Catechesi 79-2005 30282

Mercoledì, 3 febbraio 1982

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1. Dalle parole di Cristo sulla futura risurrezione dei morti, riportate da tutti e tre i Vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca), siamo passati all’antropologia paolina della risurrezione. Analizziamo la prima lettera ai Corinzi al capitolo 15 versetti (
1Co 15,42-49).

Nella risurrezione il corpo umano si manifesta - secondo le parole dell’Apostolo - “incorruttibile, glorioso, pieno di forza, spirituale”. La risurrezione non è, dunque, soltanto una manifestazione della vita che vince la morte - quasi un ritorno finale all’albero della Vita, dal quale l’uomo è stato allontanato al momento del peccato originale - ma è anche una rivelazione degli ultimi destini dell’uomo in tutta la pienezza della sua natura psicosomatica e della sua soggettività personale. Paolo di Tarso - il quale, seguendo le orme degli altri Apostoli, ha sperimentato nell’incontro con Cristo risorto lo stato del suo corpo glorificato - basandosi su questa esperienza, annunzia nella lettera ai Romani “la redenzione del corpo” (Rm 8,23) e nella lettera ai Corinzi (1Co 15,42-49) il compimento di questa redenzione nella futura risurrezione.

2. Il metodo letterario, applicato qui da Paolo, corrisponde perfettamente al suo stile. Questo si serve di antitesi, che ad un tempo avvicinano ciò che contrappongono e in tal modo sono utili a farci comprendere il pensiero paolino circa la risurrezione: sia nella sua dimensione “cosmica”, sia per quanto riguarda la caratteristica della stessa struttura interna dell’uomo “terrestre” e “celeste”. L’Apostolo, infatti, nel contrapporre Adamo e Cristo (risorto) - ossia il primo Adamo all’ultimo Adamo - mostra, in certo senso, i due poli, tra i quali, nel mistero della creazione e della redenzione, è stato situato l’uomo nel cosmo; si potrebbe pure dire che l’uomo sia stato “posto in tensione” tra questi due poli nella prospettiva degli eterni destini, riguardanti, dal principio sino alla fine, la stessa sua natura umana. Quando Paolo scrive: “Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo” (1Co 15,47), ha in mente sia Adamo-uomo sia pure Cristo quale uomo. Tra questi due poli - tra il primo e l’ultimo Adamo - si svolge il processo che egli esprime nelle seguenti parole: “Come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste” (1Co 15,49).

3. Quest’“uomo celeste” - l’uomo della risurrezione, il cui prototipo è Cristo risorto - non è tanto antitesi e negazione dell’“uomo di terra” (il cui prototipo è il “primo Adamo”), ma soprattutto è il suo compimento e la sua confermazione. È il compimento e la confermazione di ciò che corrisponde alla costituzione psico-somatica dell’umanità, nell’ambito dei destini eterni, cioè nel pensiero e nel piano di colui che dal principio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza. L’umanità del “primo Adamo”, “uomo di terra”, porta in sé, direi, una particolare potenzialità (che è capacità e prontezza) ad accogliere tutto ciò che divenne il “secondo Adamo”, l’Uomo celeste, ossia Cristo: ciò che egli divenne nella sua risurrezione. Quella umanità di cui sono partecipi tutti gli uomini, figli del primo Adamo, e che, insieme all’eredità del peccato - essendo carnale - al tempo stesso è “corruttibile”, e porta in sé la potenzialità dell’“incorruttibilità”.

Quell’umanità, che in tutta la sua costituzione psicosomatica si manifesta “ignobile”, e tuttavia porta in sé l’interiore desiderio della gloria, cioè la tendenza e la capacità di diventare “gloriosa”, a immagine del Cristo risorto. Infine, la stessa umanità, di cui l’Apostolo - conformemente all’esperienza di tutti gli uomini - dice che è “debole” e ha “corpo animale”, porta in sé l’aspirazione a divenire “piena di forza” e “spirituale”.


4. Noi parliamo qui della natura umana nella sua integrità, cioè della umanità nella sua costituzione psicosomatica. Paolo, invece, parla del “corpo”. Tuttavia possiamo ammettere, in base al contesto immediato e a quello remoto, che non si tratta per lui soltanto del corpo, ma dell’uomo intero nella sua corporeità, dunque anche della sua complessità ontologica. Difatti, non vi è alcun dubbio che, se appunto in tutto il mondo visibile (cosmo), quell’unico corpo che è il corpo umano, porta in sé la “potenzialità della risurrezione”, cioè l’aspirazione e la capacità di diventare definitivamente “incorruttibile, glorioso, pieno di forza, spirituale”, ciò avviene perché, persistendo dal principio nell’unità psicosomatica dell’essere personale, egli può cogliere e riprodurre in questa “terrena” immagine e somiglianza di Dio anche l’immagine “celeste” dell’ultimo Adamo, Cristo. L’antropologia paolina della risurrezione è cosmica ed universale insieme: ogni uomo porta in sé l’immagine di Adamo e ognuno è anche chiamato a portare in sé l’immagine di Cristo, l’immagine del Risorto. Questa immagine è la realtà dell’“altro mondo”, la realtà escatologica (san Paolo scrive: “porteremo”); ma, nel contempo, essa è già in certo modo una realtà di questo mondo, dato che è stata rivelata in esso mediante la risurrezione di Cristo. È una realtà innestata nell’uomo di “questo mondo”, realtà che in lui sta maturando verso il compimento finale.

