Catechesi 79-2005 24382

Mercoledì, 24 marzo 1982

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1. Continuiamo le nostre riflessioni sul celibato e sulla verginità “per il regno dei cieli”.

La continenza “per” il regno dei cieli è certamente in rapporto con la rivelazione del fatto che “nel” regno dei cieli “non si prende né moglie né marito” (
Mt 22,30). È un segno carismatico. L’essere uomo vivente, maschio e femmina, il quale nella situazione terrena, dove di solito “prendono moglie e prendono marito” (Lc 20,34), sceglie con libera volontà la continenza “per il regno dei cieli”, indica che in quel regno, che è l’“altro mondo” della risurrezione, “non prenderanno moglie né marito” (Mc 12,25), perché Dio sarà “tutto in tutti” (1Co 15,28). Tale essere uomo, maschio e femmina, addita dunque la “verginità” escatologica dell’uomo risorto, in cui si rivelerà, direi, l’assoluto ed eterno significato sponsale del corpo glorificato nell’unione con Dio stesso, mediante la visione di lui “a faccia a faccia”; e glorificato, anche, mediante l’unione di una perfetta intersoggettività, che unirà tutti i “partecipi dell’altro mondo”, uomini e donne, nel mistero della comunione dei santi. La continenza terrena “per il regno dei cieli” è indubbiamente un segno che indica questa verità e questa realtà. È segno che il corpo, il cui fine non è la morte, tende alla glorificazione ed è già per ciò stesso, direi, tra gli uomini una testimonianza che anticipa la futura risurrezione. Tuttavia, questo segno carismatico dell’“altro mondo” esprime la forza e la dinamica più autentica del mistero della “redenzione del corpo”: un mistero, che da Cristo è stato iscritto nella storia terrena dell’uomo e in questa storia da lui profondamente radicato. Così, dunque, la continenza “per il regno dei cieli” porta soprattutto l’impronta della somiglianza a Cristo, che, nell’opera della redenzione, ha fatto egli stesso questa scelta “per il regno dei cieli”.


2. Anzi, tutta la vita di Cristo, fin dall’inizio, fu un discreto ma chiaro distacco da ciò che nell’Antico Testamento ha tanto profondamente determinato il significato del corpo. Cristo - quasi contro le attese di tutta la tradizione vetero-testamentaria - nacque da Maria, che al momento dell’annunciazione dice chiaramente di se stessa: “Come è possibile? non conosco uomo” (Lc 1,34), e professa, cioè, la sua verginità. E sebbene egli nasca da lei come ogni uomo, come un figlio da sua madre, sebbene questa sua venuta nel mondo sia accompagnata anche dalla presenza di un uomo che è sposo di Maria e, davanti alla legge e agli uomini, suo marito, tuttavia la maternità di Maria è verginale; e a questa verginale maternità di Maria corrisponde il mistero verginale di Giuseppe, che, seguendo la voce dall’alto, non esita a “prendere Maria . . . perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo” (Mt 1,20). Sebbene, dunque, il concepimento verginale e la nascita al mondo di Gesù Cristo fossero nascoste agli uomini, sebbene davanti agli occhi dei suoi conterranei di Nazaret egli fosse ritenuto “figlio del carpentiere” (Mt 13,55) (ut putabatur filius Joseph: Lc 3,23), tuttavia la stessa realtà e verità essenziale del suo concepimento e della nascita si discosta in se stessa da ciò che nella tradizione dell’Antico Testamento fu esclusivamente in favore del matrimonio, e che rendeva la continenza incomprensibile e socialmente sfavorita. Perciò, come poteva essere compresa “la continenza per il regno dei cieli”, se il Messia atteso doveva essere “discendente di Davide”, e cioè, come si riteneva, doveva essere figlio della stirpe reale “secondo la carne”? Solo Maria e Giuseppe, che hanno vissuto il mistero del suo concepimento e della sua nascita, divennero i primi testimoni di una fecondità diversa da quella carnale, cioè della fecondità dello Spirito: “Quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo” (Mt 1,20).

3. La storia della nascita di Gesù sta certamente in linea con la rivelazione di quella “continenza per il regno dei cieli”, di cui Cristo parlerà, un giorno, ai suoi discepoli. Questo evento, però, resta nascosto agli uomini di allora e anche ai discepoli. Solo gradatamente esso si svelerà davanti agli occhi della Chiesa in base alle testimonianze e ai testi dei Vangeli di Matteo e di Luca. Il matrimonio di Maria con Giuseppe (in cui la Chiesa onora Giuseppe come sposo di Maria e Maria come sposa di lui), nasconde in sé, in pari tempo, il mistero della perfetta comunione delle persone, dell’Uomo e della Donna nel patto coniugale, e insieme il mistero di quella singolare “continenza per il regno dei cieli”: continenza che serviva, nella storia della salvezza, alla più perfetta “fecondità dello Spirito Santo”. Anzi, essa era, in certo senso, l’assoluta pienezza di quella fecondità spirituale, dato che proprio nelle condizioni nazaretane del patto di Maria e Giuseppe nel matrimonio e nella continenza, si è realizzato il dono dell’incarnazione del Verbo Eterno: il Figlio di Dio, consostanziale al Padre, venne concepito e nacque come Uomo dalla Vergine Maria. La grazia dell’unione ipostatica è connessa proprio con questa, direi, assoluta pienezza della fecondità soprannaturale, fecondità nello Spirito Santo, partecipata da una creatura umana, Maria, nell’ordine della “continenza per il regno dei cieli”. La divina maternità di Maria è anche, in certo senso, una sovrabbondante rivelazione di quella fecondità nello Spirito Santo, cui l’uomo sottopone il suo spirito, quando liberamente sceglie la continenza “nel corpo”: appunto, la continenza “per il regno dei cieli”.

