Catechesi 79-2005 18680

Mercoledì, 18 giugno 1980: Il dominio “su” l’altro nella relazione interpersonale

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1. In Genesi 3 è descritto con sorprendente precisione il fenomeno della vergogna, apparsa nel primo uomo insieme al peccato originale. Una attenta riflessione su questo testo ci consente di dedurne che la vergogna, subentrata all’assoluto affidamento connesso con l’anteriore stato dell’innocenza originaria nel reciproco rapporto tra l’uomo e la donna, ha una dimensione più profonda. Occorre al riguardo rileggere sino alla fine il capitolo 3 della Genesi, e non limitarsi al versetto 7 né al testo dei versetti 10-11, i quali contengono la testimonianza circa la prima esperienza della vergogna. Ecco che, in seguito a questa narrazione, si rompe il dialogo di Dio-Jahvè con l’uomo e la donna, ed inizia un monologo. Jahvè si rivolge alla donna e parla prima dei dolori del parto, che d’ora in poi l’accompagneranno: "Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli..." (
Gn 3,16).

A ciò fa seguito l’espressione che caratterizza il futuro rapporto di entrambi, dell’uomo e della donna: "Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà" (Gn 3,16).

2. Queste parole, al pari di quelle di Genesi 2,24, hanno un carattere prospettico. L’incisiva formulazione di Genesi 3,16 sembra riguardare il complesso dei fatti, che in certo modo sono emersi già nell’originaria esperienza della vergogna, e che successivamente si manifesteranno in tutta l’esperienza interiore dell’uomo "storico". La storia delle coscienze e dei cuori umani avrà in sé la continua conferma delle parole contenute in Genesi 3,16. Le parole pronunziate al principio sembrano riferirsi ad una particolare "menomazione" della donna nei confronti dell’uomo. Ma non vi è motivo per intenderla come una menomazione o una disuguaglianza sociale. Immediatamente invece l’espressione: "Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà" indica un’altra forma di disuguaglianza, che la donna risentirà come mancanza di piena unità appunto nel vasto contesto dell’unione con l’uomo, alla quale tutti e due sono stati chiamati secondo Genesi 2,24.

3. Le parole di Dio-Jahvè: "Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà" (Gn 3,16) non riguardano esclusivamente il momento dell’unione dell’uomo e della donna, quando entrambi si uniscono così da diventare una sola carne (cf. Gn 2,24), ma si riferiscono all’ampio contesto dei rapporti anche indiretti dell’unione coniugale nel suo insieme. Per la prima volta l’uomo viene qui definito quale "marito". Nell’intero contesto della narrazione jahvista tali parole intendono soprattutto una infrazione, una fondamentale perdita della primitiva comunità-comunione di persone. Questa avrebbe dovuto render vicendevolmente felici l’uomo e la donna mediante la ricerca di una semplice e pura unione nell’umanità, mediante una reciproca offerta di se stessi, cioè l’esperienza del dono della persona espresso con l’anima e con il corpo, con la mascolinità e la femminilità - "carne dalla mia carne"(Gn 2,23) -, ed infine mediante la subordinazione di tale unione alla benedizione della fecondità con la "procreazione".

4. Sembra quindi che nelle parole rivolte da Dio-Jahvè alla donna, si trovi una risonanza più profonda della vergogna, che entrambi cominciarono a sperimentare dopo la rottura dell’originaria Alleanza con Dio. Vi troviamo, inoltre, una più piena motivazione di tale vergogna. In modo molto discreto, e nondimeno abbastanza decifrabile ed espressivo, Genesi 3,16 attesta come quella originaria beatificante unione coniugale delle persone sarà deformata nel cuore dell’uomo dalla concupiscenza. Queste parole sono direttamente rivolte alla donna, ma si riferiscono all’uomo, o piuttosto a tutti e due insieme.

5. Già l’analisi di Genesi 3,7, fatta in precedenza, ha dimostrato che nella nuova situazione, dopo la rottura dell’originaria Alleanza con Dio, l’uomo e la donna si trovarono fra loro, anziché uniti, maggiormente divisi o addirittura contrapposti a causa della loro mascolinità e femminilità. Il racconto biblico, mettendo in rilievo l’impulso istintivo che aveva spinto entrambi a coprire i loro corpi, descrive al tempo stesso la situazione in cui l’uomo, come maschio o femmina - prima era piuttosto maschio e femmina - si sente maggiormente estraniato dal corpo, come dalla sorgente della originaria unione nell’umanità ("carne dalla mia carne"), e più contrapposto all’altro proprio in base al corpo e al sesso. Tale contrapposizione non distrugge né esclude l’unione coniugale voluta dal Creatore (cf. Gn 2,24), né i suoi effetti procreativi; ma conferisce all’attuazione di questa unione un’altra direzione, che sarà propria dell’uomo della concupiscenza. Di ciò parla appunto Genesi 3,16.

La donna, il cui "istinto sarà verso il (proprio) marito" (Gn 3,16), e l’uomo che risponde a tale istinto, come leggiamo: "ti dominerà", formano indubbiamente la stessa coppia umana, lo stesso matrimonio di Genesi 2,24, anzi, la stessa comunità di persone: tuttavia, sono ormai qualcosa di diverso. Essi non sono più soltanto chiamati all’unione e unità, ma anche minacciati dall’insaziabilità di quell’unione e unità, che non cessa di attrarre l’uomo e la donna proprio perché sono persone, chiamate dall’eternità ad esistere "in comunione". Alla luce del racconto biblico, il pudore sessuale ha il suo profondo significato, che è collegato appunto con l’inappagamento dell’aspirazione a realizzare nell’"unione coniugale del corpo" (cf. Gn 2,24) la reciproca comunione delle persone.

