Catechesi 79-2005 60280

Mercoledì, 6 febbraio 1980: Il dono del corpo crea un’autentica comunione

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1. Proseguiamo l’esame di quel "principio", al quale Gesù si è richiamato nel suo colloquio con i farisei sul tema del matrimonio. Questa riflessione esige da noi di oltrepassare la soglia della storia dell’uomo e di giungere fino allo stato di innocenza originaria. Per cogliere il significato di tale innocenza, ci basiamo, in certo modo, sull’esperienza dell’uomo "storico", sulla testimonianza del suo cuore, della sua coscienza.

2. Seguendo la linea dell’"a posteriori storico", tentiamo di ricostruire la peculiarità dell’innocenza originaria racchiusa nell’esperienza reciproca del corpo e del suo significato sponsale, secondo quanto attesta Genesi
Gn 2,23-25. La situazione qui descritta rivela l’esperienza beatificante del significato del corpo che, nell’ambito del mistero della creazione, l’uomo attinge, per così dire, nella complementarietà di ciò che in lui è maschile e femminile. Tuttavia, alle radici di questa esperienza deve esserci la libertà interiore del dono, unita soprattutto all’innocenza; la volontà umana è originariamente innocente e, in questo modo, è facilitata la reciprocità e lo scambio del dono del corpo, secondo la sua mascolinità e femminilità, quale dono della persona.Conseguentemente, l’innocenza attestata in Genesi 2,25 si può definire come innocenza della reciproca esperienza del corpo. La frase: "Tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna", esprime proprio tale innocenza nella reciproca "esperienza del corpo", innocenza ispirante l’interiore scambio del dono della persona, che, nel reciproco rapporto, realizza in concreto il significato sponsale della mascolinità e femminilità. Così, dunque, per comprendere l’innocenza della mutua esperienza del corpo, dobbiamo cercare di chiarire in che cosa consista l’innocenza interiore nello scambio del dono della persona. Tale scambio costituisce, infatti, la vera sorgente dell’esperienza dell’innocenza.

3. Possiamo dire che l’innocenza interiore (cioè la rettitudine di intenzione) nello scambio del dono consiste in una reciproca "accettazione" dell’altro, tale da corrispondere all’essenza stessa del dono; in questo modo, la donazione vicendevole crea la comunione delle persone. Si tratta, perciò, di "accogliere" l’altro essere umano e di "accettarlo", proprio perché in questa mutua relazione, di cui parla Genesi 2, 23-25, l’uomo e la donna diventano dono l’uno per l’altro, mediante tutta la verità e l’evidenza del loro proprio corpo, nella sua mascolinità e femminilità. Si tratta, quindi, di una tale "accettazione" o "accoglienza" che esprima e sostenga nella reciproca nudità il significato del dono e perciò approfondisca la dignità reciproca di esso. Tale dignità corrisponde profondamente al fatto che il Creatore ha voluto (e continuamente vuole) l’uomo, maschio e femmina, "per se stesso". L’innocenza "del cuore", e, di conseguenza, l’innocenza dell’esperienza significa partecipazione morale all’eterno e permanente atto della volontà di Dio.

Il contrario di tale "accoglienza" o "accettazione" dell’altro essere umano come dono sarebbe una privazione del dono stesso e perciò un tramutamento e addirittura una riduzione dell’altro ad "oggetto per me stesso" (oggetto di concupiscenza, di "appropriazione indebita", ecc.).

Non tratteremo, ora, in modo particolareggiato di questa multiforme, presumibile antitesi del dono. Occorre però già qui, nel contesto di Genesi Gn 2,23-25, costatare che un tale estorcere all’altro essere umano il suo dono (alla donna da parte dell’uomo e viceversa) ed il ridurlo interiormente a puro "oggetto per me", dovrebbe appunto segnare l’inizio della vergogna. Questa, infatti, corrisponde ad una minaccia inferta al dono nella sua personale intimità e testimonia il crollo interiore dell’innocenza nell’esperienza reciproca.

4. Secondo Genesi Gn 2,25, "uomo e donna non provavano vergogna". Questo ci permette di giungere alla conclusione che lo scambio del dono, al quale partecipa tutta la loro umanità, anima e corpo, femminilità e mascolinità, si realizza conservando la caratteristica interiore (cioè appunto l’innocenza) della donazione di sé e dell’accettazione dell’altro come dono. Queste due funzioni del mutuo scambio sono profondamente connesse in tutto il processo del "dono di sé": il donare e l’accettare il dono si compenetrano, così che lo stesso donare diventa accettare, e l’accettare si trasforma in donare.

5. Genesi Gn 2,23-25 ci permette di dedurre che la donna, la quale nel mistero della creazione "è data" all’uomo dal Creatore, grazie all’innocenza originaria viene "accolta", ossia accettata da lui quale dono. Il testo biblico a questo punto è del tutto chiaro e limpido. In pari tempo, l’accettazione della donna da parte dell’uomo e lo stesso modo di accettarla diventano quasi una prima donazione, cosicché la donna donandosi (sin dal primo momento in cui nel mistero della creazione è stata a data" all’uomo da parte del Creatore) "riscopre" ad un tempo a se stessa", grazie al fatto che è stata accettata e accolta e grazie al modo con cui è stata ricevuta dall’uomo. Ella ritrova quindi se stessa nel proprio donarsi ("attraverso un dono sincero di sé") (Gaudium et Spes GS 24), quando viene accettata così come l’ha voluta il Creatore, cioè "per se stessa", attraverso la sua umanità e femminilità; quando in questa accettazione viene assicurata tutta la dignità del dono, mediante l’offerta di ciò che ella è in tutta la verità della sua umanità e in tutta la realtà del suo corpo e sesso, della sua femminilità, ella perviene all’intima profondità della sua persona e al pieno possesso di sé. Aggiungiamo che questo ritrovare se stessi nel proprio dono diventa sorgente di un nuovo dono di sé, che cresce in forza dell’interiore disposizione allo scambio del dono e nella misura in cui incontra una medesima e anzi più profonda accettazione e accoglienza, come frutto di una sempre più intensa coscienza del dono stesso.

