Catechesi 79-2005 26380

Aula Paolo VI, Annuncio del pellegrinaggio apostolico in Africa

Sono lieto oggi di dare la comunicazione ufficiale di un nuovo viaggio apostolico, che già preannunciai all’inizio del mese scorso, in occasione della speciale udienza concessa ai rappresentanti delle comunità delle varie nazioni africane, residenti a Roma. Si tratta della visita in Africa, che, accogliendo l’invito che mi è stato rivolto dai rispettivi episcopati e dai vari capi di stato, compirò dal 2 al 12 del prossimo mese di maggio, e che, a Dio piacendo, mi porterà in sei diversi paesi di quel grande e promettente continente: lo Zaire, la Repubblica Popolare del Congo, il Kenia, il Ghana, l’Alto Volta e la Costa d’Avorio.

Ringrazio cordialmente anche gli episcopati e le autorità civili dei paesi di cui non mi è stato possibile accettare l’invito gentilmente fattomi pervenire. Desidero assicurarli che ho apprezzato il loro gesto e che con questa mia visita intendo rendere omaggio all’intera Africa ed esprimere il mio sincero affetto a tutti gli abitanti di quel caro continente.

L’aggettivo apostolico, con cui ho subito qualificato tale viaggio, indica chiaramente quale sia l’intenzione essenziale che muove i miei passi. Lo scopo è, infatti, quello di corrispondere alla mia missione di ministero universale e di incontrarmi personalmente con i pastori ed i fedeli di quelle fiorenti comunità, che, già da tempo illuminate dalla fede di Cristo Signore, appaiono oggi aperte al soffio del suo Spirito. Ricorderò, in proposito, che per due di questi paesi - lo Zaire e il Ghana - ricorre proprio quest’anno il centenario dell’evangelizzazione: è, dunque, un riconoscimento doveroso, un riconoscimento che da parte della Chiesa cattolica s’ispira a sentimenti di letizia, di soddisfazione e di speranza per lo sviluppo rigoglioso che il seme della parola di Dio ha avuto in quelle contrade, trovandovi il "buon terreno", il quale - come spiega la parabola evangelica - garantisce il frutto abbondante (cfr Lc 8,11 Lc 8,15 Mt 13,23).

Come potrei, d’altra parte, dimenticare lo sforzo secolare e generoso, spinto non di rado fino all’eroismo e al martirio, che schiere innumerevoli di missionari e missionarie - sacerdoti, religiosi e laici - hanno compiuto nel vasto continente?

E come potrei, inoltre, dimenticare l’impulso che, per un più intenso ed incisivo lavoro in terra d’Africa, è venuto dal personale magistero e ministero dei sommi pontefici di questo secolo? Tra tanti esempi, desidero almeno ricordare l’enciclica "Fidei Donum" di Papa Pio XII (1957), la quale diede vita a varie benefiche iniziative, come pure menzionare l’opera del mio più vicino predecessore Paolo VI, di sempre venerata memoria, che tenendo presente la costituzione conciliare "Ad Gentes", nell’ottobre 1968 volle indirizzare un fervido messaggio all’episcopato ed ai popoli dell’Africa, al quale seguì poi un importante viaggio in Uganda.

Di cuore auspico che, con l’aiuto del Signore, la mia visita possa giovare all’incremento della fede cristiana in quelle "regioni che già biondeggiano per la messe" (Jn 4,35) e stimoli, nello stesso tempo, tutte le popolazioni del continente a operare, con impegno fiducioso e deciso, per l’autentico progresso umano al servizio della fratellanza e della pace.

Saluti

Ai rappresentanti del Movimento Internazionale d’Apostolato degli Ambienti Sociali Indipendenti



Ai parrocchiani di Montmartre

Il Santo Padre invita i presenti ad unirsi al suo dolore e alla sua preghiera per l’assassinio dell’arcivescovo di San Salvador Monsignor Oscar Romero:

In questo particolare momento di trepidazione e di sgomento, vi invito a unirvi al mio dolore e alla mia preghiera, per l’uccisione delI Arcivescovo di San Salvador, monsignor Oscar A. Romero y Galdamez. È giunta ieri la notizia che il presule è stato barbaramente assassinato mentre celebrava la santa messa: è stato colpito proprio nel momento più sacro, durante la funzione più alta, più divina.

