Catechesi 79-2005 28580

Mercoledì, 28 maggio 1980: Il corpo, non sottomesso allo spirito minaccia l’unità dell’uomo-persona

28580

1. Stiamo leggendo di nuovo i primi capitoli del libro della Genesi, per comprendere come - col peccato originale - l’"uomo della concupiscenza" abbia preso il posto dell’"uomo della innocenza" originaria. Le parole della Genesi
Gn 3,10: "Ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto", che abbiamo considerato due settimane fa, documentano la prima esperienza di vergogna dell’uomo nei confronti del suo Creatore: una vergogna che potrebbe essere anche chiamata "cosmica".

Tuttavia, questa "vergogna cosmica" - se è possibile scorgerne i tratti nella situazione totale dell’uomo dopo il peccato originale - nel testo biblico fa posto ad un’altra forma di vergogna. È la vergogna prodottasi nell’umanità stessa, causata cioè dall’intimo disordine in ciò per cui l’uomo, nel mistero della creazione, era "l’immagine di Dio", tanto nel suo "io" personale che nella relazione interpersonale, attraverso la primordiale comunione delle persone, costituita insieme dall’uomo e dalla donna. Quella vergogna, la cui causa si trova nell’umanità stessa, è immanente e relativa insieme: si manifesta nella dimensione dell’interiorità umana e al tempo stesso si riferisce all’"altro". Questa è la vergogna della donna "nei riguardi" dell’uomo, e anche dell’uomo "nei riguardi" della donna: vergogna reciproca, che li costringe a coprire la propria nudità, a nascondere i propri corpi, a distogliere dalla vista dell’uomo ciò che costituisce il segno visibile della femminilità, e dalla vista della donna ciò che costituisce il segno visibile della mascolinità. In tale direzione, si è orientata la vergogna di entrambi dopo il peccato originale, quando si accorsero di "essere nudi", come attesta Genesi Gn 3,7. Il testo jahvista sembra indicare esplicitamente il carattere "sessuale" di tale vergogna: "Intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture". Tuttavia, possiamo chiederci se l’aspetto "sessuale" abbia soltanto un carattere "relativo"; in altre parole: se si tratta di vergogna della propria sessualità solo in riferimento alla persona dell’altro sesso.

2. Sebbene alla luce di quell’unica frase determinante di Genesi Gn 3,7 la risposta all’interrogativo sembri sostenere soprattutto il carattere relativo della vergogna originaria, nondimeno la riflessione sull’intero contesto immediato consente di scoprire il suo sfondo più immanente. Quella vergogna, che senza dubbio si manifesta nell’ordine "sessuale", rivela una specifica difficoltà di avvertire l’essenzialità umana del proprio corpo: difficoltà che l’uomo non aveva sperimentato nello stato di innocenza originaria. Così, infatti, si possono intendere le parole: "Ho avuto paura, perché sono nudo", le quali pongono in evidenza le conseguenze del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male nell’intimo dell’uomo. Attraverso queste parole viene svelata una certa costitutiva frattura nell’interno della persona umana, quasi una rottura della originaria unità spirituale e somatica dell’uomo. Questi si rende conto per la prima volta che il suo corpo ha cessato di attingere alla forza dello spirito, che lo elevava al livello dell’immagine di Dio. La sua vergogna originaria porta in sé i segni di una specifica umiliazione mediata dal corpo. Si nasconde in essa il germe di quella contraddizione, che accompagnerà l’uomo "storico"in tutto il suo cammino terrestre, come scrive san Paolo: "Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente" (Rm 7,22-23).

3. Così, dunque, quella vergogna è immanente. Essa contiene una tale acutezza conoscitiva da creare una inquietudine di fondo in tutta l’esistenza umana, non solo di fronte alla prospettiva della morte, ma anche di fronte a quella, da cui dipende il valore e la dignità stessi della persona nel suo significato etico. In tal senso la vergogna originaria del corpo ("sono nudo") è già paura ("ho avuto paura"), e preannunzia l’inquietudine della coscienza connessa con la concupiscenza. Il corpo che non è sottomesso allo spirito come nello stato della innocenza originaria, porta in sé un costante focolaio di resistenza allo spirito, e minaccia in qualche modo l’unità dell’uomo-persona, cioè della natura morale, che affonda solidamente le radici nella stessa costituzione della persona. La concupiscenza del corpo è una minaccia specifica alla struttura dell’autopossesso e dell’autodominio, attraverso cui si forma la persona umana. E costituisce per essa anche una specifica sfida. In ogni caso, l’uomo della concupiscenza non domina il proprio corpo nello stesso modo, con uguale semplicità e "naturalezza", come faceva l’uomo della innocenza originaria. La struttura dell’autopossesso, essenziale per la persona, viene in lui, in certo modo, scossa alle fondamenta stesse; egli di nuovo si identifica con essa in quanto è continuamente pronto a conquistarla.


