Catechesi 79-2005 7101

Mercoledì, 7 ottobre 1981: Come Pietro, ho sperimentato l’efficacia delle preghiere della Chiesa

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1. Oggi mi è dato, dopo una lunga interruzione, di riprendere nuovamente le udienze generali, che sono divenute una delle fondamentali forme di servizio pastorale del Vescovo di Roma.

L’ultima volta, i pellegrini venuti a Roma si sono riuniti per una tale udienza nel giorno 13 maggio. Tuttavia essa non si è potuta svolgere. Tutti sanno per quale motivo...

Oggi, iniziando dopo un intervallo di ormai cinque mesi questo incontro, così caro a me e a voi, non posso non fare riferimento al giorno 13 maggio.

2. Ma prima non posso non manifestarvi l’emozioni e il dolore che ieri mi ha causato la notizia tragica della morte del Presidente egiziano Sadat.

Egli è caduto per un atto terroristico di estrema gravità ed efferatezza, che suscita sentimenti di amarezza e costernazione e rende pensosi e preoccupati per le conseguenze possibili.

Il Presidente Sadat si era fatto apprezzare per le sue qualità di uomo, credente in Dio, e per le sue coraggiose iniziative di pace, con cui aveva cercato di aprire nuove vie di soluzione del lungo e sanguinoso conflitto fra arabi e israeliani.

Vi invito a pregare per questo grande Statista e per le altre vittime del barbaro attentato, fra le quali c’è un Vescovo della Chiesa copto-ortodossa; preghiamo anche per le loro famiglie, in particolare per la consorte e i figli del Presidente, colpiti tanto duramente nei loro affetti.

La nostra implorazione salga ancora a Dio per ottenere che il Popolo Egiziano e i suoi Governanti possano superare questa prova, in fraterna convivenza e in ordinato progresso, portando avanti la ricerca della pace, che fu l’anelito del loro Presidente; e per invocare che, in questo tempo turbato da tante violenze, timori e preoccupazioni, il Signore affretti per i Paesi del Medio Oriente il giorno della riconciliazione e della pace.

3. "Misericordiae Domini, quia non sumus consumpti" (
Lm 3,22).

Sono le parole del Popolo di Dio, il quale esprime al suo Signore la gratitudine per la salvezza – e loda per essa la Misericordia Divina.

Oggi desidero ripetere queste parole davanti a voi, cari fratelli e sorelle, riuniti per l’udienza del mercoledì. Desidero che esse siano quasi l’eco di quel 13 maggio – e di quell’udienza generale, che non si è potuta svolgere a causa dell’attentato al Papa.

4. Durante queste lunghe settimane di degenza al "Policlinico Gemelli" mi è venuto anche spesso in mente l’episodio dei giorni più antichi della Chiesa, a Gerusalemme, descritto negli Atti degli Apostoli. Ecco, Erode aveva arrestato Pietro: "fattolo catturare, lo gettò in prigione, consegnandolo in custodia a quattro picchetti... di soldati... col proposito di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua. Pietro dunque era tenuto in prigione, mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui. E in quella notte, quando poi Erode stava per farlo comparire davanti al popolo, Pietro piantonato da due soldati e legato con due catene stava dormendo, mentre davanti alla porta le sentinelle custodivano il carcere. Ed ecco gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo desto e disse: "Alzati in fretta!". E le catene gli caddero dalle mani. E l’angelo a lui: "Mettiti la cintura e legati i sandali". E così fece. L’angelo disse: "Avvolgiti il mantello e seguimi!". Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non si era ancora accorto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell’angelo: credeva infatti di avere una visione.

Essi oltrepassarono la prima guardia e la seconda e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città: la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l’angelo si dileguò da lui. Pietro allora, rientrato in sé, disse: "Ora sono veramente certo che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si attendeva il popolo dei Giudei"" (Ac 12,3-11).

Questo episodio, avvenuto nei primi giorni della Chiesa a Gerusalemme, mi è venuto spesso in mente durante la degenza in ospedale. Anche se le circostanze di allora e quelle di oggi sembrano così dissimili tra loro, è stato però difficile al convalescente, il quale è il successore di Pietro nella sede vescovile romana, non meditare queste parole dell’apostolo: "Sono veramente certo, che il Signore mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si attendeva...".

5. Ho riportato questo passo degli Atti degli Apostoli anche per le parole, che troviamo in esso e che hanno costituito per me, in quel periodo, un così grande sostegno. Mentre "Pietro era tenuto in prigione...", "una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui" (Ac 12,5).

Ho sperimentato, cari fratelli e sorelle, in modo simile a Pietro, segregato e destinato alla morte, l’efficacia delle preghiere della Chiesa. L’ho sperimentato immediatamente: da parte di coloro che erano riuniti per l’udienza generale, che non si è potuta svolgere. Ho sperimentato l’efficacia di tale preghiera nello stesso giorno, il 13 maggio, a mano a mano che la notizia dell’attentato veniva divulgata attraverso i mezzi di comunicazione in tutto il mondo. Questa notizia ha suscitato reazioni provenienti da varie parti del mondo, da diversi Paesi, dai Capi degli Stati, dai Governanti delle Nazioni, da tanti uomini e ambienti diversi. Soprattutto però quella notizia ha radunato gli uomini in preghiera.Si sono riempite le cattedrali vescovili e le chiese parrocchiali. Hanno pregato insieme con noi i fratelli ortodossi e protestanti. Ma non soltanto loro. Hanno pregato pure i seguaci di Mosè e di Maometto. E ancora altri.