4. Tale immagine doveva gradatamente disvelarsi davanti alla coscienza della Chiesa nelle generazioni sempre nuove dei confessori di Cristo, quando - insieme al Vangelo dell’infanzia - si consolidava in loro la certezza circa la divina maternità della Vergine, la quale aveva concepito per opera dello Spirito Santo. Sebbene in modo solo indiretto - tuttavia in modo essenziale e fondamentale - tale certezza doveva aiutare a comprendere, da una parte, la santità del matrimonio e dall’altra il disinteresse in vista “del regno dei cieli”, di cui Cristo aveva parlato ai suoi discepoli. Nondimeno, quando egli ne aveva parlato loro per la prima volta (come attesta l’evangelista Matteo nel capitolo (Mt 19,10-12), quel grande mistero del suo concepimento e della sua nascita fu loro completamente ignoto, fu nascosto loro così come lo fu a tutti gli ascoltatori e interlocutori di Gesù di Nazaret. Quando Cristo parlava di coloro che “si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli” (Mt 19,12) i discepoli erano capaci di capirlo solo in base al suo esempio personale. Una tale continenza dovette imprimersi nella loro coscienza come un particolare tratto di somiglianza a Cristo, che era rimasto egli stesso celibe “per il regno dei cieli”. Il distacco dalla tradizione dell’antica alleanza, in cui il matrimonio e la fecondità procreativa “nel corpo” erano stati una condizione religiosamente privilegiata, doveva effettuarsi soprattutto in base all’esempio di Cristo stesso. Solo a poco a poco poté radicarsi la coscienza che per “il regno dei cieli” ha un significato particolare quella fecondità spirituale e soprannaturale dell’uomo, la quale proviene dallo Spirito Santo (Spirito di Dio), e alla quale, in senso specifico e in casi determinati, serve proprio la continenza, e che questa è appunto la continenza “per il regno dei cieli”.

Più o meno tutti questi elementi della coscienza evangelica (cioè coscienza propria della nuova alleanza in Cristo) riguardanti la continenza, li ritroviamo in Paolo. Cercheremo di mostrarlo a tempo opportuno.

Riassumendo, possiamo dire che il tema principale dell’odierna riflessione è stato il rapporto tra la continenza “per il regno dei cieli”, proclamata da Cristo, e la fecondità soprannaturale dello spirito umano, che proviene dallo Spirito Santo.

Ai gruppi di lingua francese


Ai gruppi di lingua inglese

Ai rifugiati dall’Afganistan

Ai fedeli di espressione tedesca


Ai pellegrini spagnoli e portoghesi


Agli artisti del “Circo di Mosca”

Saluto i rappresentanti del Circo di Mosca e sono felice di averli qui all’udienza. Vi auguro il successo nel vostro lavoro difficile, il quale dà al popolo la gioia e la serenità nella nostra vita turbolenta.

Ai gruppi di lingua italiana

Rivolgo ora un saluto al gruppo dei sacerdoti dell’arcidiocesi di Benevento, che celebrano il cinquantesimo anniversario della loro Ordinazione e che sono qui convenuti con i loro familiari ed amici.

Carissimi, per mezzo secolo avete svolto il Ministero nella Chiesa, a servizio della porzione di Popolo di Dio affidato alle vostre cure pastorali. Siete stati testimoni, guide e padri nella fede.

Auspico di cuore che il Signore continui a rendere fecondo di frutti il servizio apostolico per il quale avete donato, con gioia, tutta la vostra vita.
* * *



Intendo poi salutare gli Ufficiali ed il Personale Civile della Scuola Militare in Maddaloni; i militari “Lancieri di Montebello” e del Decimo Battaglione Trasmissioni; il gruppo di ex Militari Soci del Nucleo di Adria dell’Associazione Nazionale Arma Aeronautica, con i loro familiari.
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Il mio pensiero si rivolge ora a tutti gli ammalati. Saluto in modo particolare gli ospiti delle Case di Roma e di Ferrara, delle Piccole Suore degli Anziani abbandonati; i Ciechi ed i Sordomuti dell’Istituto “Cappabianca” di santa Maria Capua Vetere; il “Gruppo della sofferenza” della parrocchia di sant’Ambrogio “ad Fontes” di Segrate e tutti gli ammalati qui presenti.