4. Con tale squilibrio interiore è collegata la vergogna immanente. Ed essa ha un carattere "sessuale", perché appunto la sfera della sessualità umana sembra porre in particolare evidenza quello squilibrio, che scaturisce dalla concupiscenza e specialmente dalla "concupiscenza del corpo". Da questo punto di vista, quel primo impulso, di cui parla Genesi 3,7 ("si accorsero di essere nudi, intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture") è molto eloquente; è come se l’"uomo della concupiscenza" (uomo e donna "nell’atto della conoscenza del bene e del male") provasse di aver semplicemente cessato, anche attraverso il proprio corpo e sesso, di stare al di sopra del mondo degli esseri viventi o "animalia". È come se provasse una specifica frattura dell’integrità personale del proprio corpo, particolarmente in ciò che ne determina la sessualità e che è direttamente collegato con la chiamata a quell’unità, in cui l’uomo e la donna "saranno una sola carne" (Gn 2,24). Perciò, quel pudore immanente ed insieme sessuale è sempre, almeno indirettamente, relativo. È il pudore della propria sessualità "nei riguardi" dell’altro essere umano. In tal modo il pudore viene manifestato nel racconto di Genesi 3, per cui siamo, in certo senso, testimoni della nascita della concupiscenza umana. È quindi sufficientemente chiara anche la motivazione per risalire dalle parole di Cristo sull’uomo (maschio), il quale "guarda una donna per desiderarla" (Mt 5,27-28), a quel primo momento, in cui il pudore si spiega mediante la concupiscenza, e la concupiscenza mediante il pudore. Così intendiamo meglio perché - e in quale senso - Cristo parla del desiderio come "adulterio" commesso nel cuore, perché si rivolge al "cuore" umano.

5. Il cuore umano serba in sé contemporanearnente il desiderio e il pudore. La nascita del pudore ci orienta verso quel momento, in cui l’uomo interiore, "il cuore", chiudendosi a ciò che "viene dal Padre", si apre a ciò che "viene dal mondo". La nascita del pudore nel cuore umano va di pari passo con l’inizio della concupiscenza: della triplice concupiscenza secondo la teologia giovannea (cf. 1Gv 1Jn 2,16), e in particolare della concupiscenza del corpo. L’uomo ha pudore del corpo a motivo della concupiscenza. Anzi, ha pudore non tanto del corpo, quanto proprio della concupiscenza: ha pudore del corpo a motivo della concupiscenza. Ha pudore del corpo a motivo di quello stato del suo spirito, a cui la teologia e la psicologia danno la stessa denominazione sinonimica: desiderio ovvero concupiscenza, sebbene con significato non del tutto uguale. Il significato biblico e teologico del desiderio e della concupiscenza differisce da quello usato nella psicologia. Per quest’ultima, il desiderio proviene dalla mancanza o dalla necessità, che il valore desiderato deve appagare. La concupiscenza biblica, come deduciamo da 1Gv 2,16, indica lo stato dello spirito umano allontanato dalla semplicità originaria e dalla pienezza dei valori, che l’uomo e il mondo posseggono "nelle dimensioni di Dio". Appunto tale semplicità e pienezza del valore del corpo umano nella prima esperienza della sua mascolinità-femminilità, di cui parla Genesi 2,23-25, ha subito successivamente, "nelle dimensioni del mondo", una trasformazione radicale. E allora, insieme con la concupiscenza del corpo, nacque il pudore.

6. Il pudore ha un duplice significato: indica la minaccia del valore e al tempo stesso preserva interiormente tale valore (cf. Karol Wojtyla, Amore e responsabilità, Torino 19782, pp. 161-178). Il fatto che il cuore umano, dal momento in cui vi nacque la concupiscenza del corpo, serbi in sé anche la vergogna, indica che si può e si deve far appello ad esso, quando si tratta di garantire quei valori, ai quali la concupiscenza toglie la loro originaria e piena dimensione. Se teniamo ciò in mente, siamo in grado di comprendere meglio perché Cristo, parlando della concupiscenza, fa appello al "cuore" umano.

Saluti:

Al pellegrinaggio dei "Christian Brothers" e dei Fratelli di San Gabriele

Ai gruppi provenienti da Bayern, Bamberg e Paderborn

Ai fedeli della parrocchia romana di Santa Maria in Trastevere


Saluto adesso il gruppo di pellegrini della parrocchia di S. Maria in Trastevere, i quali sono venuti a ricambiare la visita da me fatta poco tempo fa alla loro Comunità. Nel ringraziarvi, figli carissimi, di questo gesto gentile, vi esorto a perseverare nell’impegno di fedele adesione a Cristo e di devozione filiale a Maria Santissima, emulando le generose tradizioni cristiane, lasciate a voi dai vostri avi. A tutti voi ed alle vostre famiglie la mia paterna Benedizione Apostolica.

Al gruppo di marittimi e portuali di Marghera

É presente a questa Udienza un gruppo di Marittimi e di Portuali di Marghera, i quali, accompagnati dal loro Patriarca, il Cardinale Marco Cè, hanno voluto ricordare con un pellegrinaggio a Roma il 25° anniversario dell’istituzione della benemerita Opera di Santa Maria del Porto. Accogliete, carissimi figli, il mio riconoscente e gioioso saluto, mentre prego il Signore di benedire il vostro lavoro e la vostra generosa dedizione, e ricolmi voi e le vostre famiglie di quelle consolazioni, di cui è pegno la mia Benedizione Apostolica.