Mi è difficile pensare a tutto questo senza commozione. Senza una profonda gratitudine per tutti. Verso tutti coloro che il giorno 13 maggio si sono riuniti in preghiera. E verso tutti coloro che hanno perseverato in essa per tutto questo tempo. Sono grato per questa preghiera agli uomini, miei fratelli e sorelle. Sono grato a Cristo Signore e allo Spirito Santo, il quale mediante questo avvenimento, che ha avuto luogo in Piazza san Pietro il giorno 13 maggio alle ore 17.17, ha ispirato tanti cuori alla comune preghiera.


E pensando a questa grande preghiera, non posso dimenticare le parole degli Atti degli Apostoli, che si riferiscono a Pietro: "Una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui" (Ac 12,5).

6. "Debitores facti sumus" (Rm 8,12).

E così. Sono divenuto ancora di più debitore verso tutti. Sono debitore verso coloro che hanno contribuito direttamente a salvare la mia vita e mi hanno aiutato a ritornare alla salute: verso i Professori e i Medici, le suore infermiere e il personale laico nel Policlinico Gemelli. Sono al tempo stesso debitore verso coloro che mi hanno circondato con quella estesa ondata di preghiera in tutto il mondo. Sono debitore.

E di nuovo sono divenuto debitore della santissima Vergine e di tutti i Santi Patroni. Potrei dimenticare che l’evento in Piazza san Pietro ha avuto luogo nel giorno e nell’ora nei quali da più di sessant’anni si ricorda a Fatima nel Portogallo la prima apparizione della Madre di Cristo ai poveri contadinelli? Poiché, in tutto ciò che mi è successo proprio in quel giorno, ho avvertito quella straordinaria materna protezione e premura, che si è dimostrata più forte del proiettile micidiale.

Oggi, memoria della Madre del Santo Rosario. Tutto il mese di ottobre è il mese del Rosario. Ora che, a distanza di quasi cinque mesi, mi è dato di incontrarmi nuovamente con voi, cari fratelli e sorelle, nell’udienza del mercoledì, desidero che queste prime parole che vi indirizzo siano parole della gratitudine, dell’amore e della fiducia più profonda. Così come il santo Rosario è e rimane sempre una preghiera di gratitudine, di amore e di fiduciosa domanda: la preghiera della Madre della Chiesa.

E a questa preghiera tutti, ancora una volta, incoraggio ed invito, specialmente durante questo mese del Rosario.

7. Accettate, cari partecipanti a questo incontro, queste prime parole, che si collegano col ricordo del 13 maggio. Dato che esse non possono contenere tutto, cercherò ancora di completarle nei successivi incontri.

Saluti:

Ai 600 ungheresi emigrati

E’ qui presente oggi un gruppo numeroso di ungheresi che sono emigrati in vari Paesi. Sono venuti in pellegrinaggio a Roma per celebrare il 750° anniversario della morte di Santa Elisabetta d’Ungheria. Un saluto affettuoso a tutti, in particolare ai Monsignori Tomas Jung, vescovo di Banat, e Stefan Laszlo, vescovo di Burgenland. Nella mia lettera inviata per le celebrazioni di santa Elisabetta nella diocesi di Fulda, ho presentato questa figlia della terra ungherese, di fronte a tutti i cristiani, come l’esempio del servizio e dell’amore per il prossimo.




A quanti vivono in Ungheria o risiedono in vari Paesi del mondo manifesto l’assicurazione del mio cordiale pensiero, ed imploro per loro con affetto particolari benedizioni celesti.

Ai pellegrini francesi

Ai gruppi di lingua inglese

Ai fedeli di lingua tedesca



Ai pellegrinaggi di lingua spagnola e portoghese



Ai pellegrini polacchi

Vi saluto tutti molto cordialmente: sacerdoti dalla diocesi di Siedlce; dalla parrocchia del Cristo Re, dalla parrocchia della SS. Trinità; artigiani e lavoratori alla sanità di Bydgoszcz; pellegrini dalla parrocchia di S. Michele di Poznan; dalla Collegiata di Kalisz; pellegrini da Bilgoraj, Zamosc, Pabianice e Katowice; padri Fatebenefratelli, giunti da Varsavia per le recenti beatificazioni; pellegrinaggio francescano, pure giunt? per l'occasione delle beatificazioni; pellegrini da Tarnów, Gostyn., Skarzysko-Kamienna; gruppo degli apicultori sotto l'assistenza dei padri Filippini; pellegrinaggio delle suore Elisabettiane, maestre del noviziato ed educatrici; ferrovieri polacchi Tarnowskie Góry; gruppo di pellegrini da Varsavia; pellegrinaggio dell'Associazione Polonia-Italia e pellegrini individuali da Kroscienko, Gliwice, Poznan, Walbrzych, Sosnowiec, Katowice e Danzica. Poiché l'odierna udienza generale è la prima dopo quella del 13 maggio (il 13 maggio era incominciata e non era finita) oggi nelle mie considerazioni ricordo quel giorno. Lo ricordo soprattutto per adorare la Misericordia Divina, che si è manifestata sopra di me e la particolare protezione della Madre di Dio. Ricordo - basandomi sugli Atti degli Apostoli - come la Chiesa, tutta la Chiesa, pregò per Pietro quando si trovava imprigionato. Qui questa preghiera si è ripetuta. E per questo desidero ringraziare tutti in modo molto cordiale. E visto che i miei connazionali hanno partecipato a questa preghiera in modo particolare, desidero ringraziarli in modo particolare. Desidero ancora salutare i nostri fratelli Sloveni, presenti anche loro a questa udienza odierna. Infine desidero salutare gli Ucraini dal Canada - the Ucrainians from Canada. Slawa Isusu Chrystu!

