Catechesi 79-2005 10382

Mercoledì, 10 marzo 1982: La verginità o celibato "per il regno dei cieli"

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Prima della catechesi il Santo Padre rivolge un saluto ai ragazzi presenti nella Basilica Vaticana.



1. Cominciamo oggi a riflettere sulla verginità o celibato “per il regno dei cieli”.

La questione della chiamata ad una esclusiva donazione di sé a Dio nella verginità e nel celibato affonda profondamente le sue radici nel suolo evangelico della teologia del corpo. Per rilevare le dimensioni che le sono proprie, occorre tener presenti le parole, con cui Cristo fece riferimento al “principio”, e anche quelle, con cui egli si richiamò alla risurrezione dei corpi. La constatazione: “Quando risusciteranno dai morti . . ., non prenderanno moglie né marito” (
Mc 12,25), indica che c’è una condizione di vita priva di matrimonio, in cui l’uomo, maschio e femmina, trova ad un tempo la pienezza della donazione personale e dell’intersoggettiva comunione delle persone, grazie alla glorificazione di tutto il suo essere psicosomatico nell’unione perenne con Dio. Quando la chiamata alla continenza “per il regno dei cieli” trova eco nell’anima umana, nelle condizioni della temporalità e cioè nelle condizioni in cui le persone di solito “prendono moglie e prendono marito” (Lc 20,34), non è difficile percepirvi una particolare sensibilità dello spirito umano, che già nelle condizioni della temporalità sembra anticipare ciò di cui l’uomo diverrà partecipe nella futura risurrezione.

2. Tuttavia di questo problema, di questa particolare vocazione, Cristo non ha parlato nel contesto immediato del suo colloquio con i Sadducei (cfr Mt 22,23-30 Mc 12,18-25 Lc 20,27-36), quando si era riferito alla risurrezione dei corpi. Invece ne aveva parlato (già prima) nel contesto del colloquio con i Farisei sul matrimonio e sulle basi della sua indissolubilità, quasi come prolungamento di quel colloquio (cfr Mt 19,3-9). Le sue parole conclusive riguardano la cosiddetta lettera di ripudio, consentita da Mosè in alcuni casi. Cristo dice: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra, commette adulterio” (Mt 19,8-9). Allora i discepoli che - come si può dedurre dal contesto - erano attenti ad ascoltare quel colloquio e in particolare le ultime parole pronunziate da Gesù, gli dicono così: “Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi” (Mt 19,10). Cristo dà loro la seguente risposta: “Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca” (Mt 19,11-12).

3. In relazione a questo colloquio, riportato da Matteo, ci si può porre la domanda: che cosa pensavano i discepoli, quando, dopo aver udito la risposta che Gesù aveva dato ai Farisei sul matrimonio e la sua indissolubilità, espressero la loro osservazione: “Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi”? In ogni caso, Cristo ritenne quella circostanza opportuna per parlare loro della continenza volontaria per il Regno dei cieli. Dicendo questo, egli non prende direttamente posizione riguardo all’enunciato dei discepoli, nè rimane nella linea del loro ragionamento. (Sui problemi più dettagliati dell’esegesi di questo brano, vedi per esempio L. Sabourin, Il Vangelo di Matteo. Teologia e Esegesi, vol. II, (PP 834-836) The Positive Values of Consecrated Celibacy, in “The Way”, Supplement 10, summer 1970, p. 51; J. Blinzler, Eisin eunuchoi. Zur Auslegung von (Mt 19,12) “Zeitschrift für die Neutestamentliche Wissenschaft” 48 [1957] 268 ss.) Quindi non risponde: “Conviene sposarsi” o “Non conviene sposarsi”. La questione della continenza per il Regno dei cieli non è contrapposta al matrimonio, né si basa su di un giudizio negativo riguardo alla sua importanza. Del resto, Cristo, parlando precedentemente della indissolubilità del matrimonio, si era riferito al “principio”, cioè al mistero della creazione indicando così la prima e fondamentale fonte del suo valore. Di conseguenza, per rispondere alla domanda dei discepoli, o piuttosto per chiarire il problema da loro posto, Cristo ricorre ad un altro principio. Non per il fatto che “non conviene sposarsi”, ossia non per il motivo di un supposto valore negativo del matrimonio è osservata la continenza da coloro che nella vita fanno tale scelta “per il Regno dei cieli”, ma in vista del particolare valore che è connesso con tale scelta e che occorre personalmente scoprire e cogliere come propria vocazione. E perciò Cristo dice: “Chi può capire, capisca” (Mt 19,12). Invece subito prima dice: “Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso” (Mt 19,11).