6. Sembra che il secondo racconto della creazione abbia assegnato "da principio" all’uomo la funzione di chi soprattutto riceve il dono (cf. Gn 2,23). La donna viene "da principio" affidata ai suoi occhi, alla sua coscienza, alla sua sensibilità, al suo "cuore"; lui invece deve, in certo senso, assicurare il processo stesso dello scambio del dono, la reciproca compenetrazione del dare e ricevere in dono, la quale, appunto attraverso la sua reciprocità, crea un’autentica comunione di persone.

Se la donna, nel mistero della creazione, è colei che è stata "data" all’uomo, questi da parte sua, ricevendola quale dono nella piena verità della sua persona e femminilità, per ciò stesso la arricchisce, e in pari tempo anch’egli, in questa relazione reciproca, viene arricchito. L’uomo si arricchisce non soltanto mediante lei, che gli dona la propria persona e femminilità, ma anche mediante la donazione di se stesso. La donazione da parte dell’uomo, in risposta a quella della donna, è per lui stesso un arricchimento; infatti vi si manifesta quasi l’essenza specifica della sua mascolinità che, attraverso la realtà del corpo e del sesso, raggiunge l’intima profondità del "possesso di sé", grazie alla quale è capace sia di dare se stesso che di ricevere il dono dell’altro. L’uomo, quindi, non soltanto accetta il dono, ma ad un tempo viene accolto quale dono dalla donna, nel rivelarsi della interiore spirituale essenza della sua mascolinità, insieme con tutta la verità del suo corpo e sesso. Così accettato, egli, per questa accettazione ed accoglienza del dono della propria mascolinità, si arricchisce. In seguito, tale accettazione, in cui l’uomo ritrova se stesso attraverso il "dono sincero di sé", diventa in lui sorgente di un nuovo e più profondo arricchimento della donna con sé. Lo scambio è reciproco, ed in esso si rivelano e crescono gli effetti vicendevoli del "dono sincero" e del "ritrovamento di sé".

In questo modo, seguendo le orme dell’"a posteriori storico" - e soprattutto seguendo le orme dei cuori umani - possiamo riprodurre e quasi ricostruire quel reciproco scambio del dono della persona, che è stato descritto nell’antico testo, tanto ricco e profondo, del Libro della Genesi.

Saluti:

A tre pellegrinaggi provenienti dall’Austria


A tre gruppi di suore

HO IL PIACERE di salutare il gruppo delle Maestre delle Novizie, appartenenti alle Francescane Missionarie di Maria, venute a Roma per un corso di formazione e desiderose di ricevere dal Papa una parola di conforto e d’incoraggiamento. Carissime figlie, quanto avete appreso nelle vostre riunioni, vi sarà certamente di aiuto nel vostro difficile compito, ma l’arte del persuadere l’apprenderete pienamente dagli esempi e dagli insegnamenti del Divin Maestro. Egli che scruta le menti ed i cuori e li rende attenti alla voce dello Spirito Santo, v’indicherà come attirare la piena fiducia delle Novizie per temperarne il carattere e prepararle all’apostolato ecclesiale e missionario. E tanto più efficace sarà la vostra opera educatrice, quanto più autentica sarà anche la vostra testimonianza di consacrazione a Cristo ed alla Chiesa. Vi accompagni nella vostra attività la mia Benedizione Apostolica, estensibile alle vostre singole Comunità.
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UN SALUTO A VOI, Pie Madri della Nigrizia, propaggine fiorente dell’impegno missionario del grande apostolo dell’Africa, Mons. Comboni. anche voi vi state preparando spiritualmente all’offerta totale e definitiva di tutte voi stese all’ideale missionario. Il Signore illumini, sostenga ed allieti la vostra dedizione e sia per voi intima ed inestimabile fonte di consolazione e di gioia. Sul vostro itinerario di fede e di carità, il Papa vi è vicino con la Sua Benedizione Apostolica.
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SIATE LE BENVENUTE anche voi, Piccole Sorelle dei Poveri, provenienti da alcuni paesi mediterranei e riunite qui al centro della cattolicità, per approfondire i motivi della vostra consacrazione religiosa per il bene della Chiesa e delle anime, ed a sollievo di tante miserie che colpiscono i più umili ed i meno provveduti. Recate sempre in voi l’immagine del Cristo mite ed umile di cuore, del buon Samaritano sempre ricco di umanissima sensibilità per ogni dolore: portate in ogni incontro la sua gioia e la sua consolazione. Vi assista la Benedizione Apostolica del Papa, estensibile alle vostre Consorelle ed alle rispettive famiglie.

Ai membri del Centro Nazionale Economi di Comunità

UN SALUTO PARTICOLARE va ora al folto gruppo di membri del Centro Nazionale Economi di Comunità, che aderisce alla Consulta Generale dell’Apostolato dei Laici ed ha in corso in questi giorni il X Congresso Nazionale, nel ventennio della sua istituzione.

Figli carissimi, la mia parola per voi non può che essere di cordiale incoraggiamento ad operare sempre più e sempre meglio per il bene delle istituzioni religiose ed ecclesiastiche, affidate alle vostre cure. L’importanza del vostro compito è pari solo alla sua delicatezza; di qui la vostra responsabilità, che si eserciterà tanto più positivamente quanto più vivo sarà in voi il senso della Chiesa e del suo servizio al Signore ed agli uomini.