5. Tutte le antitesi che si susseguono nel testo di Paolo aiutano a costruire un valido abbozzo dell’antropologia della risurrezione. Tale abbozzo è contemporaneamente più dettagliato di quello che emerge dal testo dei Vangeli sinottici (Mt 22,30 Mc 12,25 Lc 20,34-35), ma dall’altra parte è, in certo senso, più unilaterale. Le parole di Cristo riportate dai Sinottici, aprono davanti a noi la prospettiva della perfezione escatologica del corpo, sottomesso pienamente alla profondità divinizzatrice della visione di Dio “a faccia a faccia”, in cui troverà la sua inesauribile fonte sia la perenne “verginità” (unita al significato sponsale del corpo), sia la perenne “intersoggettività” di tutti gli uomini, che diverranno (come maschi e femmine) partecipi della risurrezione. L’abbozzo paolino della perfezione escatologica del corpo glorificato sembra rimanere piuttosto nell’ambito della stessa struttura interiore dell’uomo-persona. La sua interpretazione della futura risurrezione sembrerebbe riallacciarsi al “dualismo” corpo-spirito che costituisce la sorgente dell’interiore “sistema di forze” nell’uomo.

6. Questo “sistema di forze” subirà nella risurrezione un cambiamento radicale. Le parole di Paolo, che lo suggeriscono in modo esplicito, non possono tuttavia essere intese ed interpretate nello spirito dell’antropologia dualistica (“Paul ne tient absolument pas compte de la dichotomie grecque “me et corps” . . . L’apôtre recourt à une sorte de trichotomie où la totalité de l’homme est corps, me et esprit . . . Tous ces termes sont mouvants et la division elle-même n’a pas de frontière fixe. Il y a insistance sur le fait que le corps et l’âme sont capables d’être “pneumatiques”, spirituels” [B. Rigaux, Dieu l’a ressuscité. Exégèse et théologie biblique, Gembloux 1973, Duculot, pp. 406-408]) come cercheremo di mostrare nel seguito della nostra analisi. Infatti, ci converrà dedicare ancora una riflessione all’antropologia della risurrezione nella luce della prima lettera ai Corinzi.

Ai pellegrini di lingua francese

Ai fedeli di lingua inglese



Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di espressione spagnola


Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai gruppi italiani

Desidero porgere un cordiale saluto al pellegrinaggio, organizzato dal Centro Studi “Il Subbio” di Bari, che ha fatto convergere a Roma numerosi fedeli della regione Puglia e della regione Basilicata, i Sindaci di dodici Centri, Delegazioni delle due regioni e delle Amministrazioni provinciali di Bari e di Matera.

A voi, carissimi fratelli e sorelle, il mio sincero compiacimento per questo incontro, nel quale volete manifestare la vostra adesione a Cristo ed alla Chiesa. Sia sempre la fede ad animare e ad orientare tutta la vostra vita.

La mia benedizione accompagni voi ed i vostri cari.
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Un cordiale saluto anche al Consiglio nazionale ed a tutti i membri della “Associazione Nazionale dei Lavoratori Anziani di Azienda”, ai quali voglio esprimere la mia gratitudine e quella di tutta la comunità ecclesiale per l’esempio di concreta ed effettiva laboriosità, che hanno dato nei lunghi anni della loro attività professionale.
* * *



A voi giovani - tra i quali molti alunni di diverse Scuole ed un nutrito gruppo del “Movimento Gen 2” dei Focolarini - esprimo il mio costante affetto, unito alla ferma fiducia che sappiate dare un generoso contributo per la edificazione di un mondo più giusto e più pacifico.
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Un affettuoso saluto rivolgo a voi, fratelli e sorelle ammalati, presenti a questa udienza. Voglio assicurarvi la preghiera solidale di tutta la Chiesa per le vostre sofferenze, che il Cristo associa alle sue, rendendole feconde di bene per tutti gli uomini.
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Un saluto sincero ed un fervido augurio a voi, novelli Sposi, che in questi giorni dinanzi a Dio avete consacrato il vostro amore nel sacramento del Matrimonio. Sia la vostra vita coniugale sempre serena e felice, animata dalla grazia del Signore e corroborata dalla vicendevole fedeltà e dedizione.

A tutti il mio saluto e la mia benedizione.

La preghiera del Papa alla Vergine di Jasna Góra


Anche questa mattina il Santo Padre, nonostante l’assenza di pellegrini polacchi nell’Aula Paolo VI, recita nella sua lingua madre una preghiera alla Madonna di Jasna Góra. Questo il testo dell’invocazione:



Ed ecco la preghiera del Papa in una nostra traduzione italiana.

O Maria, Regina della Polonia,

son con te, ricordo, vigilo.

Rammento ancora una volta il tempo, quando tu sei stata “imprigionata”, mentre facevi la tua visita pellegrinante . . . eppure la visita proseguì.