6. Tutto ciò sembra confermare, sotto vari aspetti, che alla base della vergogna, di cui l’uomo "storico" è divenuto partecipe, sta la triplice concupiscenza, di cui tratta la prima Lettera di Giovanni 2,16: non solamente la concupiscenza della carne, ma anche "la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita". L’espressione relativa al "dominio" ("egli ti dominerà"), di cui leggiamo in Genesi 3,16, non indica forse quest’ultima forma di concupiscenza? Il dominio "su" l’altro - dell’uomo sulla donna - non cambia forse essenzialmente la struttura di comunione nella relazione interpersonale? Non traspone forse nella dimensione di tale struttura qualcosa che fa dell’essere umano un oggetto, in certo senso concupiscibile dagli occhi?

Ecco gli interrogativi che nascono dalla riflessione sulle parole di Dio-Jahvè secondo Genesi 3,16. Quelle parole, pronunciate quasi alla soglia della storia umana dopo il peccato originale, ci svelano non soltanto la situazione esteriore dell’uomo e della donna, ma ci consentono anche di penetrare all’interno dei profondi misteri del loro cuore.

Saluti:


Ad un gruppo di Religiose Irlandesi

A due corali

Ai Sacerdoti novelli provenienti dall’Italia e da altre regioni dell’Europa

Una parola di affettuoso saluto e di sincero augurio desidero rivolgere ai novelli Sacerdoti, presenti in questa Udienza ed appartenenti a varie Nazioni.


In particolare desidero menzionare i neo-sacerdoti della diocesi di Brescia, che sono accompagnati dai loro Superiori e familiari.

Carissimi, sia la vostra vita sempre conforme a quella di Gesù Cristo, che vi ha reso partecipi del dono mirabile del Sacerdozio ministeriale. La Chiesa tutta guarda a voi con trepida attesa e con serena speranza ed eleva la sua fervente preghiera perché siate sempre degni e zelanti dispensatori dei misteri di Dio. A voi, ai vostri genitori ed alle persone care la mia Benedizione Apostolica.

Al pellegrinaggio della diocesi di Senigallia

Saluto poi il gruppo di sacerdoti della diocesi di Senigallia, che, unitamente al loro Vescovo Monsignor Odo Fusi-Pecci, concludono presso le tombe degli Apostoli un significativo pellegrinaggio di fede e di comunione. Figli carissimi, nell’esprimervi la mia gratitudine per questa testimonianza di attaccamento alla Cattedra di Pietro, sulla quale sedette degnamente in tempi travagliati il Pontefice Pio IX, illustre figlio della vostra Terra, desidero esortarvi ad imitarne le virtù, studiandovi in particolare di essere anche voi, come Lui, pastori secondo il cuore di Cristo.

Ai sacerdoti della diocesi di Como

Un pensiero ed un augurio, infine, per i sacerdoti della diocesi di Como che celebrano il 38° anniversario di ordinazione. Ad essi e a ciascun sacerdote qui presente, imparto con speciale affetto la mia Benedizione.

Ai Seminaristi

Non posso dimenticare, in questa circostanza, di rivolgere la mia parola di cordiale saluto e di paterno incoraggiamento anche ai Seminaristi, che partecipano a questo incontro.

Preparatevi, figli carissimi, con grande impegno al raggiungimento dell’altissimo ideale della vostra giovinezza e di tutta la vostra vita. Il Sacerdozio, al quale siete stati chiamati, esige preghiera, meditazione, studio, sacrificio. Ma la gioia di servire il Signore e di contribuire, in maniera particolare, all’edificazione del Popolo di Dio colmerà in modo sovrabbondante i vostri cuori, aperti e disponibili all’invito di Gesù.

A tutti voi la mia Benedizione Apostolica.

Ai giovani

Rivolgo ora un cordialissimo saluto a tutti i giovani, ai ragazzi e alle ragazze che partecipano a questa Udienza. Carissimi, le vostre fatiche scolastiche sono terminate o stanno per terminare e le vacanze vi attendono. E’ giusto che vi riposiate e vi divertiate; ma il Papa vi raccomanda anche di non dimenticare mai i vostri impegni religiosi. Il cristiano è sempre e da per tutto cristiano: a casa, a scuola, nel lavoro, nel riposo, nel divertimento. San Luigi Gonzaga, del quale fra pochi giorni celebreremo la festa, vi aiuti ad essere fedeli alla vocazione cristiana. Con questo augurio di cuore vi benedico.

Ai malati

A voi ammalati, presenti a questo incontro, ed a tutti coloro che soffrono nel corpo o nell’anima vorrei ricordare, con profondo affetto, quanto fu grande e commovente la predilezione di Gesù per i sofferenti. Sappiate portare con coraggio le vostre croci, insieme con Gesù paziente, sostenuti dalla vostra fede e dal vostro amore a Cristo. Vi conforti la mia Benedizione, che imparto a voi, ai vostri familiari e ai vostri amici.