Abbiate la mia Benedizione come pegno della particolare assistenza divina sulla vostra preziosa attività.

Ai giovani


SALUTO ORA cordialmente tutti i gruppi giovanili, fra cui le Giovani del Movimento GENTILE, riunite nel Centro Mariapoli per un congresso.

Carissimi giovani,

Sabato scorso, celebrando la festa della Presentazione al Tempio del Signore, siamo stati invitati dalla Liturgia ad andare incontro a Gesù, "luce che illumina le genati".

Sia dunque Gesù la luce dei vostri occhi interiori, la guida dei vostri passi, il criterio delle vostre scelte, colui che allieta la vostra giovinezza e la riempie di speranza, di coraggio e di gioia. Allora le vostre opere saranno luminose e "tutto ciò che è vero, nobile, giusto... sarà oggetto dei vostri pensieri".

Desidero, poi, in particolare salutare i vari pellegrinaggi scolastici qui presenti.
***

Appello per il piccolo Giovanni Furci


PARLANDO A VOI, cari ragazzi, ho presente in questo momento i vostri coetanei, vittime di sequestri, fra i quali anche il piccolo Giovanni Furci di Locri, di nove anni, rapito nei giorni scorsi mentre era a scuola, con immensa angoscia dei genitori e dei fratellini. Rivolgo il mio più caloroso appello perché i rapitori ascoltino l’interiore suggerimento della bontà, dell’onestà, della comprensione e restituiscano il piccolo all’amore della sua famiglia, alla quale va tutta la mia solidarietà, la mia trepidazione, la mia preghiera e il mio augurio che possano presto riabbracciare il loro amato figlio.

Agli ammalati

CARI AMMALATI qui presenti e quanti, anche lontani, siete afflitti nel corpo e nello spirito. Il Papa vi guarda con predilezione, perché voi, recando l’immagine di Cristo sofferente, siete chiamati ad offrire una specialissima testimonianza di adesione alla volontà del Padre Celeste, di fede docile e serena nei suoi misteriosi disegni, e di comunione con Gesù.

Coraggio, nella vostra infermità! Siate fiduciosi, forti nella speranza, ed il Signore trarrà dalla sofferenza una ricchezza immensa, per voi e per gli altri. Prego per questo e vi accompagno nel vostro cammino di fede con la mia Benedizione Apostolica.

Ai giovani sposi

ED ORA il mio saluto beneaugurante ai novelli sposi. Carissimi, il Signore ha benedetto il vostro amore, da Lui stesso ispirato e reso santo, ed ha donato ad esso la garanzia ed il suggello indefettibile della sua grazia, mediante il "grande sacramento" del matrimonio.

Siate fedeli alla grazia di tale sacramento, mediante la preghiera, coltivando pensieri di onestà e di mutuo rispetto, allontanando qualunque tentazione dell’egoismo. Raccomandate il vostro amore alla Vergine SS.ma, presente, come a Cana, anche alle vostre nozze. Che Essa ottenga continua grazia per voi come per tutte le famiglie cristiane. Vi benedico di cuore.



Aula Paolo VI

Mercoledì, 13 febbraio 1980: L’innocenza originaria e lo stato storico dell’uomo

Prima della catechesi il Santo Padre rivolge un saluto ai gruppi giovanili nell'Aula delle Benedizioni.


1. La meditazione di oggi presuppone quanto già è stato acquisito dalle varie analisi fatte finora. Queste sono scaturite dalla risposta data da Gesù ai suoi interlocutori (cf. Mt 19,3-9 Mc 10,1-12), i quali gli avevano posto una questione sul matrimonio, sulla sua indissolubilità e unità. Il Maestro aveva loro raccomandato di considerare attentamente ciò che era "da principio". E proprio per questo, nel ciclo delle nostre meditazioni fino ad oggi, abbiamo cercato di riprodurre in qualche modo la realtà dell’unione, o meglio della comunione di persone, vissuta fin "da principio" dall’uomo e dalla donna. In seguito, abbiamo cercato di penetrare nel contenuto del conciso versetto 25 di Genesi Gn 2,25: "Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna".

Queste parole fanno riferimento al dono dell’innocenza originaria, rivelandone il carattere in modo, per così dire, sintetico. La teologia, su questa base, ha costruito l’immagine globale dell’innocenza e della giustizia originaria dell’uomo, prima del peccato originale, applicando il metodo dell’oggettivizzazione, specifico della metafisica e dell’antropologia metafisica. Nella presente analisi cerchiamo piuttosto di prendere in considerazione l’aspetto della soggettività umana; questa, del resto, sembra trovarsi più vicina ai testi originari, specialmente al secondo racconto della creazione, cioè il testo jahvista.

