Catechesi 79-2005 16121

Mercoledì, 16 dicembre 1981: Le parole di Cristo sulla risurrezione completano la rivelazione del corpo

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1. "Alla risurrezione.., non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel Cielo" (
Mt 22,30 Mc 12,25). "...Sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio" (Lc 20,36).

La comunione ("communio") escatologica dell’uomo con Dio, costituita grazie all’amore di una perfetta unione, sarà alimentata dalla visione, "a faccia a faccia", della contemplazione di quella comunione più perfetta, perché puramente divina, che è la comunione trinitaria delle Persone divine nell’unità della medesima divinità.

2. Le parole di Cristo, riportate dai Vangeli sinottici, ci consentono di dedurre che i partecipi dell’"altro mondo" conserveranno – in questa unione col Dio vivo, che scaturisce dalla visione beatifica della sua unità e comunione trinitaria – non soltanto la loro autentica soggettività, ma lo acquisteranno in misura molto più perfetta che nella vita terrena. In ciò verrà inoltre confermata la legge dell’ordine integrale della persona, secondo cui la perfezione della comunione non soltanto è condizionata dalla perfezione o maturità spirituale del soggetto, ma anche, a sua volta, la determina. Coloro che parteciperanno al "mondo futuro", cioè alla perfetta comunione col Dio vivo, godranno di una soggettività perfettamente matura. Se in questa perfetta soggettività, pur conservando nel loro corpo risorto, cioè glorioso, la mascolinità e la femminilità, "non prenderanno moglie né marito", ciò si spiega non soltanto con la fine della storia, ma anche – e soprattutto – con l’"autenticità escatologica" della risposta a quel "comunicarsi" del Soggetto Divino, che costituirà la beatificante esperienza del dono di se stesso da parte di Dio, assolutamente superiore ad ogni esperienza propria della vita terrena.

3. Il reciproco dono di se stesso a Dio – dono, in cui l’uomo concentrerà ed esprimerà tutte le energie della propria soggettività personale ed insieme psicosomatica – sarà la risposta al dono di se stesso da parte di Dio all’uomo (1). In questo reciproco dono di sé da parte dell’uomo, dono che diverrà, fino in fondo e definitivamente, beatificante, come risposta degna di un soggetto personale al dono di sé da parte di Dio, la "verginità" o piuttosto lo stato verginale del corpo si manifesterà pienamente come compimento escatologico del significato "sponsale" del corpo, come il segno specifico e l’espressione autentica di tutta la soggettività personale. Così, dunque, quella situazione escatologica, in cui "non prenderanno moglie né marito", ha il suo solido fondamento nello stato futuro del soggetto personale, quando, in seguito alla visione di Dio "a faccia a faccia", nascerà in lui un amore di tale profondità e forza di concentrazione su Dio stesso, da assorbire completamente l’intera sua soggettività psicosomatica.

4. Questa concentrazione della conoscenza ("visione") e dell’amore su Dio stesso – concentrazione che non può essere altro che la piena partecipazione alla vita interiore di Dio, cioè alla stessa Realtà Trinitaria – sarà in pari tempo la scoperta, in Dio, di tutto il "mondo" delle relazioni, costitutive del suo perenne ordine ( "cosmo"). Tale concentrazione sarà soprattutto la riscoperta di sé da parte dell’uomo, non soltanto nella profondità della propria persona, ma anche in quella unione che è propria del mondo delle persone nella loro costituzione psicosomatica. Certamente questa è una unione di comunione. La concentrazione della conoscenza e dell’amore su Dio stesso nella comunione trinitaria delle Persone può trovare una risposta beatificante in coloro che diverranno partecipi dell’"altro mondo", solo attraverso il realizzarsi della comunione reciproca commisurata a persone create. E per questo professiamo la fede nella "comunione dei Santi" ("communio sanctorum") e la professiamo in connessione organica con la fede nella "risurrezione dei morti". Le parole con cui Cristo afferma che nell’"altro mondo... non prenderanno moglie né marito", stanno alla base di questi contenuti della nostra fede, e, al tempo stesso, richiedono una adeguata interpretazione appunto alla sua luce. Dobbiamo pensare alla realtà dell’"altro mondo" nelle categorie della riscoperta di una nuova, perfetta soggettività di ognuno, ed insieme della riscoperta di una nuova, perfetta intersoggettività di tutti.In tal modo, questa realtà significa il vero e definitivo compimento della soggettività umana, e, su questa base, il definitivo compimento del significato "sponsale" del corpo. La totale concentrazione della soggettività creata, redenta e glorificata, su Dio stesso non distoglierà l’uomo da questo compimento, anzi – al contrario – ve lo introdurrà e ve lo consoliderà. Si può dire, infine, che così la realtà escatologica diverrà fonte della perfetta attuazione dell’"ordine trinitario" nel mondo creato delle persone.


