Catechesi 79-2005 29100

Mercoledì, 29 ottobre 1980: La forza originaria della creazione diventi per l’uomo forza di redenzione

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1. Già da lungo tempo, ormai, le nostre riflessioni del mercoledì s’incentrano sul seguente enunciato di Gesù Cristo nel Discorso della montagna: "Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei (nei suoi confronti) nel suo cuore" (
Mt 5,27-28). Ultimamente abbiamo chiarito che le suddette parole non possono essere intese né interpretate in chiave manichea. Esse non contengono, in alcun modo, la condanna del corpo e della sessualità. Racchiudono soltanto un richiamo a vincere la triplice concupiscenza, ed in particolare la concupiscenza della carne: ciò che appunto scaturisce dall’affermazione della dignità personale del corpo e della sessualità, e unicamente convalida tale affermazione.

Precisare tale formulazione, ossia determinare il significato proprio delle parole del Discorso della montagna, in cui Cristo fa richiamo al cuore umano (cfr Mt 5,27-28), è importante non soltanto a motivo di "abitudini inveterate", sorte dal manicheismo, nel modo di pensare e di valutare le cose, ma anche a motivo di alcune posizioni contemporanee che interpretano il senso dell’uomo e della morale. Ricceur ha qualificato Freud, Marx e Nietzsche come "maestri del sospetto"(1) ("maitres du soupcon"), avendo in mente l’insieme dei sistemi che ciascuno di essi rappresenta, e forse soprattutto la base nascosta e l’orientamento di ciascuno di essi nell’intendere ed interpretare l’humanum stesso.

Sembra necessario accennare, almeno brevemente, a questa base e a questo orientamento. Occorre farlo per scoprire da una parte una significativa convergenza, e dall’altra anche una divergenza fondamentale con l’ermeneutica, che ha la sua sorgente nella Bibbia, a cui tentiamo di dare espressione nelle nostre analisi. In che cosa consiste la convergenza? Consiste nel fatto che i pensatori sopra menzionati, i quali hanno esercitato ed esercitano grande influsso sul modo di pensare e di valutare degli uomini del nostro tempo, sembrano in sostanza anche giudicare ed accusare il "cuore" dell’uomo. Ancor più, sembrano giudicarlo ed accusarlo a motivo di ciò che nel linguaggio biblico, soprattutto giovanneo, viene chiamato concupiscenza, la triplice concupiscenza.

2. Si potrebbe far qui una certa distribuzione delle parti. Nell’ermeneutica nietzschiana il giudizio e l’accusa del cuore umano corrispondono, in certo modo, a ciò che nel linguaggio biblico è chiamato "superbia della vita"; nell’ermeneutica marxista, a ciò che è stato chiamato "concupiscenza degli occhi"; nell’ermeneutica freudiana, invece, a ciò che viene chiamato "concupiscenza della carne". La convergenza di queste concezioni con l’ermeneutica dell’uomo fondata sulla Bibbia consiste nel fatto che, scoprendo nel cuore umano la triplice concupiscenza, avremmo potuto anche noi limitarci a porre quel cuore in stato di continuo sospetto. Tuttavia, la Bibbia non ci permette di fermarci qui. Le parole di Cristo secondo Matteo Mt 5,27-28, sono tali che, pur manifestando tutta la realtà del desiderio e della concupiscenza, non consentono che si faccia di tale concupiscenza il criterio assoluto dell’antropologia e dell’etica, ossia il nucleo stesso dell’ermeneutica dell’uomo. Nella Bibbia, la triplice concupiscenza non costituisce il criterio fondamentale e magari unico ed assoluto dell’antropologia e dell’etica, sebbene sia indubbiamente un coefficiente importante per comprendere l’uomo, le sue azioni e il loro valore morale. Anche l’analisi finora da noi fatta lo mostra.

3. Pur volendo arrivare ad una completa interpretazione delle parole di Cristo sull’uomo che "guarda con concupiscenza" (cfr Mt 5,27-28), noi non possiamo accontentarci di qualunque concezione della "concupiscenza", anche nel caso che si raggiungesse la pienezza della verità "psicologica" a noi accessibile; dobbiamo, invece, attingere alla Prima Lettera di Giovanni 1Jn 2,15-16 ed alla "teologia della concupiscenza" che vi è racchiusa. L’uomo che "guarda per desiderare"; è infatti l’uomo della triplice concupiscenza, è l’uomo della concupiscenza della carne. Perciò egli "può" guardare in tal modo e perfino deve esser conscio che, abbandonando questo atto interiore in balia delle forze della natura, non può evitare l’influsso della concupiscenza della carne. In Matteo Mt 5,27-28 Cristo tratta anche di questo e vi richiama l’attenzione. Le sue parole si riferiscono non soltanto all’atto concreto di "concupiscenza", ma, indirettamente, anche all’"uomo di concupiscenza".