Non giunse alla parrocchia la tua immagine, ma tu sei venuta - senza immagine, nella cornice vuota - e grazie a questa cornice vuota, tutti hanno vissuto ugualmente la tua presenza: più dolorosamente, forse più profondamente.

Credevano che non potevi essere assente, nel giorno in cui dovevi arrivare.

Credevano che non si può chiuderti la strada!

A questa fede mi richiamo ora, o signora di Jasna Góra, quando tanta gente nella mia patria sente di nuovo dolorosamente che si è chiusa davanti ad essa la via della libertà nella verità, la via dei comuni diritti dell’uomo, la via del rispetto delle coscienze, la via della vita e del lavoro a misura della dignità umana e del nobile patrimonio della nazione.

Madre! Tu giungi a tutti! e aiuti, insegni e convinci che non si può chiudere questa via!

Tu mostri che essa esiste! Insegni come camminare su di essa! . . . son con te, ricordo, vigilo.

Voi polacchi, che siete presenti a questa udienza, portate con voi, ovunque vi conduce la vita, questa invocazione alla Madonna di Jasna Góra:

Regina della Polonia son con te, ricordo, vigilo”.


Mercoledì, 10 febbraio 1982

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1. Dalle parole di Cristo sulla futura risurrezione dei corpi, riportate da tutti e tre i Vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca), siamo passati nelle nostre riflessioni a ciò che su quel tema scrive Paolo nella prima lettera ai Corinzi (
1Co 15). La nostra analisi s’incentra soprattutto su ciò che si potrebbe denominare “antropologia della risurrezione” secondo san Paolo. L’Autore della lettera contrappone lo stato dell’uomo “di terra” (cioè storico) allo stato dell’uomo risorto, caratterizzando, in modo lapidario e penetrante insieme, l’interiore “sistema di forze” specifico di ciascuno di questi stati.

2. Che questo sistema interiore di forze debba subire nella risurrezione una radicale trasformazione, sembra indicato, prima di tutto, dalla contrapposizione tra corpo “debole” e corpo “pieno di forza”. Paolo scrive: “Si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza” (1Co 15,42-43). “Debole” è quindi il corpo che - usando il linguaggio metafisico - sorge dal suolo temporale dell’umanità. La metafora paolina corrisponde parimenti alla terminologia scientifica, che definisce l’inizio dell’uomo in quanto corpo con lo stesso termine (“semen”). Se, agli occhi dell’Apostolo, il corpo umano che sorge dal seme terrestre risulta “debole”, ciò significa non soltanto che esso è “corruttibile”, sottoposto alla morte ed a tutto ciò che vi conduce, ma pure che è “corpo animale”.(L’originale greco usa il termine psychikón. In san Paolo esso appare solo nella prima lettera ai Corinzi (1Co 2,14 1Co 15,44 1Co 15,46) e non altrove, probabilmente a causa delle tendenze pregnostiche dei Corinzi, ed ha un significato peggiorativo; riguardo al contenuto, corrisponde al termine “carnale” (cfr 2Co 1,12 2Co 10,4).
Tuttavia nelle altre lettere paoline la “psyche” e i suoi derivati significano l’esistenza terrena dell’uomo nelle sue manifestazioni, il modo di vivere dell’individuo e perfino la stessa persona in senso positivo [ad es., per indicare l’ideale di vita della comunità ecclesiale: miâ psychê-i “in un solo spirito”:(Ph 1,27) sýmpsychoi = “con l’unione dei vostri spiriti”: (Ph 2,2) isópsychon = “d’animo uguale”: (Ph 2,20) cfr R Jewett, Paul’s Anthropological Terms. A. Study of Their Use in Conflict Settings, Leiden 1971, Brill, pp. 2, 448-449]) Il corpo “pieno di forza”, invece, che l’uomo erediterà dall’ultimo Adamo, Cristo, in quanto partecipe della futura risurrezione sarà un corpo “spirituale”. Esso sarà incorruttibile, non più minacciato dalla morte. Così, dunque, l’antinomia “debole-pieno di forza” si riferisce esplicitamente non tanto al corpo considerato a parte, quanto a tutta la costituzione dell’uomo considerato nella sua corporeità. Solo nel quadro di una tale costituzione il corpo può diventare “spirituale”; e tale spiritualizzazione del corpo sarà la fonte della sua forza ed incorruttibilità (o immortalità).

3. Questo tema ha le sue origini già nei primi capitoli del libro della Genesi. Si può dire che san Paolo vede la realtà della futura risurrezione come una certa “restitutio in integrum”, cioè come la reintegrazione ed insieme il raggiungimento della pienezza dell’umanità. Non è soltanto una restituzione, perché in tal caso la risurrezione sarebbe, in certo senso, ritorno a quello stato, cui partecipava l’anima prima del peccato, fuori della conoscenza del bene e del male (cfr Gn 1-2). Ma un tale ritorno non corrisponde alla logica interna di tutta l’economia salvifica, al più profondo significato del mistero della redenzione. “Restitutio in integrum”, collegata con la risurrezione e la realtà dell’“altro mondo”, può essere solo introduzione ad una nuova pienezza. Questa sarà una pienezza che presuppone tutta la storia dell’uomo, formata dal dramma dell’albero della conoscenza del bene e del male (cfr Gn 3) e nello stesso tempo permeata dal mistero della redenzione.