5. Le parole con cui Cristo si richiama alla futura risurrezione – parole confermate in modo singolare dalla sua risurrezione – completano ciò che nelle presenti riflessioni siamo soliti chiamare "rivelazione del corpo". Tale rivelazione penetra in un certo senso nel cuore stesso della realtà che sperimentiamo, e questa realtà è soprattutto l’uomo, il suo corpo, il corpo dell’uomo "storico". In pari tempo, questa rivelazione ci consente di oltrepassare la sfera di questa esperienza in due direzioni. Innanzitutto, nella direzione di quel "principio", al quale Cristo fa riferimento nel suo colloquio con i Farisei riguardo alla indissolubilità del matrimonio (cfr Mt 19,3-9); in secondo luogo, nella direzione dell’"altro mondo", al quale il Maestro richiama l’attenzione dei suoi ascoltatori in presenza dei Sadducei, che "affermano che non c’è la risurrezione" (Mt 22,23). Questi due "ampliamenti della sfera" dell’esperienza del corpo (se così si può dire) non sono del tutto irraggiungibili per la nostra comprensione (ovviamente teologica) del corpo. Ciò che il corpo umano è nell’ambito dell’esperienza storica dell’uomo, non viene del tutto reciso da quelle due dimensioni della sua esistenza, rivelate mediante la parola di Cristo.

6. È chiaro che qui si tratta non tanto del "corpo" in astratto, ma dell’uomo che è spirituale e corporeo insieme. Proseguendo nelle due direzioni, indicate dalla parola di Cristo, e riallacciandosi all’esperienza del corpo nella dimensione della nostra esistenza terrena (quindi nella dimensione storica), possiamo fare una certa ricostruzione teologica di ciò che avrebbe potuto essere l’esperienza del corpo in base al "principio" rivelato dell’uomo, e anche di ciò che esso sarà nella dimensione dell’"altro mondo". La possibilità di tale ricostruzione, che amplia la nostra esperienza dell’uomo-corpo, indica, almeno indirettamente, la coerenza dell’immagine teologica dell’uomo in queste tre dimensioni, che insieme concorrono alla costituzione della teologia del corpo.

Nell’interrompere, per oggi, le riflessioni su questo tema, vi invito a rivolgere i vostri pensieri ai giorni santi dell’Avvento che stiamo vivendo.

Saluti:

Ai fedeli di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese



Ai pellegrini di espressione tedesca


Ai pellegrini di lingua spagnola




Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai pellegrini di lingua polacca



Sia lodato Gesù Cristo!
Cari connazionali!


Gli avvenimenti degli ultimi giorni hanno rivolto gli occhi di tutto il mondo verso la Polonia. In ciò si manifesta una chiara inquietudine e, contemporaneamente, la solidarietà con la nostra nazione. Per le espressioni di tale solidarietà ringrazio tutti, perché molto spesso sono indirizzate direttamente a me.

Questa inquietudine è fondata. Basta leggere il discorso, che domenica sera ha pronunciato il Primate di Polonia nella chiesa della “Madonna delle Grazie” a Varsavia, per risentire la misura di tale inquietudine entro il paese, che per l’introduzione dello stato d’assedio è stato tagliato fuori dai normali contatti con il resto del mondo. Dice il Primate: La Chiesa “ha appreso con dolore la rottura del dialogo, che si allacciava con tanta fatica, e l’ingresso sulla strada della violenza, qual è lo stato d’assedio. E ciò non può avvenire senza la violazione dei fondamentali diritti civili. Porta con sé, in molti casi, il disprezzo della dignità umana, gli arresti di innocenti, l’avvilimento degli uomini della cultura e della scienza, l’incertezza, in tante famiglie...”.