4. Perché queste parole del Discorso della montagna, malgrado la convergenza di ciò che dicono riguardo al cuore umano (cfr Mt 5,19-20) con ciò che è stato espresso nell’ermeneutica dei "maestri del sospetto", non possono essere considerate come base nella suddetta ermeneutica o di una analoga? E perché costituiscono, esse, una espressione, una configurazione di un ethos totalmente diverso? - diverso non soltanto da quello manicheo, ma anche da quello freudiano? Penso che l’insieme delle analisi e riflessioni, finora fatte, dia risposta a questo interrogativo. Riassumendo, si può dire brevemente che le parole di Cristo secondo Matteo 5,27-28 non consentono di arrestarci all’accusa del cuore umano e metterlo in stato di continuo sospetto, ma debbono essere intese ed interpretate soprattutto come un richiamo rivolto al cuore. Ciò deriva dalla natura stessa dell’ethos della redenzione. Sul fondamento di questo mistero, che San Paolo (Rm 8,23) definisce "redenzione del corpo", sul fondamento della realtà denominata "redenzione" e, di conseguenza, sul fondamento dell’ethos della redenzione del corpo, non possiamo fermarci soltanto all’accusa del cuore umano in base al desiderio e alla concupiscenza della carne. L’uomo non può fermarsi a porre il "cuore" in stato di continuo ed irreversibile sospetto a causa delle manifestazioni della concupiscenza della carne e della libido, che, fra l’altro, uno psicanalista rileva mediante le analisi dell’inconscio(2). La redenzione è una verità, una realtà, nel cui nome l’uomo deve sentirsi chiamato, e "chiamato con efficacia". Deve rendersi conto di tale chiamata anche mediante le parole di Cristo secondo Matteo Mt 5,27-28, riflette nel pieno contesto della rivelazione del corpo. L’uomo deve sentirsi chiamato a riscoprire, anzi, a realizzare il significato sponsale del corpo e ad esprimere in tal modo la libertà interiore del dono, cioè di quello stato e di quella forza spirituali, che derivano dal dominio della concupiscenza della carne.

5. L’uomo è chiamato a questo dalla parola del Vangelo, quindi dall’"esterno", ma contemporaneamente è chiamato dall’"interno". Le parole di Cristo, il quale nel Discorso della Montagna si richiama al "cuore", inducono, in certo senso, l’ascoltatore a tale chiamata interiore. Se egli consentirà a che esse agiscano in lui, potrà udire al tempo stesso nel suo intimo quasi l’eco di quel "principio", di quel buon "principio" al quale Cristo fece riferimento un’altra volta, per ricordare ai propri ascoltatori chi sia l’uomo, chi sia la donna e chi siano reciprocamente l’uno per l’altro nell’opera della creazione. Le parole di Cristo pronunziate nel Discorso della Montagna non sono un richiamo lanciato nel vuoto. Non sono rivolte all’uomo del tutto impegnato nella concupiscenza della carne, incapace di cercare un’altra forma di rapporti reciproci nell’ambito della perenne attrattiva, che accompagna la storia dell’uomo e della donna appunto "dal principio". Le parole di Cristo testimoniano che la forza originaria (quindi anche la grazia)- del mistero della creazione diventa per ognuno di loro forza (cioè grazia) del mistero della redenzione. Ciò riguarda la stessa "natura", lo stesso substrato dell’umanità della persona, i più profondi impulsi del "cuore". Non sente forse l’uomo, insieme alla concupiscenza, un profondo bisogno di conservare la dignità dei rapporti reciproci, che trovano la loro espressione nel corpo, grazie alla sua mascolinità e femminilità? Non sente forse il bisogno di impregnarli di tutto ciò che è nobile e bello? Non sente forse il bisogno di conferire loro il supremo valore che è l’amore?

6. A rileggerlo, questo appello racchiuso nelle parole di Cristo nel Discorso della Montagna non può essere un atto staccato dal contesto dell’esistenza concreta. Esso significa sempre - sebbene soltanto nella dimensione dell’atto a cui si riferisce - la riscoperta del significato di tutta l’esistenza, del significato della vita, in cui è compreso anche quel significato del corpo, che qui chiamiamo a sponsale". Il significato del corpo è, in certo senso, l’antitesi della libido freudiana. Il significato della vita è l’antitesi dell’ermeneutica "del sospetto". Tale ermeneutica è molto differente, è radicalmente differente da quella che riscopriamo nelle parole di Cristo nel Discorso della Montagna. Queste parole svelano non solamente un altro ethos, ma pure un’altra visione delle possibilità dell’uomo. È importante che egli, proprio nel suo "cuore", non si senta soltanto irrevocabilmente accusato e dato in preda alla concupiscenza della carne, ma che nello stesso cuore si senta chiamato con energia. Chiamato appunto a quel supremo valore che è l’amore. Chiamato come persona nella verità della sua umanità, dunque anche nella verità della sua mascolinità e femminilità, nella verità del suo corpo. Chiamato in quella verità che è patrimonio "del principio", patrimonio del suo cuore, più profondo della peccaminosità ereditata, più profondo della triplice concupiscenza. Le parole di Cristo, inquadrate nell’intera realtà della creazione e della redenzione, riattualizzano quella eredità più profonda e le donano una reale forza nella vita dell’uomo.

Saluti:

Ad un pellegrinaggio inglese di malati assistiti da religiosi di Don Orione

A pellegrinaggi della Repubblica Federale di Germania

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Ad un’ottantina di profughi vietnamiti

Tra i gruppi, prima annunciati, desidero salutare con particolare affetto i profughi Vietnamiti, residenti in Italia ed assistiti dalla Caritas.

Cari fratelli e sorelle, io vi ringrazio vivamente per la vostra presenza.

Nel pensiero della patria lontana, io vi auguro un soggiorno lieto e sereno ravvivato dalla solidarietà umana e cristiana di tanti fratelli ed ispirato alle superiori certezze della fede.

Vi benedico di tutto cuore e con voi, qui presenti, benedico ciascuno dei vostri familiari.