4. Secondo le parole della prima lettera ai Corinzi, l’uomo in cui la concupiscenza prevale sulla spiritualità, cioè, il “corpo animale” (1Co 15,44), è condannato alla morte; deve invece risorgere un “corpo spirituale”, l’uomo in cui lo spirito otterrà una giusta supremazia sul corpo, la spiritualità sulla sensualità. È facile da intendere che Paolo ha qui in mente la sensualità quale somma dei fattori che costituiscono la limitazione della spiritualità umana, cioè quale forza che “lega” lo spirito (non necessariamente nel senso platonico) mediante la restrizione della sua propria facoltà di conoscere (vedere) la verità ed anche della facoltà di volere liberamente e di amare nella verità. Non può invece trattarsi qui di quella funzione fondamentale dei sensi, che serve a liberare la spiritualità, cioè della semplice facoltà di conoscere e di volere, propria del “compositum” psicosomatico del soggetto umano. Siccome si parla della risurrezione del corpo, cioè dell’uomo nella sua autentica corporeità, di conseguenza il “corpo spirituale” dovrebbe significare appunto la perfetta sensibilità dei sensi, la loro perfetta armonizzazione con l’attività dello spirito umano nella verità e nella libertà. Il “corpo animale”, che è l’antitesi terrena del “corpo spirituale”, indica invece la sensualità come forza che spesso pregiudica l’uomo, in quanto egli, vivendo “nella conoscenza del bene e del male”, viene sollecitato e quasi spinto verso il male.

5. Non si può dimenticare che qui è in questione non tanto il dualismo antropologico, quanto una antinomia di fondo. Di essa fa parte non solo il corpo (come “hyle” aristotelica), ma anche l’anima: ossia, l’uomo come “anima vivente” (cfr Gn 2,7). I suoi costitutivi, invece, sono: da un lato tutto l’uomo, l’insieme della sua soggettività psicosomatica, in quanto rimane sotto l’influsso dello Spirito vivificante di Cristo; dall’altro lato lo stesso uomo, in quanto resiste e si contrappone a questo Spirito. Nel secondo caso, l’uomo è “corpo animale” (e le sue opere sono “opere della carne”). Se, invece, rimane sotto l’influsso dello Spirito Santo, l’uomo è “spirituale” (e produce il “frutto dello Spirito”) (Ga 5,22).

6. Di conseguenza, si può dire che non solo in 1 Cor 15 abbiamo a che fare con l’antropologia della risurrezione, ma che tutta l’antropologia (e l’etica) di san Paolo sono permeate dal mistero della risurrezione, mediante cui abbiamo definitivamente ricevuto lo Spirito Santo. Il capitolo 15 della prima lettera ai Corinzi costituisce l’interpretazione paolina dell’“altro mondo” e dello stato dell’uomo in quel mondo, nel quale ciascuno, insieme con la risurrezione del corpo, parteciperà pienamente al dono dello Spirito vivificante, cioè al frutto della risurrezione di Cristo.

7. Concludendo l’analisi della “antropologia della risurrezione” secondo la prima lettera di Paolo ai Corinzi, ci conviene ancora una volta volgere la mente verso quelle parole di Cristo sulla risurrezione e sull’“altro mondo”, che sono riportate dagli evangelisti Matteo, Marco e Luca. Ricordiamo che, rispondendo ai Sadducei, Cristo collegò la fede nella risurrezione con tutta la rivelazione del Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di Mosè, il quale “non è Dio dei morti, ma dei vivi” (Mt 22,32). E contemporaneamente, respingendo la difficoltà avanzata dagli interlocutori, pronunziò queste significative parole: “Quando risusciteranno dai morti . . . non prenderanno moglie né marito” (Mc 12,25). Appunto a quelle parole - nel loro immediato contesto - abbiamo dedicato le nostre precedenti considerazioni, passando poi all’analisi della prima lettera di san Paolo ai Corinzi (1Co 15).


Queste riflessioni hanno un significato fondamentale per tutta la teologia del corpo: per comprendere sia il matrimonio sia il celibato “per il regno dei cieli”. A quest’ultimo argomento saranno dedicate le nostre ulteriori analisi.

Ai pellegrini di espressione francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli di espressione portoghese


Ai superiori, professori e alunni del seminario di Rijeka (Fiume).

Cordialmente saluto i superiori, professori ed alunni del seminario di Rijeka. Carissimi, il futuro della fede nelle vostre Chiese locali dipende dall’attuale vostra preparazione spirituale e teologico-pastorale. Perciò pregate, studiate e maturate nelle virtù sacerdotali. In tale cammino vi accompagna la mia preghiera e la benedizione apostolica!

Ai gruppi italiani.

