazioni fatte finora una nuova dimensione, un nuovo criterio di comprensione e di interpretazione, che chiameremo "ermeneutica del dono". La dimensione del dono decide della verità essenziale e della profondità di significato dell’originaria solitudine-unità-nudità. Essa sta anche nel cuore stesso del mistero della creazione, che ci permette di costruire la teologia del corpo "da principio", ma esige, nello stesso tempo, che noi la costruiamo proprio in tale modo.

3. La parola "creò", in bocca a Cristo, contiene la stessa verità che troviamo nel Libro della Genesi. Il primo racconto della creazione ripete più volte questa parola, da Genesi Gn 1,1 ("in principio Dio creò il cielo e la terra") fino a Genesi Gn 1,27 ("Dio creò l’uomo a sua immagine"). (Il termine ebraico "bara" creò, usato esclusivamente per determinare l’azione di Dio, appare nel racconto della creazione soltanto nel v. 1 [creazione del cielo e della terra], nel v. 21 [creazione degli animali] e nel v. 27 [creazione dell’uomo]; qui però appare addirittura tre volte. Ciò significa la pienezza e la perfezione di quell’atto che è la creazione dell’uomo, maschio e femmina. Tale iterazione indica che l’opera della creazione ha raggiunto qui il suo punto culminante.) Dio rivela se stesso soprattutto come Creatore. Cristo si richiama a quella fondamentale rivelazione racchiusa nel Libro della Genesi. Il concetto di creazione ha in esso tutta la sua profondità non soltanto metafisica, ma anche pienamente teologica. Creatore è colui che "chiama all’esistenza dal nulla", e che stabilisce nell’esistenza il mondo e l’uomo nel mondo, perché Egli "è amore" (1Jn 4,8). A dire il vero, non troviamo questa parola amore (Dio è amore) nel racconto della creazione; tuttavia questo racconto ripete spesso: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona". Attraverso queste parole noi siamo avviati ad intravvedere nell’amore il motivo divino della creazione, quasi la sorgente da cui. essa scaturisce: soltanto l’amore infatti dà inizio al bene e si compiace del bene (cf. 1Co 13). La creazione perciò, come azione di Dio, significa non soltanto il chiamare dal nulla all’esistenza e lo stabilire l’esistenza del mondo e dell’uomo nel mondo, ma significa anche, secondo la prima narrazione "beresit bara", donazione; una donazione fondamentale e "radicale", vale a dire, una donazione in cui il dono sorge proprio dal nulla.


4. La lettura dei primi capitoli del Libro della Genesi ci introduce nel mistero della creazione, dell’inizio cioè del mondo per volere di Dio, il quale è onnipotenza e amore. Di conseguenza, ogni creatura porta in sé il segno del dono originario e fondamentale.

Tuttavia, nello stesso tempo, il concetto di "donare" non può riferirsi ad un nulla. Esso indica colui che dona e colui che riceve il dono, ed anche la relazione che si stabilisce tra di loro. Ora, tale relazione emerge nel racconto della creazione nel momento stesso della creazione dell’uomo. Questa relazione è manifestata soprattutto dall’espressione: "Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò" (Gn 1,27). Nel racconto della creazione del mondo visibile il donare ha senso soltanto rispetto all’uomo. In tutta l’opera della creazione, solo di lui si può dire che è stato gratificato di un dono: il mondo visibile è stato creato "per lui". Il racconto biblico della creazione ci offre motivi sufficienti per una tale comprensione e interpretazione: la creazione è un dono, perché in essa appare l’uomo che, come "immagine di Dio", è capace di comprendere il senso stesso del dono nella chiamata dal nulla all’esistenza. Ed egli è capace di rispondere al Creatore col linguaggio di questa comprensione. Interpretando appunto con tale linguaggio il racconto della creazione, si può dedurne che essa costituisce il dono fondamentale e originario: l’uomo appare nella creazione come colui che ha ricevuto in dono il mondo, e viceversa può dirsi anche che il mondo ha ricevuto in dono l’uomo.

Dobbiamo, a questo punto, interrompere la nostra analisi. Ciò che abbiamo detto finora è in strettissimo rapporto con tutta la problematica antropologica del "principio". L’uomo vi appare come "creato", cioè come colui che, in mezzo al "mondo", ha ricevuto in dono l’altro uomo. E proprio questa dimensione del dono noi dovremo sottoporre in seguito ad una profonda analisi, per comprendere anche il significato del corpo umano nella sua giusta misura. Sarà, questo, l’oggetto delle nostre prossime meditazioni.