4. Come si vede, Cristo, nella sua risposta al problema postogli dai discepoli, precisa chiaramente una regola per comprendere le sue parole. Nella dottrina della Chiesa vige la convinzione che queste parole non esprimono un comandamento che obbliga tutti, ma un consiglio che riguarda soltanto alcune persone: (Parimenti la santità della Chiesa è in modo speciale favorita dai molteplici consigli, che il Signore nel Vangelo propone all’osservanza dei suoi discepoli. Tra essi eccelle il prezioso dono della grazia divina, dato dal Padre ad alcuni [cf. Mt 19,11 1Co 7, 7], perché più facilmente con cuore indiviso si consacrino solo Dio nella verginità o nel celibato [Lumen Gentium, 42]) quelle appunto che sono in grado “di capirlo”. E sono in grado “di capirlo” coloro “ai quali è stato concesso”. Le parole citate indicano chiaramente il momento della scelta personale ed insieme il momento della grazia particolare, cioè del dono che l’uomo riceve per fare una tale scelta. Si può dire che la scelta della continenza per il Regno dei cieli è un orientamento carismatico verso quello stato escatologico, in cui gli uomini “non prenderanno moglie né marito”: tuttavia, tra quello stato dell’uomo nella risurrezione dei corpi e la volontaria scelta della continenza per il Regno dei cieli nella vita terrena e nello stato storico dell’uomo caduto e redento, esiste una differenza essenziale. Quel “non sposarsi” escatologico sarà uno “stato”, cioè il modo proprio e fondamentale dell’esistenza degli esseri umani, uomini e donne, nei loro corpi glorificati. La continenza per il Regno dei cieli, come frutto di una scelta carismatica, è una eccezione rispetto all’altro stato, cioè a quello di cui l’uomo “dal principio” è divenuto e rimane partecipe nel corso di tutta l’esistenza terrena.

5. È molto significativo che Cristo non collega direttamente le sue parole sulla continenza per il Regno dei cieli con il preannunzio dell’“altro mondo”, in cui “non prenderanno moglie né marito” (Mc 12,25). Le sue parole, invece, si trovano - come abbiamo già detto - nel prolungamento del colloquio con i Farisei, in cui Gesù si è richiamato “al principio”, indicando l’istituzione del matrimonio da parte del Creatore e ricordando il carattere indissolubile che, nel disegno di Dio, corrisponde all’unità coniugale dell’uomo e della donna.

Il consiglio e quindi la scelta carismatica della continenza per il Regno dei cieli sono collegati, nelle parole di Cristo, con il massimo riconoscimento dell’ordine “storico” dell’esistenza umana, relativo all’anima e al corpo. In base all’immediato contesto delle parole sulla continenza per il Regno dei cieli nella vita terrena dell’uomo, occorre vedere nella vocazione a tale continenza un tipo di eccezione a ciò che è piuttosto una regola comune di questa vita. Cristo rileva soprattutto questo. Che poi tale eccezione racchiuda in sé l’anticipo della vita escatologica priva di matrimonio e propria dell’“altro mondo” (cioè dello stadio finale del “Regno dei cieli”), Cristo non ne parla qui direttamente. Si tratta, invero, non della continenza nel Regno dei cieli, ma della continenza “per il Regno dei cieli”. L’idea della verginità o del celibato, come anticipo e segno escatologico (cf., ex. gr. , Lumen Gentium LG 44 Perfectae Caritatis PC 12), deriva dall’associazione delle parole qui pronunziate con quelle che Gesù proferirà in un’altra circostanza, ossia nel colloquio con i Sadducei, quando proclama la futura risurrezione dei corpi.

Riprenderemo questo tema nel corso delle prossime riflessioni del mercoledì.