In tali condizioni, la mia sollecitudine si rivolge ancora verso la patria, verso la nazione, di cui sono figlio, e che come ogni nazione e paese ha diritto ad una particolare sollecitudine da parte della Chiesa. Questa sollecitudine abbraccia in questo momento tutta la Polonia e tutti i polacchi.

Essi hanno, come nazione, il diritto di vivere la propria vita e di risolvere i propri problemi interni nello spirito delle proprie convinzioni in conformità con la propria cultura e tradizioni nazionali.

Questi problemi, indubbiamente difficili, non si possono risolvere con l’uso della violenza.

Di qui il mio appello e la mia richiesta: bisogna ritornare sulla strada del rinnovamento, costruito col metodo del dialogo, nel rispetto dei diritti di ogni uomo e di ogni cittadino. Questa strada non era facile – per cause ben comprensibili – ma non è impossibile.

La forza e l’autorità del potere si esprimono in tale dialogo e non nell’uso della violenza.

Già domenica, alla prima notizia dell’introduzione dello stato d’assedio ho ricordato le mie parole pronunciate in settembre: “Non si può versare sangue polacco!”. Oggi ripeto le stesse parole.

E insieme con tutta la Chiesa e, in particolare, con la Chiesa in Polonia, affido a Cristo, che è Signore del secolo futuro, e alla sua Madre, in Jasna Góra, tutta la mia patria, questa nazione provata, non per la prima volta, nella lotta per il giusto diritto di essere se stessa!

A diversi gruppi italiani

Oggi mi è caro salutare i Soci dell’Accademia Sistina, i quali, accompagnati dal Signor Cardinale Pietro Palazzini, son venuti anche quest’anno a rendere omaggio al successore di quel Pontefice, a cui s’intitola il loro sodalizio. Nel ringraziare per tale gesto, desidero rivolgere ad essi non solo una parola di incoraggiamento per l’impegno con cui si studiano di conoscere e di far conoscere la personalità singolare del medesimo Pontefice, ma anche e soprattutto l’augurio che sappiano apprendere, alla sua scuola, un grande amore alla Chiesa ed un profondo attaccamento ai valori della fede cristiana. Accompagno volentieri l’auspicio con la Benedizione Apostolica.
* * *



Porgo un affettuoso saluto alla rappresentanza di zampognari del Comune di Scapoli, guidati dal Vescovo di Isernia e Venafro, Monsignor Achille Palmerini, dal loro Sindaco e dai rispettivi familiari. Nel ringraziarvi, carissimi fratelli, vi esorto, mentre diffondete le vostre semplici e commoventi melodie, a riflettere con l’umile fede dei pastori di Betlemme al Salvatore del mondo, fattosi uomo per liberare l’umanità dalla schiavitù del peccato e per riconciliarla con Dio padre.
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Rivolgo, poi, un pensiero beneaugurante ai numerosi gruppi di giovani qui presenti, nella certezza di averli sempre più generosi testimoni di Cristo per mezzo della carità, del buon esempio, nella pratica delle virtù e nell’impegno volenteroso dello studio e del lavoro.
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Esprimo inoltre viva riconoscenza ai carissimi malati per il bene, in tante forme da essi propiziato, a favore dell’intera Comunità ecclesiale che li considera " parte eletta " del Corpo mistico di Gesù.
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Formo infine fervidi voti agli sposi novelli, invocando sulle loro nascenti famiglie la continua protezione del Signore, che apporti ogni desiderata prosperità e sia d’incoraggiamento a generosi propositi di esemplari comportamenti cristiani.

A tutti con particolare benevolenza imparto la propiziatrice Benedizione Apostolica.