Saluti:

Ad un gruppo di pellegrini provenienti dal Giappone


Ai giovani orchestrali del complesso "Orfeo Laudate" di Barcellona



Ai dirigenti e agli operai di un’industria di Tolentino

Partecipano all'udienza odierna i dirigenti e gli operai dello Stabilimento "Poltrona Frau" di Tolentino. Carissimi! Vi saluto e vi ringrazio vivamente per la vostra affettuosa presenza e per il vostro gentile dono, che ho molto apprezzato.

Di cuore auspico che, insieme alla buona volontà nell’esplicazione delle vostre capacità tecniche, sia sempre presente in voi anche tanta fede in Dio e tanta bontà verso il prossimo, ricordando che, redenti da Cristo, camminiamo con Lui ogni giorno verso la Patria celeste.

Colgo poi volentieri l’occasione per salutare in voi, in questa prima Udienza del nuovo anno, tutti i lavoratori del mondo, ai quali rivolgo, con particolare intensità di sentimento, gli auguri più fervidi di ogni bene, con l’assicurazione del mio affettuoso ricordo, della mia viva sollecitudine per loro, e della mia preghiera.

A tutti sia di aiuto e di conforto la mia propiziatrice Benedizione!

Ai giovani

Un saluto particolarmente affettuoso desidero rivolgere oggi ai giovani e alle giovani presenti a questa Udienza. Carissimi! Voi siete i portatori della speranza per gli anni Ottanta! L’inizio di questo nuovo anno sia per voi uno sprone per inserire con la vostra vita nella società contemporanea i fermenti fecondi di bene, di amore, di pace, di solidarietà, contenuti nel messaggio di Gesù, e che sono capaci di rinnovare veramente il mondo.

Agli ammalati

Desidero in special modo salutare i giovani invalidi di Vibo Valenzia. Ad essi ed a tutti i fratelli ammalati indirizzo una parola di incoraggiamento, di conforto, di certezza cristiana. Il Verbo di Dio ha sperimentato nella sua natura umana anche la sofferenza e persino la morte. L’Incarnazione è una grande luce, che si riverbera nel drammatico problema del dolore umano, sempre vivo e sempre attuale. Fratelli carissimi, che siete uniti alle sofferenze di Cristo, per l’umanità; il dono della vostra speranza, radicata nella risurrezione di Cristo.

Agli Sposi novelli

Né posso dimenticare i novelli sposi, che in questi giorni di fronte a Dio ed alla Chiesa si sono reciprocamente giurati eterno amore ed assoluta fedeltà. Sorelle e Fratelli carissimi, siate sempre consapevoli di essere, sulla terra, il segno dell’amore profondo tra il Cristo e la sua Chiesa. Per vivere autenticamente la realtà cristiana del vostro Matrimonio, contemplate ed imitate la Santa Famiglia di Nazareth. L’unione con Dio, la fiducia nella Provvidenza, la fedeltà al dovere quotidiano, l’amore vicendevole aperto verso gli altri: ecco alcuni dei grandi valori umani e cristiani che potete e dovete attuare alla luce degli esempi di quella fortunata Famiglia, in cui nacque e visse la sua vita umana il Figlio di Dio incarnato.

A tutti voi la mia Benedizione Apostolica.





Mercoledì, 9 gennaio 1980: La rivelazione e la scoperta del significato sponsale del corpo

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1. Rileggendo ed analizzando il secondo racconto della creazione, cioè il testo jahvista, dobbiamo chiederci se il primo "uomo" (adam), nella sua solitudine originaria, "vivesse" il mondo veramente quale dono, con atteggiamento conforme alla condizione effettiva di chi ha ricevuto un dono, quale risulta dal racconto del capitolo primo. Il secondo racconto ci mostra infatti l’uomo nel giardino dell’Eden (cf.
Gn 2,8); ma dobbiamo osservare che, pur in questa situazione di felicità originaria, lo stesso Creatore (Dio Jahvè) e poi anche l’"uomo", invece di sottolineare l’aspetto del mondo come dono soggettivamente beatificante, creato per l’uomo (cf. Gn 1,26-29), rilevano che l’uomo è "solo". Abbiamo già analizzato il significato della solitudine originaria; ora, però, è necessario notare che per la prima volta appare chiaramente una certa carenza di bene: "Non è bene che l’uomo (maschio) sia solo" - dice Dio Jahvè - "gli voglio fare un aiuto..." (Gn 2,18). La stessa cosa afferma il primo "uomo"; anche lui, dopo aver preso coscienza fino in fondo della propria solitudine tra tutti gli esseri viventi sulla terra, attende un "aiuto che gli sia simile" (cf. Gn 2,20). Infatti, nessuno di questi esseri (animalia) offre all’uomo le condizioni di base, che rendano possibile esistere in una relazione di reciproco dono.