Ai pellegrini di lingua francese

Ai pellegrini di lingua inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di espressione spagnola e portoghese


Ai gruppi italiani

Desidero rivolgere, oggi, un particolare saluto agli Ufficiali dell’Esercito Italiano e di altre nazioni, i quali frequentano la scuola militare di Civitavecchia. Con loro, saluto anche l’Ordinario Militare, Monsignor Gaetano Bonicelli.

Questa mattina, in san Pietro, avete partecipato, assieme alle vostre famiglie, anch’esse qui presenti, alla Celebrazione Eucaristica che vi ha introdotti nel clima della Pasqua.

Il Signore Risorto, Vincitore delle potenze del male e della morte, Principe della Pace, vi invita a collaborare con lui per fare trionfare il bene sul male, l’amore sull’odio, la vita sulla morte, la vera pace. La pace è la condizione indispensabile perché la vita delle persone sia preservata e si consolidino tra i popoli relazioni di mutua collaborazione, nella ricerca del bene comune. Non lasciatevi mai prendere dall’ebbrezza della forza e del potere, che promana dagli strumenti di distruzione e di morte in vostro possesso. Su tale strada, fratello contro fratello, si può giungere a sopprimere quanto di più caro e bello l’uomo possiede.
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Desidero, poi, salutare i sacerdoti che hanno partecipato al seminario di studio promosso dall’Azione Cattolica Italiana. A voi che avete riflettuto, alla luce delle difficili situazioni economiche e sociali dei nostri giorni, sull’importanza del lavoro nell’attuale società, voglio ricordare ciò che ho sottolineato nella mia enciclica Laborem Exercens: il lavoro è a servizio dell’uomo, e non l’uomo del lavoro. Il lavoro ha come fine di creare una società più giusta, in cui l’acquisizione dei beni di consumo permetta di trovare una risposta ad alcuni dei problemi più gravi dell’uomo e della famiglia.
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Il mio saluto va anche ai pellegrini di Prato, accompagnati dal Rettore del Santuario di santa Maria del Giglio, e a quelli che provengono dalla parrocchia fiorentina di Nostro Signore Gesù Cristo Buon Pastore: in particolare al gruppo di chierichetti che, con la loro veste liturgica, ricordano a tutti l’alta dignità del servizio che compiono.

La primavera, che in questo mese comincia a ornare con colori meravigliosi la terra in cui vivete, sia per voi tutti l’invito del Creatore a far fiorire le opere, ancora più belle, della santità, in continuità con la tradizione lasciatavi dall’immensa schiera di Santi che hanno ornato la vostra Regione.
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Saluto, poi, i ragazzi del Centro Medico Psico-pedagogico “Frank Doria Pamphili”, di Roma, e i loro accompagnatori. In questi giorni di Quaresima, la Chiesa vi invita ad offrire al Signore, con la generosità che è propria della giovinezza, le sofferenze che la vita comporta e le penitenze che liberamente scegliete, come segno di amore a Dio e al prossimo.
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Voglio, poi, salutare tutti gli ammalati, soprattutto il gruppo organizzato dall’UNITALSI di santa Maria Capua Vetere. Siate per tutti un monito vivente di una realtà fondamentale per il cristiano: la croce portata per amore del Signore e dei fratelli, è la strada per ottenere una vera ed autentica serenità.
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Infine, il mio sincero saluto va agli sposi novelli, convenuti qui numerosi, quasi a continuazione del sacro rito che hanno compiuto per unirsi in sacro matrimonio. Che il Signore vi sia sempre di luce e di conforto nella vita che vi auguro lunga, serena e proficua, mentre io nel nome del Signore tutti cordialmente vi benedico.


La preghiera alla Madonna di Jasna Góra




Ed ecco il testo della preghiera del Papa alla Madonna in una nostra traduzione in italiano.

Signora di Jasna Góra, Madre della mia patria!

Desidero oggi raccomandarti i problemi che hanno espresso i Vescovi polacchi nel loro comunicato al termine dell’ultima conferenza.