(1) "Nella concezione biblica... si tratta di una immortalità "dialogica" [risuscitazione!], vale a dire che l’immortalità non deriva semplicemente dalla ovvia verità che l’indivisibile non può morire, ma dall’atto salvatore di colui che ama, che ha il potere di farlo; perciò l’uomo non può scomparire totalmente, perché è conosciuto ed amato da Dio. Se ogni amore postula l’eternità, l’amore di Dio non solo la vuole, ma la attua e la è... Dato che l’immortalità presentata dalla Bibbia non deriva dalla forza propria di quanto di per sé è indistruttibile, ma dall’essere accolto nel dialogo con il Creatore, per questo fatto si deve chiamare risuscitazione..." [J. Ratzinger, Risurrezione della carne – aspetto teologico, in Sacramentum Mundi, vol. 7, Brescia 1977, Morcelliana, pp. 160-161].




Mercoledì, 23 dicembre 1981: Recuperiamo la verità del Natale nella sua autenticità e nel suo significato

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Carissimi fratelli e sorelle,

1. L’udienza odierna si svolge nel clima del Natale ormai imminente, che con tanta eloquenza parla alla mente e al cuore. La liturgia dell’Avvento ci ha preparati spiritualmente a rivivere il mistero che ha segnato una svolta nella storia umana: la nascita di un Bimbo, che è anche il Figlio di Dio, la nascita del Salvatore.

È una ricorrenza che ha veramente cambiato il volto del mondo. Non è forse una testimonianza di ciò la stessa atmosfera gioiosa che si respira per le vie delle città e dei paesi, nei luoghi di lavoro, nell’intimo delle nostre case? La festa del Natale è entrata nel costume come incontrastata ricorrenza di letizia e di bontà e come occasione e stimolo ad un pensiero gentile, ad un gesto di altruismo e di amore. Questa fioritura di generosità e di cortesia, di attenzione e di premure, iscrive il Natale tra i momenti più belli dell’anno, anzi della vita, imponendosi anche a coloro che non hanno la fede e pur non riescono a sottrarsi al fascino che si sprigiona da questa magica parola: Natale.

Ciò spiega anche l’aspetto lirico e poetico, che circonda questa ricorrenza: quante melodie pastorali, quante canzoni dolcissime sono sbocciate intorno a questo evento! E quale carica di sentimento o, a volte, di nostalgia esso sa suscitare! La natura che ci circonda acquista in questo giorno un suo linguaggio dolce e innocente, che ci fa assaporare la gioia delle cose semplici e vere, verso le quali il nostro cuore aspira, anche senza saperlo.

2. Ma dietro a questo aspetto suggestivo, ecco subito manifestarsene altri, che ne alterano la limpidezza e ne insidiano l’autenticità. Sono, questi, gli aspetti puramente esteriori e consumistici della festa, i quali rischiano di svuotare del suo significato vero la ricorrenza, quando si pongono non come espressioni della gioia interiore che la caratterizza, ma come elementi principali di essa, o quasi come sua unica ragion d’essere.

Il Natale perde allora la sua autenticità, il suo senso religioso, e diventa occasione di dissipazione e di spreco, scivolando in esteriorità sconvenienti e sguaiate, che suonano offesa a coloro che la povertà condanna ad accontentarsi delle briciole.

3. Occorre ricuperare la verità del Natale nell’autenticità del dato storico e nella pienezza del significato di cui esso e portatore.

Il dato storico è che in un determinato momento della storia, in una certa contrada della terra, da un’umile donna della stirpe di Davide è nato il Messia, annunciato dai Profeti: Gesù Cristo Signore.

Il significato è che, con la venuta di Cristo, l’intera storia umana ha trovato il suo sbocco, la sua spiegazione, la sua dignità. Dio ci si è fatto incontro in Cristo, perché noi potessimo avere accesso a Lui. A ben guardare, la storia umana è un ininterrotto anelito verso la gioia, la bellezza, la giustizia, la pace. Sono realtà che soltanto in Dio possono trovarsi in pienezza. Ebbene, il Natale ci reca l’annuncio che Dio ha deciso di superare le distanze, di valicare gli abissi ineffabili della sua trascendenza, di accostarsi a noi, fino a far sua la nostra vita, fino a farsi nostro fratello.