2. Così, dunque, queste due espressioni, cioè l’aggettivo "solo" e il sostantivo "aiuto", sembrano essere veramente la chiave per comprendere l’essenza stessa del dono a livello d’uomo, come contenuto esistenziale iscritto nella verità dell’"immagine di Dio". Infatti il dono rivela, per così dire, una particolare caratteristica dell’esistenza personale, anzi della stessa essenza della persona. Quando Dio Jahvè dice che "non è bene che l’uomo sia solo" (Gn 2,18), afferma che da "solo" l’uomo non realizza totalmente questa essenza. La realizza soltanto esistendo "con qualcuno" - e ancor più profondamente e più completamente: esistendo "per qualcuno". Questa norma dell’esistere come persona è dimostrato nel Libro della Genesi come caratteristica della creazione, appunto mediante il significato di queste due parole: "solo" e "aiuto". Sono proprio esse che indicano quanto fondamentale e costitutiva per l’uomo sia la relazione e la comunione delle persone. Comunione delle persone significa esistere in un reciproco "per", in una relazione di reciproco dono. E questa relazione è appunto il compimento della solitudine originaria dell’"uomo".

3. Tale compimento è, nella sua origine, beatificante. Senza dubbio esso è implicito nella felicità originaria dell’uomo, e appunto costituisce quella felicità che appartiene al mistero della creazione fatta per amore, cioè appartiene all’essenza stessa del donare creativo. Quando l’uomo-"maschio", svegliato dal sonno genesiaco, vede l’uomo-"femmina" da lui tratta, dice: "questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa" (Gen 2,23); queste parole esprimono, in un certo senso, l’inizio soggettivamente beatificante dell’esistenza dell’uomo nel mondo. In quanto verificatosi al "principio", ciò conferma il processo di individuazione dell’uomo nel mondo, e nasce, per così dire, dalla profondità stessa della sua solitudine umana, che egli vive come persona di fronte a tutte le altre creature e a tutti gli esseri viventi (animalia). Anche questo "principio" appartiene quindi ad una antropologia adeguata e può sempre essere verificato in base ad essa. Tale verifica puramente antropologica ci porta, nello stesso tempo, al tema della "persona e al tema del "corpo-sesso".

Questa contemporaneità è essenziale. Se infatti trattassimo del sesso senza la persona, sarebbe distrutta tutta l’adeguatezza dell’antropologia, che troviamo nel Libro della Genesi. E per il nostro studio teologico sarebbe allora velata la luce essenziale della rivelazione del corpo, che in queste prime affermazioni traspare con tanta pienezza.

4. C’è un forte legame tra il mistero della creazione, quale dono che scaturisce dall’Amore, e quel "principio" beatificante dell’esistenza dell’uomo come maschio e femmina, in tutta la verità del loro corpo e del loro sesso, che è semplice e pura verità di comunione tra le persone. Quando il primo uomo, alla vista della donna, esclama: "È carne dalla mia carne, e osso dalle mie ossa" (Gn 2,23), afferma semplicemente l’identità umana di entrambi. Così esclamando, egli sembra dire: ecco un corpo che esprime la "persona"! Seguendo un precedente passo del testo jahvista, si può anche dire: questo "corpo" rivela l’"anima vivente", quale l’uomo diventò quando Dio Jahvè alitò la vita in lui (cf. Gn 2,7), per cui ebbe inizio la sua solitudine di fronte a tutti gli altri esseri viventi. Proprio attraverso la profondità di quella solitudine originaria, l’uomo emerge ora nella dimensione del dono reciproco, la cui espressione - che per ciò stesso è espressione della sua esistenza come persona - è il corpo umano in tutta la verità originaria della sua mascolinità e femminilità. Il corpo, che esprime la femminilità "per" la mascolinità e viceversa la mascolinità "per" la femminilità, manifesta la reciprocità e la comunione delle persone. La esprime attraverso il dono come caratteristica fondamentale dell’esistenza personale. Questo è il corpo: testimone della creazione come di un dono fondamentale, quindi testimone dell’Amore come sorgente, da cui è nato questo stesso donare. La mascolinità-femminilità - cioè il sesso - è il segno originario di una donazione creatrice di una presa di coscienza da parte dell’uomo, maschio-femmina, un dono vissuto per così dire in modo originario. Tale è il significato, con cui il sesso entra nella teologia del corpo.