Essi guardano con la massima sollecitudine la situazione in cui si è trovato il nostro Paese ed io condivido con loro questa sollecitudine e la manifesto dinanzi a te, Madre. La manifesto anche dinanzi alla Chiesa e al mondo - così come manifesto altre sollecitudini, di cui ad alta voce parlano i Pastori dei Paesi e delle Nazioni più minacciate.

Le difficili prove storiche e contemporanee della mia patria mi hanno insegnato a risentire ancor più in me le sofferenze delle altre nazioni.

È necessario che nel mondo cresca la solidarietà degli uomini e la solidarietà dei popoli, perché soltanto essa può spezzare l’odio, l’ostilità e le minacce di dimensioni interumane e internazionali.

È necessario anche che la Chiesa sia solidale prima di tutto con coloro che sono nel bisogno, che soffrono - così come soffrono numerosi miei connazionali a causa dello stato di guerra e della situazione creatasi insieme ad esso.

Sono lieto che i Vescovi polacchi trovano in questa situazione la luce per sé e per la nazione nell’insegnamento del Concilio, al quale si richiamano.

Insieme con loro esprimo la convinzione - e la espongo con tutto il cuore a te, Madre della mia patria:

- che con la sola forza fisica, anche la più grande, non si può risolvere onestamente e in modo duraturo i problemi della vita statale; e

- che è indispensabile, particolarmente nell’attuale momento storico, l’intesa sociale basata sulla verità, sulla giustizia, sulla libertà e sull’amore.

Signora di Jasna Góra. Tu sai meglio di tutti quanto milioni di cuori polacchi desiderano quella verità, giustizia, libertà e amore.

Accogli il grido di questi cuori e accogli le parole dei Pastori che oggi presento a te con umiltà e fiducia. Le forze del bene devono ottenere vittoria nel paese che da secoli ti riconosce come la sua Madre e Regina.




Mercoledì, 10 marzo 1982: INCONTRO CON I GIOVANI NELLA BASILICA VATICANA

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Carissimi Ragazzi, Ragazze e Giovani!

Sono veramente lieto di accogliervi in questa Basilica di san Pietro, e di dare il benvenuto a voi tutti provenienti dalle parrocchie, dalle scuole e dalle associazioni di varie parti d’Italia. La vostra presenza mi è sempre gradita, perché in voi sono rappresentati ed espressi tutti quei valori umani, spirituali e sociali che la Chiesa non cessa di proclamare e di promuovere, e soprattutto perché voi siete la conferma visibile e festosa della esuberante vitalità della Chiesa di oggi.

Colgo volentieri questa felice occasione per rivolgervi una breve, ma vibrante esortazione che trae ispirazione dal tempo sacro della Quaresima che stiamo vivendo.

La spiritualità propria di questa stagione dell’anno liturgico è contrassegnata dall’impegno per convertire se stessi e per espiare le proprie colpe (e anche quelle altrui!). Tale impegno comporta lo sforzo di far prevalere le esigenze dello spirito sulle inclinazioni della carne e di dare il primato alla ragione ed alla volontà sugli atteggiamenti spesso contraddittori e velleitari della sensibilità sottratta ad ogni norma. La Chiesa vi chiama ad una milizia spirituale affinché possiate formarvi giovani forti, liberi, responsabili, come si addice ad autentici seguaci di Cristo, ed affinché sappiate rifuggire dalle blandizie del mondo e dalle insidie della cosiddetta morale permissiva.

Pertanto, non vi dispiaccia, soprattutto in questo tempo di Quaresima, di imporre a voi stessi una maggiore vigilanza, qualche astinenza, qualche abnegazione per compiere fedelmente quelle piccole cose che vi potranno aiutare domani ad intraprendere le grandi azioni che forse già sognate nella vostra mente. Non abbiate timore di allenarvi a questa palestra quaresimale che vi insegna a vivere secondo i grandi ideali del Vangelo che hanno rivoluzionato il mondo.

Tutto questo si può riassumere nel trinomio: preghiera, sacrificio, studio. Infatti la preghiera è l’anima di ogni impegno di perfezione; il sacrificio ne è la spina dorsale e lo studio vi servirà per prepararvi alla vita e per rendere ragione della vostra fede a chi ve la domandi.