Desidero ora estendere il mio saluto ai gruppi provenienti da varie parti d’Italia. Tra questi desidero in particolare menzionare le religiose Passioniste di san Paolo della Croce, riunite a Roma per il loro Capitolo Generale e chiamate ad eleggere il nuovo Consiglio ed a rivedere le Costituzioni. Incoraggio, carissime sorelle, l’attuazione generosa del vostro programma: “Vivere la passione di Cristo nella passione dell’uomo”. In esso, infatti, è sintetizzato e definito il carisma della vostra vita consacrata. Vi benedico di cuore ed estendo la benedizione alle vostre consorelle ed alle persone care.
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Saluto poi i dipendenti della Fabbrica di tessuti Intesa di Maratea, in diocesi di Tursi-Lagonegro, e gli espositori della Fiera di Roma di “Articoli brevettati, Modelli esclusivi e Invenzioni”; agli uni e agli altri dico: vi esprimo il mio apprezzamento per il talento che impiegate nelle vostre attività ed invenzioni, e vi esorto a mettere anche un’intenzione spirituale nel vostro lavoro che vi fa pensare a Dio, che è il Creatore primo ed assoluto, e agli uomini, come a vostri fratelli da aiutare.
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Un affettuoso saluto rivolgo anche al numeroso gruppo degli Associati al Sindacato Nazionale Pensionati “Coltivatori Diretti”, convenuti da varie parti d’Italia per l’annuale incontro, che quest’anno riveste speciale significato. Proteggere ed assistere le persone della terza età, carissimi fratelli, costituisce un titolo di cristiana benemerenza per la gloria che ne riceve Dio, autore della vita, e per il dovere morale verso quanti, col loro onesto lavoro, hanno concorso al progresso della società. Vi sia di conforto la mia benedizione.
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Un saluto speciale va anche oggi, come di consueto, a voi giovani: vi sono grato per la vostra visita così festosa ed esuberante. In questi anni tanto preziosi per il vostro futuro sappiate prepararvi ai compiti che vi attendono nella Chiesa e nella società, formandovi una personalità forte e coerente, libera e responsabile.
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A voi, ammalati, che siete i più vicini al mio cuore, dico di essere coraggiosi nelle prove, a cui la malattia vi espone. Confidate nel Signore che ha riportato la vittoria sulla sofferenza, e sulla morte: la sua vittoria sarà anche la vostra vittoria. Vi assicuro la mia preghiera e vi accompagno con la mia benedizione.
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Un pensiero affettuoso e beneaugurante rivolgo, infine, agli sposi novelli, che hanno da poco iniziato una nuova vita sotto il segno della grazia del sacramento del Matrimonio. Auspico loro una vita coniugale felice ed armoniosa e avvaloro questi miei voti con una speciale benedizione.
La preghiera alla Madonna di Jasna Góra


Anche questa mattina, il Santo Padre recita nella sua lingua madre, nel corso dell’Udienza generale nell’Aula Paolo VI, una preghiera alla Madonna di Jasna Góra. Questo il testo dell’invocazione:


Ed ecco la preghiera del Papa in una traduzione italiana.

Nel corso dei secoli sei presente a Jasna Góra, Madre di Cristo, data a noi come nostra madre.

Quante generazioni sono passate là guardando il tuo volto materno, volto pieno di trepidazione e di amore.

Mediante l’espressione di questo volto materno abbiamo imparato il Vangelo.

Abbiamo imparato il significato delle parole di Paolo nella lettera ai Galati:

“Dio mandò il suo Figlio, nato da donna . . . perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio” (Ga 4,4-7).

Tante generazioni hanno imparato questa verità guardando il tuo materno volto: non sei più schiavo! non ti è permesso di essere schiavo, dato che sei Figlio!

Ti ringrazio, Signora di Jasna Góra, per tutti coloro che dalla tua immagine hanno imparato - e sempre imparano - il grande mistero della figliolanza divina;

per tutti coloro che hanno imparato - e sempre imparano - tale dignità dell’uomo, la quale non può mai e in nessun luogo essergli tolta. Che rimaniamo fedeli al volto materno!


Mercoledì, 24 febbraio 1982 - 1. “Memento homo quia pulvis es, et in pulverem reverteris”.

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“Paenitemini, et credite Evangelio”.

Con questi inviti oggi la Chiesa si rivolge personalmente a ciascun uomo, e prima di tutto a ciascuno dei suoi figli e delle sue figlie per annunziare loro la Quaresima.

Come il digiuno di quaranta giorni di Gesù di Nazaret nel deserto ha preceduto l’annuncio del Vangelo del Regno di Dio, così ogni anno la Quaresima prepara la Chiesa al rinnovamento di questo Vangelo nelle solennità pasquali.

Oggi ci incontriamo alla liturgia delle Ceneri, che celebrerò nella Chiesa della Stazione quaresimale di santa Sabina all’Aventino, partendo con la processione penitenziale dalla Basilica di sant’Anselmo.

A tutti coloro che sono venuti per partecipare alla solita Udienza generale del mercoledì, desidero ricordare, fin dall’inizio, l’invito della liturgia delle Ceneri, augurando che il periodo della Quaresima diventi per ciascuno tempo di conversione e di grazia, tempo di profondo rinnovamento nello Spirito.