Ecco, dunque: cerchi Dio? Trovalo nel tuo fratello, perché in ogni uomo ormai Cristo si è come immedesimato. Vuoi amare Cristo? Amalo nel tuo fratello, perché quanto tu fai ad uno qualsiasi dei tuoi simili, Cristo lo ritiene fatto a sé. Se, dunque, ti sforzerai di aprirti con amore al tuo prossimo, se cercherai di stabilire rapporti di pace con lui, se vorrai mettere in comune col prossimo le tue risorse, perché la tua gioia, comunicandosi, diventi più vera, tu avrai al tuo fianco Cristo, e con Lui potrai raggiungere la meta che il tuo cuore sogna: un mondo più giusto, e quindi più umano.

Che il Natale trovi ciascuno di noi impegnato a riscoprirne il messaggio, che parte dalla mangiatoia di Betlemme. Ci vuole un po’ di coraggio, ma ne vale la pena, perché solo se sapremo aprirci così alla venuta di Cristo, potremo fare l’esperienza della pace annunciata dagli Angeli nella notte santa. Che il Natale costituisca per tutti voi un incontro con Cristo, che si è fatto uomo per dare a ogni uomo la capacità di diventare figlio di Dio.


4. È questo l’augurio che porgo a tutti, mentre sono lieto di rivolgere un particolare saluto ai Dirigenti, ai Professori e agli studenti della Scuola di Musica "Tommaso Lodovico da Victoria", fondata dall’Associazione italiana di santa Cecilia e attualmente associata al Pontificio Istituto di Musica sacra.

Carissimi, Vi ringrazio di vero cuore di essere venuti a rallegrare questo incontro in prossimità del Natale con i vostri canti armoniosi. E con voi ringrazio i vostri familiari che so pure presenti in numero considerevole.

A voi studenti, in particolare, mi è caro raccomandare di continuare con amore e costanza in questo vostro impegno di studio, che educa all’arte, ingentilisce il cuore ed unisce gli animi in armonia di bontà e di vita.

Sappiate, altresì, completare tale studio con una approfondita conoscenza delle verità religiose, perché i valori della fede siano uniti ai valori dell’arte.

Siate sempre, con la pratica delle virtù cristiane, fedeli testimoni di Cristo nella scuola, nelle famiglie e nella società. E possa il vostro canto, unito al canto degli Angeli, ottenere dal divino Bambino di Betlemme pace vera e duratura per l’intera umanità.

5. Estendo il saluto a tutti i giovani. Carissimi, l’imminenza del Santo Natale, che ci ricorda l’amore senza limiti del Figlio di Dio, disceso dal Cielo in una carne mortale "per noi uomini e per la nostra salvezza", susciti in ciascuno di voi sentimenti di sincero amore per il prossimo, confermandovi nel proposito di mettere le energie, di cui Dio vi ha arricchito, a servizio dei fratelli.

La mia parola di saluto va poi agli ammalati. Carissimi fratelli e sorelle, nella luce del Natale, che tanta dolcezza diffonde nei cuori, desidero rivolgervi un particolare augurio di serenità e di pace. Il pensiero delle strettezze e dei disagi, in cui venne a trovarsi – nascendo – Gesù Bambino, vi conforti nelle vostre sofferenze e vi aiuti a vedere in esse un’occasione quanto mai significativa per essergli vicino nell’opera della redenzione a cui Egli diede inizio già dalla mangiatoia di Betlemme.

Sono presenti all’udienza numerose coppie di sposi novelli. Anche a voi, carissimi, il mio saluto e il mio augurio. Nella scena del presepe, in cui l’amore di due Sposi e rallegrato dal vagito di un Neonato, voi potete contemplare, nella sua espressione più alta, ciò che il vostro cuore va cercando. Restino Gesù, Maria e Giuseppe il modello costante del vostro impegno di reciproca donazione, e il ricorso al loro aiuto vi soccorra in ogni difficoltà, alimentando nei vostri cuori la fiamma di quell’amore, che il sacramento ha consacrato davanti a Dio e davanti agli uomini.

A tutti i miei auguri di un lieto e santo Natale. A tutti la mia cordiale benedizione.