5. Quell’"inizio"beatificante dell’essere e dell’esistere dell’uomo, come maschio e femmina, è collegato con la rivelazione e con la scoperta del significato del corpo, che conviene chiamare "sposale". Se parliamo di rivelazione ed insieme di scoperta, la facciamo in rapporto alla specificità del testo jahvista, nel quale il filo teologico è anche antropologico, anzi appare come una certa realtà coscientemente vissuta dall’uomo. Abbiamo già osservato che alle parole che esprimono la prima gioia del comparire dell’uomo all’esistenza come "maschio e femmina" (Gn 2,23) segue il versetto che stabilisce la loro unità coniugale (Gn 2,24), e poi quello che attesta la nudità di entrambi, priva di reciproca vergogna (Gn 2,25). Proprio questo significativo confronto ci permette di parlare della rivelazione ed insieme della scoperta del significato "sponsale" del corpo nel mistero stesso della creazione. Questo significato (in quanto rivelato ed anche cosciente, "vissuto" dall’uomo) conferma fino in fondo che il donare creativo, che scaturisce dall’Amore, ha raggiunto la coscienza originaria dell’uomo, diventando esperienza di reciproco dono, come si percepisce già nel testo arcaico. Di ciò sembra anche testimoniare - forse perfino in modo specifico - quella nudità di entrambi i progenitori, libera dalla vergogna.

6. Genesi Gn 2,24 parla della finalizzazione della mascolinità e femminilità dell’uomo, nella vita dei coniugi-genitori. Unendosi tra loro così strettamente da diventare "una sola carne", questi sottoporranno, in certo senso, la loro umanità alla benedizione della fecondità, cioè della "procreazione", di cui parla il primo racconto (Gn 1,28). L’uomo entra "in essere" con la coscienza di questa finalizzazione della propria mascolinità-femminilità, cioè della propria sessualità. Nello stesso tempo, le parole di Genesi Gn 2,25: "Tutti e due erano nudi ma non ne provavano vergogna", sembrano aggiungere a questa fondamentale verità del significato del corpo umano, della sua mascolinità e femminilità, un’altra verità non meno essenziale e fondamentale. L’uomo, consapevole della capacità procreativa del proprio corpo e del proprio sesso, è nello stesso tempo libero dalla "costrizione" del proprio corpo e sesso.

Quella nudità originaria, reciproca e ad un tempo non gravata dalla vergogna, esprime tale libertà interiore dell’uomo. È, questa, la libertà dall’"istinto sessuale"? Il concetto di "istinto" implica già una costrizione interiore, analogicamente all’istinto che stimola la fecondità e la procreazione in tutto il mondo degli esseri viventi (animalia). Sembra, però, che tutti e due i testi del Libro della Genesi, il primo e il secondo racconto della creazione dell’uomo, colleghino sufficientemente la prospettiva della procreazione con la fondamentale caratteristica della esistenza umana in senso personale. Di conseguenza l’analogia del corpo umano e del sesso in rapporto al mondo degli animali - che possiamo chiamare analogia "della natura" - in tutti e due i racconti (benché in ciascuno in modo diverso) è elevata anch’essa, in un certo senso, a livello di "immagine di Dio", e a livello di persona e di comunione tra le persone.

A questo problema essenziale occorrerà dedicare ancora altre analisi. Per la coscienza dell’uomo - anche per l’uomo contemporaneo - è importante sapere che in quei testi biblici che parlano del "principio" dell’uomo, si trova la rivelazione del "significato sponsale del corpo". Però è ancor più importante stabilire che cosa esprima propriamente questo significato.

Saluti:

Ad una Famiglia di rifugiati Vietnamiti (francese)

Ai membri della Facoltà Teologica Protestante di Losanna (Francese)


Ai volontari in procinto di partire per la Thailandia

E’ PRESENTE a questa Udienza un gruppo di Medici e di Infermiere, i quali rispondendo all’appello lanciato dalla Caritas Italiana, nei prossimi giorni partiranno volontari per la Thailandia al fine di prestare assistenza sanitaria ai profughi cambogiani, colà rifugiati. E’ questo un gesto altamente umanitario ed evangelico, che merita il nostro plauso e il nostro incoraggiamento. Il Signore renda merito alla vostra opera di solidarietà umana e cristiana e sostenga il vostro sforzo generoso, affinché sia di sollievo a tante sofferenze e valga a riportare il sorriso su tanti volti segnati dal dolore.


Ad un gruppo di sacerdoti provenienti da varie nazioni d’Europa

DESIDERO ANCORA rivolgere un cordiale saluto ai sacerdoti, provenienti da varie nazioni d’Europa, che in questi giorni partecipano ad un convegno sul tema "La carità come ideale di vita", presso il Centro Mariapoli dei Focolarini, a Rocca di Papa.