Carissimi, vi invito a meditare, specialmente in questi giorni che ci prepariamo alla Settimana Santa, la passione di Cristo, per attingere da essa sostegno e forza: la vostra sofferenza, unita a quella di Cristo Salvatore diventa sorgente di bene e di salvezza per il mondo.
* * *


Desidero ora rivolgere un saluto particolare a tutti i giovani venuti, da vicino e da lontano, a portare con la loro presenza una ventata di primavera. Carissimi, il vostro entusiasmo, il vostro calore umano, la vostra generosità rappresentano la speranza del domani.

È per questo che voglio ricordarvi il senso della festività liturgica, di cui oggi è la vigilia: l’Annunciazione, ricorrenza legata al rinnovamento della vita e alla giovinezza.

L’annuncio dell’incarnazione del Signore, portato dall’Arcangelo Gabriele a Maria costituisce una vera svolta nella storia dell’umanità. Nessun avvenimento umano, per quanto grande, può reggere il confronto con la portata di vita e di novità connessa a tale annuncio. Ma il disegno di amore e di salvezza per tutti si realizza col consenso e la collaborazione di Colei, che viene invitata ad accettare il compito di Madre.

Maria di Nazaret, con la sua fede e la sua disponibilità alla volontà di Dio, sia il modello della vostra vita, vi guidi e vi protegga.
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Infine, rivolgo un cordiale saluto agli Sposi novelli, assicurandoli di una particolare benedizione.


La preghiera alla Madonna di Jasna Góra



Questo il testo della preghiera in una traduzione italiana.

Madre, da sei secoli la tua immagine è a Jasna Góra.

Mille anni fa il battesimo segnò l’inizio della nostra storia.

In base a questa data contiamo la nostra esistenza storica: l’anno 966.

L’anno 1382 non è forse diventato quasi il nuovo inizio, radicato in quel primo inizio?

Sei venuta per unire le epoche e i cuori umani delle generazioni remote, e anche delle diverse nazioni. Infatti quelli furono i tempi della beata Edwige, regina e madre della Nazione.

Aiutaci, ora, dopo seicento anni, ad unire di nuovo le epoche.

Aiutaci, Madre, a trovare la forza affinché possiamo lavorare per “il bene comune” e possiamo evitare “reazioni collettive irreversibili; e con prudenza presentare le esigenze sia dell’individuo che della società e guardare al futuro della nazione”.

Questo scrivono i Vescovi polacchi. E per questa intenzione prega tutta la nazione.

Guardiamo il nostro passato - valutiamo il presente - affidiamo a te, Madre, il nostro futuro.



Mercoledì, 31 marzo 1982

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1. Continuiamo a riflettere sul tema del celibato e della verginità per il regno dei Cieli, basandoci sul testo del Vangelo secondo Matteo (cfr
Mt 19,10-12).

Parlando della continenza “per” il regno dei Cieli e fondandola sull’esempio della propria vita, Cristo desiderava, senza dubbio, che i suoi discepoli la intendessero soprattutto in rapporto al “regno”, che egli era venuto ad annunziare e per il quale indicava le giuste vie. La continenza, di cui parlava, è appunto una di queste vie e, come risulta già dal contesto del Vangelo di Matteo, è una via particolarmente valida e privilegiata. Infatti, quella preferenza data al celibato e alla verginità “per il regno” era una novità assoluta nei confronti della tradizione dell’antica alleanza, e aveva un significato determinante sia per l’ethos che per la teologia del corpo.

2. Cristo, nel suo enunciato, ne rileva soprattutto la finalità. Dice che la via della continenza, di cui egli stesso dà testimonianza con la propria vita, non solo esiste e non soltanto è possibile, ma è particolarmente valida e importante “per il regno dei Cieli”. E tale deve essere, dato che lo stesso Cristo l’ha scelta per sé. E se questa via è così valida e importante, alla continenza per il regno dei Cieli deve spettare un particolare valore. Come già abbiamo accennato in precedenza, Cristo non affrontava il problema sul medesimo livello e nella stessa linea di ragionamento, in cui lo ponevano i discepoli, quando dicevano: “Se questa è la condizione . . . non conviene sposarsi” (Mt 19,10). Le loro parole celavano sullo sfondo un certo utilitarismo. Cristo, invece, nella sua risposta ha indicato indirettamente che, se il matrimonio, fedele alla originaria istituzione del Creatore (ricordiamo che il Maestro proprio a questo punto si riferiva al “principio”), possiede una sua piena congruenza e valore per il regno dei Cieli, valore fondamentale, universale e ordinario, da parte sua la continenza possiede per questo regno un valore particolare ed “eccezionale”. È ovvio che si tratti della continenza scelta coscientemente per motivi soprannaturali.