Ai Missionari di San Carlo

Un affettuoso saluto ai Missionari di San Carlo - Scalabriniani - presenti a quest’Udienza in occasione del loro Capitolo Generale. Nell’incoraggiarvi, carissimi figli, a perseverare nello spirito del vostro grande Fondatore che operò con tanto zelo a favore dei fratelli che lasciano la patria per cercare altrove un lavoro per il sostentamento della propria famiglia, invoco su di voi i continui aiuti della divina protezione, e di cuore imparto a voi e a tutti i vostri Confratelli la Benedizione Apostolica.

Ad un gruppo di gondolieri

Ed ora rivolgo il mio saluto cordiale ai Gondolieri di Venezia qui convenuti con le loro famiglie. Voi che con agili e pittoresche imbarcazioni solcate silenti ed ospitali le acque della vostra affascinante laguna, contribuendo a quella bellezza che distingue la vostra città, accogliete l’invito di San Paolo: "Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo, sia oggetto dei vostri pensieri". Il Signore infonda nei vostri cuori fiducia e serenità, mentre io benedico con affetto voi ed i vostri Cari.

Ai giovani


Gustando ancora la intensa gioia provata Domenica scorsa per la solenne cerimonia di tre Beatificazioni, mentre porgo a voi, carissimi giovani, il mio particolare saluto, vi ripeto alcune parole che Don Luigi Orione scriveva ai suoi giovani: "Prego umilmente ma con fiducia filiale e grande la Santa Madonna perché vi assista e conforti, perché vi salvi dallo scoraggiamento...". E in altra occasione esclamava: "O giovani! Ave Maria, sempre!..Ave Maria, e avanti!...Ave, Maria, sino al beato Paradiso!".

Vi lascio volentieri anch’io questa esortazione e questo programma di vita insieme con la mia Benedizione.

Agli ammalati

Carissimi ammalati! Domenica scorsa, come sapete, la Chiesa ha ufficialmente dichiarato Beato con Don Orione, anche Bartolo Longo, il ben noto fondatore del Santuario della Madonna del Rosario a Pompei. Leggendo la sua biografia, si rimane impressionati dalle molte sofferenze morali e spirituali che dovette subire e che accompagnarono il sorgere del Santuario, meta continua anche al giorno d’oggi di immense moltitudini e luogo di conversione e di santificazione. E’ questo un grande insegnamento per voi, malati, e per tutti. Per mezzo della nostra Croce, Dio realizza l’opera della salvezza. Vi accompagni consolatrice la mia Apostolica Benedizione.

Agli sposi novelli

La vostra presenza all’odierna Udienza generale mi è sempre gradita, cari Sposi Novelli: accogliete anche voi il mio saluto affettuoso e beneaugurante. Ricordando il particolare messaggio di Suor Maria Anna Sala, anch’essa dichiarata beata Domenica scorsa e che dedicò tutta la sua vita alla scuola, per l’educazione e la formazione umana e cristiana delle alunne a lei affidate, vi esorto a riflettere che il matrimonio e la famiglia sono vere scuole di santificazione. Il Signore vi ha chiamati a questa suprema missione di dare la vita e poi di educarla e salvarla. Siate sempre degni e lieti di questa divina fiducia! Con la mia cordiale paterna Benedizione.

(1) "Le philosophe formé à l’école de Descartes sait que les choses sont douteuses, qu’elles ne sont pas telles qu’elles apparaissent; mais il ne doute pas que la conscience ne soit telle qu’elle apparaît à elle-même...; depuis Marx, Nietzsche et Freud nous en doutons. Après le doute sur la chose nous sommes entrés dans le doute sur la conscience. Mais ces trois maîtres du soupçon ne sont pas trois maîtres de scepticisme; ce sont assurément trois grande "destructeurs"... A partir d’eux, la compréhension est une herméneutique: chercher le sens, désormais, ce n’est plus épeler la conscience du sens, mais en déchiffrer les expressions. Ce qu’il faudrait donc confronter, c’est non seulement un triple soupçon, mais une triple ruse... Du même coup se découvre une parenté plus profonde encore entre Marx, Freud et Nietzsche. Tous trois commencent par le soupçon concernant les illusions de la conscience et continuent par la ruse du déchiffrage..." [Paul Ricoeur, Le conflit des interprétations, Seuil, Paris 1969, pp. 149-150].

(2) Cf. ad es. Ia caratteristica affermazione dell’ultima opera di Freud: "Den Kern unseres Wesens bildet also das dunkle Es, das nicht direkt mit der Außenwelt verkehrt und auch unserer Kenntnis nur durch die Vermittlung einer anderen Instanz zugänglich wird. In diesem Es wirken die organischen Triebe, selbst aus Mischungen von zwei Urkräften [Eros und Destroktion] in wechselnden Ausmaßen zusammengesetzt und durch ihre Beziehung zu Organen oder Organsystemen voneinander differenziert. Das einzige Streben dieser Triebe ist nach Befriedigung, die von bestimmten Veränderungen an den Organen mit Hilfe von Objekten der Außenwelt erwartet wird"[S. Freud, Abriß der Psychoanalyse Das Unbehagen der Kultur, Fischer, Frankfurt/M. Hamburg 19554, pp. 74-75]. Allora quel "nucleo" o "cuore" dell’uomo sarebbe dominato dall’unione tra l’istinto erotico e quello distruttivo, e la vita consisterebbe nell’appagarli.