Ai gruppi italiani

Desidero salutare tutti i gruppi di lingua italiana, che sono stati in precedenza annunciati, e cioè i vari pellegrinaggi parrocchiali, come anche i gruppi di lavoratori di Altavilla Irpina e di Padova, ed infine il gruppo scolastico del Collegio " Sacro Cuore " di Milano con gli altri fanciulli e giovani presenti all’Udienza.

Prima della Benedizione Apostolica, mi è caro rivolgere a ciascuno un cordiale augurio di serena prosperità e di spirituale progresso, nella luce della materna protezione della Vergine Santissima, che oggi invochiamo sotto il titolo di Madonna del Santo Rosario.



Mercoledì, 14 ottobre 1981: L’evento di maggio: grande prova divina

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1. Mercoledì scorso, durante l’udienza generale, ho fatto riferimento all’evento del 13 maggio. Dato che quel giorno furono interrotti gli incontri, che ora riprendiamo nuovamente grazie alla salute ricuperata, desidero condividere almeno brevemente con voi, ciò che è stato il contenuto delle mie meditazioni in quel periodo di alcuni mesi, in cui ho partecipato a una grande Prova divina.

Dico: Prova divina. Benché infatti gli avvenimenti del 13 maggio – l’attentato alla vita del Papa e anche le sue conseguenze, collegate con l’intervento e con la cura al Policlinico Gemelli – abbiano la loro dimensione pienamente umana, tuttavia questa non può offuscare una dimensione ancora più profonda: la dimensione appunto della prova permessa da Dio. In questa dimensione si deve collocare anche tutto ciò di cui ho parlato lo scorso mercoledì. Oggi desidero ancora una volta ritornarvi sopra.

Dio mi ha permesso di sperimentare durante i mesi scorsi la sofferenza, mi ha permesso di sperimentare il pericolo di perdere la vita. Mi ha permesso contemporaneamente di comprendere chiaramente e fino in fondo che questa è una sua grazia speciale per me stesso come uomo, ed è al tempo stesso – in considerazione del servizio che compio, come Vescovo di Roma e successore di san Pietro – una grazia per la Chiesa.

2. È così, cari fratelli e sorelle: so di aver sperimentato una grande grazia. E, ricordando insieme a voi l’accaduto del 13 maggio e tutto il periodo successivo, non posso non parlare soprattutto di questo. Cristo, che è la Luce del mondo, il Pastore del suo ovile, e soprattutto il Principe dei pastori, mi ha concesso la grazia di potere, mediante la sofferenza e col pericolo della vita e della salute, dare testimonianza alla sua Verità e al suo Amore. Proprio questo ritengo essere stata una grazia particolare a me fatta – e per questo esprimo in modo speciale la mia riconoscenza allo Spirito Santo, che gli apostoli e i loro successori hanno ricevuto nel giorno della Pentecoste come frutto della Croce e della Risurrezione del loro Maestro e Redentore.

È per questo che, quest’anno, ha acquistato per me un significato tutto particolare la festa della discesa dello Spirito Santo, quando, insieme a tutta la Chiesa, e specialmente in unione col Patriarcato ecumenico, abbiamo reso grazie per il dono del Primo Concilio di Costantinopoli celebrato 1600 anni fa – aggiungendovi la commemorazione, qui a Roma, dopo 1550 anni, del Concilio di Efeso. Dai tempi del I Concilio di Costantinopoli tutta la Chiesa professa: "Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita".

Proprio a questo Spirito Santo "che dà la vita" si è richiamato Cristo, quando prima della sua ascesa al Padre, diceva agli apostoli: "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra" (
Ac 1,8). È lo Spirito Santo che, dal giorno della Pentecoste, ha aiutato gli apostoli a dare testimonianza prima a Gerusalemme e in seguito in diversi Paesi del mondo di allora. È stato Lui a dar loro la forza di testimoniare Cristo davanti a tutto il popolo, e, quando andavano per questo incontro ai tormenti, ha permesso loro di gioire per "essere oltraggiati per amore del nome di Gesù" (Ac 5,41).

Fu lo Spirito Santo a condurre Paolo di Tarso per le strade del mondo di allora. Fu lo Spirito Santo a sostenere Pietro nel dare testimonianza a Cristo, prima a Gerusalemme, poi ad Antiochia, ed infine qui, a Roma, capitale dell’Impero. Questa testimonianza fu confermata alla fine col martirio, come pure lo fu la testimonianza di Paolo di Tarso, grande Apostolo delle Nazioni.