2. Indipendentemente da una certa diversità di interpretazione, sembra abbastanza chiaro che l’"esperienza del corpo", quale possiamo desumere dal testo arcaico di Genesi Gn 2,23 e più ancora di Genesi 2,25, indica un grado di a spiritualizzazione" dell’uomo, diverso da quello di cui parla lo stesso testo dopo il peccato originale (Gn 3) e che noi conosciamo dall’esperienza dell’uomo "storico". È una diversa misura di "spiritualizzazione", che comporta un’altra composizione delle forze interiori nell’uomo stesso, quasi un altro rapporto corpo-anima, altre proporzioni interne tra la sensitività, la spiritualità, l’affettività, cioè un altro grado di sensibilità interiore verso i doni dello Spirito Santo. Tutto ciò condiziona lo stato di innocenza originaria dell’uomo ed insieme lo determina, permettendoci anche di comprendere il racconto della Genesi. La teologia ed anche il magistero della Chiesa hanno dato a queste fondamentali verità una propria forma. ("Si quis non confitetur primum hominem Adam, cum mandatum Dei in paradiso fuisset transgressus, statim sanctitatem et iustitiam, in qua constitutus fuerat, amisisse... anathema sit" [Conc. Trident., Sess. V, can. 1, 2: DS 788-789]. "Protoparentes in statu sanctitatis et iustitiae constituti fuerunt... Status iustitiae originalis protoparentibus collatus, erat gratuitus et vere supernaturalis... Protoparentes constituti sunt in statu naturae integrae, id est, immunes a concupiscentia, ignorantia, dolore et morte... singularique felicitate gaudebant... Dona integritatis protoparentibus collata, erant gratuita et praeternaturalia" [A. Tanquerey, Synopsis Theologiae Dgmaticae, Parisiis 1943 24 pp. 534-549].)

3. Intraprendendo l’analisi del "principio" secondo la dimensione della teologia del corpo, lo facciamo basandoci sulle parole di Cristo, con le quali egli stesso si è riferito a quel "principio". Quando disse: "Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina?" (Mt 19,4), ci ha ordinato e sempre ci ordina di ritornare alla profondità del mistero della creazione. E noi lo facciamo, avendo piena coscienza del dono dell’innocenza originaria, propria dell’uomo prima del peccato originale. Sebbene una insormontabile barriera ci divida da ciò che l’uomo è stato allora come maschio e femmina, mediante il dono della grazia unita al mistero della creazione, e da ciò che ambedue sono stati l’uno per l’altro, come dono reciproco, tuttavia cerchiamo di comprendere quello stato di innocenza originaria nel suo legame con lo stato "storico" dell’uomo dopo il peccato originale: "status naturae lapsae simul et redemptae".

Per il tramite della categoria dello "a posteriori storico", cerchiamo di giungere al senso originario del corpo, e di afferrare il legame esistente tra di esso e l’indole dell’innocenza originaria nell’"esperienza del corpo", quale si pone in evidenza in modo così significativo nel racconto del Libro della Genesi. Arriviamo alla conclusione che è importante ed essenziale precisare questo legame, non soltanto nei confronti della "preistoria teologica" dell’uomo, in cui la convivenza dell’uomo e della donna era quasi completamente permeata dalla grazia dell’innocenza originaria, ma anche in rapporto alla sua possibilità di rivelarci le radici permanenti dell’aspetto umano e soprattutto teologico dell’ethos del corpo.


4. L’uomo entra nel mondo e quasi nella più intima trama del suo avvenire e della sua storia, con la coscienza del significato sponsale del proprio corpo, della propria mascolinità e femminilità. L’innocenza originaria dice che quel significato è condizionato "eticamente" e inoltre che, da parte sua, costituisce l’avvenire dell’ethos umano. Questo è molto importante per la teologia del corpo: è la ragione per cui dobbiamo costruire questa teologia "dal principio", seguendo accuratamente l’indicazione delle parole di Cristo.

Nel mistero della creazione, l’uomo e la donna sono stati "dati" dal Creatore, in modo particolare, l’uno all’altro, e ciò non soltanto nella dimensione di quella prima coppia umana e di quella prima comunione di persone, ma in tutta la prospettiva dell’esistenza del genere umano e della famiglia umana. Il fatto fondamentale di questa esistenza dell’uomo in ogni tappa della sua storia è che Dio "li creò maschio e femmina"; infatti sempre li crea in questo modo e sempre sono tali. La comprensione dei significati fondamentali, racchiusi nel mistero stesso della creazione, come il significato sponsale del corpo (e dei fondamentali condizionamenti di tale significato), è importante e indispensabile per conoscere chi sia l’uomo e chi debba essere, e quindi come dovrebbe plasmare la propria attività. È cosa essenziale e importante per l’avvenire dell’ethos umano.

5. Genesi Gn 2,24 costata che i due, uomo e donna, sono stati creati per il matrimonio: "Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne". In tal modo si apre una grande prospettiva creatrice: che è appunto la prospettiva dell’esistenza dell’uomo, la quale continuamente si rinnova per mezzo della "procreazione" (si potrebbe dire dell’"autoriproduzione"). Tale prospettiva è profondamente radicata nella coscienza dell’umanità (cf. Gn 2,23) e anche nella particolare coscienza del significato sponsale del corpo (Gn 2,25). L’uomo e la donna, prima di diventare marito e moglie (in concreto ne parlerà in seguito Gn 4,1), emergono dal mistero della creazione prima di tutto come fratello e sorella nella stessa umanità. La comprensione del significato sponsale del corpo nella sua mascolinità e femminilità rivela l’intimo della loro libertà, che è libertà di dono.

Di qui inizia quella comunione di persone, in cui entrambi s’incontrano e si donano reciprocamente nella pienezza della loro soggettività. Così ambedue crescono come persone-soggetti, e crescono reciprocamente l’uno per l’altro anche attraverso il loro corpo e attraverso quella "nudità" libera da vergogna. In questa comunione di persone viene perfettamente assicurata tutta la profondità della solitudine originaria dell’uomo (del primo e di tutti) e, nello stesso tempo, tale solitudine diventa in modo meraviglioso permeata ed allargata dal dono dell’"altro". Se l’uomo e la donna cessano di essere reciprocamente dono disinteressato, come lo erano l’uno per l’altro, nel mistero della creazione, allora riconoscono di "esser nudi" (cf. Gn 3). Ed allora nascerà nei loro cuori la vergogna di quella nudità, che non avevano sentita nello stato di innocenza originaria.