Carissimi Sacerdoti, mi compiaccio vivamente con voi e vi ringrazio per quello che siete e per quello che fate: quali sacerdoti di Dio e collaboratori dei vostri Vescovi nel reggere la Chiesa e nel guidare le anime verso la salvezza. Ricordatevi sempre delle parole di Gesù ai suoi discepoli, nell’ultima cena: "Rimanete nel mio amore". Rimanere nell’amore di Cristo è il primo e più corroborante dovere della vostra vita sacerdotale. E’ l’atteggiamento più vero di chi ha ricevuto l’investitura di "dispensatore dei misteri di Dio". E’ la risposta più bella a Colui che vi ha prescelti ad essere suoi amici e suoi messaggeri nel mondo per la sua maggiore gloria. Il Signore benedica i vostri propositi e la vostra generosa testimonianza.


Ai giovani

ED ORA mi rivolgo a voi, carissimi Giovani, Ragazzi e Fanciulli, presenti a questa Udienza, per porgervi il mio particolare saluto ed augurio.

Siamo ancora vicini alle grandi Festività del Santo Natale e dell’Epifania, e perciò rinnovo la mia esortazione a tenere lo sguardo fisso alla stella luminosa di Betlemme, come fecero i Magi venuti dall’Oriente.

E la stella è Gesù, perché Lui solo, nel tumulto e nel travaglio della storia e della stessa nostra esistenza, ci indica la strada giusta della nostra vita e ci aiuta a percorrerla. Vi auguro di cuore che l’Anno Nuovo, da poco iniziato, sia per voi tutti un anno di intima amicizia con Gesù, approfondendo la conoscenza del Vangelo, vivendo nella sua grazia, imitandolo nella carità verso il prossimo.

E vi accompagni anche la mia paterna Benedizione!


Agli ammalati

ANCHE A VOI, carissimi ammalati, che avete voluto partecipare all’Udienza, giunga il mio saluto particolarmente affettuoso.

Specialmente per voi, infermi e sofferenti, Gesù, il Verbo Divino incarnatosi a Betlemme, è la luce che vi illumina e vi guida nell’accettazione della vostra malattia, nella speranza della guarigione, nella certezza che le vostre pene diventeranno gioia e gloria eterna per il cielo.

Come i Magi, venuti da lontano per adorare il Divino Bambino, portate i vostri doni preziosi: l’oro del vostro dolore, l’incenso della vostra fede, la mirra della vostra pazienza.

E mentre vi auguro di cuore la stessa gioia dei Magi, nell’abbandono sereno alla Divina Provvidenza, vi imparto la confortatrice Benedizione.


Agli sposi novelli

CARISSIMI SPOSI NOVELLI! Anche a voi rivolgo il mio saluto. Voi siete entrati con il Matrimonio in una nuova fase della vostra vita e vi affacciate trepidanti al futuro.

Non perdetevi mai di coraggio, ma come i Magi del Vangelo seguite la stella della vostra Fede cristiana, convinti che la famiglia è un "progetto" di Dio che ha voluto esprimere il suo amore creatore e redentore attraverso l’uomo e la donna, fatti a sua immagine e somiglianza.

Tenendo presente la famiglia di Nazareth, cercate di essere voi stessi una continua "epifania", e cioé "manifestazione" di Cristo, con la vostra religiosità, la vostra unione, la vostra bontà.

E la gioia del Divin Salvatore riempia sempre i vostri cuori! Questo è l’augurio che vi lascio, insieme con la propiziatrice Benedizione.


Mercoledì, 16 gennaio 1980: L’uomo-persona diventa dono nella libertà dell’amore

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1. Continuiamo oggi l’analisi dei testi del Libro della Genesi, che abbiamo intrapreso secondo la linea dell’insegnamento di Cristo. Ricordiamo, infatti, che, nel colloquio sul matrimonio, Egli si è richiamato al "principio".

La rivelazione, ed insieme la scoperta originaria del significato "sponsale" del corpo, consiste nel presentare l’uomo, maschio e femmina, in tutta la realtà e verità del suo corpo e sesso ("erano nudi") e nello stesso tempo nella piena libertà da ogni costrizione del corpo e del sesso. Di ciò sembra testimoniare la nudità dei progenitori, interiormente liberi dalla vergogna. Si può dire che, creati dall’Amore, cioè dotati nel loro essere di mascolinità e femminilità, entrambi sono "nudi" perché sono liberi della stessa libertà del dono.Questa libertà sta appunto alla base del significato sponsale del corpo. Il corpo umano, con il suo sesso, e la sua mascolinità e femminilità, visto nel mistero stesso delle creazione, è non soltanto sorgente di fecondità e di procreazione, come in tutto l’ordine naturale, ma racchiude fin "dal principio" l’attributo "sponsale", cioè la capacità di esprimere l’amore: quell’amore appunto nel quale l’uomo-persona diventa dono e - mediante questo dono - attua il senso stesso del suo essere ed esistere. Ricordiamo qui il testo dell’ultimo Concilio, dove si dichiara che l’uomo è l’unica creatura nel mondo visibile che Dio abbia voluto "per se stessa", aggiungendo che quest’uomo non può "ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé".(Anzi, quando il Signore Gesù prega il Padre, perché "tutti siano una cosa sola, come te siamo una cosa sola" [
Jn 17,21-22] mettendoci davanti orizzonti impervi alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l’unione delle persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nella carità. Questa similitudine manifesta che l’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé [Gaudium et Spes, GS 24]. L’analisi strettamente teologica del "Libro della Genesi", in particolare Gn 2, 23-25, ci consente di far riferimento a questo testo. Ciò costituisce un altro passo tra "antropologia adeguata" e "teologia del corpo", strettamente legata alla scoperta delle caratteristiche essenziali dell’esistenza personale nella "preistoria teologica" dell’uomo. Sebbene questo possa incontrare resistenza da parte della mentalità evoluzionistica [anche tra i teologi], tuttavia sarebbe difficile non accorgersi che il testo analizzato del "Libro della Genesi", specialmente Gn 2,23-25, dimostra la dimensione non soltanto "originaria", ma anche "esemplare" dell’esistenza delI’uomo, in particolare dell’uomo "come maschio e femmina".)