Il Signore sia sempre con voi: vi aiuti, vi sostenga e vi dia la forza per adempiere questi suggerimenti ed auspici che ora volentieri avvaloro con la mia benedizione apostolica, che imparto a voi ed alle vostre famiglie.


Mercoledì, 17 marzo 1982

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1. Continuiamo la riflessione sulla verginità o celibato per il Regno dei cieli: tema importante anche per una completa teologia del corpo.

Nell’immediato contesto delle parole sulla continenza per il Regno dei cieli, Cristo fa un confronto molto significativo; e questo ci conferma ancor meglio nella convinzione che egli voglia radicare profondamente la vocazione a tale continenza nella realtà della vita terrena, facendosi così strada nella mentalità dei suoi ascoltatori. Elenca, infatti, tre categorie di eunuchi.

Questo termine riguarda i difetti fisici che rendono impossibile la procreatività del matrimonio. Appunto tali difetti spiegano le due prime categorie, quando Gesù parla sia dei difetti congeniti: “Eunuchi che sono nati così dal ventre della madre” (
Mt 19,11), sia dei difetti acquisiti, causati da intervento umano: “Ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini” (Mt 19,12). In entrambi i casi si tratta dunque di uno stato di coazione, perciò non volontario. Se Cristo, nel suo confronto, parla poi di coloro “che si sono fatti eunuchi per il Regno dei cieli” (Mt 19,12), come di una terza categoria, certamente fa questa distinzione per rilevare ancor più il suo carattere volontario e soprannaturale. Volontario perché gli appartenenti a questa categoria “si sono fatti eunuchi”; soprannaturale, invece, perché l’hanno fatto “per il Regno dei cieli”.

2. La distinzione è molto chiara e molto forte. Nondimeno, forte ed eloquente è anche il confronto. Cristo parla a uomini, ai quali la tradizione dell’antica alleanza non aveva tramandato l’ideale del celibato o della verginità. Il matrimonio era così comune che soltanto un’impotenza fisica poteva costituirne una eccezione. La risposta data a discepoli in Matteo (Mt 19,10-12) è ad un tempo rivolta, in un certo senso, a tutta la tradizione dell’Antico Testamento. Lo confermi un solo esempio, tratto dal Libro dei Giudici, al quale ci riferiamo qui non tanto a motivo dello svolgimento del fatto, quanto a motivo delle parole significative, che lo accompagnano. “Mi sia concesso . . . piangere la mia verginità” (Jg 11,37), dice la figlia di Iefte a suo padre, dopo aver appreso da lui di essere stata destinata all’immolazione per un voto fatto al Signore (nel testo biblico troviamo la spiegazione di come si giunse a tanto). “Va’; - leggiamo in seguito - e la lasciò andare . . . Ella se ne andò con le compagne e pianse sui monti la sua verginità. Alla fine dei due mesi tornò dal padre ed egli fece di lei quello che aveva promesso con voto. Essa non aveva conosciuto uomo” (Jg 11,38-39).