3. Queste parole che Cristo Signore e Redentore, Cristo eterno Pastore delle anime, ha rivolto agli apostoli prima di andare al Padre, si riferiscono ai loro successori, e si riferiscono pure a tutti i cristiani. Gli apostoli infatti sono l’inizio del nuovo Popolo di Dio, come insegna il Concilio (cfr Ad Gentes AGD 5). Ma se tutti sono chiamati a dare testimonianza a Cristo crocifisso e risorto, lo sono in modo tutto particolare coloro che, dopo gli apostoli hanno ricevuto in eredità il servizio pastorale e magisteriale nella Chiesa. Quanti successori di Pietro in questa sede romana hanno sigillato col sacrifico della vita questa testimonianza del servizio pastorale e magisteriale? Lo manifesta la sacra liturgia quando, nel corso dell’anno, ricorda i numerosi Sommi Pontefici che hanno seguito Pietro nel dare la testimonianza del sangue.

Di queste cose è difficile parlare senza una profonda venerazione, senza trepidazione interiore. Infatti dal sacrificio di coloro che resero testimonianza a Cristo crocifisso e risorto, specialmente durante i primi secoli, si è accresciuto il Corpo Mistico di Cristo, è sorta la Chiesa, si è approfondita nelle anime e consolidata in quel mondo antico, che alla Buona Novella del Vangelo ha risposto – tanto spesso – con sanguinose persecuzioni.

4. Tutto ciò dovrebbero tenere davanti agli occhi coloro che vengono a Roma, alle "memorie apostoliche", coloro che tornano sulle orme di san Pietro e di san Paolo. Anch’io sono qui pellegrino. Sono un forestiero, che per volontà della Chiesa ha dovuto rimanere e ha dovuto assumere la successione nella Sede Romana dopo tanti grandi Papi, Vescovi di Roma. E io pure sento profondamente la mia umana debolezza – e perciò con fiducia ripeto le parole dell’apostolo: "virtus in infirmitate perficitur", "la potenza... si manifesta... nella debolezza" (2Co 12,9). E perciò con grande riconoscenza allo Spirito Santo penso a quella debolezza, che Egli mi ha consentito di sperimentare dal giorno 13 maggio, credendo e umilmente confidando che essa abbia potuto servire al rafforzamento della Chiesa e anche a quello della mia umana persona.

Questa è la dimensione della prova divina, che all’uomo non è facile svelare. Non è facile parlarne con parole umane. Tuttavia bisogna parlarne. Bisogna confessare con la più profonda umiltà davanti a Dio e alla Chiesa questa grande grazia, che è divenuta mia porzione proprio in quel periodo, in cui tutto il Popolo di Dio si stava preparando ad una particolare celebrazione della Pentecoste, dedicata quest’anno al ricordo del I Concilio di Costantinopoli dopo 1600 anni – e anche del Concilio di Efeso – dopo 1550 anni.


In Efeso riecheggiò nuovamente a vantaggio di tutta la Chiesa di allora la verità su Cristo, unigenito Figlio di Dio, il quale per opera dello Spirito Santo si è fatto vero uomo, concepito nel seno di Maria Vergine e nato da Lei per la salvezza del mondo. Maria è perciò vera Madre di Dio (Theotokos).

Quando dunque insieme con voi, cari fratelli e sorelle, medito la grazia ricevuta insieme con la minaccia alla vita e con la sofferenza, mi rivolgo in modo particolare ad Essa: a Colei che chiamiamo anche "Madre della divina Grazia". E chiedo che questa grazia "non sia vana in me" (cfr 1Co 15,10), così come ogni grazia che l’uomo riceve: dappertutto in qualsiasi tempo. Chiedo che mediante ogni grazia che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo effondono con abbondanza, nasca quella forza, che cresce nella nostra debolezza. Chiedo che cresca e si espanda anche la testimonianza di Verità e di Amore, alle quali ci ha chiamato il Signore.

Saluti:

Ai malati provenienti dal Belgio organizzati dal movimento "La Clairière"


Ai gruppi di lingua inglese


Ai pellegrini di lingua tedesca




A diversi pellegrini provenienti da Paesi di espressione spagnola


Ai presenti di lingua portoghese


Agli alunni dell'Istituto Ecclesiastico Ungherese


Con piacere saluto il Segretario della Conferenza Episcopale Ungherese, Jószef Cserháti, Vescovo di Pécs, con i suoi accompagnatori; gli alunni dell'Istituto Pontificio Ungherese guidati dal loro Rettore. Ben volentieri concedo la mia Benedizione Apostolica non soltanto a loro ma al diletto popolo ungherese.

Ai suoi connazionali polacchi



Desidero riassumere ciò che ho detto all'inizio in italiano, pur credendo che l'abbiate capito. Come mercoledì scorso così anche oggi mi allaccio all'evento del 13 maggio. L'avvenimento e le sue conseguenze erano - da una parte - una prova, un'esperienza di Dio; così l'ho visto e così lo vedo ancora con lo sguardo della fede. Ed in questa esperienza di Dio stava la particolare grazia divina: grazia per me e grazia per la Chiesa. Ho reso grazie e rendo grazie al Signore che io abbia potuto - tramite quest'esperienza e grazie alla Sua grazia - dare la testimonianza di questa verità e di quest'amore, che in Egli stesso hanno la loro sorgente. Questi sono i pensieri principali dell'odierna meditazione. Desidero, trasmettendoveli, ringraziare nello stesso tempo tutti i connazionali, che - sia il 13 maggio, che durante tutto questo periodo - così tanto mi hanno sorretto con la preghiera. Sono convinto che questa preghiera mi abbia aiutato e continuerà ad aiutarmi, affinché io possa, come gli Apostoli, dare la testimonianza di Cristo nel mondo contemporaneo. Sia lodato Gesù Cristo!