2. Desidero poi dedicare la mia meditazione odierna a quel servizio pastorale che, grazie alla Provvidenza Divina, mi è stato dato di riprendere nuovamente in mezzo alle Chiese nei Paesi Africani, e cioè in Nigeria, Benin, Gabon e in Guinea Equatoriale, nei giorni dal 12 al 19 febbraio scorso.


Le esperienze acquistate durante la precedente visita nel continente africano, nel maggio 1980, costituivano una preparazione ai doveri pastorali legati alla presente visita, doveri che corrispondono allo sviluppo della vita e della missione della Chiesa nei singoli Paesi dell’Africa.

Ogni volta conviene che risaliamo all’origine di questa missione. Pensiamo con particolare commozione a coloro che nel corso del XVII secolo, giunsero per primi con la parola del Vangelo nei Paesi del Golfo di Guinea. Forse la loro missione ha messo le radici più profonde nel più piccolo tra i paesi visitati: in Guinea Equatoriale, dove sui trecentomila abitanti circa l’85 per cento è costituito dai cattolici.

Tuttavia, un risultato durevole è stato lasciato dappertutto dal secondo arrivo dei missionari, che risale a diversi periodi del XIX secolo. Il luogo più antico, che dà testimonianza a questa seconda ondata di evangelizzazione, è il tempio dedicato alla Madre di Dio a Libreville, del 1844.

Il molteplice sforzo dei missionari, intrapreso nel secolo scorso e continuato conseguentemente nel XX secolo, ha plasmato la Chiesa nella sua forma attuale in tutti i Paesi nominati dell’Africa.

Di questa forma odierna bisogna tuttavia pensare e parlare come di un nuovo periodo di evangelizzazione, che va di pari passo con il processo di decolonizzazione e di formazione degli Stati africani indipendenti. Così dunque la Chiesa in Africa, non cessando di essere “missionaria”, attualmente è già diventata Chiesa “africana”, guidata in stragrande maggioranza da Vescovi che sono figli delle loro società, con una partecipazione chiaramente crescente del Clero indigeno nella pastorale e delle Congregazioni religiose locali, particolarmente quelle femminili - ed anche del Laicato africano (il che diventa particolarmente evidente dopo il Vaticano II). Questo Laicato, del resto, ha compiuto sin dall’inizio i fondamentali doveri della Chiesa “missionaria”, principalmente mediante il lavoro dei Catechisti laici.

3. Proprio in tale periodo mi è stato dato di visitare, per la seconda volta, la Chiesa in Africa, e perciò, dopo aver terminato questa visita, ringrazio prima di tutto Dio e poi gli uomini che sono stati coartefici e cooperatori del servizio missionario del Vescovo di Roma.

Pensando e parlando della Chiesa africana in ognuno dei Paesi recentemente visitati, bisogna anzitutto tenere davanti agli occhi questi stessi Paesi nella loro molteplice caratteristica: etnica, socio-economica, politica, ecc. Basta ricordare che sulla via della visita papale si è trovata la Nigeria, che conta circa 80 milioni di abitanti ed è nell’attuale momento il più grande Paese africano che si trova sulla strada di un forte sviluppo economico. E poi la Repubblica popolare del Benin, con una popolazione di circa tre milioni e mezzo; il Gabon, la cui capitale Libreville fa ricordare le capitali dei Paesi più moderni dell’Occidente, mentre la Repubblica nel suo insieme conta appena un milione e 200 mila cittadini; infine la già menzionata Guinea Equatoriale, che è appena uscita da un’enorme crisi, di cui si vedono ancora le tracce nelle distruzioni prodotte nel periodo precedente.

Dal punto di vista della lingua, la Nigeria usa la lingua inglese accanto a tante lingue locali, di cui tre sembrano dominare (“jomba”, “ibo”, “hausa”); il Benin e il Gabon la lingua francese a livello ufficiale oltre a molte lingue locali; in Guinea si parla la lingua spagnola, oltre a quelle locali.

4. Per quanto riguarda la situazione religiosa, dappertutto coesistono con la Chiesa cattolica diverse altre Chiese e confessioni cristiane e si sviluppa la cooperazione ecumenica. In Nigeria circa il 40 per cento della popolazione è costituito da musulmani, particolarmente nella parte settentrionale del Paese. Similmente nella Repubblica del Benin, dove il 15 per cento della popolazione è di musulmani, presenti soprattutto nella parte settentrionale.

L’attività missionaria della Chiesa si lascia guidare in questo campo dai principi dell’insegnamento sul Popolo di Dio contenuti nella costituzione Lumen Gentium e dalle indicazioni degli altri documenti del Concilio Vaticano II, cercando nei riguardi dell’Islam le vie dell’avvicinamento e del dialogo.

Infine, una parte notevole della popolazione è costituita dappertutto dai seguaci delle religioni tradizionali “africane” (animisti), che continuamente sembrano dimostrare una grande prontezza ad accettare il cristianesimo. Già soltanto da questi dati si vede che la Chiesa in Africa, pur avendo ormai le sue proprie normali strutture, non cessa di essere “missionaria” e non può cessare di esserlo.


In questo campo si delinea una novità, che cioè questa Chiesa diventa “missionaria” anche come Chiesa “africana” e ciò non soltanto mediante l’attività dei missionari bianchi, la cui presenza ed il cui lavoro sono, nonostante tutto, costantemente necessari e desiderabili.