Mercoledì, 5 novembre 1980: “Eros” ed “Ethos” si incontrano e fruttificano nel cuore umano

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1. Nel corso delle nostre riflessioni settimanali sull’enunciato di Cristo nel Discorso della Montagna, in cui Egli, in riferimento al comandamento "Non commettere adulterio", paragona la "concupiscenza" ("lo sguardo concupiscente") all’"adulterio commesso nel cuore", cerchiamo di rispondere alla domanda: queste parole accusano soltanto il "cuore" umano oppure sono innanzitutto un appello che gli viene rivolto? Un appello, s’intende, di carattere etico; un appello importante ed essenziale per lo stesso ethos del Vangelo. Rispondiamo che le suddette parole sono soprattutto un appello.

Al tempo stesso, cerchiamo di avvicinare le nostre riflessioni agli "itinerari" che percorre, nel suo ambito, la coscienza degli uomini contemporanei. Già nel precedente ciclo delle nostre considerazioni abbiamo accennato all’"eros". Questo termine greco, che dalla mitologia è passato alla filosofia, poi alla lingua letteraria e infine alla lingua parlata, contrariamente alla parola "ethos" è estraneo e sconosciuto al linguaggio biblico. Se nelle presenti analisi dei testi biblici adoperiamo il termine "ethos", sconosciuto ai Settanta e al Nuovo Testamento, lo facciamo a motivo del significato generale che esso ha acquistato nella filosofia e nella teologia, abbracciando nel suo contenuto le complesse sfere del bene e del male, dipendenti dalla volontà umana e sottoposte alle leggi della coscienza e della sensibilità del "cuore" umano. Il termine "eros", oltre ad essere nome proprio del personaggio mitologico, ha negli scritti di Platone un significato filosofico(1), che sembra esser differente dal significato comune ed anche da quello che, di solito, gli viene attribuito nella letteratura. Ovviamente, dobbiamo qui prendere in considerazione la vasta gamma di significati, che si differenziano tra loro in modo sfumato, per quanto riguarda sia il personaggio mitologico, sia il contenuto filosofico, sia soprattutto il punto di vista "somatico" o "sessuale". Tenendo conto di una gamma così vasta di significati, conviene valutare, in modo altrettanto differenziato, ciò che si pone in rapporto con l’"eros" (cf. p. es. C. S. Lewis, Eros, in "The Four Loves", Harcourt, Brace, New York 1960, PP 131-133 152 159-160 P. Chauchard, Vices des vertus, vertus des vices, Mame, Paris 1965, p. 147.) e viene definito come "erotico".

2. Secondo Platone, l’"eros" rappresenta la forza interiore, che trascina l’uomo verso tutto ciò che è buono, vero e bello. Questa "attrazione" indica, in tal caso, l’intensità di un atto soggettivo dello spirito umano. Nel significato comune, invece - come anche nella letteratura - questa "attrazione" sembra essere anzitutto di natura sensuale. Esso suscita il reciproco tendere di entrambi, dell’uomo e della donna, all’avvicinamento, all’unione dei corpi, a quell’unione di cui parla Genesi
Gn 2,24. Si tratta qui di rispondere alla domanda sé l’"eros" connoti lo stesso significato che c’è nella narrazione biblica (Gn 2,23-25), la quale indubbiamente attesta la reciproca attrattiva e la perenne chiamata della persona umana - attraverso la mascolinità e la femminilità - a quella "unità della carne" che, ad un tempo, deve realizzare l’unione-comunione delle persone. È proprio per questa interpretazione dell’"eros" (ed insieme del suo rapporto con l’ethos) che acquista importanza fondamentale anche il modo in cui intendiamo la "concupiscenza", di cui si parla nel Discorso della Montagna.

3. A quanto sembra, il linguaggio comune prende soprattutto in considerazione quel significato della "concupiscenza", che precedentemente abbiamo definito come "psicologico" e che potrebbe anche essere denominato "sessuologico": e ciò in base a premesse, che si limitano anzitutto all’interpretazione naturalistica, "somatica" e sensualistica dell’erotismo umano. (Non si tratta qui, in alcun modo, di diminuire il valore delle ricerche scientifiche in questo campo, ma si vuol richiamare l’attenzione sul pericolo del riduttivismo e dell’esclusivismo). Orbene, in senso psicologico e sessuologico, la concupiscenza indica la soggettiva intensità del tendere all’oggetto a motivo del suo carattere sessuale (valore sessuale). Quel tendere ha la sua soggettiva intensità a causa della specifica "attrazione" che estende il suo dominio sulla sfera emotiva dell’uomo e coinvolge la sua "corporeità" (la sua mascolinità o femminilità somatica). Quando nel Discorso della Montagna sentiamo parlare della "concupiscenza" dell’uomo che "guarda la donna per desiderarla", queste parole - intese in senso "psicologico" (sessuologico) - si riferiscono alla sfera dei fenomeni, che nel linguaggio comune vengono appunto qualificati "erotici". Nei limiti dell’enunciato di Matteo Mt 5,27-28 si tratta soltanto dell’atto interiore, mentre "erotici" vengono definiti soprattutto quei modi di agire e di reciproco comportamento dell’uomo e della donna, che sono manifestazione esterna propria di tali atti interiori. Nondimeno, sembra essere fuori dubbio che - ragionando così - si debba mettere quasi il segno di uguaglianza tra "erotico" e ciò che "deriva dal desiderio" (e serve ad appagare la concupiscenza stessa della carne). Se fosse così, allora, le parole di Cristo secondo Matteo Mt 5,27-28 esprimerebbero un giudizio negativo su ciò che è "erotico" e, rivolte al cuore umano, costituirebbero ad un tempo un severo avvertimento contro l’"eros".