L’innocenza originaria manifesta ed insieme costituisce l’ethos perfetto del dono.

Su questo argomento ritorneremo ancora.

Saluti

Ad un gruppo di Vescovi riuniti presso il Centro Mariapoli di Rocca di Papa (in francese)

Al pellegrinaggio della Parrocchia di Porto Santo Stefano

Mi è gradito rivolgere un cordiale benvenuto al numeroso pellegrinaggio della Parrocchia di Porto Santo Stefano, guidato dall’Amministratore Apostolico Monsignor D’Ascenzi, e qui convenuto in occasione del 250° anniversario della costruzione della prima chiesa, colà dedicata al protomartire, nonché per il 30° del ricostruito tempio distrutto dal bombardamento.

Vi esprimo il mio sincero compiacimento, carissimi fratelli e sorelle, per l’attestato di fede in Cristo, che portate nella vostra vita quotidiana, fatta di fatiche e di laboriosità generosa; così mi compiaccio per la vostra devozione alla Madonna che vi ha ispirato l’erezione di una chiesa dedicata al mistero della sua immacolata Concezione; e vi sono grato per l’affetto che mi dimostrate. Sono a conoscenza dell’impegno religioso col quale attendete alla vostra formazione spirituale, morale ed intellettuale in rispondenza alle esigenze ed alle necessità del tempo presente, rappresentate in modo particolare dalle giovani generazioni; e ciò per essere portatori e trasmettitori di Cristo vivo in un contesto sociale pulsante di vita.

Con l’auspicio che tale testimonianza sia sempre più perspicace e volenterosa, v’imparto di cuore la Benedizione Apostolica estensibile alle vostre famiglie.

A numerosi altri pellegrinaggi

Tra i vari gruppi di lingua italiana, presenti a questo incontro, desidero poi menzionare alcuni tra i più numerosi e significativi.

- Saluto il pellegrinaggio dei Vigili Urbani, dei Ferrovieri e dei Donatori di sangue dell’"Avis" della città di Viterbo, accompagnati dal loro Vescovo Monsignor Luigi Boccadoro. Di cuore auguro ad essi di svolgere sempre generosamente il loro prezioso servizio sociale.

- Ai dirigenti ed agli operatori di "Tele Radio Centro Italia" auspico un impegno veramente costruttivo nel loro quotidiano contatto con i tele-utenti.

- Agli espositori della "Mostra brevetti e Invenzioni" della "Fiera di Roma" esprimo il mio compiacimento per la loro genialità posta al servizio della comune utilità.

- Ai ragazzi della "Orchestra Nova" di Rapallo, in provincia di Genova, assicuro il mio affetto ed il mio incoraggiamento a ben coltivare la loro nobile arte.

- E infine ai componenti della Corale della Repubblica di San Marino esprimo il mio cordiale ringraziamento per l’esecuzione che ci hanno offerto, mentre faccio voti affinché tutta la loro vita sia un canto al Signore.

A tutti con sincero affetto va la mia cordiale Benedizione.

Agli ammalati


Il pensiero si volge, poi, agli ammalati che onorano con la loro presenza l’Udienza di stamani. Figli carissimi, il Papa ha grande stima di voi e vi ringrazia per il contributo importantissimo che ciascuno di voi reca, con la propria sofferenza, alla vita della Chiesa. Fatevi animo; il soffrire passa, l’aver sofferto rimane come titolo imperituro di merito davanti a Dio ed ai fratelli. Vi conforti la mia Apostolica Benedizione.

Agli sposi

Sono presenti all’Udienza anche numerose coppie di sposi novelli. Nel rivolgervi il mio saluto, figli carissimi, esprimo l’augurio che possa attuarsi nella vostra vita il progetto divino, che il Libro della Genesi descrive in modo così suggestivo. Che il vostro amore, redento da Cristo, sappia realizzare quel dono reciproco totale che, fondendo le vostre esistenze in un’autentica comunione di persone, aperta responsabilmente alla generazione di nuovi esseri umani, consenta a ciascuno di "ritrovare" nell’altro la più profonda verità di se stesso. Con la mia Apostolica Benedizione.

Ai gruppi giovanili nell'Aula delle Benedizioni

Cari giovani, ragazzi e ragazze.

Gli applausi e la festosa accoglienza che mi avete voluto riservare mentre entravo in questa aula, attraversando i vostri gruppi, differenti per età e per classi scolastiche a cui appartenete, ma unanimi per entusiasmo, rivelano già di per sé il vostro animo sincero, l’interesse che voi mettete nelle manifestazioni di fede, e l’affetto che nutrite per la Chiesa e per il Papa, suo capo visibile.

Vi saluto cordialmente tutti e vi ringrazio per la gioia che procurate con la vostra significativa presenza. Anzitutto voi, che siete venuti qui insieme con i vostri genitori, i vostri insegnanti e i vostri parroci al termine dei corsi di catechismo che vi hanno preparato a ricevere devotamente e con frutto i sacramenti della prima comunione e della cresima; e poi saluto tutti gli altri provenienti dalle scuole elementari, medie e superiori, tra cui mi piace citare due istituti romani: il liceo linguistico del Sacro Cuore alla Trinità dei Monti, e il liceo-ginnasio "Virgilio".

Il mio pensiero si rivolge in primo luogo ai vostri educatori per le incessanti premure che essi dedicano a voi ragazzi nei diversi ambienti della vita familiare, scolastica e ricreativa, per l’opera che essi svolgono, con sapienza ed amore, per farvi crescere, come il fanciullo Gesù, "in sapienza, in età e in grazia davanti a Dio e davanti agli uomini" (Lc 2,52).