2. La radice di quella nudità originaria libera dalla vergogna, di cui parla Genesi 2,25, si deve cercare proprio in quella integrale verità sull’uomo. Uomo o donna, nel contesto del loro a principio" beatificante, sono liberi della stessa libertà del dono. Infatti, per poter rimanere nel rapporto del "dono sincero di sé" e per diventare un tale dono l’uno per l’altro attraverso tutta la loro umanità fatta di femminilità e mascolinità (anche in rapporto a quella prospettiva di cui parla Gn 2,24), essi debbono essere liberi proprio in questo modo. Intendiamo qui la libertà soprattutto come padronanza di se stessi (autodominio). Sotto questo aspetto, essa è indispensabile perché l’uomo possa "dare se stesso", perché possa diventare dono, perché (riferendoci alle parole del Concilio) possa "ritrovarsi pienamente" attraverso "un dono sincero di sé". Così, le parole "erano nudi e non ne provavano vergogna" si possono e si devono intendere come rivelazione - ed insieme riscoperta - della libertà, che rende possibile e qualifica il senso "sponsale" del corpo.

3. Genesi Gn 2,25 dice però ancora di più. Difatti, questo passo indica la possibilità e la qualifica di tale reciproca "esperienza del corpo". E inoltre ci permette di identificare quel significato sponsale del corpo in actu. Quando leggiamo che "erano nudi, ma non ne provavano vergogna", ne tocchiamo indirettamente quasi la radice, e direttamente già i frutti. Liberi interiormente dalla costrizione del proprio corpo e sesso, liberi della libertà del dono, uomo e donna potevano fruire di tutta la verità, di tutta l’evidenza umana, così come Dio Jahvè le aveva rivelate a loro nel mistero della creazione. Questa verità sull’uomo, che il testo conciliare precisa con le parole sopra citate, ha due principali accenti. Il primo afferma che l’uomo è l’unica creatura nel mondo che il Creatore abbia voluto "per se stessa"; il secondo consiste nel dire che questo stesso uomo, voluto in tal modo dal Creatore fin dal "principio", può ritrovare se stesso soltanto attraverso un dono disinteressato di sé. Ora, questa verità circa l’uomo, che in particolare sembra cogliere la condizione originaria collegata al "principio" stesso dell’uomo nel mistero della creazione, può essere riletta - in base al testo conciliare - in entrambe le direzioni. Una tale rilettura ci aiuta a capire ancora maggiormente il significato sponsale del corpo, che appare iscritto nella condizione originaria dell’uomo e della donna (secondo Gn 2,23-25) e in particolare nel significato della loro nudità originaria.

Se, come abbiamo costatato, alla radice della nudità c’è l’interiore libertà del dono - dono disinteressato di se stessi - proprio quel dono permette ad ambedue, uomo e donna, di ritrovarsi reciprocamente, in quanto il Creatore ha voluto ciascuno di loro "per se stesso" (cf. Gaudium et Spes GS 24). Così l’uomo nel primo incontro beatificante, ritrova la donna, ed essa ritrova lui. In questo modo egli accoglie interiormente lei; l’accoglie così come essa è voluta "per se stessa" dal Creatore, come è costituita nel mistero dell’immagine di Dio attraverso la sua femminilità; e, reciprocamente, essa accoglie lui nello stesso modo, come egli è voluto "per se stesso" dal Creatore, e da Lui costituito mediante la sua mascolinità. In ciò consiste la rivelazione e la scoperta del significato "sponsale" del corpo. La narrazione jahvista, e in particolare Genesi 2,25, ci permette di dedurre che l’uomo, come maschio e femmina, entra nel mondo appunto con questa coscienza del significato del proprio corpo, della sua mascolinità e femminilità.