Ai gruppi italiani

Rivolgo un cordiale saluto a tutti i fedeli provenienti da parrocchie, istituti, scuole, associazioni di ogni parte d’Italia. Cari Fratelli e Sorelle, siate i benvenuti! Vi auguro che questo vostro pellegrinaggio costituisca un momento di grazia per una testimonianza cristiana sempre più limpida e generosa nella vita quotidiana.

Una parola di benevolenza e d’incoraggiamento porgo a tutti i giovani, di cui mi sono noti l’entusiasmo della fede ed il desiderio di progredire nella conoscenza e nell’amore di Gesù Cristo.

Agli infermi, che sono chiamati ad offrire le loro sofferenze per il bene della Chiesa, assicuro la mia partecipazione e preghiera perché il Signore effonda su di loro abbondanti doni celesti di sostegno, di serenità e di consolazione.

Esprimo inoltre agli sposi novelli voti di lunga e felice vita coniugale, animata da continua reciproca dedizione in vista di un avvenire ricco di vere gioie da parte del Signore.

Un particolare beneaugurante pensiero rivolgo, infine, al numeroso gruppo di Missionari, Sacerdoti, Religiose e Laici, che prossimamente raggiungeranno località missionarie dell’Africa. Carissimi figli! Il Papa vi segue con la preghiera e con l’affetto perché il vostro servizio dell’annuncio della " Parola di salvezza " sia sempre più fecondo.

A tutti indistintamente imparto di cuore la propiziatrice Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 21 ottobre 1981: Il perdono è una grazia e un mistero del cuore umano

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1. Anche oggi, in questo gradito incontro con voi, cari fratelli e sorelle, desidero ritornare all’evento del 13 maggio scorso. Vi ritorno per ricordare ciò che già in quel giorno fu pronunciato davanti a Cristo, il quale è Maestro e Redentore delle nostre anime, e che fu detto poi a voce alta e pubblicamente nella domenica successiva, il 17 maggio, alla preghiera del "Regina Coeli".

Ecco le parole che oggi non solo riporto, ma anche ripeto, per esprimere la verità in esse contenuta, che ugualmente oggi come allora è la verità della mia anima, del mio cuore e della mia coscienza:

"Carissimi fratelli e sorelle, so che in questi giorni e specialmente in quest’ora del "Regina Coeli" siete uniti a me. Vi ringrazio commosso per le vostre preghiere e tutti vi benedico. Sono particolarmente vicino alle due persone ferite insieme a me. Prego per il fratello che mi ha colpito, al quale ho sinceramente perdonato. Unito a Cristo, Sacerdote e vittima, offro le mie sofferenze per la Chiesa e per il mondo.

A Te, Maria, ripeto: Totus tuus ego sum".

2. Il perdono! Cristo ci ha insegnato a perdonare. Molte volte e in vari modi Egli ha parlato di perdono. Quando Pietro gli chiese quante volte avrebbe dovuto perdonare al suo prossimo, "fino a sette volte?", Gesù rispose che doveva perdonare "fino a settanta volte sette" (
Mt 18,21). Ciò vuol dire, in pratica, sempre: infatti il numero "settanta" per "sette" è simbolico, e significa, più che una quantità determinata, una quantità incalcolabile, infinita. Rispondendo alla domanda su come bisogna pregare, Cristo pronunciò quelle magnifiche parole indirizzate al Padre: "Padre nostro che sei nei cieli"; e tra le richieste che compongono questa preghiera, l’ultima parla del perdono: "Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo" a coloro che sono colpevoli nei nostri riguardi (= "ai nostri debitori"). Infine Cristo stesso confermò la verità di queste parole sulla Croce, quando, volgendosi al Padre, supplicò: "Perdonali!", "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34).

"Perdono" è una parola pronunciata dalle labbra di un uomo, al quale è stato fatto del male. Anzi, essa è la parola del cuore umano. In questa parola del cuore ognuno di noi si sforza di superare la frontiera dell’inimicizia, che può separarlo dall’altro, cerca di ricostruire l’interiore spazio d'intesa, di contatto, di legame. Cristo ci ha insegnato con la parola del Vangelo, e soprattutto col proprio esempio, che questo spazio si apre non solo davanti all’altro uomo, ma in pari tempo davanti a Dio stesso. Il Padre, che è Dio di perdono e di misericordia, desidera agire proprio in questo spazio del perdono umano, desidera perdonare coloro, che sono reciprocamente capaci di perdonare, coloro che cercano di mettere in pratica quelle parole: "Rimetti a noi... come noi rimettiamo".

Il perdono è una grazia, alla quale si deve pensare con umiltà e gratitudine profonde. Esso è un mistero del cuore umano, sul quale è difficile diffondersi. Tuttavia vorrei soffermarmi su quanto ho detto. Lho detto perché fa strettamente parte dell’evento del 13 maggio, nel suo insieme.

3. Durante i tre mesi che ho trascorso all’ospedale, spesso mi ritornava alla memoria quel passo del Libro della Genesi, che tutti bene conosciamo:

"Abele era pastore di gregge e Caino lavoratore del suolo. Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. Il Signore disse allora a Caino: "Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è la sua bramosia, tu dominala" Caino disse al fratello Abele: "Andiamo in campagna!". Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore disse a Caino: "Dov’è Abele, tuo fratello?". Egli rispose: "Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?". Riprese: "Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!"..." (Gn 4,2-10).