4. Tuttavia, abbiamo già accennato che il termine "eros" ha molte sfumature semantiche. E perciò, volendo definire il rapporto dell’enunciato del Discorso della montagna (Mt 5,27-28) con l’ampia sfera dei fenomeni "erotici", cioè di quelle azioni e di quei comportamenti reciproci mediante i quali l’uomo e la donna si avvicinano e si uniscono così da essere "una sola carne" (cf. Gn 2,24), occorre tener conto della molteplicità delle sfumature semantiche dell’"eros". Sembra possibile, infatti, che nell’ambito del concetto di "eros" - tenendo conto del suo significato platonico - si trovi il posto per quell’ethos, per quei contenuti etici e indirettamente anche teologici, i quali, nel corso delle nostre analisi, sono stati rilevati dall’appello di Cristo al "cuore" umano nel Discorso della montagna. Anche la conoscenza delle molteplici sfumature semantiche dell’"eros" e di ciò che, nell’esperienza e descrizione differenziata dell’uomo, in varie epoche e in vari punti di longitudine e di latitudine geografica e culturale, viene definito come "erotico", può aiutare a capire la specifica e complessa ricchezza del "cuore", a cui Cristo si richiamò nel suo enunciato di Matteo 5,27-28.

5. Se ammettiamo che l’"eros" significa la forza interiore che "attira" l’uomo verso il vero, il buono e il bello, allora, nell’ambito di questo concetto si vede anche aprirsi la via verso ciò che Cristo ha voluto esprimere nel Discorso della montagna. Le parole di Matteo 5,27-28, se sono "accusa" del cuore umano, al tempo stesso sono ancor più un appello ad esso rivolto. Tale appello è la categoria propria dell’ethos della redenzione. La chiamata a ciò che è vero, buono e bello significa contemporaneamente, nell’ethos della redenzione, la necessità di vincere ciò che deriva dalla triplice concupiscenza. Significa pure la possibilità e la necessità di trasformare ciò che è stato appesantito dalla concupiscenza della carne. Inoltre, se le parole di Matteo 5,27-28 rappresentano tale chiamata allora significano che, nell’ambito erotico, l’"eros" e l’"ethos" non divergono tra di loro, non si contrappongono a vicenda, ma sono chiamati ad incontrarsi nel cuore umano, ed, in questo incontro, a fruttificare. Ben degno del "cuore" umano è che la forma di ciò che è "erotico" sia contemporaneamente forma dell’ethos, cioè di ciò che è "etico".

6. Tale affermazione è molto importante per l’ethos ed insieme per l’etica. Infatti, con questo ultimo concetto viene molto spesso collegato un significato "negativo", perché l’etica porta con sé norme, comandamenti ed anche divieti. Noi siamo comunemente propensi a considerare le parole del Discorso della montagna sulla "concupiscenza" (sul "guardare per desiderare") esclusivamente come un divieto, un divieto nella sfera dell’"eros" cioè nella sfera "erotica". E molto spesso ci contentiamo soltanto di tale comprensione, senza cercare di svelare i valori veramente profondi ed essenziali che questo divieto copre, cioè assicura. Esso non soltanto li protegge, ma li rende anche accessibili e li libera, se noi impariamo ad aprire il nostro "cuore" verso di essi.

Nel Discorso della montagna Cristo ce lo insegna e verso tali valori dirige il cuore dell’uomo.

Saluti:

Ai partecipanti al VI Congresso internazionale degli acconciatori


Ai dirigenti del "Serra International"

Ad un gruppo di Sacerdoti Slovacchi

Ai membri dell’Associazione Cattolica Operatori Sanitari

Rivolgo ora il mio saluto cordiale ai membri dell’Associazione Cattolica Operatori Sanitari che, interrompendo il Seminario residenziale che li vede attualmente impegnati qui a Roma, hanno voluto prendere parte all’Udienza.

Carissimi, desidero esprimervi il mio compiacimento per l’entusiasmo, con cui cercate di rendere sempre più viva e dinamica la vostra Associazione, che persegue l’importante finalità di portare un’efficace testimonianza in favore dei valori umani e cristiani nell’ambito del mondo socio-sanitario. E’ uno scopo nobilissimo, per il quale avete tutto il mio incoraggiamento, insieme con la mia Apostolica Benedizione.

Ai "Focolarini"

Sono presenti all’Udienza di stamani anche i rappresentanti di numerosi Gruppi parrocchiali italiani, che si ispirano al Movimento dei Focolari.

Carissimi, mi compiaccio con voi per l’impegno che vi siete assunto, di animare la vita delle vostre rispettive parrocchie con la testimonianza concreta dell’amore. E’ un impegno che non può mancare di portare i suoi frutti. Gesù stesso con la sua parola indistruttibile ci rende certi, come ha ricordato il Concilio Vaticano II, che "è aperta a tutti gli uomini la strada della carità e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani". Perseverate, dunque, nei vostri generosi propositi. Il Papa vi accompagna con la sua preghiera e con la sua Apostolica Benedizione.

Ai giovani


Nel porgere a voi, cari giovani, un cordiale saluto, esprimo la mia viva gratitudine per la vostra presenza, con la quale voi intendete manifestare il vostro reverente affetto al Papa, sentire la Sua parola e ricevere la Sua benedizione.