Siamo tutti senza parole, di fronte a una tale violenza, che non si è fermata nemmeno davanti alla soglia di una chiesa per condurre a termine il suo cieco programma di morte.

Lasciate, carissimi fratelli e sorelle, che il Papa esprima tutta la sua pena per questo nuovo episodio di crudeltà, di infamia, di ferocia. E stato ucciso un uomo, che si aggiunge alla ormai troppo numerosa schiera di vittime innocenti; è stato ucciso un Vescovo della Chiesa di Dio, nell’esercizio della sua missione santificatrice nell’offerta dell’Eucaristia (cf. Lumen Gentium LG 26). È un confratello nell’episcopato che è stato soppresso, e perciò non è soltanto la sua arcidiocesi, ma tutta la Chiesa a soffrire per una tale iniqua violenza, che si aggiunge a tutte le altre forme di terrorismo e di vendetta, che nel mondo degradano oggi la dignità dell’uomo - perché la vita di ogni uomo è sacra! - calpestano la bontà, la giustizia, il diritto, e soprattutto offendono il Vangelo e il suo messaggio d’amore, di solidarietà, di fratellanza in Cristo.

Dove, dove va il mondo? Lo ripeto ancora oggi. Dove andiamo? Non con la barbarie si migliora la società, si eliminano i contrasti, si costruisce il domani. La violenza distrugge, null’altro. Non sostituisce valori, ma corre sull’orlo di un abisso: l’abisso senza fondo dell’odio.

L’amore soltanto edifica, l’amore soltanto salva!

Nel rinnovare il mio accorato appello affinché in ogni nazione trionfi finalmente la concordia della pace operosa, rinnovo il mio dolore per questo nuovo tragico fatto di sangue; ed esprimo particolarmente la mia partecipazione di affetto e di preghiera alla diletta Chiesa che è in San Salvador, inviando a tutti, Vescovi, sacerdoti e fedeli, la mia benedizione di fratello e di padre.






Mercoledì, 2 aprile 1980: Gli interrogativi sul matrimonio nella visione integrale dell’uomo

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Il nostro incontro odierno si svolge nel cuore della Settimana Santa, nell’immediata vigilia di quel "Triduo pasquale", nel quale culmina e s’illumina l’intero Anno liturgico. Stiamo per rivivere i giorni decisivi e solenni, nei quali si compì l’opera della redenzione umana: in essi Cristo, morendo, distrusse la nostra morte e, risorgendo, ci ridonò la vita.

È necessario che ciascuno si senta personalmente coinvolto nel mistero che la Liturgia, anche quest’anno, rinnova per noi. Vi esorto, pertanto, cordialmente a partecipare con fede alle funzioni sacre dei prossimi giorni e ad impegnarvi nella volontà di morire al peccato e di risorgere sempre più pienamente alla vita nuova, che Cristo ci ha portato.

Riprendiamo, ora, la trattazione del tema che ci occupa ormai da qualche tempo.

1. Il Vangelo secondo Matteo e quello secondo Marco ci riportano la risposta data da Cristo ai farisei, quando lo interrogarono circa l’indissolubilità del matrimonio, richiamandosi alla legge di Mosè, che ammetteva, in certi casi, la pratica del cosiddetto libello di ripudio. Ricordando loro i primi capitoli del Libro della Genesi, Cristo rispose: "Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello, dunque, che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi". Poi, rifacendosi alla loro domanda sulla legge di Mosè, Cristo aggiunse: "Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così" (
Mt 19,3 Mc 12,2). Nella sua risposta, Cristo si richiamò due volte al "principio", e perciò anche noi, nel corso delle nostre analisi, abbiamo cercato di chiarire nel modo più profondo possibile il significato di questo "principio", che è la prima eredità di ogni essere umano nel mondo, uomo e donna, prima attestazione dell’identità umana secondo la parola rivelata, prima sorgente della certezza della sua vocazione come persona creata a immagine di Dio stesso.