4. Mi ritornava spesso alla memoria, nelle mie meditazioni all’ospedale, questo testo antichissimo, il quale parla del primo attentato dell’uomo alla vita dell’uomo, del fratello alla vita del fratello.


In quel tempo, dunque, quando l’uomo che ha attentato alla mia vita, veniva processato e quando ricevette la sentenza, pensavo al racconto di Caino e di Abele, che biblicamente esprime l’"inizio" del peccato contro la vita dell’uomo. Nei nostri tempi, in cui questo peccato contro la vita dell’uomo è divenuto di nuovo e in un modo nuovo minaccioso, mentre tanti uomini innocenti periscono per le mani di altri uomini, la descrizione biblica di ciò che accade tra Caino e Abele diventa particolarmente eloquente. Ancora più completa, ancora più sconvolgente del comandamento stesso a "non uccidere". Questo comandamento appartiene al Decalogo, che Mosè ricevette da Dio e che è contemporaneamente scritto nel cuore dell’uomo come legge interiore dell’ordine morale per tutto il comportamento umano. Non ci parla forse ancora di più dell’assoluto divieto di "non uccidere" quella domanda di Dio rivolta a Caino: "Dov’è il tuo fratello?". E incalzando la risposta evasiva di Caino, "Sono forse il guardiano di mio fratello?", segue l’altra domanda divina: "Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!".

5. Cristo ci ha insegnato a perdonare. Il perdono è indispensabile anche perché Dio possa porre alla coscienza umana degli interrogativi, ai quali attende risposta in tutta la verità interiore.

In questo tempo, in cui tanti uomini innocenti periscono per le mani di altri uomini, pare imporsi uno speciale bisogno di avvicinarsi a ciascuno di coloro che uccidono, avvicinarsi col perdono nel cuore ed insieme con la stessa domanda che Dio, Creatore e Signore della vita umana, pose al primo uomo che aveva attentato alla vita del fratello e glielaveva tolta – aveva tolto ciò che è proprietà solo del Creatore e del Signore della vita.

Cristo ci ha insegnato a perdonare. Ha insegnato a Pietro a perdonare "fino a settanta volte sette" (Mt 18,22). Dio stesso perdona quando l’uomo risponde alla domanda rivolta alla sua coscienza e al suo cuore con tutta linteriore verità della conversione.

Lasciando a Dio stesso il giudizio e la sentenza nella sua dimensione definitiva, non cessiamo di chiedere: "Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori".

Saluti:

Ai fedeli di lingua tedesca



Ai fedeli di lingua francese


Ai pellegrini di espressione inglese


Ai pellegrini di lingua spagnola


Ai pellegrini di lingua portoghese


Ai pellegrini provenienti dalla Croazia


Miei cari croati! Saluto anche tutti i pellegrini della Croazia, venuti a Roma in questo mese mariano. Recitate volentieri, cari croati, il Rosario e raccomandate questa preghiera a tutti i membri delle vostre famiglie. Dite loro che il Papa li ama e li benedice.


Ai pellegrini polacchi


Sia lodato Gesù Cristo! Saluto i miei connazionali nella lingua materna. Confido che la capiranno anche altri Slavi presenti, per esempio, i fratelli Slovacchi. Carissimi, durante le udienze di ottobre torno all'avvenimento del 13 maggio, per dare in un certo qual modo un commento a questo avvenimento. Oggi in modo particolare ho parlato del perdono, che in un certo senso costituisce proprio il punto centrale di quel doloroso avvenimento: il punto attraverso il quale l'avvenimento tutto è stato riportato a Cristo e, in Cristo, al Padre. Cristo, infatti, ci ha insegnato a dire « Padre nostro, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ». Nello stesso tempo, pensiamo al Libro della Genesi, dove troviamo la descrizione del primo attentato dell'uomo all'uomo - Caino e Abele - attentato alla vita del fratello. Ho riflettuto su queste parole, parole di Dio, che questa descrizione contiene, affinché esse raggiungano tutti coloro che in qualsiasi modo attentano alla vita dell'uomo innocente; affinché queste parole diano pieno significato al precetto « Non uccidere »; affinché nella nostra civiltà, nella quale il male dell'uccisione si estende sempre di più, questo male sia eliminato. Questi sono pensieri dell'odierna udienza generale. « Bóg zaplac » per la vostra presenza, « Bóg zaplac » per la vostra preghiera. Non sono debitore : la preghiera per la Patria non lascia mai le mie labbra ed il mio cuore. Sia lodato Gesù Cristo!

Ai gruppi italiani

Saluto tutti i pellegrini provenienti dalle varie parti d’Italia, che so numerosi e ai quali confermo la mia benevolenza.

In particolare, rivolgo il mio saluto ai giovani qui presenti e li invito a porre sempre il loro entusiasmo al servizio di Cristo.

Ai cari ammalati assicuro di cuore il mio costante ricordo nella preghiera, perché si loro di conforto e li aiuti a scoprire il valore della sofferenza.

E infine auguro agli Sposi Novelli una vita serena nell’amore reciproco, fecondo della grazia del Signore.

A tutti imparto la mia Benedizione.




Mercoledì, 28 ottobre 1981: Il Rosario occasione privilegiata di pregare con la genitrice di Dio

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1. Si avvicina la fine del mese di ottobre, il mese del santo Rosario. Desidero, in occasione di quest’ultima udienza generale di ottobre, far riferimento alla prima avvenuta in questo mese (essa è stata pure la prima udienza generale, dopo la pausa di alcuni mesi causata dall’evento del 13 maggio). Quella prima udienza dopo l’intervallo ebbe luogo nel giorno dedicato alla beata Vergine del Rosario.