Guardando l’insieme della vita e della missione della Chiesa in Africa, vediamo quanto apparve opportuna tutta l’opera del Concilio Vaticano II, le sue fondamentali formulazioni di natura ecclesiologica e i suoi orientamenti pastorali. La visita alla Chiesa in Africa predispone ad una particolare gratitudine nei confronti dello Spirito Santo che in tempo opportuno ed in modo appropriato permette di estrarre dall’eterno tesoro della Sapienza e dell’Amore divino “cose nuove e cose antiche” (
Mt 13,52).

5. È difficile, in questa meditazione, “raccontare” tutto il pellegrinaggio del Papa in Africa, durato otto giorni. È difficile anche intraprendere analisi separate delle singole tappe. Queste, d’altronde, sotto l’aspetto della durata sono state diverse: in Nigeria, oltre quattro giorni; negli altri Paesi il resto del tempo. Sembra tuttavia che - prendendo in considerazione anche le proporzioni quantitative - sia stata osservata una “parità” fondamentale, cioè di sostanza, delle varie tappe. Perciò il fondamento per le analisi particolareggiate si può trovare nella cronaca di ogni tappa, nelle omelie e nei discorsi pronunciati.

Cerchiamo tuttavia di formulare alcune osservazioni conclusive di natura più sintetica.

a) In ogni Paese visitato abbiamo a che fare con una Chiesa già costituita come “africana”, tuttavia, l’impresa della missione e quindi dell’opera di evangelizzazione di questa Chiesa “africana” non si attua nello stesso grado. Forse ciò è più pienamente evidente in Nigeria, specie in alcune diocesi, le quali hanno grande quantità di vocazioni e già cominciano a mandare i propri missionari. Nella stessa Nigeria vi sono tuttavia diocesi, che soffrono per il momento la mancanza di Clero.

Un significato fondamentale per la missione della Chiesa continuano ad avere le Scuole e gli Ospedali e gli altri Istituti di assistenza, dato il duplice carattere dell’evangelizzazione: mediante la parola (insegnamento) e mediante l’opera (amore e misericordia).

Vi è una cosa interessante da esaminare: in che modo questa nuova tappa dell’evangelizzazione, in cui la Chiesa opera già come “africana” rispecchi la tappa precedente, quella “missionaria”; e quanto fruttifichi, in questa nuova tappa, il lavoro dei missionari della tappa precedente, anche riguardo a ciò a cui in questo lavoro essi davano la precedenza (così, per esempio, in Nigeria si vede un tipo di lavoro proprio dei missionari specialmente irlandesi, mentre in Gabon si tratta di missionari in gran parte francesi).

b) La Chiesa africana, in ognuno di questi Paesi che ho visitato, si trova di fronte a diverse forme di materialismo, che vengono dall’Occidente e dall’Oriente. Il materialismo teorico come programma politico da una parte, e il materialismo pratico come coefficiente dello sviluppo economico, legato al liberalismo dall’altra. Se è difficile valutare questo incontro secondo le esperienze europee, non si può tuttavia allo stesso tempo prescindere da esse.

Sembra che la Chiesa africana possa contare su una più forte resistenza della religiosità spontanea anche nella sua tradizionale forma “africana” per quanto riguarda l’incontro con l’ateizzazione programmata. Qui un esempio “estremo”, in un certo senso è dato dalla Guinea Equatoriale (dove la maggioranza è costituita da cattolici) ed anche, in un certo senso, dal Benin proprio per quanto riguarda tra l’altro la resistenza da parte dei seguaci della locale “religione degli avi”.

c) Il passaggio alla tappa della Chiesa africana richiede, come uno dei compiti fondamentali, l’evangelizzazione della cultura. La cultura africana è uno splendido “substrato”, che aspetta l’incarnazione del cristianesimo. Qui bisogna rileggere a fondo i brani della Lumen Gentium e della Gaudium et Spes, ma bisogna anche guardarsi dalle diverse concezioni e suggestioni “aprioristiche” riguardanti questo tema: “Fra il messaggio della salvezza e della cultura esistono molteplici rapporti. Dio infatti, rivelandosi al suo popolo fino alla piena manifestazione di sé nel Figlio incarnato, ha parlato secondo il tipo di cultura proprio delle diverse epoche storiche . . .”.

“Il Vangelo di Cristo . . . continuamente purifica ed eleva la moralità dei popoli. Con la ricchezza soprannaturale feconda dall’interno, fortifica, completa e restaura in Cristo le qualità spirituali e le doti di ciascun popolo. In tal modo la Chiesa, compiendo la sua missione, già con questo stesso fatto stimola e dà il suo contributo alla cultura umana e civile . . .” (Gaudium et Spes GS 58).


6. All’inizio della Quaresima, che ci prepara alle feste pasquali, inviamo ai nostri fratelli in Nigeria, Benin, Guinea Equatoriale e Gabon particolari espressioni fraterne di unità cristiana su queste vie della fede, della speranza e della carità, per le quali tutta la Chiesa, specialmente in questi giorni, desidera camminare.