Alle coppie di sposi novelli

Un particolare saluto anche agli Sposi novelli.Carissimi, auguro vivamente che il vostro reciproco amore, fortificato dal Sacramento del Matrimonio, sia imperituro e che la vostra famiglia non conosca mai la sfiducia, l’insofferenza e l’egoismo, ma sia sempre caratterizzata da generoso impegno e serena armonia.

Il Signore Gesù e Maria Santissima abbiano sempre il posto d’onore non solo nella vostra casa, ma nella vostra vita. A questo scopo prego per voi e cordialmente vi benedico.






Mercoledì, 25 giugno 1980: La triplice concupiscenza limita il significato sponsale del corpo

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1. L’analisi che abbiamo fatta durante la precedente riflessione era incentrata sulle seguenti parole di Genesi 3,16, rivolte da Dio-Jahvè alla prima donna dopo il peccato originale: "Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà" (
Gn 3,16). Siamo giunti a concludere che queste parole contengono un adeguato chiarimento ed una profonda interpretazione della vergogna originaria (cf. Gn 3,7), divenuta parte dell’uomo e della donna insieme alla concupiscenza. La spiegazione di questa vergogna non va cercata nel corpo stesso, nella sessualità somatica di entrambi, ma risale alle trasformazioni più profonde subite dallo spirito umano. Proprio questo spirito è particolarmente conscio di quanto insaziabile esso sia della mutua unità tra l’uomo e la donna. E tale coscienza, per così dire, ne fa colpa al corpo, gli toglie la semplicità e purezza del significato connesso all’innocenza originaria dell’essere umano. In rapporto a tale coscienza, la vergogna è un’esperienza secondaria: se da un lato essa rivela il momento della concupiscenza, al tempo stesso può premunire dalle conseguenze della triplice componente della concupiscenza. Si può perfino dire che l’uomo e la donna, attraverso la vergogna, quasi permangono nello stato dell’innocenza originaria. Di continuo, infatti, prendono coscienza del significato sponsale del corpo e tendono a tutelarlo, per così dire, dalla concupiscenza, così come cercano di mantenere il valore della comunione, ossia dell’unione delle persone nell’"unità del corpo".

2. Genesi 2,24 parla con discrezione ma anche con chiarezza dell’"unione dei corpi" nel senso dell’autentica unione delle persone: "L’uomo... si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne"; e dal contesto risulta che questa unione proviene da una scelta, dato che l’uomo "abbandona" padre e madre per unirsi a sua moglie. Una siffatta unione delle persone comporta che esse diventino "una sola carne". Partendo da questa espressione "sacramentale", che corrisponde alla comunione delle persone - dell’uomo e della donna - nella loro originaria chiamata all’unione coniugale, possiamo meglio comprendere il messaggio proprio di Genesi Gn 3,16; possiamo cioè stabilire e quasi ricostruire in che cosa consista lo squilibrio, anzi la peculiare deformazione dell’originario rapporto interpersonale di comunione, a cui alludono le parole "sacramentali" di Genesi Gn 2,24.

3. Si può quindi dire - approfondendo Genesi Gn 3,16 - che mentre da una parte il "corpo", costituito nell’unità del soggetto personale, non cessa di stimolare i desideri dell’unione personale, proprio a motivo della mascolinità e femminilità ("verso tuo marito sarà il tuo istinto"), dall’altra e al tempo stesso la concupiscenza indirizza a modo suo questi desideri; ciò viene confermato dalla espressione: "Egli ti dominerà". La concupiscenza della carne indirizza però tali desideri verso l’appagamento del corpo, spesso a prezzo di un’autentica e piena comunione delle persone. In tal senso, si dovrebbe prestare attenzione alla maniera in cui vengono distribuite le accentuazioni semantiche nei versetti di Genesi 3; infatti, pur essendo sparse, rivelano coerenza interna. L’uomo è colui che sembra provar vergogna del proprio corpo con particolare intensità: "Ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto" (Gn 3,10); queste parole pongono in rilievo il carattere davvero metafisico della vergogna. Al tempo stesso, l’uomo è colui per il quale la vergogna, unita alla concupiscenza, diventerà impulso a "dominare" la donna ("egli dominerà"). In seguito, l’esperienza di tale dominio si manifesta più direttamente nella donna come il desiderio insaziabile di un’unione diversa. Dal momento in cui l’uomo la "domina", alla comunione delle persone - fatta di unità spirituale dei due soggetti donatisi reciprocamente - succede un diverso rapporto vicendevole, cioè un rapporto di possesso dell’altro a modo di oggetto del proprio desiderio. Se tale impulso prevale da parte dell’uomo, gli istinti che la donna volge verso di lui, secondo l’espressione di Genesi Gn 3,16, possono assumere - e assumono - un carattere analogo. E forse talvolta prevengono il "desiderio" dell’uomo, o tendono perfino a suscitarlo e a dargli impulso.


4. Il testo di Genesi Gn 3,16 sembra indicare soprattutto l’uomo come colui che "desidera", analogamente al testo di Matteo Mt 5,27-28, che costituisce il punto di partenza per le presenti meditazioni; nondimeno, sia l’uomo che la donna sono divenuti un "essere umano" soggetto alla concupiscenza. E perciò entrambi hanno in sorte la vergogna, che con la sua profonda risonanza tocca l’intimo sia della personalità maschile che di quella femminile, anche se in diverso modo. Ciò che apprendiamo da Genesi 3 ci consente appena di delineare questa duplicità, ma anche solo gli accenni sono già molto significativi. Aggiungiamo che, trattandosi di un testo così arcaico, esso è sorprendentemente eloquente e acuto.