Saluti:

Ai pellegrini di espressione francese



Ai gruppi di espressione inglese

Ai fedeli di espressione tedesca




Ai fedeli di lingua spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese



Ai fedeli provenienti dalla Polonia

Sia lodato Gesù Cristo! Miei cari Connazionali, sappiamo che il Natale è una festa della famiglia, e che la notte di Natale, dividendo l'oplatek, la famiglia si unisce, si ritrovano vicendevolmente le persone ?iù care. Bisogna estendere quest'immagine — dell'oplatek e della veglia — a tutte le famiglie polacche, nella Patria e fuori dalle sue frontiere. Bisogna pensare alla Polonia intera come ad una famiglia. In questa famiglia devono prevalere la giustizia e l'amore; le forze che ne sono contrarie devono essere sconfitte. Questi sono auguri che formulo durante l'oplatek a tutti i miei Connazionali, sia a questi qui presenti che a quelli che non sono qui con noi, ma che sono in modo particolare in questi giorni, presenti nel mio cuore; di più: che sono particolarmente presenti nel cuore di tutta la Chiesa. Che essi sentano di essere presenti nel cuore della Chiesa, che sono con loro tutti i loro fratelli e le sorelle, le società e le nazioni. E che rafforzati da questa consapevolezza, nello spirito delle migliori tradizioni della Patria, celebrino il Natale del Signore.




Mercoledì, 30 dicembre 1981: Il Natale afferma per sempre la presenza di Dio nella storia

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Carissimi!

1. Eccoci giunti all’ultima udienza generale dell’anno 1981.

Mentre porgo a voi qui presenti il mio cordiale ed affettuoso saluto, non posso non riandare col pensiero, almeno per un momento, all’anno trascorso e ricordare con voi gli innumerevoli incontri avvenuti in quest’Aula, nella Basilica Vaticana ed in Piazza san Pietro, oltre alle altre continue udienze nel Palazzo Apostolico. Quanti pellegrini sono venuti a Roma, da ogni parte del mondo, per pregare sulla tomba di Pietro! Ciascuno con il cuore pieno di gioia e di meraviglia, od anche con il peso di pene e di dubbi interiori! Pellegrinaggi diocesani e parrocchiali, associazioni e Scuole, Ordini e Congregazioni religiose. Un fiume impressionante di fedeli, di turisti, di persone sensibili alle realtà spirituali, si sono avvicendate in queste udienze generali, colme di entusiasmo, permeate di fede e di preghiera! Di tutto questo ringraziamo insieme il Signore! Anche le udienze generali sono espressione della misteriosa esigenza di divino radicata nell’uomo, sono strumento e vincolo di grazia, mezzo di comunione e di fraternità.

2. Viviamo tuttora nell’atmosfera natalizia, rievocata dalla commemorazione liturgica della nascita del Verbo Divino nell’umiltà e nel silenzio della grotta di Betlemme. In questi giorni ci siamo inginocchiati davanti al Presepio: la nostra fede, fondata sui documenti storici dei Vangeli, ci dice che nella culla di Betlemme noi adoriamo il Verbo Incarnato, Dio fatto uomo per la nostra salvezza. Il Natale ci fa pensare all’avvenimento centrale e determinante della storia: l’Incarnazione di Dio! Noi adoriamo nel Bambino di Betlemme il Figlio di Dio, il Verbo per cui tutto è stato creato e senza il quale nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste. In Lui è la vita e la vita è la luce degli uomini; e la luce splende nelle tenebre... "Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia... perché la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo" (cfr
Jn 1,1-16). Gesù infatti è "l’irradiazione della grazia di Dio e l’impronta della sua sapienza e sostiene tutto con la potenza della sua parola" (cfr He 1).

Agli uomini di tutti i tempi e di tutte le latitudini, l’angelo dice come ai pastori: "Vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore!". E, come i pastori, bisogna decidere: "Andiamo fino a Betlemme e vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere" (cfr Lc 2,8-15).

Bisogna andare a Betlemme per conoscere la verità! Bisogna ritornare a Betlemme per poter comprendere qualcosa del significato autentico della nostra vita e della nostra storia. Bisogna cioè interpretare la vicenda dell’uomo sulla terra in questo sconfinato ed ignoto universo alla luce dell’Incarnazione del Verbo. Il Natale è messaggio di verità e quindi di gioia.