3. Nella tradizione dell’Antico Testamento, a quanto risulta, non c’è posto per questo significato del corpo, che ora Cristo, parlando della continenza per il Regno di Dio, vuole prospettare e rivelare ai propri discepoli. Tra i personaggi a noi noti, quali condottieri spirituali del popolo dell’antica alleanza, non vi è alcuno che avrebbe proclamato tale continenza a parole o nella condotta. (È vero che Geremia doveva, per esplicito ordine del Signore, osservare il celibato [cf. Jr 16, 1-2]; ma questo fu un “segno profetico”, che simboleggiava il futuro abbandono e la distruzione del paese e del popolo.) Il matrimonio, allora, non era soltanto uno stato comune, ma, in più, in quella tradizione aveva acquisito un significato consacrato dalla promessa fatta ad Abramo dal Signore: “Eccomi: la mia alleanza è con te e sarai padre di una moltitudine di popoli . . . E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te nasceranno dei re. Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te” (Gn 17,4 Gn 17,6-7). Perciò nella tradizione dell’Antico Testamento il matrimonio, come fonte di fecondità e di procreazione in rapporto alla discendenza, era uno stato religiosamente privilegiato: e privilegiato dalla stessa rivelazione. Sullo sfondo di questa tradizione, secondo cui il Messia doveva essere “figlio di Davide” (Mt 20,30), era difficile intendere l’ideale della continenza. Tutto perorava a favore del matrimonio: non soltanto le ragioni di natura umana, ma anche quelle del Regno di Dio. (È vero, come è noto dalle fonti extrabibliche, che nel periodo intertestamentario il celibato era mantenuto nell’ambito del giudaismo da alcuni membri della setta degli Esseni [cf. Giuseppe Flavio, Bell. Jud., II, 8, 2: 120-121; Filone Al., Hypothet., 11, 14]; ma ciò avveniva al margine del giudaismo ufficiale e probabilmente non persistette oltre l’inizio del II secolo. Nella comunità di Qumran il celibato non obbligava tutti, ma alcuni dei membri lo mantenevano fino alla morte, trasferendo sul terreno della pacifica convivenza la prescrizione del Deuteronomio [23, 10-14] sulla purità rituale che obbligava durante la guerra santa. Secondo le credenze dei Qumraniani, tale guerra durava sempre “tra i figli della luce e i figli delle tenebre”; il celibato fu dunque per loro l’espressione dell’esser pronti alla battaglia [cf. 1 Qm. 7, 5-7].)

4. Le parole di Cristo determinano in tale ambito una svolta decisiva. Quando egli parla ai suoi discepoli, per la prima volta, sulla continenza per il Regno dei cieli, si rende chiaramente conto che essi, come figli della tradizione dell’Antica Legge, debbono associare il celibato e la verginità alla situazione degli individui, specie di sesso maschile, che a causa dei difetti di natura fisica non possono sposarsi (“gli eunuchi”), e perciò si riferisce direttamente a loro. Questo riferimento ha uno sfondo molteplice: sia storico che psicologico, sia etico che religioso. Con tale riferimento Gesù tocca - in certo senso - tutti questi sfondi, come se volesse dire: So che quanto ora vi dirò dovrà suscitare grande difficoltà nella vostra coscienza, nel vostro modo di intendere il significato del corpo; vi parlerò, difatti, della continenza, e ciò si assocerà indubbiamente in voi allo stato di deficienza fisica, sia innata sia acquisita per causa umana. Io invece voglio dirvi che la continenza può anche essere volontaria e scelta dall’uomo “per il Regno dei cieli”.

5. Matteo, al cap. 19, non annota alcuna immediata reazione dei discepoli a queste parole. La troviamo più tardi solamente negli scritti degli Apostoli, soprattutto in Paolo (cfr 1Co 7,25-40 vide etiam Ap 14,4). Ciò conferma che tali parole si erano impresse nella coscienza della prima generazione dei discepoli di Cristo, e poi fruttificarono ripetutamente e in modo molteplice nelle generazioni dei suoi confessori nella Chiesa (e forse anche fuori di essa). Dunque, dal punto di vista della teologia - cioè della rivelazione del significato del corpo, del tutto nuovo rispetto alla tradizione dell’Antico Testamento -, queste sono parole di svolta. La loro analisi dimostra quanto siano precise e sostanziali, nonostante la loro concisione (lo costateremo ancor meglio, quando faremo l’analisi del testo paolino della prima lettera ai Corinzi, capitolo 7). Cristo parla della continenza “per” il Regno dei cieli. In tal modo egli vuole sottolineare che questo stato, scelto coscientemente dall’uomo nella vita temporale, in cui di solito gli uomini “prendono moglie e prendono marito”, ha una singolare finalità soprannaturale. La continenza, anche se scelta coscientemente e anche se decisa personalmente, ma senza quella finalità, non entra nel contenuto del suddetto enunciato di Cristo. Parlando di coloro che hanno scelto coscientemente il celibato o la verginità per il Regno dei cieli (cioè “si sono fatti eunuchi”), Cristo rileva - almeno in modo indiretto - che tale scelta, nella vita terrena, è unita alla rinuncia e anche ad un determinato sforzo spirituale.