2. La risposta di Cristo ha un significato storico, ma non soltanto storico. Gli uomini di tutti i tempi pongono il quesito sullo stesso tema. Lo fanno anche i nostri contemporanei, i quali però nelle loro domande non si richiamano alla legge di Mosè, che ammetteva il libello di ripudio, ma ad altre circostanze e ad altre leggi. Questi loro quesiti sono carichi di problemi sconosciuti agli interlocutori contemporanei di Cristo. Sappiamo quali domande concernenti il matrimonio e la famiglia siano state rivolte all’ultimo Concilio, al Papa Paolo VI, e vengano continuamente formulate nel periodo post-conciliare, giorno per giorno, nelle più varie circostanze. Le rivolgono persone singole, coniugi, fidanzati, giovani, ma anche scrittori, pubblicisti, politici, economisti, demografi, insomma, la cultura e la civiltà contemporanea.

Penso che fra le risposte, che Cristo darebbe agli uomini dei nostri tempi e ai loro interrogativi, spesso tanto impazienti, fondamentale sarebbe ancora quella da lui data ai farisei. Rispondendo a quegli interrogativi, Cristo si richiamerebbe innanzitutto al "principio". Lo farebbe forse in modo tanto più deciso ed essenziale, in quanto la situazione interiore e insieme culturale dell’uomo d’oggi sembra allontanarsi da quel "principio" ed assumere forme e dimensioni, che divergono dall’immagine biblica del "principio" in punti evidentemente sempre più distanti.

Tuttavia, Cristo non sarebbe "sorpreso" da nessuna di queste situazioni, e suppongo che continuerebbe a far riferimento soprattutto al "principio".

3. È per questo che la risposta di Cristo esigeva una analisi particolarmente approfondita. Infatti, in quella risposta sono state richiamate verità fondamentali ed elementari sull’essere umano, come uomo e donna. E la risposta, attraverso la quale intravvediamo la struttura stessa della identità umana nelle dimensioni del mistero della creazione e, ad un tempo, nella prospettiva del mistero della redenzione. Senza di ciò non c’è modo di costruire un’antropologia teologica e, nel suo contesto, una "teologia del corpo", da cui tragga origine anche la visione, pienamente cristiana, del matrimonio e della famiglia. Lo ha rilevato Paolo VI quando nella sua enciclica dedicata ai problemi del matrimonio e della procreazione, nel suo significato umanamente e cristianamente responsabile, si è richiamato alla "visione integrale dell’uomo" (Paolo VI, Humanae Vitae HV 7). Si può dire che, nella risposta ai farisei, Cristo ha prospettato agli interlocutori anche questa "visione integrale dell’uomo", senza la quale non può essere data alcuna risposta adeguata agli interrogativi connessi con il matrimonio e la procreazione. Proprio questa visione integrale dell’uomo deve essere costruita dal "principio".

Ciò è parimenti valido per la mentalità contemporanea, così come lo era, anche se in modo diverso, per gli interlocutori di Cristo. Siamo, infatti, figli di un’epoca, in cui per lo sviluppo di varie discipline, questa visione integrale dell’uomo può essere facilmente rigettata e sostituita da molteplici concezioni parziali, le quali, soffermandosi sull’uno o sull’altro aspetto del compositum humanum, non raggiungono l’integrum dell’uomo, o lo lasciano al di fuori del proprio campo visivo. Vi si inseriscono, poi, diverse tendenze culturali, che - in base a queste verità parziali - formulano le loro proposte e indicazioni pratiche sul comportamento umano e, ancor più spesso, su come comportarsi con l’"uomo". L’uomo diviene allora più un oggetto di determinate tecniche che non il soggetto responsabile della propria azione. La risposta data da Cristo ai farisei vuole anche che l’uomo, maschio e femmina, sia tale soggetto, cioè un soggetto che decida delle proprie azioni alla luce dell’integrale verità su se stesso, in. quanto verità originaria, ossia fondamento delle esperienze autenticamente umane. È questa la verità che Cristo ci fa cercare dal "principio". Così ci rivolgiamo ai primi capitoli del Libro della Genesi.