Ai pellegrini di diverse diocesi italiane

Ed ora un pensiero, altrettanto affettuoso, ai numerosi pellegrini delle Diocesi di Macerata, Tolentino, Cingoli, Treia e Recanati, che rappresentano, nella grande maggioranza, il mondo del lavoro e dell’impresa. Grazie a voi, per aver desiderato incontrarvi col Padre comune. Amo partecipare alla vostra fatica con l’augurio fervido che sia per voi non solo fonte di sostentamento materiale, ma anche motivo di elevazione personale, avvalorando e stimolando le vostre capacità d’intelletto e di cuore per il bene comune, come per la serenità delle vostre persone e delle vostre famiglie; a tutti imparto, propiziatrice dei doni del divino Spirito, la mia Benedizione Apostolica.

Ai giovani

Ai giovani presenti a questa Udienza giunga, come di consueto, il mio saluto cordiale ed affettuoso.

La Pentecoste ci suggerisce di rivolgere la nostra preghiera allo Spirito Santo. É Lui che illumina la nostra mente per comprendere che Gesù Cristo è la speranza certa dell’uomo, senza della quale egli vive nella solitudine e nella tristezza.

Lo Spirito di Dio, cari giovani, riempia anche i vostri cuori della sua gioia e rinnovi le vostre volontà, rendendole docili alle sue ispirazioni.

Agli ammalati

Il mio abbraccio particolare a voi, cari fratelli ammalati! Voi rappresentate, per la vostra stessa condizione, la debolezza umana ed insieme la potenza e la misericordia di Dio.


Io vi sono vicino con l’affetto ed ancor più con la preghiera; ma a mia volta raccomando le necessità di tutta la Chiesa alle vostre preghiere, tanto potenti presso Dio, il Quale "ha scelto le cose deboli per confondere le forti" (1Co 1,8).

Vi aiuti per questo la mia confortatrice Benedizione Apostolica.

Alle coppie di sposi

Alle numerose coppie di sposi novelli, intervenuti a questa Udienza, rivolgo il mio saluto ed augurio cordiale.

L’affetto che vi lega - e che è stato santificato e corroborato nel Sacramento del Matrimonio - possa mantenere intatta la freschezza gioiosa di questi giorni, nella consapevolezza che ogni cristiano è portatore d’una Speranza certa di vita, della quale egli deve sempre rendere ragione (cf. 1P 3).

Iddio vi benedica, cari novelli sposi, e la Vergine Santissima vi assista.

Appello per la liberazione di quanti sono ancora tenuti sotto sequestro. Giovanni Paolo II implora prima di tutto la liberazione del bambino di 9 anni Giovanni Furci in mano ai rapitori dallo scorso mese di gennaio, e poi quella di altre cinque persone:

Sento il dovere di farmi, ancora una volta, interprete dei sentimenti di accorata trepidazione di alcune famiglie, che stanno vivendo giorni di logorante angoscia per il rapimento di un loro caro. Il mio pensiero va al bambino Giovanni Furci, ai giovani Francesco Coppola, Enrico Zappino, Leonardo Rossi; ai signori Antonio Rullo e Giuseppe Gullì, e a tutti quanti sono tenuti sotto sequestro.

Nel rivolgere pubblicamente un appello al senso di umanità che non può essere spento nell’animo dei rapitori, invito tutti voi ad unirvi con me nella preghiera, per ottenere dal Signore che tocchi il loro cuore e li induca a porre termine ad una situazione insostenibile, concedendo alle loro vittime di tornare quanto prima ad abbracciare i familiari così duramente provati dall’ormai lungo periodo di forzata lontananza.






Mercoledì, 4 giugno 1980: Significato della vergogna originale nei rapporti interpersonali uomo-donna

40680

All’inizio dell’udienza generale il Papa ricorda il suo viaggio in Francia

1. Desidero oggi esprimere la mia riconoscenza a Dio per la grazia del servizio, che recentemente mi è stato dato di compiere a Parigi e a Lisieux.

Invitato dal Signor Direttore Generale dell’UNESCO, ho avuto occasione di prendere la parola durante la CIX sessione del Consiglio esecutivo, il 2 giugno scorso, e parlare dell’importanza e dei compiti della cultura nella vita dell’uomo, delle Nazioni e dell’umanità. Contemporaneamente, l’Arcivescovo di Parigi ha fatto di tutto perché quella mia presenza diventasse un vero pellegrinaggio e un vero servizio pastorale non soltanto verso la Chiesa a Parigi ma, per riflesso, verso tutta la Francia. Ne ringrazio la Conferenza Episcopale, con a capo il suo Presidente. Ringrazio, inoltre, il Signor Presidente della Repubblica Francese, i Rappresentanti del Distretto per il loro atteggiamento benevolo nei confronti della mia visita; e, per quanto riguarda il soggiorno a Parigi, ringrazio il Signor Sindaco di quella stupenda capitale.

Sono grato al Vescovo di Bayeux e Lisieux per l’invito al santuario di Santa Teresa di Gesù Bambino; sono grato altresì alla comunità ed alle autorità per l’ospitalità a me dimostrata. In tal modo il mio pellegrinaggio ha potuto avere una piena eloquenza missionaria presso la tomba di colei che la Chiesa ha dichiarato Patrona delle Missioni.