5. Un’adeguata analisi di Genesi 3 conduce quindi alla conclusione, secondo cui la triplice concupiscenza, inclusa quella del corpo, porta con sé una limitazione del significato sponsale del corpo stesso, di cui l’uomo e la donna erano partecipi nello stato dell’innocenza originaria. Quando parliamo del significato del corpo, facciamo anzitutto riferimento alla piena coscienza dell’essere umano, ma includiamo anche ogni effettiva esperienza del corpo nella sua mascolinità e femminilità, e, in ogni caso, la costante predisposizione a tale esperienza. Il "significato" del corpo non è soltanto qualcosa di concettuale. Su ciò abbiamo già sufficientemente richiamato l’attenzione delle precedenti analisi. Il "significato del corpo" è ad un tempo ciò che determina l’atteggiamento: è il mondo di vivere il corpo. È la misura che l’uomo interiore, cioè quel "cuore" al quale si richiama Cristo nel discorso della montagna, applica al corpo umano riguardo alla sua mascolinità/femminilità (dunque riguardo alla sua sessualità).

Quel "significato" non modifica la realtà in se stessa, ciò che il corpo umano è e non cessa di essere nella sessualità che gli è propria, indipendentemente dagli stati della nostra coscienza e delle nostre esperienze. Tuttavia, tale significato puramente oggettivo del corpo e del sesso, al di fuori del sistema dei reali concreti rapporti interpersonali tra l’uomo e la donna, è in un certo senso "storico". Noi, invece, nella presente analisi - in conformità con le fonti bibliche - teniamo conto della storicità dell’uomo (anche per il fatto che prendiamo le mosse dalla sua preistoria teologica). Si tratta qui, ovviamente, di una dimensione interiore, che sfugge ai criteri esterni della storicità, ma che- tuttavia può essere considerata "storica". Anzi, essa sta proprio alla base di tutti i fatti, che costituiscono la storia dell’uomo - anche la storia del peccato e della salvezza - e così rivelano la profondità e la radice stessa della sua storicità.

6. Quando, in questo vasto contesto, parliamo della concupiscenza come di limitazione, infrazione o addirittura deformazione del significato sponsale del corpo, ci riportiamo soprattutto alle precedenti analisi, che riguardavano lo stato della innocenza originaria, cioè la preistoria teologica dell’uomo. Al tempo stesso, abbiamo in mente la misura che l’uomo "storico", con il suo "cuore", applica al proprio corpo riguardo alla sessualità maschile/femminile. Questa misura non è qualcosa di esclusivamente concettuale: è ciò che determina gli atteggiamenti e decide in linea di massima del modo di vivere del corpo.

Certamente, a ciò si riferisce il Cristo nel Discorso della Montagna. Noi cerchiamo qui di accostare le parole tratte da Matteo 5,27-28 alla soglia stessa della storia teologica dell’uomo, prendendole quindi in considerazione già nel contesto di Genesi 3. La concupiscenza come limitazione, infrazione o addirittura deformazione del significato sponsale del corpo, può esser verificata in maniera particolarmente chiara (nonostante la concisione del racconto biblico) nei due progenitori, Adamo e Eva; grazie a loro abbiamo potuto trovare il significato sponsale del corpo e riscoprire in che cosa esso consista come misura del "cuore" umano, tale da plasmare la forma originaria della comunione delle persone. Se nella loro esperienza personale (che il testo biblico ci permette di seguire) quella forma originaria ha subito squilibrio e deformazione - come abbiamo cercato di dimostrare attraverso l’analisi della vergogna - doveva subire una deformazione anche il significato sponsale del corpo, che nella situazione della innocenza originaria costituiva la misura del cuore di entrambi, dell’uomo e della donna. Se riusciremo a ricostruire in che cosa consista questa deformazione, avremo pure la risposta alla nostra domanda: cioè in che cosa consista la concupiscenza della carne e che cosa costituisca la sua specificità teologica ed insieme antropologica. Sembra che una risposta teologicamente ed antropologicamente adeguata, importante per quel che concerne il significato delle parole di Cristo nel discorso della Montagna, possa già essere ricavata dal contesto di Genesi 3 e dall’intero racconto jahvista, che in precedenza ci ha permesso di chiarire il significato sponsale del corpo umano.

Saluto:

Ai pellegrini di lingua tedesca

All’equipaggio della nave statunitense Saratoga

Ai componenti il "Boy Choir" di Atlanta


Ai professori e agli alunni dell’Istituto "Pons d’Icart" di Tarragona

Ai partecipanti al convegno annuale dei responsabili regionali e diocesani della pastorale e del lavoro in Italia

Saluto ora con sincero affetto i partecipanti al Convegno annuale dei responsabili regionali e diocesani della pastorale del lavoro in Italia. Figli carissimi, voi vi interrogherete in questi giorni, alla luce delle esperienze raccolte nelle varie sedi, circa le vie da seguire per attuare un’efficace presenza pastorale nel mondo del lavoro. E’ una riflessione che l’attuale momento critico rende particolarmente delicata e difficile. Sia vostra preoccupazione costante quella di restare fedeli, al di là dei modelli di pensiero correnti, ai valori imperituri del messaggio cristiano ed alle esigenze poste da un coerente rispetto per la dignità dell’uomo. Troverete in ciò il criterio sicuro per giungere ad una proposta pastorale originale ed incisiva. Vi sono vicino con la preghiera e con la mia benedizione Apostolica.