4. Lo studio di questi capitoli, forse più che di altri, ci rende coscienti del significato e della necessità della "teologia del corpo". Il "principio" ci dice relativamente poco sul corpo umano, nel senso naturalistico e contemporaneo della parola. Da questo punto di vista, nel presente studio, ci troviamo ad un livello del tutto prescientifico. Non sappiamo quasi nulla sulle strutture interiori e sulle regolarità che regnano nell’organismo umano. Tuttavia, al tempo stesso - forse proprio a motivo dell’antichità del testo - la verità importante per la visione integrale dell’uomo si rivela in modo più semplice e pieno. Questa verità riguarda il significato del corpo umano nella struttura del soggetto personale.Successivamente, la riflessione su quei testi arcaici ci permette di estendere tale significato a tutta la sfera dell’intersoggettività umana, specie nel perenne rapporto uomo-donna. Grazie a ciò, acquistiamo nei confronti di questo rapporto un’ottica, che dobbiamo necessariamente porre alla base di tutta la scienza contemporanea circa la sessualità umana, in senso biofisiologico, Ciò non vuol dire che dobbiamo rinunciare a questa scienza o privarci dei suoi risultati. Al contrario: se questi devono servire a insegnarci qualcosa sull’educazione dell’uomo, nella sua mascolinità e femminilità, e circa la sfera del matrimonio e della procreazione, occorre - attraverso tutti i singoli elementi della scienza contemporanea - giungere sempre a ciò che è fondamentale ed essenzialmente personale, tanto in ogni individuo, uomo o donna, quanto nei loro rapporti reciproci.

Ed è proprio a questo punto che la riflessione sull’arcaico testo della Genesi si rivela insostituibile. Esso costituisce realmente il principio" della teologia del corpo. Il fatto che la teologia comprenda anche il corpo non deve meravigliare né sorprendere nessuno che sia cosciente del mistero e della realtà dell’Incarnazione. Per il fatto che il Verbo di Dio si è fatto carne, il corpo è entrato, direi, attraverso la porta principale nella teologia, cioè nella scienza che ha per oggetto la divinità. L’incarnazione - e la redenzione che ne scaturisce - è divenuta anche la sorgente definitiva della sacramentalità del matrimonio, di cui, al tempo opportuno, tratteremo più ampiamente.

5. Gli interrogativi posti dall’uomo contemporaneo sono anche quelli dei cristiani: di coloro che si preparano al Sacramento del Matrimonio o di coloro che vivono già nel matrimonio, che è il sacramento della Chiesa. Queste non soltanto sono le domande delle scienze, ma, ancor più, le domande della vita umana. Tanti uomini e tanti cristiani nel matrimonio cercano il compimento della loro vocazione. Tanti vogliono trovare in esso la via della salvezza e della santità.

Per loro è particolarmente importante la risposta data da Cristo ai farisei, zelatori dell’Antico Testamento. Coloro che cercano il compimento della propria vocazione umana e cristiana nel matrimonio, prima di tutto sono chiamati a fare di questa "teologia del corpo", di cui troviamo il "principio" nei primi capitoli del Libro della Genesi, il contenuto della loro vita e del loro comportamento. Infatti, quanto è indispensabile, sulla strada di questa vocazione, la coscienza approfondita del significato del corpo, nella sua mascolinità e femminilità! quanto è necessaria una precisa coscienza del significato sponsale del corpo, del suo significato generatore, dato che tutto ciò, che forma il contenuto della vita degli sposi, deve costantemente trovare la sua dimensione piena e personale nella convivenza, nel comportamento, nei sentimenti! E ciò, tanto più sullo sfondo di una civiltà, che rimane sotto la pressione di un modo di pensare e di valutare materialistico ed utilitario. La biofisiologia contemporanea può fornire molte informazioni precise sulla sessualità umana. Tuttavia, la conoscenza della dignità personale del corpo umano e del sesso va attinta ancora ad altre fonti. Una fonte particolare è la parola di Dio stesso, che contiene la rivelazione del corpo, quella risalente al "principio".