Bastino per oggi queste prime parole di ringraziamento, che rivolgo nello stesso tempo a tutti coloro ai quali devo vera gratitudine per la preparazione e lo svolgimento della visita. Sarebbe tuttavia difficile non cercare una forma più piena per manifestare l’importanza di tale avvenimento. Intendo farlo in una prossima occasione.
***


1. Parlando della nascita della concupiscenza nell’uomo, in base al libro della Genesi, abbiamo analizzato il significato originario della vergogna, che apparve col primo peccato. L’analisi della vergogna, alla luce del racconto biblico, ci consente di comprendere ancora più a fondo quale significato essa abbia per l’insieme dei rapporti interpersonali uomo-donna. Il capitolo terzo della Genesi dimostra senza alcun dubbio che quella vergogna apparve nel reciproco rapporto dell’uomo con la donna e che tale rapporto, per causa della vergogna stessa subì una radicale trasformazione. E poiché essa nacque nei loro cuori insieme con la concupiscenza del corpo, l’analisi della vergogna originaria ci permette contemporaneamente di esaminare in quale rapporto rimane tale concupiscenza rispetto alla comunione delle persone, che dal principio è stata concessa e assegnata come compito all’uomo e alla donna per il fatto di essere stati creati "ad immagine di Dio". Quindi, l’ulteriore tappa dello studio sulla concupiscenza, che "al principio" si era manifestata attraverso la vergogna dell’uomo e della donna, secondo Genesi 3, è l’analisi dell’insaziabilità dell’unione, cioè della comunione delle persone, che doveva essere espressa anche dai loro corpi, secondo la propria specifica mascolinità e femminilità.

2. Soprattutto, dunque, questa vergogna che, secondo la narrazione biblica, induce l’uomo e la donna a nascondere reciprocamente i propri corpi ed in specie la loro differenziazione sessuale, conferma che si è infranta quella capacità originaria di comunicare reciprocamente se stessi, di cui parla Genesi 2,25. Il radicale cambiamento del significato della nudità originaria ci lascia supporre trasformazioni negative di tutto il rapporto interpersonale uomo-donna. Quella reciproca comunione nell’umanità stessa mediante il corpo e mediante la sua mascolinità e femminilità, che aveva una così forte risonanza nel passo precedente della narrazione jahvista (cf.
Gn 2,23-25), viene in questo momento sconvolta: come se il corpo, nella sua mascolinità e femminilità, cessasse di costituire l’"insospettabile" substrato della comunione delle persone, come se la sua originaria funzione fosse "messa in dubbio" nella coscienza dell’uomo e della donna. Spariscono la semplicità e la "purezza" dell’esperienza originaria, che facilitava una singolare pienezza nel reciproco comunicare se stessi. Ovviamente, i progenitori non cessarono di comunicare a vicenda attraverso il corpo e i suoi movimenti, gesti, espressioni; ma sparì la semplice e diretta comunione di sé connessa con l’esperienza originaria della reciproca nudità. Quasi all’improvviso, apparve nella loro coscienza una soglia invalicabile, che limitava l’originaria "donazione di sé" all’altro, in pieno affidamento a tutto ciò che costituiva la propria identità e, al tempo stesso, diversità, da un lato femminile, dall’altro maschile. La diversità, ovvero la differenza del sesso maschile e femminile, fu bruscamente sentita e compresa come elemento di reciproca contrapposizione di persone. Ciò viene attestato dalla concisa espressione di Genesi 3,7: "Si accorsero di essere nudi", e dal suo contesto immediato. Tutto ciò fa parte anche dell’analisi della prima vergogna. Il libro della Genesi non soltanto ne delinea l’origine nell’essere umano, ma consente anche di svelare i suoi gradi in entrambi, nell’uomo e nella donna.

3. Il chiudersi della capacità di una piena comunione reciproca, che si manifesta come pudore sessuale, ci consente di meglio intendere l’originario valore del significato unificante del corpo. Non si può infatti comprendere altrimenti quel rispettivo chiudersi, ovvero la vergogna, se non in rapporto al significato che il corpo, nella sua femminilità e mascolinità, aveva anteriormente per l’uomo nello stato di innocenza originaria. Quel significato unificante va inteso non soltanto riguardo all’unità, che l’uomo e la donna, come coniugi, dovevano costituire, diventando "una sola carne" (Gn 2,24) attraverso l’atto coniugale, ma anche in riferimento alla stessa "comunione delle persone", che era stata la dimensione propria dell’esistenza dell’uomo e della donna nel mistero della creazione. Il corpo nella sua mascolinità e femminilità costituiva il "substrato" peculiare di tale comunione personale. Il pudore sessuale, di cui tratta Genesi 3,7, attesta la perdita dell’originaria certezza che il corpo umano, attraverso la sua mascolinità e femminilità, sia proprio quel "substrato" della comunione delle persone, che "semplicemente" la esprima, che serva alla sua realizzazione (e così anche al completamento dell’"immagine di Dio" nel mondo visibile). Questo stato di coscienza di entrambi ha forti ripercussioni nell’ulteriore contesto di Genesi 3, di cui tra breve ci occuperemo. Se l’uomo, dopo il peccato originale, aveva perduto per così dire il senso dell’immagine di Dio in sé, ciò si è manifestato con la vergogna del corpo (cf. praesertim Gn 3,10-11). Quella vergogna, invadendo la relazione uomo-donna nella sua totalità, si è manifestata con lo squilibrio dell’originario significato dell’unità corporea, cioè del corpo quale "substrato" peculiare della comunione delle persone. Come se il profilo personale della mascolinità e femminilità, che prima metteva in evidenza il significato del corpo per una piena comunione delle persone, cedesse il posto soltanto alla sensazione della "sessualità" rispetto all’altro essere umano. E come se la sessualità diventasse "ostacolo" nel rapporto personale dell’uomo con la donna. Celandola reciprocamente, secondo Genesi 3,7, entrambi la esprimono quasi per istinto.