In sintonia con la presente stagione autunnale, vi invito a riflettere su quanto dice l’apostolo Paolo: "Tenete in mente che chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà". Seminate, dunque, nei vostri cuori ideali di virtù, di sapienza, di bontà, di amore per tutto ciò che è bello, nobile, puro, santo, al fine di poter raccogliere, a suo tempo ed in proporzione dell’impegno posto, frutti che vi renderanno graditi al Signore e, altresì, capaci di costruire un mondo più umano, più cristiano. Confermo talli voti con la mia Benedizione.

Agli ammalati

Il mio animo si apre ora con spontanea tenerezza a quanti, sofferenti nel corpo e nello spirito, partecipano a questa Udienza.

A voi carissimi ammalati, porgo il mio vivo grazie per tale presenza, con cui volete far comprendere che siete persone aperte e generose, unite in preghiera col Papa ed operanti nella Chiesa e per la Chiesa. Ricambio il filiale ossequio, esortandovi a confidare sempre in Cristo, il quale, avendo sperimentato la condizione umana, sa comprendere e valorizzare la vostra sofferenza.

Vi conforti la mia particolare Benedizione.

Alle coppie di sposi novelli

Desidero, infine, rivolgere un paterno benvenuto a tutti gli Sposi novelli, qui presenti.

La vostra unione, che si è iniziata ai piedi dell’altare del Signore è il "grande Sacramento", che san Paolo paragona all’unione intima e profonda di Cristo con la Chiesa; sia essa sempre ispirata ad amore delicato, fedele, generoso e paziente!

Vi assicuro una particolare mia preghiera, affinché possiate compiere bene la vostra missione, e tutti di cuore vi benedico.

(1) Secondo Platone l’uomo, posto tra il mondo dei sensi e il mondo delle Idee, ha il destino di passare dal primo al secondo. Il mondo delle Idee non è però in grado, da solo, di superare il mondo dei sensi: può fare ciò soltanto l’Eros, congenito dell’uomo. Quando l’uomo comincia a presentire l’esistenza delle Idee, grazie alla contemplazione degli oggetti esistenti nel mondo dei sensi, riceve l’impulso da Eros ossia dal desiderio delle Idee pure. Eros è infatti l’orientamento dell’uomo "sensuale" o "sensibile" verso ciò che è trascendente: la forza che indirizza l’anima verso il mondo delle Idee. Nel "Simposio" Platone descrive le tappe di tale influsso di Eros: questi eleva l’anima dell’uomo dal bello di un singolo corpo a quello di tutti i corpi, quindi al bello della scienza ed infine alla stessa Idea del Bello [cf. Simposio 211, Repubblica 514]. Eros non è né puramente umano né divino: è qualcosa di intermedio [daimonion] e di intermediario. La sua principale caratteristica è l’aspirazione e il desiderio permanenti. Perfino quando sembra donare, Eros persiste quale "desiderio di possedere", e tuttavia si differenzia dall’amore puramente sensuale, essendo l’amore che tende al sublime. Secondo Platone, gli dèi non amano perché non sentono desideri, in quanto i loro desideri sono tutti appagati. Possono quindi essere soltanto oggetto, ma non soggetto di amore [Simposio 200-201]. Non hanno quindi un diretto rapporto con l’uomo; solo la mediazione di Eros consente l’allacciamento di un rapporto [Simposio 203]. Eros è quindi la via che conduce l’uomo alla divinità, ma non viceversa. L’aspirazione alla trascendenza è quindi un elemento costitutivo della concezione platonica di Eros, concezione che supera il dualismo radicale del mondo delle Idee e del mondo dei sensi. Eros consente di passare dall’uno all’altro. Egli è dunque una forma di fuga oltre il mondo materiale, al quale l’anima è tenuta a rinunziare, perché il bello del soggetto sensibile ha valore solo in quanto conduce più in alto. Tuttavia, Eros rimane sempre, per Platone, l’amore egocentrico: esso tende a conquistare e possedere l’oggetto che, per l’uomo, rappresenta un valore. Amare il bene significa desiderare di possederlo per sempre. L’amore è quindi sempre un desiderio di immortalità e anche ciò dimostra il carattere egocentrico di Eros [cf. A. Nygren, Eros et Agapé. La notion chrétienne de l’amour et ses transformations, I, Aubier, Paris 1962, pp. 180-200]. Per Platone, Eros è un passaggio dalla scienza più elementare a quella più profonda; è al tempo stesso l’aspirazione a passare da "ciò che non è", ed è il male, a ciò che "esiste in pienezza", ed è il bene [cf. M. Scheler, Amour et connaissance, in "Le sens de la souffrance, suivi de deux autres essais", Aubier, Paris, s. d. p. 145].




Mercoledì, 12 novembre 1980: La spontaneità è veramente umana quando è il frutto maturo della coscienza

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1. Oggi riprendiamo la nostra analisi, iniziata una settimana fa, sul rapporto reciproco tra ciò che è "etico" e ciò che è "erotico". Le nostre riflessioni si svolgono sulla trama delle parole pronunziate da Cristo nel Discorso della Montagna, con le quali Egli si riallacciò al comandamento "Non commettere adulterio" e, in pari tempo, definì la "concupiscenza" (lo "sguardo concupiscente") come "adulterio commesso nel cuore". Da queste riflessioni risulta che l’"ethos" è collegato con la scoperta di un nuovo ordine di valori. Occorre ritrovare continuamente in ciò che è a erotico" il significato sponsale del corpo e l’autentica dignità del dono. Questo è il compito dello spirito umano, compito di natura etica. Se non si assume tale compito, la stessa attrazione dei sensi e la passione del corpo possono fermarsi alla pura concupiscenza priva di valore etico, e l’uomo, maschio e femmina, non sperimenta quella pienezza dell’"eros", che significa lo slancio dello spirito umano verso ciò che è vero, buono e bello, per cui anche ciò che è "erotico" diventa vero, buono e bello. È indispensabile, dunque, che l’ethos diventi la forma costitutiva dell’eros.