3. Se Cristo rileva nel suo enunciato, innanzitutto, la finalità soprannaturale di quella continenza, lo fa in senso non solo oggettivo, ma anche esplicitamente soggettivo, cioè indica la necessità di una motivazione tale che corrisponda in modo adeguato e pieno alla finalità oggettiva che viene dichiarata dall’espressione “per il regno dei Cieli”. Per realizzare il fine di cui si tratta - cioè per riscoprire nella continenza quella particolare fecondità spirituale che proviene dallo Spirito Santo - bisogna volerla e sceglierla in virtù di una fede profonda, che non ci mostra soltanto il regno di Dio nel suo compimento futuro, ma ci consente e rende possibile in modo particolare di immedesimarci con la verità e la realtà di quel regno, così come esso viene rivelato da Cristo nel suo messaggio evangelico e soprattutto con l’esempio personale della sua vita e del suo comportamento. Perciò, si è detto sopra che la continenza “per il regno dei Cieli” - in quanto indubbio segno dell’“altro mondo” - porta in sé soprattutto il dinamismo interiore del mistero della redenzione del corpo (cfr Lc 20,35), e in questo significato possiede anche la caratteristica di una particolare somiglianza con Cristo. Chi sceglie consapevolmente tale continenza, sceglie, in un certo senso, una particolare partecipazione al mistero della redenzione (del corpo); vuole in modo particolare completarla per così dire nella propria carne (cfr Col 1,24), trovando in ciò anche l’impronta di una somiglianza con Cristo.

4. Tutto questo si riferisce alla motivazione della scelta (ossia alla sua finalità in senso soggettivo): scegliendo la continenza per il regno dei Cieli, l’uomo “deve” lasciarsi guidare appunto da tale motivazione. Cristo, nel caso in questione, non dice che l’uomo vi è obbligato (in ogni caso non si tratta certamente del dovere che scaturisce da un comandamento); tuttavia, senza dubbio, le sue concise parole sulla continenza “per il regno dei Cieli” pongono fortemente in rilievo proprio la sua motivazione. Ed esse la rilevano (cioè indicano la finalità, di cui il soggetto è consapevole), sia nella prima parte di tutto l’enunciato, sia anche nella seconda, indicando che qui si tratta di una scelta particolare: propria cioè di una vocazione piuttosto eccezionale che non universale e ordinaria. All’inizio, nella prima parte del suo enunciato, Cristo parla di un intendimento (“non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso”) (Mt 19,11); e si tratta non di un “intendimento” in astratto, bensì tale da influire sulla decisione, sulla scelta personale, in cui il “dono”, cioè la grazia, deve trovare un’adeguata risonanza nella volontà umana. Tale “intendimento” coinvolge dunque la motivazione. In seguito, la motivazione influisce sulla scelta della continenza, accettata dopo averne compreso il significato “per il regno dei Cieli”. Cristo, nella seconda parte del suo enunciato, dichiara quindi che l’uomo “si fa” eunuco quando sceglie la continenza per il regno dei Cieli e ne fa la fondamentale situazione ovvero lo stato di tutta la propria vita terrena. In una decisione così consolidata sussiste la motivazione soprannaturale, da cui la decisione stessa fu originata. Sussiste rinnovandosi, direi, continuamente.

5. Abbiamo già in precedenza volto l’attenzione al particolare significato dell’ultima affermazione. Se Cristo, nel caso citato, parla del “farsi” eunuco, non soltanto pone in rilievo il peso specifico di questa decisione, che si spiega con la motivazione nata da una fede profonda, ma non cerca, nemmeno di nascondere il travaglio, che tale decisione e le sue persistenti conseguenze possono avere per l’uomo, per le normali (e d’altronde nobili) inclinazioni della sua natura.

Il richiamo “al principio” nel problema del matrimonio ci ha consentito di scoprire tutta la bellezza originaria di quella vocazione dell’uomo, maschio e femmina: vocazione, che proviene da Dio e corrisponde alla duplice costituzione dell’uomo, nonché alla chiamata alla “comunione delle persone”. Predicando la continenza per il regno di Dio, Cristo non soltanto si pronunzia contro tutta la tradizione dell’antica alleanza, secondo cui il matrimonio e la procreazione erano, come abbiamo detto, religiosamente privilegiati, ma si pronuncia, in un certo senso, anche in contrasto con quel “principio”, a cui egli stesso ha fatto richiamo e forse anche per questo sfuma le proprie parole con quella particolare “regola di intendimento”, a cui abbiamo sopra accennato. L’analisi del “principio” (specialmente in base al testo jahvista) aveva dimostrato infatti che, sebbene sia possibile concepire l’uomo come solitario di fronte a Dio, tuttavia Dio stesso lo trasse da questa “solitudine” quando disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile” (Gn 2,18).

6. Così, dunque, la duplicità maschio-femmina propria della costituzione stessa dell’umanità e l’unità dei due che si basa su di essa, rimangono “da principio”, cioè fino alla loro stessa profondità ontologica, opera di Dio. E Cristo, parlando della continenza “per il regno dei Cieli”, ha davanti a sé questa realtà. Non senza ragione ne parla (secondo Matteo) nel contesto più immediato, in cui fa appunto riferimento “al principio”, cioè al principio divino del matrimonio nella costituzione stessa dell’uomo.