6. La stessa finalità soprannaturale - “per il Regno dei cieli” - ammette una serie di interpretazioni più dettagliate, che Cristo in tale passo non enumera. Si può però affermare che, attraverso la formula lapidaria di cui egli si serve, indica indirettamente tutto ciò che è stato detto su quel tema nella Rivelazione, nella Bibbia e nella Tradizione; tutto ciò che è divenuto ricchezza spirituale dell’esperienza della Chiesa, in cui il celibato e la verginità per il Regno dei cieli hanno fruttificato in modo molteplice nelle varie generazioni dei discepoli e seguaci del Signore.

Ai giovani

Carissimi giovani!

La vostra presenza a questa Udienza riempie il mio cuore di profonda letizia, perché, con il vostro entusiasmo, date a tutti, ed alla Chiesa in modo particolare, la serena certezza di poter contare su di voi, sul vostro impegno, sulla vostra preparazione per proclamare il messaggio cristiano.


Ciò assume una importanza speciale ed un significato tipico in questo periodo liturgico di Quaresima, nel quale il Popolo di Dio si prepara alla celebrazione annuale del “Mistero pasquale”, cioè a ripercorrere le tappe della passione, morte e risurrezione di Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo.

Riflettendo ed ispirandomi alla orazione, che la Chiesa ci fa innalzare a Dio, oggi mercoledì della terza settimana di Quaresima, auspico che siate sempre “formati nell’impegno delle buone opere”, che in questo tempo di conversione e di grazia sono la rinuncia al peccato, la mortificazione, il senso del sacrificio, concepiti non come avvilimento e depauperamento della personalità e della natura umana, ma come sua nobilitazione ed esaltazione. A ciò occorrerà unire l’“ascolto della Parola” di Dio, un’attenzione devota, umile, silenziosa, obbediente, perché ci troviamo di fronte ad un Interlocutore, che è la Verità infinita e che risponde alle domande più segrete e più inquietanti della nostra esistenza di uomini e di cristiani. La Parola di Dio vi spingerà a servire a lui, con generosa dedizione “liberi da ogni egoismo”, nella consapevolezza che lui, il Dio di Amore e di Misericordia, vuole donarsi totalmente a noi e dilatare il nostro cuore, per renderlo capace di donarci a lui, superando il nostro talvolta chiuso e gretto individualismo.

La Quaresima, tempo di conversione permanente, sarà anche tempo privilegiato per la “comune preghiera” a Dio, nostro Padre, per riconoscerci tutti “fratelli” in Cristo.

Vi auguro con tutto il cuore, carissimi giovani, che il vostro proposito di seguire Cristo sia mantenuto con fermezza, anche se tale sequela potrà comportare ed esigere continui sforzi ed un coraggio a tutta prova di fronte al mondo, che può essere sordo ed indifferente nei confronti della persona e della missione di Gesù.

La mia benedizione apostolica accompagni sempre voi e i vostri cari.

Desidero ora rivolgere un saluto ai fedeli della diocesi di Sovana-Pitigliano-Orbetello, i quali, insieme col loro Vescovo, Monsignor Giovanni D’Ascenzi, sono venuti in pellegrinaggio a Roma per esprimere pubblicamente la loro fede.

Carissimi fratelli e sorelle! Vi ringrazio sinceramente per la vostra visita e per la vostra testimonianza. Un pensiero di apprezzamento reputo doveroso indirizzare al numeroso gruppo che è giunto, con notevoli sacrifici, dall’Isola del Giglio.

Vi esorto a rendere sempre più intenso e capillare il lavoro della catechesi a tutti i livelli e l’impegno per le vocazioni, dando una coerente e concreta testimonianza di vita cristiana anche di fronte a quanti vengono a godere le bellezze naturali di cui Dio ha dotato la vostra regione.

Con questi voti, ben volentieri invoco dal Signore l’effusione dei favori celesti su voi qui presenti, su tutti i fedeli della vostra diocesi, specialmente sui minatori dell’Amiata ora disoccupati e sui marittimi imbarcati nelle navi, lontani dalle loro famiglie, e vi imparto di cuore la mia benedizione apostolica.