4. Questa è, ad un tempo, come la "seconda" scoperta del sesso, che nella narrazione biblica differisce radicalmente dalla prima. L’intero contesto del racconto comprova che questa nuova scoperta distingue l’uomo "storico" della concupiscenza (anzi, della triplice concupiscenza) dall’uomo dell’innocenza originaria. In quale rapporto si pone la concupiscenza, ed in particolare la concupiscenza della carne, rispetto alla comunione delle persone mediata dal corpo, dalla sua mascolinità e femminilità, cioè rispetto alla comunione assegnata, "dal principio", all’uomo dal Creatore? Ecco l’interrogativo che bisogna porsi, precisamente riguardo "al principio", circa l’esperienza della vergogna, a cui si riferisce il racconto biblico. La vergogna, come già abbiamo osservato, si manifesta nella narrazione di Genesi 3 come sintomo del distacco dell’uomo dall’amore, di cui era partecipe nel mistero della creazione secondo l’espressione giovannea: quello che "viene dal Padre". "Quello che è nel mondo", cioè la concupiscenza, porta con sé una quasi costitutiva difficoltà di immedesimazione col proprio corpo; e non soltanto nell’ambito della propria soggettività, ma ancor più riguardo alla soggettività dell’altro essere umano: della donna per l’uomo, dell’uomo per la donna.


5. Di qui la necessità di nascondersi davanti all’"altro" col proprio corpo, con ciò che determina la propria femminilità/mascolinità. Questa necessità dimostra la fondamentale mancanza di affidamento, il che di per sé indica il crollo dell’originario rapporto "di comunione". Appunto il riguardo alla soggettività dell’altro, ed insieme alla propria soggettività, ha suscitato in questa nuova situazione, cioè nel contesto della concupiscenza, l’esigenza di nascondersi, di cui parla Genesi 3,7.

E precisamente qui ci sembra di riscoprire un significato più profondo del pudore "sessuale" ed anche il pieno significato di quel fenomeno, a cui si richiama il testo biblico per rilevare il confine tra l’uomo della innocenza originaria e l’uomo "storico" della concupiscenza. Il testo integrale di Genesi 3 ci fornisce elementi per definire la dimensione più profonda della vergogna; ma ciò esige un’analisi a parte. La inizieremo nella prossima riflessione.

Saluti:

Ad un gruppo di ex combattenti della Legione Sudafricana

Ai lavoratori di un emittente radiofonica di Barcellona

A gruppi familiari provenienti dalla Spagna


Al gruppo dell’Associazione "Centro Italiano Arte e Cultura"

Saluto ora con particolare intensità di affetto i Dirigenti, i Membri e i rispettivi familiari dell’Associazione romana "Centro Italiano Arte e Cultura", i quali, in occasione del X anniversario di fondazione, hanno voluto testimoniare il proprio attaccamento verso il Successore di Pietro e, soprattutto, l’impegno che essi pongono per la salvaguardia e la promozione di una cultura e di un’arte ispirate ai valori superiori della fede cristiana e della fratellanza universale.

So anche che quest’anno tale benemerito Centro, che riunisce intellettuali, scrittori, poeti, pittori, scultori, commediografi e musicisti, è stato prescelto per organizzare una rassegna di arti visive nell’ambito delle celebrazioni del XV centenario della nascita di San Benedetto, che si svolgeranno prossimamente presso la Basilica di S. Paolo fuori le Mura.

Cari artisti, mi compiaccio con voi per la vostra nobile attività e vi ringrazio per l’ispirazione cristiana che muove il vostro ingegno. Sappiate che il Papa sa apprezzarvi nel vostro sforzo inteso a rivestire di parola, di colori e di forme le vostre opere d’arte. Nell’esprimervi fervidi voti di ogni soddisfazione spirituale e professionale, vi rinnovo il mio paterno compiacimento, che avvaloro con una speciale Benedizione, estensibile a tutti i vostri colleghi, amici e familiari.

Ai giovani

Carissimi giovani, a voi rivolgo l’invito biblico del Libro di Qoèlet: "Sta’ lieto, o giovane, nella tua giovinezza, e si rallegri il tuo cuore nei giorni della tua gioventù... caccia la malinconia dal tuo cuore" (Qo 11,9-10). Siate lieti nel Signore Gesù, perché Egli ha vinto il mondo e quanto è del mondo: "la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita" (1Jn 2,16), e comunica continuamente a voi la sua vittoria mediante la fede nella sua parola, e vi rende forti (cf 1Jn 2,14). Una tale interiore sicurezza alimenti la vostra serenità, dia fondamento alla vostra letizia, ed offra sostegno alla vostra fiducia nel domani. Con la mia Benedizione.