Sullo sfondo delle parole di Cristo si può asserire che non solo il matrimonio ci aiuta ad intendere la continenza per il regno dei Cieli, ma anche la stessa continenza getta una luce particolare sul matrimonio visto nel mistero della Creazione e della Redenzione.

Ai fedeli di lingua francese


Ai rappresentanti dell’Associazione “Magnificat”

Ai giovani della parrocchia parigina di Saint-Léon

Agli anziani del Québec

Ai pellegrini di lingua inglese


Agli studenti del Centro Romano di Arti Liberali dell’Università di Chicago

Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola


Ai fedeli di lingua portoghese

Ai partecipanti al “XII Congresso Nazionale di Studio degli Economi Generali e Provinciali”.

Ho il piacere di salutare ora i Partecipanti al “XII Congresso Nazionale di Studio degli Economi Generali e Provinciali”, promosso dal Centro Nazionale degli Economi di Comunità.

Vi esprimo la mia stima perché, pur essendo persone consacrate a Dio e quindi dedite alla contemplazione delle verità della fede, voi non avete rifiutato il peso - non sempre lieve - della conduzione degli affari economici delle vostre rispettive Famiglie religiose. Sappiate infondere in questo vostro servizio uno spirito di evangelica dedizione, offrendo così ai vostri confratelli un insostituibile aiuto. Abbiate una sempre maggiore consapevolezza delle vostre responsabilità, specializzandovi accuratamente in questo campo che non ammette improvvisazioni ed empirismi, tanto gravi essendo i suoi aspetti tecnici, giuridici e sociali. E soprattutto, anche se immersi nelle difficoltà quotidiane, abbiate sempre di mira Cristo, il quale è la ragion d’essere della vostra vita religiosa e non vi fa mancare la sua ricompensa (cfr Mt 10,40). Vi sia di conforto e di sprone la mia speciale benedizione.


Ai giovani e ai volontari del Movimento dei Focolari

Un saluto particolare va anche oggi, come di consueto, a tutti i giovani e le giovani, i ragazzi e le ragazze, che sono venuti a rallegrare questo incontro settimanale. Tra essi ci sono 500 volontarie del Movimento dei Focolari, riunite in questi giorni presso la Mariapoli di Rocca di Papa per un loro convegno sul tema della unità.

Sì, carissimi giovani, non stancatevi mai di alimentare nei vostri cuori generosi gli ideali dell’unità, della concordia e della pace: doni, questi, oggi più che mai inestimabili, in un mondo troppo spesso diviso e dilacerato da rivalità ed antagonismi. Vivete soprattutto nell’unità di fede e di amore, portando scolpite nel vostro animo le parole del testamento del Signore: “Ut omnes unum sint” (Jn 17,21). Con questi voti vi benedico tutti.
* * *


Rivolgo anche un affettuoso saluto a tutti i Seminaristi, presenti a questa Udienza, in particolare a quelli della diocesi di Venezia. Carissimi, a voi, che volete seguire più da vicino Gesù Sommo ed Eterno Sacerdote, auguro che in questi anni di preparazione al presbiterato viviate sempre più intimamente uniti con lui nella preghiera, nella meditazione, nello studio, nel sacrificio, per essere un giorno degni ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio.

Agli ammalati

A voi ammalati qui presenti e a quanti soffrono negli ospedali o nelle proprie case esprimo la mia solidarietà, il mio affetto e la mia benevolenza. Come già ho detto altre volte, la Chiesa conta molto su di voi, perché la vostra condizione vi avvicina di più al Crocifisso e quindi potete più direttamente collaborare con lui per la conversione e la salvezza degli uomini. Se saprete soffrire con questo animo ed offrire i vostri patimenti a questo scopo sarete i più grandi benefattori dell’umanità e il vostro nome sarà scritto in cielo a lettere d’oro. Vi sia di sostegno nelle vostre prove la mia speciale benedizione.

Agli sposi novelli

Non può mancare, infine, un cordiale e beneaugurante pensiero per gli Sposi novelli. Carissimi, nell’esprimervi le mie felicitazioni per l’importante passo compiuto, auspico per voi una vita matrimoniale serena, in cui regni un amore reciproco sempre crescente ed una fede cristiana forte, che vi faccia veri figli di Dio ed autentici testimoni del Vangelo. Vi accompagni in ogni circostanza della vostra vita la mia benedizione apostolica.


La preghiera del Papa alla Madonna di Jasna Góra


Della preghiera diamo una nostra traduzione italiana.

Madre di Jasna Góra!

Desidero oggi rivolgere a te la mia preghiera come alla Madre della cultura polacca.

In questo modo ti pregano i miei connazionali.


In questo modo pensano a te gli uomini della cultura, e in questo modo ti venerano.

Ti rendiamo grazie perché all’inizio, dal canto Bogurodzica, hai aiutato l’anima polacca ad esprimersi; perché ci hai aiutato mediante le opere della cultura: della letteratura, della scienza, delle molte opere d’arte, a creare i contenuti e i valori con i quali si nutrono le generazioni; grazie ai quali abbiamo potuto sopravvivere anche nelle più pesanti prove storiche.