4. Il corpo umano, orientato interiormente dal "dono sincero" della persona, rivela non soltanto la sua mascolinità o femminilità sul piano fisico, ma rivela anche un tale valore e una tale bellezza da oltrepassare la dimensione semplicemente fisica della "sessualità". (La tradizione biblica riferisce un’eco lontana della perfezione fisica del primo uomo. Il profeta Ezechiele, paragonando implicitamente il re di Tiro con Adamo nell’Eden, scrive così: "Tu eri un modello di perfezione, / pieno di sapienza, / perfetto in bellezza; / in Eden, giardino di Dio..." [Ez 28,12-13]). In questo modo si completa in un certo senso la coscienza del significato sponsale del corpo, collegato alla mascolinità-femminilità dell’uomo. Da una parte, questo significato indica una particolare capacità di esprimere l’amore, in cui l’uomo diventa dono; dall’altra, gli corrisponde la capacità e la profonda disponibilità all’"affermazione della persona", cioè, letteralmente, la capacità di vivere il fatto che l’altro - la donna per l’uomo e l’uomo per la donna - è, per mezzo del corpo, qualcuno voluto dal Creatore "per se stesso", cioè l’unico ed irripetibile: qualcuno scelto dall’eterno Amore.

L’"affermazione della persona" non è nient’altro che accoglienza del dono, la quale, mediante la reciprocità, crea la comunione delle persone; questa si costruisce dal di dentro, comprendendo pure tutta l’"esteriorità" dell’uomo, cioè tutto quello che costituisce la nudità pura e semplice del corpo nella sua mascolinità e femminilità. Allora - come leggiamo in Genesi Gn 2,25 - l’uomo e la donna non provavano vergogna. L’espressione biblica "non provavano" indica direttamente "l’esperienza" come dimensione soggettiva.

5. Proprio in tale dimensione soggettiva, come due "io" umani determinati dalla loro mascolinità e femminilità, appaiono entrambi, uomo e donna, nel mistero del loro beatificante "principio" (ci troviamo nello stato della innocenza originaria e, simultaneamente, della felicità originaria dell’uomo). Questo apparire è breve, poiché comprende solo qualche versetto nel Libro della Genesi; tuttavia è pieno di un sorprendente contenuto, teologico ed insieme antropologico. La rivelazione e la scoperta del significato sponsale del corpo spiegano la felicità originaria dell’uomo e, ad un tempo, aprono la prospettiva della sua storia terrena, nella quale egli non si sottrarrà mai a questo indispensabile "tema" della propria esistenza.

I versetti seguenti del Libro della Genesi, secondo il testo jahvista del capitolo 3, dimostrano, a dire il vero, che questa prospettiva "storica" si costruirà in modo diverso dal "principio" beatificante (dopo il peccato originale). Tanto più, però, bisogna penetrare profondamente nella struttura misteriosa, teologica ed insieme antropologica, di tale "principio". Infatti, in tutta la prospettiva della propria "storia", l’uomo non mancherà di conferire un significato sponsale al proprio corpo. Anche se questo significato subisce e subirà molteplici deformazioni, esso rimarrà sempre il livello più profondo, che esige di essere rivelato in tutta la sua semplicità e purezza, e manifestarsi in tutta la sua verità, quale segno dell’"immagine di Dio". Di qui passa anche la strada che va dal mistero della creazione alla "redenzione del corpo" (cf. Rm 8).

Rimanendo, per ora, sulla soglia di questa prospettiva storica, ci rendiamo chiaramente conto, in base a Genesi 2,23-25, dello stesso legame che esiste tra la rivelazione e la scoperta del significato sponsale del corpo e la felicità originaria dell’uomo. Un tale significato "sponsale" è anche beatificante e, come tale, manifesta in definitiva tutta la realtà di quella donazione, di cui ci parlano le prime pagine del Libro della Genesi. La loro lettura ci convince del fatto che la coscienza del significato del corpo che ne deriva - in particolare del suo significato "sponsale" - costituisce la componente fondamentale dell’esistenza umana nel mondo.

Questo significato "sponsale" del corpo umano si può capire solamente nel contesto della persona. Il corpo ha un significato "sponsale" perché l’uomo-persona, come dice il Concilio, è una creatura che Iddio ha voluto per se stessa, e che, simultaneamente, non può ritrovarsi pienamente se non mediante il dono di sé.

Se Cristo ha rivelato all’uomo ed alla donna, al di sopra della vocazione al matrimonio, un’altra vocazione - quella cioè di rinunciare al matrimonio, in vista del Regno dei Cieli -, con questa vocazione ha messo in rilievo la medesima verità sulla persona umana. Se un uomo o una donna sono capaci di fare dono di sé per il regno dei cieli, questo prova a sua volta (e forse anche maggiormente) che c’è la libertà del dono nel corpo umano. Vuol dire che questo corpo possiede un pieno significato "sponsale".