Agli altri pellegrinaggi Italiani

Desidero ora rivolgere una parola di plauso e di incoraggiamento ai partecipanti al corso annuale di Pastorale Migratoria, riservato a Sacerdoti, Religiosi e Laici. Carissimi, di cuore auspico che la vostra opera porti abbondanti frutti di bene fra le persone che sono state costrette ad abbandonare la propria terra natia. Vi sostenga e vi accompagni la mia particolare Benedizione.
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Il mio cordiale saluto va, altresì, ai Superiori e Alunni dell’istituto Catechetico Missionario "Mater Ecclesiae" della Sacra Congregazione "dePropaganda Fide", con l’auspicio che il loro corso contribuisca ad una sempre più intensa evangelizzazione missionaria.
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Saluto poi i partecipanti al congresso promosso dall’Associazione della Stampa Medica Italiana ed i vincitori del premio di giornalismo medico.
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Intendo poi dare un benvenuto particolarmente sentito al numeroso pellegrinaggio delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa Italiana, alle quali auguro di cuore di proseguire sempre con entusiasmo il loro prezioso servizio di assistenza ai sofferenti.
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Rivolgo ora un particolare pensiero al gruppo del Centro Sportivo di Caseina Elisa, della Diocesi di Milano, di cui benedico volentieri la fiaccola da portare alla loro Parrocchia, dedicata ai Santi Pietro e Paolo.
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Infine, riservo un saluto per il gruppo di coniugi "focolarini" qui presenti e provenienti da varie nazioni, ai quali formo l’augurio di una serena vita matrimoniale, impostata sulla fede ed irradiante un’efficace testimonianza cristiana.

Ai giovani

Un saluto speciale rivolgo ora a voi, fanciulli, ragazzi, ragazze e giovani, che con tanto entusiasmo ed esuberanza avete voluto venire a questa Udienza per vedere il Papa e manifestare così la vostra fede in Gesù Cristo, qui rappresentato dal suo Vicario. Saluto in modo particolare quei fanciulli e fanciulle, tra voi, che si sono accostati da poco tempo al Sacramento dell’Eucaristia, nella Prima Comunione, e recano ancora con loro il profumo del pane eucaristico e la fragranza dell’amore di Gesù per noi. Auguro a tutti che possiate conservare sempre la grazia, la luce e il sorriso che a voi derivano dall’innocenza e dall’amicizia con Gesù.

Agli ammalati

Un pensiero poi del tutto particolare va agli ammalati e ai sofferenti che, come in ogni Udienza, occupano un posto privilegiato accanto al Papa. Carissimi ammalati, vi ringrazio per la vostra preziosa presenza e per i disagi che avete dovuto affrontare per venire a questo incontro. Vi sono grato soprattutto per le preghiere e per i sacrifici nascosti che offrite al Signore per la Chiesa e per il Papa. Il Signore ve ne renda merito. Da parte mia, vi esorto a non perdervi mai d’animo, neppure nei momenti più duri, a cui la malattia vi sottopone; e ad essere sempre consapevoli che le vostre sofferenze sono altrettanti tesori che fruttificano per il bene della società in cui viviamo e per il conseguimento della vita eterna. Vi sia di conforto la mia speciale Benedizione.

Alle coppie di sposi novelli

Ed ora una parola beneaugurante agli sposi novelli.Cari sposi, vi esprimo anzitutto le mie felicitazioni per il passo così bello e impegnativo, che avete da poco compiuto con la celebrazione del Sacramento del matrimonio, che ha consacrato il vostro amore, rendendolo stabile ed irrevocabile. Vi esprimo poi l’augurio che possiate vivere sempre in questo autentico amore coniugale con entusiastica reciproca donazione, con attaccamento sincero e con crescente fedeltà. Il Signore benedica il vostro amore e ve lo conservi per sempre nella gioia cristiana.

Ai Direttori regionali e diocesani delle Pontificie Opere Missionarie

Un saluto desidero rivolgere ai Direttori regionali e diocesani delle Pontificie Opere Missionarie. Sappiate, carissimi figli, che il Papa apprezza molto il vostro lavoro che è di qualificata collaborazione alla diffusione del Vangelo. Ve ne ringrazio e vi benedico di cuore.


Mercoledì, 16 luglio 1980: La Chiesa in Brasile e i problemi dell’uomo

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1. "Para onde vais?": Dove vai? Dove andrai? Ecco, tale domanda ha costituito il filo conduttore del X Congresso Eucaristico Nazionale del Brasile, che ho avuto la gioia di inaugurare precisamente una settimana fa a Fortaleza al termine del mio ultimo viaggio-pellegrinaggio lungo quel gigantesco paese. Paese che è un continente. L’invito si riferiva anche ad altre circostanze, e comprendeva una serie di tappe. Tra le circostanze particolarmente importanti bisogna ricordare la consacrazione della nuova Basilica nel principale santuario mariano in Brasile: Aparecida, e il XXV anniversario dell’istituzione del consiglio degli episcopati dell’America Latina (Celam), che ha avuto luogo nel 1955 a Rio de Janeiro, e proprio in quella città ne è stato celebrato l’anniversario: il giubileo d’argento dell’istituzione tanto benemerita.