A voi certamente non sfugge l’importanza che Gesù stesso ha dato ai fanciulli, i quali spesso sono diventati protagonisti di alcune pagine del Vangelo e sono stati anzi additati a modello per i grandi: "Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 18,3 Mc 10,15 Lc 18,17 Jn 3,3). Tanto essi sono l’oggetto di una tenera accoglienza che potrebbe sembrare inconcepibile con l’altezza misteriosa della sua personalità, se non ci fossero i fatti a rassicurarci. Non fu forse lui a dire ai suoi discepoli: "Lasciate che i bambini vengano a me"? (Mc 10,4 Mt 19,14 Lc 18,16).

Davanti a tanta predilezione, non solo i piccoli delle scuole elementari, ma anche quelli che sono cresciuti e che frequentano le scuole superiori devono trarre stimolo a voler sempre più bene a Gesù, ad incontrarlo, a conoscerlo e a seguirlo senza mai stancarsi o indietreggiare. Scegliete Cristo come supremo Maestro e Salvatore. Egli vi libererà dalle passioni egoistiche, dalle mode arbitrarie e dal mimetismo di massa. Quanti giovani credono di essere liberi perché si sono sottratti all’autorità dei genitori e degli educatori, senza invece accorgersi di essere diventati succubi dell’arbitrio di un gruppo!

Abbiate fiducia in Cristo e nella Chiesa che ve lo presenta. Abbiate il coraggio di dimostrare con i fatti la forza liberatrice della sua carità e del suo insegnamento. Contribuirete così a rendere il mondo più buono, più giusto e più fraterno, in un momento in cui la violenza dell’odio insanguina le strade delle nostre città. Tanto ciò sarà per voi un’esperienza forte che vi richiederà sacrificio e forse anche eroismo, ma la vittoria sarà nostra, perché il Signore vi ripete come già un giorno ai pescatori della Galilea: "Coraggio, sono io, non temete" (Mc 6,50).

Con questi pensieri e con questi auspici di gran cuore invoco su di voi e sui vostri amici la continua protezione del Signore e la pienezza delle sue benedizioni.




Mercoledì, 20 febbraio 1980: Con “il sacramento del corpo” l’uomo si sente soggetto di santità

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Prima della catechesi il Santo Padre rivolge un saluto ai gruppi giovanili nell'Aula delle Benedizioni.



1. Il libro della Genesi rileva che l’uomo e la donna sono stati creati per il matrimonio: "... L’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne" (
Gn 2,24).

In questo modo si apre la grande prospettiva creatrice dell’esistenza umana, che sempre si rinnova mediante la "procreazione" che è "autoriproduzione". Tale prospettiva è radicata nella coscienza dell’umanità e anche nella particolare comprensione del significato sponsale del corpo, con la sua mascolinità e femminilità. Uomo e donna, nel mistero della creazione, sono un reciproco dono. L’innocenza originaria manifesta e insieme determina l’ethos perfetto del dono.

Di ciò abbiamo parlato durante il precedente incontro. Attraverso l’ethos del dono viene delineato in parte il problema della "soggettività" dell’uomo, il quale è un soggetto fatto ad immagine e somiglianza di Dio. Nel racconto della creazione (cf. Gn 2,23-25) "la donna" certamente non è soltanto "un oggetto" per l’uomo, pur rimanendo ambedue l’uno di fronte all’altra in tutta la pienezza della loro oggettività di creature come "osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne", come maschio e femmina, entrambi nudi. Solo la nudità che rende "oggetto" la donna per l’uomo, o viceversa, è fonte di vergogna. Il fatto che "non provavano vergogna" vuol dire che la donna non era per l’uomo un "oggetto" né lui per lei. L’innocenza interiore come "purezza di cuore", in certo modo, rendeva impossibile che l’uno venisse comunque ridotto dall’altro al livello di mero oggetto. Se "non provavano vergogna", vuol dire che erano uniti dalla coscienza del dono, avevano reciproca consapevolezza del significato sponsale dei loro corpi, in cui si esprime la libertà del dono e si manifesta tutta l’interiore ricchezza della persona come soggetto. Tale reciproca compenetrazione dell’"io" delle persone umane, dell’uomo e della donna, sembra escludere soggettivamente qualsiasi "riduzione ad oggetto". Si rivela in ciò il profilo soggettivo di quell’amore, di cui peraltro si può dire che "è oggettivo" fino in fondo, in quanto si nutre della stessa reciproca "oggettività del dono".

2. L’uomo e la donna, dopo il peccato originale, perderanno la grazia dell’innocenza originaria. La scoperta del significato sponsale del corpo cesserà di essere per loro una semplice realtà della rivelazione e della grazia. Tuttavia, tale significato resterà come impegno dato all’uomo dall’ethos del dono, iscritto nel profondo del cuore umano, quasi lontana eco dell’innocenza originaria. Da quel significato sponsale si formerà l’amore umano nella sua interiore verità e nella sua soggettiva autenticità. E l’uomo - anche attraverso il velo della vergogna - vi riscoprirà continuamente se stesso come custode del mistero del soggetto, cioè della libertà del dono, così da difenderla da qualsiasi riduzione a posizioni di puro oggetto.