Ai fedeli di lingua francese


Al Centro Internazionale Lasalliano dei Fratelli delle Scuole Cristiane

Ai fedeli di lingua inglese

Ai giovani dell’Inghilterra

Agli irlandesi

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola


Ai fedeli di lingua portoghese

Ad alcuni pellegrinaggi italiani

Tra i vari gruppi di lingua italiana, saluto innanzitutto i due pellegrinaggi di malati: quello della diocesi di Fiesole, presieduto dal Vescovo Luciano Giovannetti e organizzato dalla locale UNITALSI; e quello della parrocchia della beata Vergine Immacolata in Binzago di Cesano Maderno, dell’arcidiocesi di Milano, guidato dal Parroco. A voi, che più da vicino imitate il Cristo sofferente, assicuro la mia paterna comunione e la mia preghiera al Signore. E insieme a voi unisco anche gli altri ammalati qui presenti; per tutti il mio affetto è identico, per la sofferenza che avete da sopportare, e il mio ricordo orante è per tutti voi, affinché vi sia concessa quella forza e quella perseveranza che può venire solo da Dio.
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Inoltre voglio menzionare il pellegrinaggio di Camerano, dell’arcidiocesi di Ancona, promosso congiuntamente dalla parrocchia e dall’Amministrazione Comunale, e guidato sia dal Parroco che dal Sindaco. Tutti vi saluto di cuore. Vi ringrazio anche vivamente per i molti doni, che avete voluto recare con voi, sia in natura che in prodotti di fabbriche locali; essi potranno avere un’adeguata destinazione in favore di persone bisognose. Il Signore vi ricompensi e vi assista con i suoi favori celesti.
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Un saluto particolare va ai Delegati Vescovili per il Diaconato permanente, venuti a Roma per un loro incontro nazionale. È con loro il Vescovo di Senigallia, Monsignor Odo Fusi Pecci, incaricato dalla Conferenza Episcopale Italiana per i problemi di questo settore. Mentre mi compiaccio per il lavoro già svolto in questo ambito, prego il Signore perché voglia ampliare ed irrobustire sempre più questa peculiare forma di ministerialità ecclesiale, e perché essa porti frutti sempre più abbondanti per l’edificazione del Corpo di Cristo.
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Intendo anche salutare i membri di altri gruppi, presenti in questa Aula: gli Allievi Ufficiali di Complemento della Scuola del Genio di Roma, accompagnati dai loro Comandanti; i partecipanti al “Corso base per Anziani”, promosso dal Settore Adulti dell’Azione Cattolica; i Donatori di Sangue Volontari dell’Italia Meridionale.
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Infine saluto gli sposi novelli qui presenti, ai quali auguro ogni bene nel Signore.



La preghiera alla Madonna di Jasna Góra


Ed ecco la preghiera del Santo Padre in una nostra traduzione italiana.

Continuando la mia preghiera che, nel corso delle udienze del mercoledì, elevo a nostra Signora di Jasna Góra, leggo ancora una volta le parole dei Vescovi polacchi nel comunicato del 27 febbraio scorso:

“L’intesa sociale deve garantire la soddisfazione delle necessità e la realizzazione delle aspirazioni della popolazione, la cooperazione dei cittadini alla vita pubblica e all’effettivo controllo sociale!

Le parti dell’intesa sono: l’autorità reggente e i rappresentanti credibili dei gruppi sociali organizzati. Non possono mancare i rappresentanti dei sindacati temporaneamente sospesi e tra questi quelli dell’autonomo ed autogestito Sindacato «Solidarnosc» che incontra vasto consenso sociale . . . I problemi toccati sono una indicazione di direzione delle ricerche e delle soluzioni . . .”.

Signora di Jasna Góra!

Da intere generazioni tu educhi i figli e le figlie della mia Nazione. Negli ultimi decenni sono divenuti particolarmente stretti i legami tra di essi e te.

Permetti quindi che anche oggi io esprima a te queste parole dei miei fratelli nel ministero episcopale.

Queste parole sono manifestazione della sollecitudine per il futuro della nazione, della sollecitudine nata in mezzo alle prove degli ultimi mesi ed anni.

Queste parole sono programma di vita per le condizioni dell’ordine sociale!

O tu, che sei Madre della Vita, aiuta affinché si compiano queste parole!




Catechesi 79-2005 10382