2. Le suddette riflessioni sono strettamente connesse col problema della spontaneità. Assai spesso si ritiene che sia proprio l’ethos a sottrarre spontaneità a ciò che è erotico nella vita e nel comportamento dell’uomo; e per questo motivo si esige il distacco dall’ethos "a vantaggio" dell’eros. Anche le parole del Discorso della montagna sembrerebbero ostacolare questo "bene". Sennonché, tale opinione è erronea e, in ogni caso, superficiale. Accettandola e sostenendola con ostinazione, non giungeremo mai alle piene dimensioni dell’eros, e ciò inevitabilmente si ripercuote nell’ambito della relativa "praxis", cioè nel nostro comportamento ed anche nella concreta esperienza dei valori. Infatti, colui che accetta l’ethos dell’enunciato di Matteo 5,27-28 deve sapere che è anche chiamato alla piena e matura spontaneità dei rapporti, che nascono dalla perenne attrattiva della mascolinità e della femminilità. Appunto una tale spontaneità è il graduale frutto del discernimento degli impulsi del proprio cuore.

3. Le parole di Cristo sono rigorose. Esigono dall’uomo che egli, nell’ambito in cui si formano i rapporti con le persone dell’altro sesso, abbia piena e profonda coscienza dei propri atti e soprattutto degli atti interiori; che egli abbia coscienza degli impulsi interni del suo "cuore", così da essere capace di individuarli e di qualificarli in modo maturo. Le parole di Cristo esigono che in questa sfera, che sembra appartenere esclusivamente al corpo e ai sensi, cioè all’uomo esteriore, egli sappia essere veramente uomo interiore; sappia obbedire alla retta coscienza; sappia essere l’autentico padrone dei propri intimi impulsi, come un custode che sorveglia una sorgente nascosta; e sappia infine trarre da tutti quegli impulsi ciò che è conveniente alla "purezza del cuore", costruendo con coscienza e coerenza quel senso personale del significato sponsale del corpo, che apre lo spazio interiore della libertà del dono.

4. Orbene, se l’uomo vuole rispondere alla chiamata espressa da Matteo 5,27-28, deve con perseveranza e coerenza imparare che cosa è il significato del corpo, il significato della femminilità e della mascolinità. Deve impararlo non soltanto attraverso un’astrazione oggettivizzante (sebbene anche ciò sia necessario), ma soprattutto nella sfera delle reazioni interiori del proprio "cuore". Questa è una "scienza", che non può essere veramente appresa dai soli libri, perché si tratta qui in primo luogo della profonda "conoscenza" dell’interiorità umana.

Nell’ambito di questa conoscenza, l’uomo impara a discernere tra ciò che, da una parte, compone la multiforme ricchezza della mascolinità e della femminilità nei segni che provengono dalla loro perenne chiamata e attrattiva creatrice, e ciò che, dall’altra, porta solo il segno della concupiscenza. E sebbene queste varianti e sfumature degli interni moti del "cuore" entro un certo limite si confondano tra loro, va tuttavia detto che l’uomo interiore è stato chiamato da Cristo ad acquisire una valutazione matura e compiuta, che lo porti a discernere e giudicare i vari moti del suo stesso cuore. Ed occorre aggiungere che questo compito si può realizzare ed è davvero degno dell’uomo.

Infatti, il discernimento di cui stiamo parlando è in rapporto essenziale con la spontaneità. La struttura soggettiva dell’uomo dimostra, in questo campo, una specifica ricchezza e una chiara differenziazione. Di conseguenza, una cosa è, ad esempio, un nobile compiacimento, un’altra invece il desiderio sessuale; quando il desiderio sessuale è collegato con un nobile compiacimento, è diverso da un desiderio puro e semplice. Analogamente, per quanto riguarda la sfera delle reazioni immediate del "cuore", l’eccitazione sensuale è ben diversa dalla emozione profonda, con cui non soltanto la sensibilità interiore, ma la stessa sessualità reagisce all’integrale espressione della femminilità e della mascolinità. Non si può qui sviluppare più ampiamente questo argomento. Ma è certo che, se affermiamo che le parole di Cristo secondo Matteo 5,27-28 sono rigorose, esse lo sono anche nel senso che contengono in sé le esigenze profonde riguardanti l’umana spontaneità.

5. Non vi può essere una tale spontaneità in tutti i moti ed impulsi che nascono dalla pura concupiscenza carnale, priva com’è di una scelta e di una gerarchia adeguata. È proprio a prezzo del dominio su di essi che l’uomo raggiunge quella spontaneità più profonda e matura, con cui il suo "cuore", padroneggiando gli istinti, riscopre la bellezza spirituale del segno costituito dal corpo umano nella sua mascolinità e femminilità. In quanto questa scoperta si consolida nella coscienza come convinzione e nella volontà come orientamento sia delle possibili scelte che dei semplici desideri, il cuore umano diviene partecipe, per così dire, di un’altra spontaneità, di cui nulla o pochissimo sa l’"uomo carnale". Non vi è alcun dubbio che mediante le parole di Cristo secondo Matteo 5,27-28, siamo chiamati appunto ad una tale spontaneità. E forse la più importante sfera della "praxis" - relativa agli atti più "interiori" - è appunto quella che traccia gradualmente la strada verso siffatta spontaneità.