Per quanto riguarda le singole tappe di tale viaggio-pellegrinaggio (il più lungo di tutti quelli che mi è stato dato di compiere finora, dal 30 giugno fino all’11 luglio si sono susseguite nel seguente ordine:

Brasilia, attuale capitale del Paese; Belo Horizonte; Rio de Janeiro; São Paulo; Aparecida; Porto Alegre; Curitiba; São Salvador da Bahia; Recife; Teresina - Belém do Parà - Fortaleza - e infine, già dopo l’apertura del congresso eucaristico e prima di ritornare a Roma: Manaus, nel centro della più grande, forse, riserva della natura sulla terra, al confluire del Rio delle Amazzoni e del Rio Negro. Tredici tappe nel corso di dodici giorni. Con tutto ciò sono riuscito a visitare soltanto una parte delle province di quel paese immenso, sia in senso ecclesiastico, sia anche in quello amministrativo e statale.

2. La domanda "Para onde vais?": Dove vai? o meglio: Dove andiamo?, mi ha accompagnato per tutte le tappe di questo cammino brasiliano, così che esse sono entrate tutte, in un certo senso, nel contesto del congresso eucaristico di quest’anno e hanno costituito quasi un allargamento e ingrandimento del suo programma su tutto il paese. Questa domanda, nell’intenzione degli organizzatori del congresso, ha una sua risonanza evangelica e, nello stesso tempo, contemporanea e sociale nel pieno senso della parola. La risonanza evangelico-eucaristica è stata messa in evidenza, nella maniera migliore, dalle parole rivolte, una volta, da Pietro a Cristo nei pressi di Cafarnao: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (
Jn 6,68). Forse appunto per questo era necessario che in tale congresso fosse presente il successore di Pietro, affinché proprio lui pronunciasse di nuovo queste parole, così come, molto tempo fa, le aveva pronunciate Pietro stesso nei pressi di Cafarnao.


Contemporaneamente queste parole, scelte come motto e filo conduttore del grande avvenimento religioso nella Chiesa brasiliana, attestano quanto profondamente la Chiesa di quel paese e, particolarmente, i suoi pastori colleghino l’eucaristia e il Vangelo con l’insieme dei problemi sociali contemporanei, di cui è carica la vita degli uomini nel vasto territorio del "continente" brasiliano.

Infatti, proprio questa vita nel suo profilo sociale più largo si collega con questa domanda: "para onde vais?". La Chiesa sa che milioni di uomini si pongono una tale domanda e che questi milioni di uomini si trovano dinanzi al problema della "migrazione"; quindi la toglie, in un certo senso, dalla loro bocca, dai loro cuori, spesso inquieti, dalle loro coscienze, da tutta la loro esistenza contemporanea. La toglie e, in certo modo, la formula insieme con loro e al loro posto, come espressione della sua presenza nel mondo brasiliano e della sollecitudine per ogni uomo che vive in questo mondo e lo costruisce; come espressione della sollecitudine pastorale e della solidarietà fraterna con ogni uomo. Poiché questo uomo, come ho scritto nell’enciclica "Redemptor Hominis", è, in un certo modo, la "via della Chiesa".

3. La domanda "dove vai?" ha, nel contesto brasiliano, anche la sua dimensione storica. Bisogna tornare indietro di quasi cinque secoli, per risalire a quel momento in cui essa incominciò ad essere attuale. I primi arrivati dal continente europeo, soprattutto i portoghesi, trovarono in quegli immensi territori gli indiani, fino ad allora abitanti e padroni di quella terra; le loro occupazioni erano, e sono rimaste fino a oggi, la caccia e la pesca. Il continente creava per ciò vaste possibilità. Per rendere, durante il mio viaggio in Brasile, il dovuto omaggio ai primi abitanti e padroni di quella terra, ho sentito un particolare bisogno di giungere al centro dell’Amazzonia, dove essi vivono ancora, cercando di conservare il loro stile tradizionale di vita. La giustizia esige che coloro i quali non sono andati nella direzione della nuova civiltà, innestata dagli stranieri, possano pienamente mantenere la loro tradizionale identità.

Gli uomini, che venivano gradatamente dal vecchio mondo nel territorio del continente brasiliano, hanno dato al suo sviluppo un nuovo orientamento, vi hanno innestato una nuova cultura, hanno inserito quella parte dell’America nell’ambito della civilizzazione occidentale, popolandola con gruppi etnici sempre nuovi.

Ciò che deve colpire, in questo processo plurisecolare del fondersi di gruppi tanto differenziati in una nuova grande società brasiliana, è - nonostante tutti i lati oscuri di quel processo - un’attuazione graduale della comunità e perfino della fratellanza, che ha unito e unisce sempre di più tutti quegli uomini, benché vi siano tanti fattori che avrebbero potuto dividerli, e perfino contrapporli gli uni agli altri in una lotta reciproca. L’elemento storico forse più oscuro di tale processo, cioè il far venire degli schiavi neri dall’Africa, in fin dei conti, scomparve anch’esso; abbastanza tardi, per la verità ma scomparve. I neri si sono uniti con gli antichi indigeni e con i bianchi, creando, anche nel senso antropologico, il tipo contemporaneo dell’uomo brasiliano. È l’uomo dai sentimenti caldi e dal cuore aperto.