Quanto è significativo che Cristo, nella risposta a tutte queste domande, ordini all’uomo di ritornare, in certo modo, alla soglia della sua storia teologica! Gli ordina di mettersi al confine tra l’innocenza-felicità originaria e l’eredità della prima caduta. Non gli vuole forse dire, in questo modo, che la via sulla quale Egli conduce l’uomo, maschio-femmina, nel Sacramento del Matrimonio, cioè la via della "redenzione del corpo", deve consistere nel ricuperare questa dignità in cui si compie, simultaneamente, il vero significato del corpo umano, il suo significato personale e "di comunione"?

6. Per ora, terminiamo la prima parte delle nostre meditazioni dedicate a questo tema tanto importante. Per dare una risposta più esauriente alle nostre domande, talvolta ansiose, sul matrimonio - o ancor più esattamente: sul significato del corpo - non possiamo soffermarci soltanto su ciò che Cristo rispose ai farisei, facendo riferimento al "principio" (cfr Mt 19,3 Mc 10,2). Dobbiamo anche prendere in considerazione tutte le altre sue enunciazioni, tra le quali ne emergono specialmente due, di carattere particolarmente sintetico: la prima, dal discorso sulla montagna, a proposito delle possibilità del cuore umano rispetto alla concupiscenza del corpo (cfr Mt 5,8), e la seconda, quando Gesù si richiamò alla futura risurrezione (cfr Mt 22,24-30 Mc 12,18-27 Lc 20,27-36).

Queste due enunciazioni intendiamo far oggetto delle nostre successive riflessioni.

Saluti:


Ai giovani provenienti dall’Austria


Ad un pellegrinaggio Croato


A numerosi pellegrini di lingua francese


Ai pellegrini provenienti dal Giappone


Ai giovani


Rivolgo ora un cordiale saluto insieme con una paterna esortazione ai vari gruppi che sono presenti a questa Udienza. So che sono particolarmente numerosi quelli appartenenti a Istituti scolastici. Mi limito a menzionare il più numeroso: gli studenti del Liceo-Ginnasio Statale di Viterbo.

Carissimi giovani, la Liturgia di questo periodo ci fa vivere in modo del tutto particolare in unione con Cristo sofferente, che si offre per noi nell’Ultima Cena e si immola sul Calvario, per risorgere nella gioia della Pasqua. Tale contemplazione, seria e devota, vi aiuti ad essere dei "risorti" con Cristo Risorto e vi stimoli a camminare sempre "in novità di vita", cioè a progredire nella via della fede, della speranza e dell’amore cristiano.

E’ quanto vi auguro di cuore. Con la mia Benedizione Apostolica.

Ai malati

Il breve pensiero per gli ammalati presenti, che sono la parte più eletta di questa assemblea, non può non venir suggerito dal Venerdì Santo, ormai vicino, giorno unico per il ricordo della morte di Cristo, Figlio di Dio. L’adorabile Salvatore, inchiodato sulla Croce, immolato nell’abbandono e nel dolore per la salvezza del mondo, ci dimostra più di qualsiasi argomento quanto sia preziosa la sofferenza al cospetto di Dio. Da essa, accettata dalle mani della Provvidenza, scaturisce sempre una immensa ricchezza spirituale. E così il dolore si fa gioia, conforto, redenzione. A quanti provengono da Caorle, in diocesi di Venezia, e a tutti gli altri ammalati concedo di cuore la mia Benedizione.

Alle giovani coppie di sposi

La contemplazione del Crocifisso, innalzato fra cielo e terra il Venerdì Santo, ha qualche cosa da dire anche a voi, Sposi Novelli, che un profondo amore ha unito per la vita e per la morte. Lo sposo, secondo l’Apostolo Paolo rappresenta Cristo; la sposa, la Chiesa. E come Cristo è morto per rendere pura e immacolata la sua sposa, così lo sposo deve essere disposto anche alla morte, per colei che ama. E la sposa, come la Chiesa, deve dare tutto, affetto ed assistenza, in un perenne atteggiamento d’amore verso lo sposo.