3. Per ora, tuttavia, ci troviamo dinanzi alla soglia della storia terrena dell’uomo. L’uomo e la donna non l’hanno ancora varcata verso la conoscenza del bene e del male. Sono immersi nel mistero stesso della creazione, e la profondità di questo mistero nascosto nel loro cuore è l’innocenza, la grazia, l’amore e la giustizia: "E Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona" (Gn 1,31). L’uomo appare nel mondo visibile come la più alta espressione del dono divino, perché porta in sé l’interiore dimensione del dono. E con essa porta nel mondo la sua particolare somiglianza con Dio, con la quale egli trascende e domina anche la sua "visibilità" nel mondo, la sua corporeità, la sua mascolinità o femminilità, la sua nudità. Un riflesso di questa somiglianza è anche la consapevolezza primordiale del significato sponsale del corpo, pervasa dal mistero dell’innocenza originaria.

4. Così, in questa dimensione, si costituisce un primordiale sacramento, inteso quale segno che trasmette efficacemente nel mondo visibile il mistero invisibile nascosto in Dio dall’eternità. E questo è il mistero della Verità e dell’Amore, il mistero della vita divina, alla quale l’uomo partecipa realmente. Nella storia dell’uomo, è l’innocenza originaria che inizia questa partecipazione ed è anche sorgente della originaria felicità. Il sacramento, come segno visibile, si costituisce con l’uomo, in quanto "corpo", mediante la sua "visibile" mascolinità e femminilità. Il corpo, infatti, e soltanto esso, è capace di rendere visibile ciò che è invisibile: lo spirituale e il divino. Esso è stato creato per trasferire nella realtà visibile del mondo il mistero nascosto dall’eternità in Dio, e così esserne segno.

5. Dunque, nell’uomo creato ad immagine di Dio è stata rivelata, in certo senso, la sacramentalità stessa della creazione, la sacramentalità del mondo. L’uomo, infatti, mediante la sua corporeità, la sua mascolinità e femminilità, diventa segno visibile dell’economia della Verità e dell’Amore, che ha la sorgente in Dio stesso e che fu rivelata già nel mistero della creazione. Su questo vasto sfondo comprendiamo pienamente le parole costitutive del sacramento del matrimonio, presenti in Genesi 2,24 ("l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne"). Su questo vasto sfondo, comprendiamo inoltre, che le parole di Genesi 2,25 ("tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna"), attraverso tutta la profondità del loro significato antropologico, esprimono il fatto che insieme con l’uomo è entrata la santità nel mondo visibile, creato per lui. Il sacramento del mondo, e il sacramento dell’uomo nel mondo, proviene dalla sorgente divina della santità, e contemporaneamente è istituito per la santità. L’innocenza originaria, collegata all’esperienza del significato sponsale del corpo, è la stessa santità che permette all’uomo di esprimersi profondamente col proprio corpo, e ciò, appunto, mediante il ff dono sincero" di se stesso. La coscienza del dono condiziona, in questo caso, "il sacramento del corpo": l’uomo si sente, nel suo corpo di maschio o di femmina, soggetto di santità.

6. Con tale coscienza del significato del proprio corpo, l’uomo, quale maschio e femmina, entra nel mondo come soggetto di verità e di amore. Si può dire che Genesi 2, 23-25 narra quasi la prima festa dell’umanità in tutta la pienezza originaria dell’esperienza del significato sponsale del corpo: ed è una festa dell’umanità, che trae origine dalle fonti divine della Verità e dell’Amore nel mistero stesso della creazione. E sebbene, ben presto, su quella festa originaria si estenda l’orizzonte del peccato e della morte (Gn 3), tuttavia già fin dal mistero della creazione attingiamo una prima speranza: che, cioè, il frutto della economia divina della verità e dell’amore, che si è rivelata "al principio", sia non la Morte, ma la Vita, e non tanto la distruzione del corpo di Dio", quanto piuttosto la "chiamata alla gloria" (cf. Rm 8,30).

Saluti:

Al "Coro Fischer"



Ad un gruppo giovanile di Innsbruck


Ai volontari del Movimento di Focolari

UN SALUTO SPECIALE intendo riservare al gruppo dei volontari italiani ed europei del "Movimento dei Focolari", venuti in Udienza dal Centro Mariapoli di Rocca di Papa, dove si sono riuniti per il loro Convegno annuale, durante il quale hanno meditato sul tema "La carità come ideale".

Carissimi, sono lieto di vedervi così numerosi e così entusiasti, e vi auguro di portare dovunque, con santa e serena letizia, il fuoco e l’ideale della carità. Gesù stesso fece della carità l’imperativo categorico per ogni cristiano: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri".

La carità deve essere davvero l’ideale del cristiano, sempre, ma specialmente nella nostra società moderna, così bisognosa di bontà, di comprensione, di misericordia, di pazienza, di perdono, di donazione. Vivete dunque con grande gioia l’ideale della carità! Vi aiuti anche la mia particolare Benedizione.

Ai partecipanti al corso-base per coppie animatrici della pastorale familiare

RIVOLGO ORA il mio benvenuto ai partecipanti al Corso-Base per coppie animatrici della "Pastorale Familiare", organizzato dall’Azione Cattolica Italiana sul tema: "Fidanzati e Sposi nella Comunità".

Carissimi, mi compiaccio vivamente del vostro impegno per approfondire che solo Gesù Cristo, autenticamente conosciuto, amato, seguito e testimoniato è la salvezza anche della famiglia e specialmente dei giovani che si preparano al matrimonio. E vi esorto a collaborare generosamente con i vostri Vescovi e con i vostri Parroci per l’attuazione delle loro direttive e dei programmi di attività nei vari campi dell’apostolato. E vi accompagni sempre la mia riconoscente e affettuosa Benedizione!

Ai malati


AI MALATI qui presenti voglio rivolgere un saluto tutto particolare. Carissimi, sappiate che il Papa vi è vicino. Siate forti nella fede e abbiate sempre davanti agli occhi Gesù crocifisso, conformandovi a lui non solo nel portare pazientemente la sofferenza, ma anche per capire quanto feconda questa possa essere per voi e per gli altri. Vi auguro di poter ripetere anche voi con San Paolo: "Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa".