In tutto ciò, non si può non scorgere il lavoro plurisecolare della Chiesa: i frutti della evangelizzazione. E se pensiamo con umiltà a tutte le sue mancanze e imperfezioni, contemporaneamente non si può non pensare, con venerazione e con gratitudine, a tutti quegli autentici "ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio" (1Co 4,1) i quali hanno contribuito alla cristianizzazione e, al tempo stesso, all’umanizzazione della vita in terra brasiliana. L’elevazione agli altari, il 22 giugno scorso, di uno di essi, del beato Giuseppe Anchieta, ha la sua eloquenza simbolica.

4. Se la Chiesa brasiliana riunita nel congresso a Fortaleza, intorno all’eucaristia, pone agli uomini contemporanei in tutto il Brasile la domanda "para onde vais" (dove vai?) tale domanda attesta che essa desidera realizzare la sua missione: che il mistero di Cristo, è, in quella Chiesa, autenticamente orientato verso i problemi reali dell’uomo. E quei problemi - in un certo senso comuni a tutti i paesi dell’America Latina - hanno la loro particolare dimensione brasiliana, data la grandezza di quel paese e di quella società, l’enorme differenziazione, non soltanto nel senso geografico, ma anche culturale ed economico-sociale. L’immensa vitalità delle moltitudini di gente ammassate sempre di più - il settanta per cento - nelle città (alcune di esse sono veramente città-giganti, come in particolare São Paulo o Rio de Janeiro) esige che si cerchino tali soluzioni, tali vie verso il futuro, che permettano di superare gli acuti contrasti e conducano a una maggiore perequazione, per quanto riguarda la divisione dei beni, il sistema delle condizioni dell’esistenza quotidiana delle famiglie e degli interi ambienti. Ogni società può costruire il suo futuro soltanto in quanto diventa più giusta, in quanto la vita umana è, in essa, sempre più degna dell’uomo.

E perciò, insieme con i pastori della Chiesa brasiliana, ho posto questa domanda fondamentale: "para onde vais?" alle diverse persone, alle comunità, agli ambienti. L’ho posta, in un certo senso, a tutta la società già durante il primo incontro a Brasilia, la capitale del paese. L’ho posta alla gioventù durante l’incontro a Belo Horizonte. Ho diretto questa domanda alle famiglie a Rio de Janeiro e, nella stessa città meravigliosamente bella, sia agli uomini della scienza e della cultura, sia agli abitanti delle "favelas" suburbane. A São Paulo essa ha costituito il tema dell’incontro con il mondo operaio e a Recife con gli agricoltori brasiliani. Questa domanda è stata attuale per gli ambienti degli immigrati brasiliani dai diversi paesi dell’Europa o dell’Asia a Porto Alegre e a Curitiba. Essa non è stata meno attuale per i costruttori della società pluralista contemporanea a Salvador de Bahia, dove si sente di più la presenza degli uomini di provenienza africana. Occorreva porre la stessa domanda nella regione più povera del Brasile durante la sosta a Teresina, come anche nel bacino dell’Amazzonia: a Belém e a Manaus.

Questa domanda ha costituito il tema degli incontri con i sacerdoti e con il mondo dei religiosi e delle religiose, con i missionari benemeriti. Intorno allo stesso tema si sono concentrate le nostre comuni riflessioni con l’intero grande Episcopato Brasiliano, riunito nei diversi luoghi secondo le regioni, e soprattutto a Fortaleza nella seduta plenaria.

Anche dinanzi ai rappresentanti delle autorità ho cercato di mettere in rilievo l’importanza di questa domanda, la quale riguarda sia ogni brasiliano, che il Brasile intero, sia la Chiesa, che lo Stato.

5. In questa domanda: "para onde vais?" si contiene, nello stesso tempo, il fervido augurio che quella grande nazione, che conta il più grande numero di cattolici nel mondo, si avvii verso il suo futuro nella direzione giusta sotto ogni aspetto. Che si realizzi in essa la giustizia sempre più piena sulla via della pace e altresì delle riforme indispensabili e sistematiche. Che a quella società, a quegli uomini, a quei diletti figli e figlie del Brasile, che dimostrano tanta serenità, ottimismo e semplicità, siano risparmiate le dolorose prove ed esperienze che negli ultimi tempi hanno già colpito alcune società di quella regione del mondo: sovversioni, rivoluzioni, spargimento di sangue, minaccia dei diritti dell’uomo...


Ecco gli auguri che dal grande pellegrinaggio brasiliano reco al cuore della Chiesa, a questa sede di Pietro, la quale, unendo tutti, desidera pulsare con la vita di ciascuna delle Chiese e delle nazioni che guardano verso di essa con amore e con fiducia.

Dio benedica il Brasile!

L’affido a Cristo e alla sua Madre: Maria "Aparecida".