Agli ammalati

Anche a voi, ammalati, il mio invito cordiale alla gioia cristiana, resa matura e profonda dall’esperienza del dolore. Desidero ricordarvi a questo proposito le parole confortanti della prima Lettera di San Pietro: "Ma se facendo il bene, sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio" (1P 2,20). L’offerta confidente e gioiosa del vostro dolore propizia la misericordia del Padre, continua l’opera redentrice del Figlio, coopera alla diffusione dello Spirito Santo nei cuori umani. Voi edificate così la Chiesa e collaborate al bene di tanti fratelli. Vi assista la mia preghiera e la mia affettuosa Benedizione.


Alle coppie di sposi novelli

Cari sposi novelli, grazie per la vostra presenza. A voi che iniziate una vita nuova di amore, che è impegno di unità, di fedeltà e di indissolubilità familiare, in una società spesso diffidente di fronte a tali altissimi valori, rivolgo il mio incoraggiamento fervido e la mia parola esortatrice. Dimostrate la vostra fede in Cristo Signore e nella sua opera di salvezza, mediante l’esemplare esercizio di una tale nobilissima ed insostituibile responsabilità. Vi dirò con San Paolo: "Non vergognatevi della testimonianza da rendere al Signore nostro, ma... confidate nella forza di Dio, che ci ha salvati e chiamati con una vocazione santa" (2Tm 1,7-8).

Vi sostenga la mia Benedizione.

La processione per la solennità del "Corpus Domini"

Con i primi vespri abbiamo già iniziato la grande solennità del "Corpus Domini", la quale, secondo una secolare tradizione della Chiesa, cade il Giovedì dopo la festa della Santissima Trinità, cioè domani. Mi unisco, nello spirito, con tutti coloro che in tale giorno renderanno pubblicamente omaggio a Cristo nell’Eucaristia. Là dove, invece, - come per esempio, da poco tempo, in Italia - la solennità esterna del "Corpus Domini", a causa del giorno lavorativo, è stata trasferita alla Domenica successiva, raccomando che tutti abbiano uno speciale ricordo del Santissimo Sacramento, di questo Cibo Divino che ci dà la vita eterna.

In quest’anno la solennità domenicale, insieme alla processione del "Corpus Domini", attese le particolari circostanze, verrà celebrata qui sulla Piazza San Pietro. Come Vescovo di Roma, invito il Clero e tutti i fedeli della Città Eterna a parteciparvi. Si manifesti in essa la nostra venerazione e il nostro amore verso il Santissimo Sacramento.






Mercoledì, 11 giugno 1980: Ho partecipato alla missione che la Chiesa compie in Francia

11680

1. Ritorno costantemente col pensiero alla recente visita in Francia: a Parigi e a Lisieux, e oggi desidero manifestare, almeno in parte, ciò che essa è stata per me.

Prima di tutto fu un invito, venuto mediante gli uomini, ma sarebbe difficile non scorgere in esso il dito della provvidenza. Questa visita non era prevista. Da tempo avevo preso in considerazione il viaggio al congresso internazionale eucaristico a Lourdes, che si svolgerà nel luglio del 1981. Invece l’invito a Parigi emerse solo ultimamente, in occasione di una circostanza particolare, cioè la sessione dell’Unesco.

Desidero qui ringraziare particolarmente il signor Amadou Mahtar-M’Bow, direttore generale di quella organizzazione mondiale, il quale, già tempo fa, mi aveva invitato a farvi una visita.

La sigla Unesco significa: Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura. Ci troviamo quindi nell’ambito della grande struttura delle Nazioni Unite, che, dalla fine della terribile seconda guerra mondiale, è diventata una necessità particolare della nostra epoca; essa - nonostante le molte difficoltà di cui tutti siamo consapevoli - non cessa di servire la causa della pacifica convivenza delle nazioni di tutta la terra. Nell’ottobre dell’anno scorso ho avuto l’onore di partecipare alla riunione plenaria dell’Organizzazione delle Nazioni Unite a Nuova York, in seguito all’invito da parte del segretario generale, dottor Kurt Waldheim. Successivamente, nel novembre dell’anno scorso, su invito del direttore generale signor Edouard Saouma, sono stato ospite nella sede romana della Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, che si occupa, nella dimensione di tutto il globo, dei problemi legati in maniera più fondamentale alla vita dell’uomo. Ne siamo massimamente convinti noi che, secondo le parole di Cristo stesso, costantemente chiediamo al Padre: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano". E attraverso queste parole sentiamo quale problema per gli uomini contemporanei, particolarmente in alcune zone della terra, sia la fame, la mancanza del pane...

2. L’Unesco serve, nella stessa dimensione dell’umanità intera, a livello internazionale, la causa della cultura, della scienza e dell’educazione. Sono questi i problemi nel cui ambito l’uomo vive e si sviluppa come uomo, come persona, e come comunità, come famiglia, come nazione. Infatti "non di solo pane vive l’uomo" (cf.
Mt 4,4)... anzi i problemi del pane sono legati al livello della cultura, della scienza e dell’etica. L’Unesco non è direttamente al servizio del problema del pane, ma delle questioni della cultura, dell’educazione e della scienza - quindi del problema nel cui ambito più profondamente si manifesta e si conferma che cosa è l’uomo, appunto come uomo. Perciò l’organizzazione che dedica tutta la sua attività in modo diretto a questi problemi ha un’importanza del tutto essenziale per il consolidamento nel mondo dei diritti dell’uomo, della famiglia, di una nazione, per l’assicurazione della dignità umana mediante il giusto rapporto con la verità e con la libertà.