Che Dio ve lo conceda.
***

Supplica a Dio per la pace nel Salvador


Anche oggi i nostri pensieri, pieni di viva sollecitudine, continuano a rivolgersi verso El Salvador.

La morte dell’Arcivescovo Romero, il quale è stato barbaramente ucciso da mano assassina, mentre celebrava il Santo Sacrificio, ha una particolare eloquenza. La Chiesa supplica, china in preghiera presso le spoglie del compianto Pastore, affinché Dio accetti il sacrificio della sua vita, che è stato unito, in modo così singolare, al Sacrificio di Cristo.

Tutti rispettino in questo avvenimento doloroso la particolare testimonianza del Vangelo, che Monsignor Romero si è impegnato a dare in tutta la sua vita di pastore, cercando Cristo specialmente in coloro ai quali Egli è più vicino. Così anche l’Arcivescovo di San Salvador ha unito la sua vita con il servizio dei più poveri e dei più emarginati.

A seguito della notizia dei nuovi tragici avvenimenti, che hanno avuto luogo durante i funerali dell’Arcivescovo Romero (avvenimenti che hanno causato numerose vittime fra le persone che assistevano al rito) ci rivolgiamo un’altra volta a Dio con umile supplica, perché il sacrificio del pastore ottenga la giusta pace alla sua patria. Ritorni alla retta ragione chiunque crede di perseguire i propri fini mediante l’uccisione di esseri umani.

La morte di Monsignor Romero porti un segno di pace e di riconciliazione, una specie di catarsi spirituale che dissipi l’odio, la violenza, le tensioni fra i concittadini.

A tutta la Comunità di San Salvador invio, nel corso di questi santi giorni che ci avvicinano alla Pasqua, l’espressione della mia particolare partecipazione e della mia solidarietà in Cristo crocifisso e risorto.



Mercoledì, 9 aprile 1980: Resta con noi perché si fa sera

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1. "Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso" (
Ps 117,24 [118],24).

Con queste parole la Chiesa esprime la sua gioia pasquale durante tutta l’ottava della Pasqua. In tutti i giorni, nel corso di questa ottava, perdura quell’unico giorno fatto dal Signore; giorno che è opera della potenza di Dio, manifestata nella risurrezione di Cristo. La risurrezione è l’inizio della nuova vita e della nuova epoca; è l’inizio del nuovo uomo e del nuovo mondo.

Una volta, Dio-creatore creò il mondo dal nulla, inserì in esso la vita e diede inizio al tempo. Creò anche l’uomo a sua immagine e somiglianza; maschio e femmina li creò, affinché soggiogassero il mondo visibile (cfr Gn 1,27).

Questo mondo, per opera dell’uomo, ha subìto la corruzione del peccato; è stato sottomesso alla morte; e il tempo è diventato il metro della vita, che misura ore, giorni, ed anni, dal concepimento dell’uomo fino alla sua morte.


La Risurrezione innesta in questo mondo, sottomesso al peccato e alla morte, il giorno nuovo; il giorno fatto dal Signore. Questo giorno è il lievito della nuova vita, che deve crescere nell’uomo oltrepassando in lui il limite della morte, verso l’eternità in Dio stesso. Questo giorno è l’inizio del futuro definitivo (escatologico) dell’uomo e del mondo, che la Chiesa professa e al quale conduce l’uomo mediante la fede, "la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne e la vita eterna".

Il fondamento di questa fede è Cristo, che "patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì, fu sepolto e il terzo giorno risuscitò da morte".

E proprio questo terzo giorno - terzo giorno fra quelli del triduo sacro - è diventato quel "giorno fatto dal Signore": il giorno di cui la Chiesa canta nel corso di tutta l’ottava e che, giorno dopo giorno, in questa ottava essa descrive e medita con gratitudine.

2. Nell’odierno mercoledì pasquale, desidero rivolgermi a voi, cari partecipanti a questo incontro, che, visitando in questo periodo come pellegrini la Chiesa di Roma, avete meditato - alle soglie apostoliche, presso le tombe dei santi Pietro e Paolo e di tanti martiri - la passione, la morte e la risurrezione di Cristo.