Saluti:

Ad un gruppo di religiose, Sorelle della Sacra Famiglia di Nazareth

A due gruppi di religiose

Sono lieto ora di salutare due gruppi di Religiose, appartenenti rispettivamente alla Congregazione delle Suore Domenicane di Santa Caterina da Siena, riunite in questi giorni a Roma per il loro Capitolo Generale Speciale, ed alla Congregazione delle Suore dell’Immacolata di Santa Chiara, le quali celebrano quest’anno il bicentenario di fondazione del proprio Istituto.

Carissime Sorelle, vi ringrazio per essere qui venute a esprimere la vostra fede in Dio e la vostra fedeltà agli impegni assunti con la consacrazione alla vita religiosa e, in pari tempo, a testimoniare il vostro devoto attaccamento al Successore di Pietro. Vi dico semplicemente: sappiate trarre profitto da questa occasione per compiere, nella preghiera e nella meditazione, una verifica e, se occorre, una rettifica della vostra vita spirituale e delle attività proprie, delle vostre Congregazioni, mediante una rilettura attenta e fedele dei vostri Statuti e delle vostre Regole alla luce del Vangelo e dei principali documenti del Magistero della Chiesa. In tal modo certamente ciascun membro delle vostre Comunità sentirà la gioia di riscoprire, come ho detto recentemente in Brasile, "il dovere di mantenere la fedeltà alla vita comunitaria e contribuire perché essa sia luogo di incontro fraterno, ambiente di aiuto reciproco e di confronto spirituale".

A conferma di questi voti invoco su di voi tutte, per intercessione di Santa Caterina da Siena e di Santa Chiara, abbondanti grazie celesti e vi imparto la propiziatrice Benedizione Apostolica.

Ai partecipanti al 7° stage sul metodo "Verbo-Tonale" e il gruppo di bambini audiolesi


Rivolgo un particolare saluto ai partecipanti al corso per l’educazione dei sordi col metodo "Verbo-Tonale" ed ai cari bambini audiolesi presenti con loro.

Il Signore, che secondo il Vangelo, ha fatto udire i sordi e parlare i muti, vi assista e renda fecondo il vostro lavoro, così come io di cuore vi incoraggio a coltivare sempre meglio questo prezioso impegno, dandovi la mia Benedizione.

Ad un gruppo di Ufficiali

Voglio anche salutare il Gruppo di Ufficiali della Scuola di applicazione d’Arma, di Torino.

Mentre vi ringrazio per la vostra presenza - che richiama alla mia memoria più vivo il ricordo della visita compiuta in aprile, a quella città - auguro che la vostra preparazione tecnica, per la quale frequentate in questi giorni un apposito corso, debba sempre essere impiegata per scopi pacifici e per il progresso civile della società. Con questo auspicio cordiale benedico volentieri voi e quanti vi sono cari.

Ai giovani

Mi rivolgo adesso ai giovani presenti a questa Udienza e, in particolare, ai 450 giovani del "Movimento Gen 2", provenienti da tutta l’Europa e da altri Continenti per un raduno presso il Centro Mariapoli di Rocca di Papa sul tema: "La carità come ideale".

Cari giovani, profittate del periodo delle vacanze per ritemprare le vostre energie, per vivere a contatto con la natura, e per esplorare ed ammirare i magnifici spettacoli che essa, creatura di Dio, offre agli occhi di chi la sa scrutare così. Ma sappiate anche profittare di questo tempo per rivedere la vostra vita, per meditare, soprattutto negli incontri e nei convegni estivi, sui grandi ideali, che ispirano la nostra vita cristiana, e per vivere in armonia con voi stessi e con la natura che vi circonda e vi eleva a Dio; e in Lui sappiate amarvi veramente e fare a gara nello stimarvi: così voi focolarini in particolare, farete davvero della carità il vostro ideale per la vita presente e per quella futura.

Vi assista in questo impegno la mia speciale Benedizione.

Agli ammalati

Ed ora il mio pensiero a voi, cari ammalati, sulle cui membra è stata deposta una Croce più pesante di quella degli altri.

Mi rifarò anche per voi a Gesù, nostro Maestro. Quando Egli si avvicina agli ammalati, o compie per essi i suoi miracoli, fa sempre appello all’elemento fondamentale che determina i rapporti degli uomini con Dio: la fede. La cerca, la ravviva, la crea; perché senza di essa la sua onnipotenza si arresta.

Mediante la fede, dunque, quella certa, che si fida di Dio, che crede alla sua bontà, ne adora i disegni, Cristo ci salva davvero e crea la tranquillità nel mare sempre mosso dello spirito.

Che Dio vi conceda, cari Fratelli, la sua benevolenza, e, se risponde ai suoi piani d’amore, anche la sanità delle membra.

Alle coppie di sposi novelli

In voi, novelli sposi, per la grazia di Dio, splende il sole e la gioia come nei giorni della primavera; nella scambievole donazione avete trovato la felicità a cui aspira il cuore umano. Si tratta di fermare quella felicità che sfugge col tempo, e fare della vostra casa il suo domicilio.

Potrete farlo, pur nella miseria delle cose umane, se saprete guardarvi l’un l’altro come Gesù guarda ed ama la sua Chiesa, e la Chiesa guarda a Cristo, suo sposo. Il focolare dove regnano Dio, la religione, l’onestà è sempre il più tiepido e il più tranquillo.

Amatevi, dunque, e siate felici; sotto lo sguardo paterno di Dio.





Catechesi 79-2005 18680