E la mia Benedizione cordiale sia pegno della corroborante grazia divina su di voi e sui vostri cari.

Alle coppie di giovani sposi

UN SALUTO AFFETTUOSO rivolgo infine agli sposi novelli. Miei cari, il matrimonio che avete contratto è cosa talmente grande che, come sapete, gli antichi Profeti e poi San Paolo vi hanno addirittura visto un segno dell’unione tra Dio ed il suo popolo. Vi auguro e prego il Signore che siate sempre all’altezza di questa nobiltà, mediante un amore indefettibile, che si esprima come un costante dono reciproco in una totale comunione di persone e sia fecondo di vita. Solo in questa luce potrete anche affrontare e superare le immancabili difficoltà, le quali, lungi dall’attenuare la vostra mutua dedizione, la rinsalderanno sempre più, conformemente al testo del Cantico dei Cantici: "Le grandi acque non possono spegnere l’amore, né i fiumi travolgerlo".

Così sia con l’aiuto della grazia di Dio, che invoco abbondante su di voi, mentre vi concedo la mia Benedizione.


Ai gruppi giovanili nell'Aula delle Benedizioni

1. Il mio incontro con voi, carissimi ragazzi e giovani, sempre particolarmente desiderato, avviene in un giorno di grande raccoglimento, con un preciso richiamo alla necessità di convertirci, di migliorare, e di ascendere in alto.

Con l’austero rito dell’imposizione delle ceneri sul nostro capo di uomini mortali, la Chiesa, oggi, pronuncia parole che destano nell’animo intime risonanze. La sua voce maestosa ed ammonitrice è la voce di Dio stesso: "Uomo, sei polvere ed in polvere ritornerai". Quella cenere è, infatti, il simbolo del valore relativo di ogni cosa terrena, dell’estrema precarietà e fragilità della vita presente per i suoi limiti, i suoi condizionamenti, le sue contraddizioni, difficoltà. Di qui la materna esortazione della Chiesa a liberare lo spirito da qualsiasi forma di attaccamento disordinato alle realtà della terra per poter guardare con fiducia alla risurrezione.

Voi, carissimi ragazzi e giovani, sapete bene, tuttavia, che l’incontro con Cristo risorto deve esser preparato mediante un impegno di crescita personale nel corso di questa nostra esistenza nel tempo, ed ancora mediante la dedizione ad un’opera costruttiva di elevazione umana e di animazione cristiana dell’ambiente che ci circonda. Questa visione coraggiosa ed "impegnata" della vita, che tanto si addice ai vostri generosi ardimenti, include dunque il concetto della penitenza, della mortificazione, della rinuncia, che scaturiscono da un forte desiderio di giustizia e da un intenso amore di Dio.

2. La penitenza è sinonimo di conversione e conversione vuol dire superamento di tutto ciò che contrasta con la dignità dei figli di Dio, specialmente delle selvagge passioni che l’apostolo ed evangelista san Giovanni chiama "concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita" (1Jn 2,16), forze del male sempre insidiose e sempre cospiranti, pur sotto forme a volte lusinghiere. Contro di esse è necessaria la lotta permanente, alla quale ci invita, in modo particolare, il periodo della Quaresima che oggi s’inizia e che ha per scopo il ritorno sincero al Padre celeste, infinitamente buono e misericordioso.

3. Questo ritorno, frutto di un atto d’amore, sarà tanto più espressivo ed a lui gradito, quanto più accompagnato dal sacrificio di qualche cosa necessaria e soprattutto delle cose superflue. Si presenta alla vostra libera iniziativa una vastissima gamma di azioni, che vanno dalla pratica assidua e generosa del vostro dovere quotidiano, all’accettazione umile e gioiosa dei contrattempi fastidiosi, che possono insorgere nel corso della giornata, fino alla rinuncia a qualcosa di molto piacevole per aver modo di soccorrere chi si trovi in situazione di bisogno; ma soprattutto è graditissima al Signore la carità del buon esempio, richiesto dal fatto che apparteniamo ad una famiglia di fede i cui membri sono interdipendenti; e ciascuno è bisognoso di aiuto e di sostegno da parte di tutti gli altri. Il buon esempio non agisce solo all’esterno, ma va in profondità e costruisce sull’altro il bene più prezioso e più attivo, qual è quello dell’adesione della propria vocazione cristiana.

4. Tutte queste cose sono difficili ad attuarsi; per le nostre deboli forze è necessario un supplemento di energie. Dove possiamo trovarlo? Ricordiamo le parole del divin Salvatore: "Senza di me nulla potete fare!" (Jn 15,5). È a lui che dobbiamo ricorrere: peraltro voi sapete che Cristo si trova nel dialogo personale della preghiera ed, in modo particolare, nella realtà dei sacramenti. La Quaresima è il tempo più propizio per accedere a queste divine sorgenti della vita soprannaturale: col sacramento della penitenza ci riconciliamo con Dio e con i fratelli; con l’eucaristia riceviamo il Cristo, che sostiene le nostre volontà fiacche e titubanti.

Nell’incoraggiarvi a questo impegno di purificazione e di rinnovamento, invoco sui vostri propositi l’assistenza del divino Spirito e di gran cuore imparto su di voi e sulle vostre rispettive famiglie la benedizione apostolica.




Aula Paolo VI

Mercoledì, 5 marzo 1980: Il significato biblico della conoscenza nella convivenza matrimoniale


Catechesi 79-2005 60280