Ai fedeli di lingua francese

Agli alunni del seminario di Poitiers


Ai rappresentanti della Federazione internazionale cattolica dell’educazione fisica e sportiva

A tutti i pellegrini

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai pellegrini di lingua tedesca


Ai fedeli di lingua spagnola

Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai gruppi italiani

Desidero ora ritornare alla lingua italiana per porgere il mio cordiale saluto ai gruppi, sempre così numerosi, provenienti da varie regioni d’Italia.

Mi rivolgo innanzitutto ai fedeli della parrocchia romana di san Pio V a Villa Carpegna, che celebra, contemporaneamente, il trentesimo anniversario della erezione canonica e il ventesimo della consacrazione della Chiesa. Questa doppia celebrazione sia per tutti i fedeli l’occasione di vivere più intensamente e consapevolmente il mistero della Chiesa come realtà di amore in rapporto personale a Cristo e come comunità efficacemente operante per il mutuo bene dei fratelli e delle sorelle, vicini e lontani.
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Il mio saluto va anche agli alunni dell’Istituto Statale dei Sordomuti di Roma, in Via Nomentana, ai loro insegnanti e accompagnatori, i quali tanto si prodigano perché i giovani affidati alle loro cure siano armoniosamente inseriti nella vita sociale. A tutti la mia speciale benedizione.
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Desidero inoltre rivolgere, come di consueto, un particolare saluto ai giovani, sempre vicini a me con la loro fede e il loro entusiasmo, e che io considero la speranza del domani, per la Chiesa e per la società civile. Questa mattina è presente un gruppo di studenti giunti dall’Australia, figli di italiani provenienti dalla Venezia Giulia. Il mio augurio è che possiate vivere coerentemente e intensamente la fede ereditata dai vostri padri ed estenderla, per l’influsso della vostra personale e accresciuta convinzione, nel nuovo continente.
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Un affettuoso saluto agli ammalati, presenti a questa Udienza, a tutti i componenti dell’Associazione Nazionale Famiglie Fanciulli Subnormali della sezione di Monopoli, agli handicappati, ai loro genitori e ai rispettivi educatori. Gli ammalati sono sempre vicini al mio cuore perché la sofferenza è preziosa agli occhi e al cuore di Cristo. La sofferenza cristianamente accolta e sopportata è una sorgente inesauribile di bene e di grazia per lo stesso ammalato, per la Chiesa e per l’umanità. Mentre vi auguro la forza dell’accettazione evangelica, vi accompagno con la mia speciale benedizione.
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Un saluto ed un augurio infine alle coppie di novelli sposi, che, dopo aver giurato fedeltà e amore reciproco davanti all’altare del Signore, hanno voluto oggi riconfermare la loro volontà di unione cristiana alla presenza del Papa. Vi benedico di cuore e vi auguro ogni felicità.

La preghiera alla Madonna di Jasna Góra

La preghiera del Papa in una nostra traduzione italiana.


1. Signora di Jasna Góra! Madre della mia Nazione!

Desidero oggi, sulla soglia della Quaresima, dire ai miei connazionali che nelle Grotte della Basilica di san Pietro in Vaticano - dove da tempo vi è la Cappella Polacca - ho benedetto ieri la tua nuova Immagine e, nello stesso tempo, la nuova ristrutturazione interna di questa Cappella per onorare il 600° anniversario della tua presenza a Jasna Góra.

2. Desidero anche oggi - parlando per la prima volta dopo il ritorno dall’Africa e rinnovando il saluto ai polacchi che ho incontrato nei vari Paesi africani visitati: Nigeria, Benin, Gabon, Guinea Equatoriale -

dire a te, o Madre,

e nello stesso tempo dire a tutti i miei connazionali, che si trovano in patria, di questa grande solidarietà che unisce ad essi i polacchi in tutto il mondo, e di questa grande sollecitudine.

“Solidarnosc” tuttavia è non soltanto il nome della sollecitudine - prima di tutto della sollecitudine per la sorte degli uomini internati ed arrestati, per quanto caratterizza ogni giorno nella patria, per il rispetto dei diritti dell’uomo e la sovranità della Nazione - questo è non soltanto il nome della sollecitudine; è il nome dell’unità e della comunione nelle quali ci ritroviamo reciprocamente gli uni per gli altri, nella quale desideriamo esprimere la qualità del nostro essere nella comunità della Nazione.

Signora di Jasna Góra! Prendi sotto la tua materna protezione questo nome “Solidarnosc” e questo profondo, difficile contenuto che in esso si sono dati come compito i polacchi degli anni ottanta.

Questo profondo, difficile contenuto attraversa una dolorosa purificazione.

La offriamo a te oggi, mercoledì delle Ceneri, all’inizio della Quaresima.

3. Non scorderò quanto ho visto nella città di Kaduna in Nigeria, nella grande piazza nella quale ho conferito le ordinazioni sacerdotali ai diaconi neri: in mezzo a centinaia di migliaia di uomini si trovava un gruppo di polacchi sopra il quale sventolava la bandiera bianco-rossa e l’iscrizione “Solidarnosc”.






Catechesi 79-2005 30282