Tutti questi problemi, così vicini ai compiti della Chiesa in ogni tempo, e in particolare nella nostra epoca, hanno costituito un’ampia motivazione per la mia visita alla sede dell’Unesco nel giorno 2 giugno. Essa ha creato un’occasione particolare per mettere in rilievo quel rapporto della Chiesa con la cultura, che ha trovato la sua espressione nell’insegnamento del Concilio Vaticano II, e particolarmente nella costituzione "Gaudium et Spes". Questa visita, è stata anche l’occasione per ricordare, mediante un appello particolare agli scienziati di tutto il mondo, la grande causa della pace.

3. Parigi rimane la città particolarmente adatta per ospitare la sede dell’Unesco. Grazie all’iniziativa dell’Arcivescovo di Parigi, Cardinale Marty, la visita alla sede di quella organizzazione ha avuto in pari tempo pienamente un carattere pastorale verso la Chiesa che è in Francia. Ne parlo con una particolare gratitudine, che rivolgo sia ai rappresentanti della Chiesa sia a quelli della cittadinanza e delle singole istanze del potere civile.

Insieme all’episcopato francese, ho grandemente apprezzato la partecipazione tanto significativa del presidente della repubblica francese, le sue parole di saluto, come anche la partecipazione di tutto il governo, con a capo il primo ministro, e del corpo diplomatico. Per quanto riguarda la città di Parigi, sarebbe difficile non esprimere gratitudine al sindaco e alla giunta comunale, così come a tutta la cittadinanza. Lo stesso debbo dire riguardo alla visita compiuta a Lisieux.

Mi sia consentito di estendere queste espressioni di riconoscenza a tutte le persone e le Istituzioni che hanno che hanno contribuito all’organizzazione di tale visita, e ne hanno assicurato lo svolgimento. In modo particolare penso a coloro ai quali non ho potuto esprimere personalmente questa gratitudine e nei cui confronti mi sento tanto debitore ed obbligato. Li ringrazio di avermi reso possibile, in tutte le tappe e in ogni particolare, il servizio per il quale venivo in Francia.Grazie per averlo fatto con tanta delicatezza, comprensione, benevolenza, con tanta maestria e cordiale ospitalità.

4. Il servizio pastorale del Vescovo di Roma riguarda soprattutto la Chiesa, ma riguarda al tempo stesso la società, tutti gli uomini, il "mondo" in cui questa Chiesa è presente - e al quale è mandata. Nel corso di questi pochi giorni mi è stato dato di partecipare, in modo particolare, alla missione, che la Chiesa compie a Parigi, e così, indirettamente, ho potuto partecipare alla missione, che essa compie in tutta la Francia. Una particolare espressione di questa partecipazione fu l’incontro con l’intera conferenza dell’episcopato francese sotto la guida del Cardinale Roger Etchegaray e con la partecipazione degli altri Cardinali, di tutti gli Arcivescovi e Vescovi francesi. Lo sguardo collegiale sul ricco e non facile prospetto dei compiti che si collegano con la missione episcopale nei confronti del proprio ambiente sociale deve essere completato con uno sguardo più ampio, non fosse altro per l’influsso che la Chiesa francese, così come la cultura francese, esercitano al di là delle frontiere di quella nazione.

È una Chiesa che ha grandi meriti sia per quanto riguarda l’emergere delle forme della consapevolezza e della spiritualità cristiana, sia pure per lo svolgimento dell’attività missionaria. Sembrava quindi molto giustificata la visita a Lisieux per onorare santa Teresa, che dal Carmelo di quella città ha indicato a molti contemporanei una particolare via interiore verso Dio - e che contemporaneamente la Chiesa ha riconosciuto come la patrona delle missioni in tutto il mondo.

La consapevolezza che tutta la Chiesa è "missionaria", che è sempre e dappertutto "in statu missionis" - consapevolezza a cui il Concilio Vaticano II ha dato espressione così piena - sembra offrire nuovo slancio in modo particolare al cattolicesimo a Parigi e in Francia. Sarebbe difficile analizzare qui, da una parte, i motivi particolari che a ciò contribuiscono e, dall’altra, le varie forme di azione di questa Chiesa, che ne rendono testimonianza.

Nel corso della mia breve visita mi è stato dato di incontrarmi con i sacerdoti, con i seminaristi, con le suore delle congregazioni sia attive sia contemplative, con i diversi gruppi dell’apostolato dei laici, con le organizzazioni cattoliche internazionali, con l’istituto cattolico a Parigi, con il mondo del lavoro a Saint-Denis e con i giovani.