3. Davanti al Presepio, con animo adorante, in quest’ultima udienza generale dell’anno, riflettiamo prima di tutto sul tempo che passa, che se ne va inesorabile, e porta con sé le nostre brevi esistenze. Gesù, con la sua parola divina, ci toglie l’angoscia del vuoto insensato e ci dice che nella curva gigantesca e misteriosa del tempo tutta la storia umana è unicamente un ritorno alla Casa del Padre, un ritorno in Patria; e perciò anche ogni singola esistenza fa parte di questo immenso ritorno. Nascere significa iniziare il cammino verso il Padre; vivere significa percorrere ogni giorno, ogni ora, un tratto di strada nel ritorno alla propria casa.

Nel pensare in modo particolare a questo travagliato anno trascorso; ricordiamoci che il messaggio del Natale afferma con assoluta certezza che, pur nelle contraddizioni della storia umana, Dio è sempre presente. Egli che, creando l’uomo intelligente e libero, ha voluto questa storia costellata di vertici sublimi e di tragici abissi, non abbandona l’umanità. Il Natale è la garanzia che siamo amati dall’Altissimo e che la sua Onnipotenza si intreccia, in modo per noi quasi sempre oscuro e insondabile, con la sua Provvidenza, per cui dobbiamo ricordare le parole di san Paolo ai Corinzi: "Non vogliate giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio" (1Co 4,5). Un grande pensatore del secolo scorso, il cardinale Newman, così diceva in un suo sermone: "La mano di Dio è sempre su quelli che gli appartengono e li guida per sentieri sconosciuti. Il massimo che essi possono fare è credere ciò che ancora non riescono a vedere e vedranno in seguito e, restando fermi nella fede, collaborare con Dio in quella direzione" (Card. Newman, Parochial and Plain Sermon, 7 maggio 1837).

Infine, spingendo lo sguardo sul prossimo anno, che tra poco inizieremo, è umano sentire un certo qual sgomento per ciò che potrà avvenire, non sapendo nulla del futuro. La luce del Natale tuttavia ci illumina anche a questo riguardo: sappiamo che, se è vero che continuerà la lotta tra il bene e il male, sarà sempre Dio a guidare la storia. E noi ci impegneremo ad offrire la nostra collaborazione al piano divino della salvezza, promessa ad ogni uomo.

4. La lieta ricorrenza di questa udienza, mi permette di porgere a voi tutti gli auguri più cordiali di un felice anno nuovo, nella grazia di Dio, nella pace, nella serenità, nell’amore reciproco; a tutti!

Un particolare saluto e un fervido augurio desidero rivolgere al pellegrinaggio della diocesi di Adria, che accompagna la delegazione ufficiale guidata dal Vescovo Giovanni Sartori, venuta appositamente con la statua della "Madonna del Pilastrello", venerata nel Santuario di Lendinara. Carissimi, accogliendo il vostro desiderio, benedico di cuore la sacra immagine, e amo auspicare che questa antica devozione mariana, risalente al 1500, prosegua e fiorisca sempre più, dando abbondanti frutti di autentica vita cristiana.

Saluto poi con affetto anche la folta rappresentanza della Comunità ecclesiale e civile della Città di Castelfidardo. Di essa fanno parte il Vescovo di Recanati Monsignor Tarcisio Carboni, e il Prelato di Loreto Monsignor Loris Capovilla, i Parroci della Città, il Sindaco con la Giunta e il consiglio comunale.

Tutti ringrazio per questa visita e, mentre mi compiaccio per il tipico apporto della città alla produzione di strumenti musicali, auguro di cuore al gruppo ed a quanti esso rappresenta copiosi favori celesti di letizia e di prosperità cristiana.


Il mio augurio si rivolge a ciascuno di voi qui presenti, e a tutte le persone a voi care, ai parenti, agli amici.

Ai fanciulli ed ai giovani che rallegrano questo incontro desidero dire: portate nel mondo il grande dono della bontà. Ai numerosi membri di "Comunione e Liberazione" delle Marche porgo un augurio speciale, con l’invito della sempre lieta e fiduciosa testimonianza cristiana.