Questo è un argomento vasto che ci converrà riprendere ancora una volta in avvenire, quando ci dedicheremo a dimostrare quale sia la vera natura della evangelica "purezza di cuore". Per ora terminiamo dicendo che le parole del Discorso della montagna, con cui Cristo richiama l’attenzione dei suoi ascoltatori - di allora e di oggi - sulla "concupiscenza" ("sguardo concupiscente"), indicano indirettamente la via verso una matura spontaneità del "cuore" umano, che non soffoca i suoi nobili desideri ed aspirazioni, anzi, al contrario, li libera e, in certo senso, li agevola.

Basti per ora quello che abbiamo detto sul reciproco rapporto tra ciò che è "etico" e ciò che è "erotico", secondo l’ethos del Discorso della montagna.

Saluto:


Ai partecipanti alla Conferenza Internazionale sui cibi tratti dal mare

Al pellegrinaggio organizzato dal settimanale cattolico tedesco "Leben und Erziehen"


Ai partecipanti al corso del Segretariato Unitario di "Animazione Missionaria"

Rivolgo ora il mio saluto ai partecipanti al Corso indetto dal Segretariato Unitario di Animazione Missionaria. Figli carissimi, è vostro intento essere presenti, con un contributo specifico, nei luoghi e momenti qualificanti delle scelte pastorali della Chiesa italiana, al fine di aprirle ad un sempre più ampio respiro missionario. Nel manifestarvi il mio compiacimento per tali propositi, desidero incoraggiarvi a proseguire nell’impegno di approfondire l’intesa tra i vostri Istituti, per coordinarne sempre meglio le iniziative, facendone un’espressione di operante comunione ecclesiale. Vi conforti la mia Benedizione Apostolica.

Alle Superiore delle Religiose che svolgono apostolato nelle carceri femminili italiane

Sono presenti all’Udienza le Superiore delle Religiose, che svolgono il loro apostolato nelle carceri italiane. Nel rivolgervi il mio saluto, Figlie carissime, mi valgo volentieri della circostanza per rinnovare l’espressione del mio apprezzamento nei confronti dell’opera preziosa delle vostre Consorelle, che quotidianamente si spendono in un servizio premuroso e paziente, di grande valore umano e cristiano. A loro ed a voi, che qui le rappresentate, la mia propiziatrice Benedizione Apostolica.

Ai giovani


La mia attenzione va ora a tutti i giovani qui presenti, e in particolare agli studenti insigniti del titolo di "Alfieri del lavoro" per le qualità morali ed intellettuali dimostrate durante il corso dei loro studi. Carissimi, il significativo riconoscimento che premia il vostro impegno di questi anni, sia per voi stimolo ad avanzare con coerenza sulla strada di una generosa dedizione al dovere, che la fede validamente illumina ed orienta. Nel rivolgere altresì un particolare pensiero al gruppo "Volontarie del Movimento dei Focolari", che in questi giorni hanno partecipato ad un incontro presso il centro Mariapoli di Rocca di Papa, vi benedico tutti di cuore.

Agli ammalati

Anche a voi, cari ammalati, il mio saluto, non meno cordiale. Per tutti Gesù Cristo è venuto nel mondo, è morto ed è risorto; a voi, provati dalla sofferenza, Gesù rivolge con maggiore attenzione e premura i suoi doni di coraggio e di fortezza; voi gli siete più cari.

Sia grande la vostra fede e confidente la vostra preghiera! Vi conforti la mia Benedizione, che è per voi e per quanti sono con voi, nel vostro affetto e nelle vostre necessità.

Agli sposi novelli

Carissimi sposi novelli, di cuore vi porgo felicitazioni ed auguri per la vostra nuova vita. La grazia divina, che il Sacramento del Matrimonio ha cominciato a effondere nella vostra anima, illumini e nobiliti, giorno per giorno, la vostra convivenza. Implorate nella preghiera la grazia del Signore, imploratela insieme, perché essa vi aiuti a conservare e ad arricchire il valore sublime del vostro amore perché vi aiuti a guidare rettamente i figli che il buon Dio vorrà concedervi, perché regnino sempre, nella vostra famiglia, la concordia e la serenità. Accompagna questi voti la mia Benedizione.

Salutando il folto gruppo di pellegrini polacchi, il Santo Padre improvvisa il seguente discorso:

Traduzione italiana:

Desidero oggi davanti a voi qui presenti esprimere la mia gioia per ciò che è stato fatto negli ultimi giorni nella nostra Patria: per questa saggia e matura intesa, alla quale si è giunti tra le autorità e i sindacati nascenti, Sindacati indipendenti, che sulla base della statuto approvato cominciano la loro attività. Desidero anche mandare di cuore una benedizione a queste nuove istituzioni, che raggruppano così enorme numero di miei connazionali, lavoratori, sia manovali che impiegati.

Desidero allo stesso tempo che questa maturità, che negli ultimi mesi ha caratterizzato il modo di agire dei nostri compatrioti, continui ad esserci propria, e che la Polonia continui a trovare supporto in quelle forze dello spirito che, per Cristo, per il Suo Vangelo, per la Sua Croce e per Sua Madre, sono diventate grande patrimonio della nostra Patria. Desidero che voi, qui presenti, trasmettiate questi miei migliori auguri, le mie parole e preghiere a tutti i connazionali nella Patria e anche fuori dalle sue frontiere.






Catechesi 79-2005 29100