Alla fine di ottobre desidero, insieme a voi fratelli e sorelle, dare uno sguardo alla semplicità e, in pari tempo, alla profondità di questa preghiera, alla quale la Madre santissima in modo particolare ci invita, ci sprona e ci incoraggia. Recitando il Rosario, penetriamo nei misteri della vita di Gesù, che sono contemporaneamente i misteri della sua Madre. Questo si avverte molto chiaramente nei misteri gaudiosi, iniziando dall’annunciazione, attraverso la visitazione e la nascita nella notte di Betlemme, e in seguito attraverso la presentazione del Signore, fino al suo ritrovamento nel tempio, quando Gesù aveva già dodici anni. Benché possa sembrare che i misteri dolorosi non ci mostrino direttamente la Madre di Gesù – ad eccezione degli ultimi due: la via crucis e la crocifissione – possiamo tuttavia pensare che fosse spiritualmente assente la Madre, quando il Figlio suo soffriva in modo così terribile nel Getsemani, nella flagellazione e nella coronazione di spine? E i misteri gloriosi sono pure misteri di Cristo, nei quali troviamo la presenza spirituale di Maria – primo fra tutti il mistero della Risurrezione. Parlando dell’ascensione, la Sacra Scrittura non menziona la presenza di Maria – ma poté non essere Ella presente, se subito dopo leggiamo, che si trovava nel cenacolo con gli stessi apostoli, i quali avevano salutato poco prima Cristo che saliva al Cielo? Insieme con loro Maria si prepara alla venuta dello Spirito Santo e partecipa alla Pentecoste della sua discesa. Gli ultimi due misteri gloriosi orientano i nostri pensieri direttamente verso la Genitrice di Dio, quando contempliamo la sua assunzione ed incoronazione nella gloria celeste.

Il Rosario è una preghiera riguardante Maria unita al Cristo nella sua missione salvifica. È al tempo stesso una preghiera a Maria la nostra migliore mediatrice presso il Figlio. E infine una preghiera che in modo speciale recitiamo con Maria, così come pregavano insieme con lei gli apostoli nel Cenacolo, preparandosi a ricevere lo Spirito Santo.

2. Questo è quanto desidero dire su questa tanto cara preghiera alla fine del mese di ottobre. Nel farlo, mi rivolgo a tutti coloro che mediante la loro preghiera, non solo la preghiera del Rosario, ma anche la preghiera liturgica ed ogni altra, mi hanno sostenuto durante gli scorsi mesi. Ho già ringraziato per questo altre volte. Ho ringraziato pure durante la prima udienza generale del corrente mese. Però le espressioni di questa gratitudine non bastano mai. Oggi dunque desidero manifestare ancora una volta la mia riconoscenza, rendendomi conto di quanto sono debitore a tutti coloro che mi hanno sostenuto e continuano ancora a sostenermi con la preghiera.

La maggior parte di questo sostegno è noto solo a Dio. Però mi sono giunte in questo periodo migliaia e migliaia di lettere, in cui persone di ogni parte del mondo mi hanno espresso la loro partecipazione e mi hanno assicurato la loro preghiera. Vorrei, fra le molte, oggi riportarne una sola, quella di una bimba che mi ha scritto: "Caro Papa, ti auguro di guarire presto per tornare a leggere il Vangelo e la Parola di Dio. So che hai perdonato a quell’uomo che ti ha ferito e così anch’io voglio perdonare a chi mi fa la spia o mi dà calci. Fa che mi comporti sempre bene e fa che in ogni luogo ci sia la pace".


3. Verso la fine della Lettera di san Paolo agli Efesini troviamo le seguenti parole: "...attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti... perciò... Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno;... Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi, e anche per me, perché quando apro la bocca mi sia data una parola franca, per far conoscere il mistero del Vangelo, del quale sono ambasciatore in catene, e io possa annunziarlo con franchezza come è mio dovere" (
Ep 6,10-20).

Durante la prima udienza di ottobre ho ringraziato – facendo riferimento agli Atti degli apostoli – perché "una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui" (cioè per Pietro). Oggi mi sono richiamato alle parole della Lettera agli Efesini per chiedere, così come Paolo, di continuare la preghiera, ora che mi è dato nuovamente di riprendere il servizio al Vangelo. È un servizio di verità e di amore. Un servizio nei riguardi della Chiesa e, al tempo stesso, nei confronti del mondo. L’autore della Lettera agli Efesini dice che questo servizio di verità è, in pari tempo, un’autentica lotta "contro gli spiriti del male", contro "i dominatori di questo mondo di tenebra". È una lotta e un combattimento.

4. Di questa lotta parla anche il Concilio Vaticano II nella Costituzione Gaudium et Spes con le seguenti espressioni: "Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una dura lotta contro le potenze delle tenebre; lotta incominciata fin dall’origine del mondo e che durerà, come dice il Signore, fino all’ultimo giorno. Inserito in questa battaglia, l’uomo deve combattere senza sosta per aderire al bene, né può conseguire la sua unità interiore se non a prezzo di grandi fatiche, con l’aiuto della grazia di Dio. Per questo la Chiesa di Cristo, fidandosi del disegno del Creatore, mentre riconosce che il progresso umano può servire alla a meno di far risuonare il detto dell’apostolo: "Non vogliate conformarvi a questo mondo" (Rm 12,2), e cioè a quello spirito di vanità e di malizia, che travolge in strumento di peccato l’operosità umana, ordinata invece al servizio di Dio e dell’uomo" (Gaudium et Spes GS 37).