Come Vescovo di Roma vi ringrazio cordialmente per la vostra presenza, per la vostra partecipazione alla preghiera, alla liturgia della Domenica delle Palme, del Giovedì Santo, del Venerdì Santo, della vigilia pasquale, della Domenica di Risurrezione e dell’ottava.

Quanto preziosa è questa meditazione! Siamo progenie ed eredi di coloro che, per primi, hanno partecipato agli avvenimenti della Pasqua di Cristo. Come, per esempio, quei due discepoli, i quali - come leggiamo oggi nel Vangelo della santa messa - si sono incontrati, sulla strada di Emmaus, con Cristo e non lo hanno riconosciuto, mentre conversavano "di tutto quello che era accaduto" (Lc 24,14).

Noi abbiamo fatto la stessa esperienza. Nel corso di questo giorno abbiamo meditato tutto ciò che riguarda Gesù nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. E come, "con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne..., recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dire di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo.Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro ed hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l’hanno visto (Lc 24,19-24).

Noi abbiamo seguito allo stesso modo, nel corso di questi giorni, ogni particolare di quegli avvenimenti, che ci hanno trasmesso i testimoni oculari in tutta la sorprendente semplicità ed autenticità della narrazione evangelica.

Ed ora, quando dovremo tornare da qui alle nostre case, come quei pellegrini che tornavano da Gerusalemme ad Emmaus, desideriamo ancora una volta rimeditare su tutti i particolari, su tutti i testi della sacra liturgia, esaminando se i nostri cuori siano diventati più pronti a "credere alla parola dei profeti!". "Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?" (Lc 24,25-26).

La risurrezione è l’entrare di Cristo nella gloria.Essa anche a ciascuno di noi dice che siamo chiamati alla sua gloria (cfr 1Th 2,12).

3. Come gioisce la Chiesa di Roma, antica sede di san Pietro, della vostra presenza così numerosa nel corso di questi giorni!


La Settimana Santa e l’ottava della Pasqua uniscono qui, accanto a coloro che sempre appartengono a questa chiesa, i pellegrini di tante nazioni, paesi, lingue e continenti. La Chiesa di Roma gioisce della presenza di tutti, poiché vede in essi l’universalità e l’unità del corpo di Cristo, in cui tutti siamo reciprocamente membri e fratelli senza distinzione di nazionalità e di razza, di lingua o di cultura. La sede di san Pietro pulsa quasi con la pienezza della vita di tutto il corpo e di tutta la comunità del Popolo di Dio, cui costantemente offre il suo servizio.

Pertanto, poiché oggi mi è dato, cari fratelli e sorelle, di parlare ancora una volta a voi, permettete che io esprima soprattutto un fervido augurio a voi tutti ed a ciascuno singolarmente.

In questo augurio si racchiude anche un desiderio ardente e cordiale, che attinge il suo contenuto nell’avvenimento della liturgia d’oggi. Vi auguro che, mediante il vostro soggiorno a Roma, si ripeta perfettamente in ciascuno di voi ciò che è successo lungo il cammino per Emmaus. Ognuno inviti Cristo come quei discepoli, che camminavano insieme a lui per quella via, non sapendo con chi camminavamo: "Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino" (Lc 24,29).

Gesù resti, prenda il pane, pronunci le parole della benedizione, lo spezzi e lo distribuisca. E si aprano allora gli occhi di ciascuno, quando lo riconoscerà "nello spezzare il pane" (Lc 24,35)

Di cuore auspico che torniate da qui alle vostre case con una nuova conoscenza di Gesù Cristo, Redentore dell’uomo. Vi auguro che portiate in voi questo "giorno fatto dal Signore"; che annunciate, ovunque giungerete, che "davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone" (Lc 24,34). Siate davvero nel mondo di oggi dei testimoni della risurrezione di Cristo con la vostra solida fede e col vostro generoso impegno nel vivere autenticamente il cristianesimo.

A tutti portate il mio saluto e il mio augurio: alle vostre famiglie, alle vostre parrocchie, alle vostre patrie, ai vostri Vescovi e sacerdoti. Il mistero pasquale agisca nei cuori e nella mente vostra. E sia benedetto Dio per questo giorno, che ha fatto per noi!