I Vescovi polacchi scrivono:

“Significato fondamentale per la creazione di un’intesa sociale hanno la religione e la cultura; è infatti necessario assicurare la piena libertà alla vita religiosa e allo sviluppo della cultura”.

Nella religione e nella cultura l’uomo si esprime come essere intelligente e libero. La libertà è pure la condizione per ambedue. In particolare essa è la condizione della vera cultura, mediante la quale la Nazione vive la sua vita autentica.

Per quanto riguarda la vita, chi la risente più profondamente della Madre? E perciò a te, Madre chiaromontana, affido in modo particolare l’oggi e il domani della cultura nazionale.

Continui in essa e si sviluppi sempre più pienamente la vita della Nazione.





Mercoledì, 7 aprile 1982

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Carissimi fratelli e sorelle!

L’incontro odierno cade nella “Settimana Santa”, cioè nel periodo centrale dell’Anno Liturgico, che ci fa rivivere gli episodi così importanti e fondamentali della Redenzione operata da Cristo: l’Ultima Cena, in cui Gesù istituì il Sacramento dell’Eucaristia, anticipando misticamente e tramandando per mezzo del Sacerdozio il Sacrificio della Croce; la Passione di Gesù, a cominciare dall’agonia del Getsemani fino alla crudele crocifissione e alla morte in croce; e infine la gloriosa risurrezione nella festosa domenica di Pasqua.

Sono giorni commoventi e toccanti, colmi di una speciale atmosfera che tutti i Cristiani sentono e conoscono. Devono perciò essere giorni di silenzio interiore, di più intensa preghiera e di particolare meditazione sui supremi avvenimenti della storia che segnano la redenzione dell’umanità e che danno il vero significato alla nostra esistenza.

Vi esorto pertanto a vivere intimamente con grande amore questi Giorni santi e a partecipare alle funzioni liturgiche, per penetrare sempre più profondamente il contenuto della Fede e per riportarne propositi di autentico impegno di coerenza e di vita cristiana. Percorriamo con Maria santissima la strada della Passione di Cristo, guardando la tragedia del Venerdì Santo nella luce della Pasqua vittoriosa, per imparare che ogni sofferenza deve essere accettata e interpretata nella prospettiva della risurrezione gloriosa e, soprattutto, per incontrarci con Cristo che ci ha amato e si è donato per noi (cfr
Ga 2,20).

1. Con lo sguardo rivolto a Cristo Redentore, ora continuiamo le nostre riflessioni sul celibato e sulla verginità “per il Regno dei cieli”, secondo le parole di Cristo riportate nel Vangelo di Matteo (Mt 19,10-12).

Proclamando la continenza “per il Regno dei cieli”, Cristo accetta pienamente tutto ciò che dal principio fu operato ed istituito dal Creatore. Conseguentemente, da una parte, quella continenza deve dimostrare che l’uomo, nella sua più profonda costituzione, è non soltanto “duplice”, ma anche (in questa duplicità) “solo” di fronte a Dio con Dio. Tuttavia, dall’altra, ciò che, nella chiamata alla continenza per il Regno dei cieli, è un invito alla solitudine per Dio, rispetta al tempo stesso sia la “duplicità dell’umanità” (cioè la sua mascolinità e femminilità), sia anche quella dimensione di comunione dell’esistenza che è propria della persona. Colui che, conformemente alle parole di Cristo, “comprende” in modo adeguato la chiamata alla continenza per il Regno dei cieli, la segue, e conserva così l’integrale verità della propria umanità, senza perdere, strada facendo, nessuno degli elementi essenziali della vocazione della persona creata “a immagine e somiglianza di Dio”. Questo è importante per l’idea stessa o piuttosto per l’idea della continenza, cioè per il suo contenuto oggettivo, che appare nell’insegnamento di Cristo come una novità radicale. È ugualmente importante per l’attuazione di quell’ideale, cioè perché la concreta decisione, presa dall’uomo per vivere nel celibato o nella verginità per il Regno dei cieli (colui che “si fa” eunuco, per usare le parole di Cristo), sia pienamente autentica nella sua motivazione.