Agli ammalati ed ai sofferenti ricordo che nulla è perso del tempo offerto a Dio, con amore e rassegnazione. Il senso dell’attesa in questo nostro ritorno alla casa del Padre vi dia il coraggio della pazienza e della fiducia.

Il mio augurio va, infine, agli sposi novelli, esortandoli a leggere l’esortazione apostolica Familiaris Consortio, per comprendere come nella società moderna, il primo impegno è quello di formare delle autentiche famiglie cristiane capaci di vivere veramente il matrimonio nel Signore, e cioè nell’amore, nella grazia, nella responsabilità di dare e di santificare la vita, secondo il progetto di Dio creatore e redentore.

Affidiamo questi nostri sentimenti di riconoscenza e questi nostri propositi a Maria santissima: "Lasciamoci condurre sempre più perfettamente dall’Immacolata dove e come Ella vuole metterci – scriveva il Beato Massimiliano Kolbe quarant’anni fa nella prigione di Varsavia, prima di essere condotto ad Oswiecim – affinché adempiendo bene i nostri doveri, contribuiamo a far sì che tutte le anime siano conquistate al suo amore (12 maggio 1941).

Vi accompagni la mia propiziatrice benedizione apostolica che con grande affetto ora vi imparto.

Saluti:

Ai pellegrini di lingua francese


Al pellegrinaggio condotto dal Vescovo di Lisieux, Monsignor Badré



Ai fedeli di lingua inglese


Ai pellegrini provenienti dal Giappone

A voi tutti provenienti dal Giappone indirizzo i miei saluti. Vi ringrazio perché avete pregato molto per la mia salute. Con piacere mi ricordo della mia visita in Giappone lo scorso febbraio. Vi prego di mantenere la grande fede dei martiri di Nagasaki e il cuore che ama la pace.

Ai fedeli tedeschi


Ai pellegrini spagnoli


Ad un gruppo di neo-ordinati sacerdoti Legionari di Cristo


Ai pellegrini di lingua portoghese



Al termine dell’udienza generale il Santo Padre si rivolge in lingua polacca ai connazionali presenti all’udienza.:



Oggi, ultima udienza generale dell’anno 1981. Ci troviamo davanti ad un Anno Nuovo. Ci troviamo pieni di sollecitudine in relazione alla situazione che si è creata in Polonia dopo la proclamazione dello "stato d’assedio".

L’opinione pubblica dell’Europa e del mondo intero partecipa con emozione a questi avvenimenti, dando numerose manifestazioni di solidarietà verso la Nazione polacca. Molte di queste manifestazioni hanno carattere religioso. Ringrazio per tutte, non solo per quelle che vengono indirizzate nelle mie mani.

Sempre ho avanti gli occhi le parole del Primate di Polonia pronunciate il 13 dicembre:

La Chiesa "ha appreso con dolore la rottura del dialogo, che si allacciava con tanta fatica, e l’ingresso sulla strada della violenza, qual è lo stato d’assedio. E ciò non può avvenire senza la violazione dei fondamentali diritti civili. Porta con sé, in molti casi, gli arresti di innocenti, l’avvilimento degli uomini della cultura e della scienza, le incertezze in tante famiglie".

Una particolare inquietudine suscita la sorte degli arrestati e dei condannati al forzato "internamento".

Ovunque nel mondo, in qualsiasi stato e sistema, avesse luogo un simile fatto, dovrebbe suscitare una giusta reazione, dettata dalla sollecitudine per l’uomo e per il rispetto dei suoi fondamentali diritti. E la Chiesa ne darebbe espressione.


È difficile dunque – che io (insieme ai Vescovi polacchi) – non esprima la mia trepidazione, in particolare quando si tratta dei miei connazionali, figli e figlie della stessa Patria.

In generale non conosciamo i nomi di questi uomini. Intanto lo l "stato d’assedio" si prolunga nonostante le richieste per la sua sospensione.

E cresce l’inquietudine del mondo e la sollecitudine della Chiesa per gli uomini privi della libertà. Sollecitudine giusta.

Con tale sollecitudine entriamo nell’Anno Nuovo, che raccomandiamo a Dio per opera di Nostra Signora di Jasna Gora.






Catechesi 79-2005 16121