Saluti:

Ai giovani del Movimento Gen



Al complesso musicale "Chieftains"


Al pellegrinaggio dei medici fiorentini

DESIDERO ORA riservare un particolare saluto al gruppo di medici fiorentini, aderenti al Movimento per la Vita.

Vi ringrazio vivamente, cari Fratelli, per la vostra visita e sono lieto di esprimervi il mio incoraggiamento per il vostro impegno di difesa e di promozione della vita umana fin dal concepimento. Il Signore benedica la vostra dedizione, mentre auspico che la vostra testimonianza valga a far penetrare nei costumi e nelle leggi la logica della vita.

Di cuore imparto a voi ed alle vostre famiglie la mia Benedizione.

Ai bambini del "Presepio vivente"

UN SALUTO BENEDICENTE poi ai bambini romani, allievi delle Ancelle di Maria Immacolata, che hanno rappresentato durante il periodo natalizio un grazioso "Presepio vivente".

Cari fanciulli, voi avete impersonato Gesù, la Madonna Santissima, San Giuseppe, i Pastori, i Magi; imitatene le virtù, seguitene gli esempi, crescete lieti e buoni.

Agli alunni della scuola media "Monte Sacro" di Roma

UN CALDO BENVENUTO anche a voi, insegnanti e alunni della scuola media statale "Monte Sacro" di Roma. Al mio saluto si aggiunge il compiacimento per la presenza anche dei genitori. L’opera educativa a voi rivolta in questa delicata età della vostra vita, cari ragazzi, è complementare: è opera, cioè, della famiglia e della scuola. Dio benedica e renda efficace per il vostro futuro umano e cristiano quanto oggi viene compiuto con generoso impegno congiuntamente dai vostri insegnanti e dai vostri genitori. Vi accompagni la mia Benedizione.

Ai giovani


SALUTO E BENEDICO tutti i giovani e le giovani presenti a questo incontro, rinnovando il mio augurio fervido per un anno felice e ricco di grazia. Il dono della vostra giovinezza è soprattutto capacità ancora incontaminata di ascolto della Parola di Rio e delle sue ispirazioni; è trepida ansia di realizzare un futuro degno dell’uomo, per voi e per i vostri coetanei. Siate fedeli, coraggiosi, generosi.

E rivolgo un saluto particolarissimo ai giovani di Caliano di Montoro Superiore, i quali si apprestano a recare dalla Tomba di Pietro una fiaccola accesa fino al loro paese, percorrendo a piedi i 360 chilometri di distanza. Cari giovani, la fiaccola sia simbolo di un ardore spirituale indefettibile, e l’esercizio podistico che vi accingete a compiere sia segno e stimolo per più alti cimenti di virtù, aperti a luminosi traguardi di bontà e di servizio. Benedico di cuore la vostra fiaccola, voi, le vostre famiglie e la vostra parrocchia.

Agli ammalati

A VOI, CARISSIMI malati presenti a questa udienza, e a tutti coloro che soffrono nel corpo o nello spirito, rivolgo il mio riconoscente pensiero insieme ad un affettuoso saluto. Come ben sapete, Gesù Cristo ha guardato con occhio di predilezione gli infermi, gli afflitti, i poveri, gli handicappati, i sofferenti, riservando ad essi i palpiti più teneri del suo Cuore, i miracoli più grandi della sua potenza e l’assicurazione di un posto speciale nel suo regno: "Beati gli afflitti, perché saranno consolati!". Questo pensiero deve esservi di conforto nella tribolazione, di stimolo nell’offerta della sofferenza al Signore, di impegno a saper soffrire con Cristo per purificare e santificare le vostre anime e, in pari tempo, per contribuire al bene della santa Chiesa.

Di cuore benedico voi, i vostri cari e quanti amorevolmente vi assistono.

Agli sposi novelli

E INOLTRE, rivolgo un saluto affettuoso ed un augurio fervido ai novelli sposi, che sono venuti per iniziare la loro vita coniugale con la benedizione del Papa. Un grazie cordiale, dunque, per la vostra gioiosa e significativa presenza, insieme con una paterna esortazione: "Rimanete sempre nell’amore di Cristo!". Il vostro amore, benedetto da Dio col sacramento del Matrimonio, sia sempre modellato sull’amore, che Cristo nutre per la sua diletta Sposa, la Chiesa.

Avvaloro tali voti con la mia Benedizione, che di cuore imparto a voi e ai vostri familiari.





Catechesi 79-2005 20180