2. Dal contesto del Vangelo di Matteo (Mt 19,10-12) risulta in modo sufficientemente chiaro che qui non si tratta di sminuire il valore del matrimonio a vantaggio della continenza e neppure di offuscare un valore con l’altro. Si tratta, invece, di “uscire” con piena consapevolezza da ciò che nell’uomo, per la volontà dello stesso Creatore, porta al matrimonio, e di andare verso la continenza, che si svela davanti all’uomo concreto, maschio o femmina, come chiamata e dono di particolare eloquenza e di particolare significato “per il Regno dei cieli”. Le parole di Cristo (Mt 19,11-12) partono da tutto il realismo della situazione dell’uomo e con lo stesso realismo lo conducono fuori, verso la chiamata in cui, in modo nuovo, pur rimanendo per sua natura essere “duplice” (cioè diretto come uomo verso la donna, e come donna, verso l’uomo), egli è capace di scoprire in questa sua solitudine, che non cessa di essere una dimensione personale della duplicità di ciascuno, una nuova e perfino ancor più piena forma di comunione intersoggettiva con gli altri. Questo orientamento della chiamata spiega in modo esplicito l’espressione: “per il Regno dei cieli”; infatti, la realizzazione di questo Regno deve trovarsi sulla linea dell’autentico sviluppo dell’immagine e della somiglianza di Dio, nel suo significato trinitario, cioè proprio “di comunione”. Scegliendo la continenza per il Regno dei cieli, l’uomo ha la consapevolezza di potere, in tal modo, realizzare se stesso “diversamente” e, in certo senso, “di più” che non nel matrimonio, divenendo “dono sincero per gli altri” (Gaudium et Spes GS 24).

3. Mediante le parole riportate in Matteo,(Mt 19,11-12) Cristo fa comprendere in modo chiaro che quell’“andare” verso la continenza per il Regno dei cieli è congiunto con una rinuncia volontaria al matrimonio, cioè allo stato in cui l’uomo e la donna (secondo il significato che il Creatore diede “in principio” alla loro unità) divengono dono reciproco attraverso la loro mascolinità e femminilità, anche mediante l’unione corporale. La continenza significa una rinuncia consapevole e volontaria a tale unione e a tutto ciò che ad essa è legato nell’ampia dimensione della vita e della convivenza umana. L’uomo che rinuncia al matrimonio rinuncia ugualmente alla generazione, come fondamento della comunità familiare composta dai genitori e dai figli. Le parole di Cristo, alle quali ci riferiamo, indicano senza dubbio tutta questa sfera di rinuncia, sebbene non si soffermino sui particolari. E il modo in cui queste parole sono state pronunciate consente di supporre che Cristo comprenda l’importanza di tale rinuncia e che la comprenda non soltanto rispetto alle opinioni su tale tema vigenti nella società israelitica di allora. Egli comprende l’importanza di questa rinuncia anche in rapporto al bene, che il matrimonio e la famiglia costituiscono in se stessi a motivo dell’istituzione divina. Perciò, mediante il modo di pronunciare le rispettive parole, fa comprendere che quell’uscita dal cerchio del bene, alla quale egli stesso chiama “per il Regno dei cieli”, è connessa con un certo sacrificio di se stessi. Quella uscita diventa anche l’inizio di successive rinunce e di volontari sacrifici di sé che sono indispensabili, se la prima e fondamentale scelta deve essere coerente nella dimensione di tutta la vita terrena; e solo grazie a tale coerenza, quella scelta è interiormente ragionevole e non contraddittoria.

4. In tal modo, nella chiamata alla continenza così come è stata pronunciata da Cristo - concisamente e al tempo stesso con una grande precisione - si delineano il profilo e insieme il dinamismo del mistero della Redenzione, come è stato già detto in precedenza. È lo stesso profilo sotto cui Gesù, nel discorso della Montagna, ha pronunciato le parole circa la necessità di vigilare sulla concupiscenza del corpo, sul desiderio che inizia dal “guardare” e diventa già in quel momento “adulterio nel cuore”. Dietro le parole di Matteo sia nel capitolo 19 (cfr Mt 19,11-12) che nel capitolo 5 (cfr Mt 5,27-28), si trova la stessa antropologia e lo stesso ethos. Nell’invito alla continenza volontaria per il Regno dei cieli, le prospettive di questo ethos vengono ampliate: nell’orizzonte delle parole del discorso della Montagna si trova l’antropologia dell’uomo “storico”; nell’orizzonte delle parole sulla continenza volontaria, rimane essenzialmente la stessa antropologia, ma irradiata dalla prospettiva del “Regno dei cieli”, ossia, ad un tempo, dalla futura antropologia della risurrezione. Nondimeno, sulle vie di questa continenza volontaria nella vita terrena, l’antropologia della risurrezione non sostituisce l’antropologia dell’uomo “storico”. Ed è proprio quest’uomo, in ogni caso quest’uomo “storico”, nel quale permane ad un tempo l’eredità della triplice concupiscenza, l’eredità del peccato ed insieme l’eredità della redenzione, a prendere la decisione circa la continenza “per il Regno dei cieli”: questa decisione egli deve attuare, sottomettendo la peccaminosità della propria umanità alle forze che scaturiscono dal mistero della redenzione del corpo. Deve farlo come ogni altro uomo, che non prenda una simile decisione e la cui via rimanga il matrimonio. Diverso è soltanto il genere di responsabilità per il bene scelto, come diverso è il genere stesso del bene scelto.