Sono ricordi indimenticabili. Particolarmente i due ultimi incontri "aperti", con la partecipazione di qualche decina di migliaia di persone, e condotti - per quanto riguarda l’incontro con i giovani - col metodo del "dialogo", sono rimasti profondamente impressi nel mio cuore. Non si può dimenticare che Parigi e la Francia ospitano, da qualche generazione, una numerosa emigrazione polacca, con la quale ho potuto incontrarmi durante la visita - così come con gli altri gruppi, soprattutto il portoghese e lo spagnolo, i quali negli ultimi tempi si sono notevolmente accresciuti. A ciò bisogna aggiungere l’incontro, che, in un certo senso, continua a perdurare. con gli abitanti, prima, di Parigi e, poi, di Lisieux nell’ambito delle grandi piazze, lungo le strade e soprattutto lungo la Senna, fin dalla prima sera. Questo incontro ha avuto pure il suo "programma" non comunicato e la sua eloquenza.

Conservo con gratitudine nella memoria tutti i luoghi nei quali mi è stato dato di celebrare l’Eucaristia - in particolare davanti alla cattedrale di Notre-Dame, davanti alla Basilica di Saint-Denis, dove riposano i re di Francia, a Bourget, davanti alla Basilica di Lisieux - e i luoghi sui quali ho potuto pregare insieme con gli abitanti e con coloro che vi erano giunti da fuori: in particolare in rue du Bac e a Montmartre.

Conservo nella memoria l’incontro ecumenico, pieno di contenuto profondo e - penso - di reciproca comprensione; come pure l’incontro con i rappresentanti delle comunità religiose ebraiche - e con i rappresentanti delle comunità musulmane, che in Francia sono attualmente piuttosto estese (pressappoco 2 milioni). Conservo inoltre nella memoria i vari incontri con gli uomini della scienza e della cultura, con gli scrittori e gli artisti. Tutti gli incontri fanno parte di un insieme molto vario e complesso, forse con un programma troppo denso, ma molto ricco ed autentico, per il quale non cesso di ringraziare Dio e gli uomini.

"Ami tu?", "Mi ami tu?", ha domandato Cristo a Pietro dopo la risurrezione. La stessa domanda ho ripetuto nell’omelia davanti al portale di Notre-Dame, mostrandone il significato-chiave per il futuro dell’uomo e del mondo, della Francia e della Chiesa. Spero che in questa domanda abbiamo potuto insieme ritrovare colui che è la pietra angolare della storia e - insieme con la figlia primogenita della Chiesa - renderci consapevoli di quanto profondamente noi proveniamo da lui, e di quanto intensamente dobbiamo fissare lo sguardo in Cristo, su queste vie che ci conducono - come Chiesa e come umanità - verso l’avvenire.

Saluti:

Ad un gruppo di allievi del Seminario francese di Roma

Ai malati aiutati da "The Across Trust"

Ai rappresentanti dell’Accademia Antoniana di Arte Drammatica di Bologna

Desidero ora rivolgere il mio cordiale saluto alla numerosa rappresentanza dell’Accademia di Arte Drammatica di Bologna. Agli artisti presenti, insieme al Corpo Insegnante ed ai familiari, voglio ricordare che la presenza cristiana nel campo dell’ARte espressiva è stata sempre molto importante, ma oggi è addirittura urgente. Per questo il mio saluto vuol essere anche un segno di plauso e di incoraggiamento, unito all’augurio di un sempre maggiore successo, di cui è pegno la mia Benedizione.

Ai giovani


La vostra presenza, cari giovani, richiama alla mia mente l’episodio di quel Giovane del Vangelo che si presentò a Gesù, chiedendogli che cosa dovesse fare per aver la vita eterna.

– Osserva i Comandamenti!

– Li ho osservati fin dalla mia fanciullezza. Che altro mi resta?

E Gesù, guardandolo con amore, come ora io faccio con voi, rispose:

– Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che hai e dallo ai poveri. Poi vieni e seguimi.

Cari Giovani, sono due i gradini che la Chiesa ha sempre proposto ai cuori più generosi: l’osservanza dei Comandamenti; e, per i più forti, la rinunzia volontaria ai beni e agli affetto anche più legittimi per servire a Lui con illimitata libertà di cuore. Non vogliate chiudere gli orecchi a queste sollecitazioni della grazia!

Agli ammalati

Un pensiero particolarmente affettuoso rivolgo anche a voi, cari ammalati. Quanto spesso si legge nel Vangelo che Gesù parlava agli ammalati, li guariva, li confortava! Io, suo umile Vicario, sento nel cuore sentimenti simili a quelli di Gesù. E cioè: una profonda gioia di vedervi; una paterna partecipazione ai vostri dolori, che vorrebbe farsi tutto a tutti; il desiderio di ogni bene per voi e per i vostri cari. Prego Dio che voglia attenuare le vostre pene, perché possiate accettare e sostenere con tranquilla fiducia il vostro fardello. Sì, vi amo e prego per voi. E voi offrite i tesori delle vostre sofferenze per la Chiesa e per il Papa!

Agli sposi novelli

Voi, sposi novelli, siete nel meriggio della vita, pieno di sole e di festa. L’amore scambievole che provate nel cuore, e che supera ogni altro sentimento umano, è un dono di Dio, in vista dei compiti che vi attendono: la costruzione della famiglia e l’educazione dei figli. Compito gioioso, e di immensa portata sociale e religiosa, ma arduo. La società, domani, sarà quale voi l’avrete preparata in voi e nei vostri figli.

Che il Signore vi sostenga e vi accompagni, con la mia Benedizione.






Catechesi 79-2005 28580