Vi accompagni e vi sostenga la mia benedizione.

Saluti:

Ad un gruppo di fedeli olandesi


Ad alcuni pellegrinaggi di lingua francese



Ai membri dell’associazione "Police et Humanisme"


Ai fedeli di lingua inglese


Ad un gruppo di seminaristi

Sono ora lieto di porgere un affettuoso saluto al folto gruppo di Seminaristi riuniti in questi giorni presso il centro del Movimento "Focolari" di Rocca di Papa.

Voglio assicurarvi, carissimi figli, la mia spirituale vicinanza nella vostra ansia di intensa preparazione al sacerdozio, impegnandovi cioè per l’edificazione del Popolo di Dio. Sia, pertanto, Cristo Eterno Sacerdote e luce delle vostre menti, l’obiettivo principale del vostro studio, la guida delle vostre azioni, l’orientamento dei vostri programmi di sacro ministero. Vi accompagni nei vostri generosi propositi la mia Benedizione Apostolica, che imparto a voi ed alle vostre famiglie.

Ai giovani


Meritano oggi un particolare saluto i numerosi gruppi di giovani e bambini qui presenti. A voi, cari figliuoli, che siete nel fior degli anni, auguro cordialmente di compiere l’intero cammino della vita con la stessa fortuna dei due viandanti di Emmaus. E vi esorto ad essere dei testimoni della gioia pasquale e della risurrezione di Cristo sulle strade del mondo, nelle vostre famiglie, nelle vostre città, nei vostri ambienti di studio e di gioco. Vi benedico tutti di gran cuore.

Agli ammalati

Anche agli ammalati che partecipano a questa Udienza vorrei offrire il conforto di una parola preziosa, quella dell’apostolo Paolo. Questi, dopo una lunga esperienza di tribolazioni di ogni genere, scrivendo alla comunità cristiana di Roma, confida questo suo convincimento: "Io penso che le sofferenze del tempo presente non sono assolutamente paragonabili alla gloria che Dio un giorno manifesterà a noi". Coraggio, figli diletti: per voi ho un ricordo nella preghiera, perché Cristo, morto e risorto, sia per voi sorgente di serenità e di speranza, di luce e di fortezza, di merito e di santificazione. In pegno di ciò, vi do la mia speciale Benedizione.

Alle coppie di sposi novelli

Un saluto infine a voi, sposi novelli. Vi ringrazio per la vostra presenza, mi rallegro per la vostra venuta; questa vostra visita dà al Papa l’occasione di invocare su di voi e sulla vostra nascente famiglia l’abbondanza dei doni divini, per un avvenire sereno, coraggioso, impregnato di autentico spirito cristiano e di sincera evangelica bontà.

A tutti la mia cordialissima Benedizione.
***


Annuncio del viaggio apostolico in Francia

Desidero ora annunciarvi che, a Dio piacendo, dal pomeriggio di venerdì 30 maggio alla sera di lunedì 2 giugno mi recherò in Francia per una breve visita pastorale, soffermandomi soprattutto a Parigi.

Corrisponderò così all’invito rivoltomi dal presidente della Conferenza episcopale di quella nazione e dal Cardinale Arcivescovo di Parigi, come pure all’analogo invito espressomi dal signor presidente della repubblica francese ed a quello del direttore generale dell’Unesco, presso la cui sede andrò lunedì 2 giugno per rivolgere la mia parola.

Sarà un viaggio rapido, durante il quale avrò nel cuore e nell’ansia del mio animo le aspirazioni di tutti gli abitanti della cara e nobile nazione francese, come pure le alte finalità perseguite dall’Unesco nel campo dell’educazione, della scienza e della cultura.

Anche voi, carissimi fedeli presenti a quest’udienza, assistetemi con la vostra preghiera affinché questo viaggio che, come tutti gli altri, vuole essere esclusivamente apostolico, cioè religioso e pastorale, sia ricco degli auspicati frutti.



Catechesi 79-2005 26380