5. Nel suo enunciato, Cristo pone forse in rilievo la superiorità della continenza per il Regno dei cieli sul matrimonio? Certamente egli dice che questa è una vocazione “eccezionale”, non “ordinaria”. Afferma, inoltre, che essa è particolarmente importante, e necessaria per il Regno dei cieli. Se intendiamo la superiorità sul matrimonio in questo senso, dobbiamo ammettere che Cristo l’addita implicitamente; tuttavia non la esprime in modo diretto. Solo Paolo dirà di coloro che scelgono il matrimonio che fanno “bene”, e, di quanti sono disponibili a vivere nella continenza volontaria, dirà che fanno “meglio” (cfr 1Co 7,38).

6. Tale è anche l’opinione di tutta la Tradizione, sia dottrinale che pastorale. Quella “superiorità” della continenza sul matrimonio non significa mai, nell’autentica Tradizione della Chiesa, una svalutazione del matrimonio o una menomazione del suo valore essenziale. Non significa nemmeno uno slittamento, sia pure implicito, sulle posizioni manichee, oppure un sostegno a modi di valutare o di operare che si fondano sull’intendimento manicheo del corpo e del sesso, del matrimonio e della generazione. La superiorità evangelica e autenticamente cristiana della verginità, della continenza, è conseguentemente dettata dal motivo del Regno dei cieli. Nelle parole di Cristo, riportate da Matteo (cfr Mt 19,11-12), troviamo una solida base per ammettere soltanto tale superiorità; invece non vi troviamo alcuna base per qualsiasi deprezzamento del matrimonio, che pur sarebbe potuto essere presente nel riconoscimento di quella superiorità. Su questo problema torneremo nella nostra prossima riflessione.

Ai fedeli di lingua francese



Ai fedeli di espressione inglese

Dear brothers and sisters,

Ai pellegrini di lingua tedesca


Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese


Ai gruppi italiani.

Saluto un gruppo di giovani Gesuiti, i quali, al termine dei loro studi a Roma, hanno ricevuto in questi giorni l’Ordinazione al Diaconato e si apprestano ora a tornare ai loro rispettivi paesi di origine, in attesa di diventare sacerdoti.

Carissimi Diaconi, vi esprimo le mie felicitazioni per il significativo traguardo raggiunto e vi auguro che il vostro servizio ecclesiale sia ricco di consolazioni e di frutti spirituali, per la maggiore gloria di Dio.

Mediante il vostro ministero e il vostro esempio si conservi e si ravvivi la fede nelle comunità cristiane; amate e difendete i poveri, e soprattutto sappiate trovare nella santa Eucaristia, di cui siete diventati ministri, la pienezza della vostra vita spirituale e la fecondità del vostro Ministero diaconale.

Vi accompagni sempre in questo vostro impegno la mia particolare benedizione.
* * *


Saluto i giovani, che vedo così numerosi e festanti in questa Udienza che precede la Pasqua.

Carissimi, siamo nella Settimana Santa: vivete in pienezza questi giorni la Passione, la Morte e la Risurrezione del Signore Gesù, perché soltanto se saprete morire al peccato col Cristo, esperimenterete la profonda gioia di risorgere al mattino di Pasqua col Cristo Risorto, e godere di una gioia che non ha confine.
* * *



Un particolare pensiero in questa speciale Settimana va naturalmente ai malati e ai sofferenti. La figura di Gesù appassionato, che viene ricordata in tutte le Chiese del mondo vi infonda coraggio e fiducia nelle vostre prove, ben sapendo che, come egli è passato dal dolore alla gloria, così anche voi, se sarete uniti a lui, riceverete il premio della beatitudine e della consolazione. Vi sia di sostegno la mia speciale benedizione apostolica.


La preghiera alla Madonna di Jasna Góra


Questo il testo della preghiera in una traduzione italiana


Cari connazionali.

Vivo in unione con voi, e in unione con tutta la Chiesa la Settimana Santa.

Ho sempre presente di aver imparato a vivere profondamente questi santi giorni proprio in terra polacca - nel raggio del clima dei cuori che là accompagna il Triduo Sacro della Passione e della Risurrezione di Cristo.

La Madre di Jasna Góra che vediamo nella nostra immagine col Bambino sulle braccia è contemporaneamente Madre Addolorata che sta ai piedi della Croce: “Stabat Mater”.

In questi giorni ancora una volta rileggo le parole dei Pastori della Chiesa in Polonia:

“I Vescovi sono profondamente convinti che non è possibile costruire l’edificio dell’intesa sociale nel nostro Paese senza il fondamento dell’amore evangelico, che esige la generosa riconciliazione e il perdono. A quest’amore che perdona ci chiama lo stesso Cristo, la cui passione e morte meditiamo in questo tempo della Quaresima. Come la morte di Gesù sulla Croce non è una sconfitta, ma una vittoria, così il nostro amore non è un segno di debolezza, ma della forza spirituale che costruisce il nostro futuro”.

Madre di Jasna Góra che stai ai piedi della Croce, che ci insegnavi la forza spirituale in mezzo alle “debolezze” storiche - manifesta a noi anche adesso che cosa è la vera forza che sgorga dall’amore. Dona a noi di testimoniarla nel momento nuovamente difficile della nostra storia.




Catechesi 79-2005 24382