Ed in seguito i Padri Conciliari insegnano: "Se dunque ci si chiede come può essere vinta tale miserevole situazione, i cristiani affermano che tutte le attività umane, messe in pericolo quotidianamente dalla superbia e dall’amore disordinato di se stessi, devono venir purificate e rese perfette per mezzo della croce e della risurrezione di Cristo" (Gaudium et Spes GS 37).

Nel riprendere nuovamente il mio servizio dopo la prova che la divina Misericordia mi ha concesso di superare, mi rivolgo a tutti con le parole di san Paolo: pregate "per me, perché quando apro la bocca mi sia data una parola franca per far conoscere il mistero del Vangelo...".

5. La personale esperienza della violenza mi ha fatto sentire in modo più intenso la vicinanza con coloro che in qualunque posto della terra e in qualunque modo soffrono persecuzioni per il nome di Cristo. Ed anche con tutti coloro che subiscono oppressione per la santa causa dell’uomo e della dignità, per la giustizia e per la pace nel mondo. Con coloro infine, che questa loro fedeltà hanno sigillato con la morte.

Pensando a tutti loro, ripeto le parole dell’apostolo nella Lettera ai Romani: "Nessuno di noi... vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque nel Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi" (Rm 14,7-9).

Queste parole siano per noi anche la preparazione alla grande solennità di Tutti i Santi e alla ricorrenza del 2 novembre in cui ricordiamo Tutti i Fedeli defunti.

Saluti:

Ai pellegrini tedeschi

Ai pellegrini di lingua francese


Ai gruppi di lingua inglese



Ai pellegrini di lingua spagnola


Ai pellegrini di lingua portoghese



Ai polacchi


Saluto cordialmente il pellegrinaggio dei padri francescani di Katowice-Panewniki, i ferrovieri di Lódz, i dipendenti del Ministero dei trasporti a Varsavia, i pellegrini di varie città: Lódz, Zywiec, Bielsko-Biala, Zawoja, Breslavia, Poznan, Cracovia, Varsavia, come pure i polacchi provenienti dagli Stati Uniti e dalla Germania.

L'argomento del discorso di oggi è stato soprattutto la preghiera del Rosario, un rapido sguardo sulla grande semplicità e profondità di questa preghiera. Ho parlato di questa preghiera anche perché volevo, ancora una volta, ringraziare tutti coloro che — con il rosario in mano, oppure in un altro modo — mi hanno sostenuto nei mesi passati. Ho trattato questo argomento per chiedere ancora un tale sostegno, nel momento in cui, come vedete, riprendo il mio ministero sulla Cattedra Romana in modo consueto e normale. Ho citato le parole di San Paolo nella Lettera agli Efesini, dove egli parla della lotta e del combattimento spirituale, che a noi discepoli di Cristo, ministri dei ministri di Dio, spetta di intraprendere in questo mondo. È in questa lotta appunto che il sostegno spirituale della preghiera, e maggiormente, della preghiera arricchita dal sacrificio — come talvolta fanno gli ammalati e sofferenti — diventa la forza più grande. A questa forza spirituale faccio richiamo sempre, quando si tratta della nostra Patria, delle sue vicende. Desidero aggiungere qui, che c'è tanta gente nel mondo che prega per la Polonia. Che Dio la ricompensi! A voi chiedo di salutare tutti in Patria, di pregare sulle tombe dei nostri e dei miei defunti. Sia lodato Gesù Cristo.

Ai gruppi italiani

Un cordiale e beneaugurante saluto mi è gradito rivolgere alle Superiore Provinciali ed alle Rappresentati delle Religiose di Maria Immacolata, o Missionarie Clarettiane, riunite in questi giorni in Capitolo Generale per completare il lavoro di revisione delle Costituzioni ed eleggere la Superiora Generale ed il Consiglio generalizio.

Carissime sorelle, vi sia di incoraggiamento l’invito del Papa a perseverare nel vostro impegno di diffondere, per mezzo della vostra generosa testimonianza, il messaggio di Gesù Salvatore, specialmente in seno alle giovani generazioni, conducendole a maturità umana e cristiana.

Vi sostenga l’intercessione della Vergine Maria e vi accompagni la mia Benedizione.

Rivolgo un cordiale saluto ai giovani qui presenti e li invito ad essere ogni giorno gioiosi testimoni del Vangelo nel mondo.

Riservo un saluto particolare agli ammalati, che affido di cuore alla confortatrice grazia divina ed ai quali raccomando specialmente la recita del Santo Rosario, assicurando che sono loro sempre spiritualmente vicino.

Intendo salutare anche gli sposi novelli, per augurare loro una vita serena di amore fecondo, cementata soprattutto nelle difficoltà da una incrollabile fede.

E infine saluto volentieri i membri della "Associazione Italian "Sommeliers"", che partecipano in questi giorni a Roma al loro quindicesimo Congresso nazionale, ed i Membri della Nuova Orchestra Mandolinistica Staranzanese.

A tutti i miei più cordiali voti di ogni bene e la mia Benedizione.




Catechesi 79-2005 7101