Catechesi 79-2005 30682

Mercoledì, 30 giugno 1982

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1. San Paolo, spiegando nel capitolo settimo della sua prima lettera ai Corinzi la questione dal matrimonio e della verginità (ossia della continenza per il Regno di Dio), cerca di motivare la causa per cui chi sceglie il matrimonio fa “bene” e chi, invece, si decide ad una vita nella continenza, ossia nella verginità, fa “meglio”. Scrive infatti così: “Questo vi dico fratelli: il tempo ormai si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero . . .”; e poi: “quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo! Io vorrei vedervi senza preoccupazioni . . .” (
1Co 7,29 1Co 7,30-32).

2. Le ultime parole del testo citato dimostrano che Paolo si riferisce nella sua argomentazione anche alla propria esperienza, per cui la sua argomentazione diventa più personale. Non solo formula il principio e cerca di motivarlo come tale, ma si allaccia alle riflessioni e alle convinzioni personali, nate dalla pratica del consiglio evangelico del celibato. Della loro forza persuasiva testimoniano le singole espressioni e locuzioni. L’Apostolo non soltanto scrive ai suoi Corinzi: “Vorrei che tutti fossero come me” (1Co 7,7), ma va oltre, quando, in riferimento agli uomini che contraggono il matrimonio, scrive: “Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella carne, e io vorrei risparmiarvele” (1Co 7,28). Del resto questa sua convinzione personale era già espressa nelle prime parole del capitolo settimo della stessa lettera, riferendo, sia pure per modificarla, questa opinione dei Corinzi: “Quanto poi alle cose che mi avete scritto, è cosa buona per l’uomo non toccare donna . . .” (1Co 7,1).


3. Ci si può porre la domanda: quali “tribolazioni nella carne” Paolo aveva in mente? Cristo parlava solo delle sofferenze (ovvero “afflizioni”), che prova la donna quando deve dare “alla luce il bambino”, sottolineando tuttavia la gioia (cfr Jn 16,21) di cui ella si allieta come compenso di queste sofferenze, dopo la nascita del figlio: la gioia della maternità. Paolo, invece, scrive delle “tribolazioni del corpo”, che attendono i coniugi. Sarà questa l’espressione di una avversione personale dell’Apostolo nei riguardi del matrimonio? In questa osservazione realistica bisogna vedere un giusto avvertimento per coloro che - come a volte i giovani - ritengono che l’unione e la convivenza coniugale debbono apportare loro soltanto felicità e gioia. L’esperienza della vita dimostra che i coniugi rimangono non di rado delusi in ciò che maggiormente si aspettavano. La gioia dell’unione porta con sé anche quelle “tribolazioni nella carne”, di cui scrive l’Apostolo nella lettera ai Corinzi. Queste sono spesso “tribolazioni” di natura morale. Se egli intende dire con questo che il vero amore coniugale - proprio quello in virtù del quale “l’uomo . . . si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne” (Gn 2,24) - è anche un amore difficile, certo rimane sul terreno della verità evangelica e non vi è alcuna ragione per scorgervi sintomi dell’atteggiamento che, più tardi, doveva caratterizzare il manicheismo.

4. Cristo, nelle sue parole circa la continenza per il Regno di Dio, non cerca in alcun modo di avviare gli ascoltatori al celibato o alla verginità, indicando loro “le tribolazioni” del matrimonio. Piuttosto si percepisce che egli cerca di mettere in rilievo diversi aspetti, umanamente penosi, del decidersi alla continenza: sia la ragione sociale, sia le ragioni di natura soggettiva, inducono Cristo a dire dell’uomo che prende una tale decisione, che egli si fa “eunuco”, cioè volontariamente abbraccia la continenza. Ma proprio grazie a ciò, balza molto chiaramente tutto il significato soggettivo, la grandezza e l’eccezionalità di una tale decisione: il significato di una risposta matura a un particolare dono dello Spirito.

5. Non diversamente intende il consiglio di continenza san Paolo nella lettera ai Corinzi, ma egli lo esprime in modo diverso. Infatti scrive: “Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve . . .” (1Co 7,29), e poco più avanti: “Passa la scena di questo mondo . . .” (1Co 7,31). Questa constatazione circa la caducità dell’esistenza umana e la transitorietà del mondo temporale, in un certo senso circa l’accidentalità di tutto ciò che è creato, deve far sì che “quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero” (1Co 7,29 cfr 1Co 7,31), e insieme preparare il terreno per l’insegnamento sulla continenza. Nel centro del suo ragionamento, infatti, Paolo mette la frase-chiave che può essere unita all’enunziato di Cristo, unico nel suo genere, sul tema della continenza per il Regno di Dio (cfr Mt 19,12).

6. Mentre Cristo mette in rilievo la grandezza della rinuncia, inseparabile da una tale decisione, Paolo dimostra soprattutto come bisogna intendere il “Regno di Dio”, nella vita dell’uomo, il quale ha rinunciato al matrimonio in vista di esso. E mentre il triplice parallelismo dell’enunziato di Cristo raggiunge il punto culminante nel verbo che significa la grandezza della rinuncia assunta volontariamente (“e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il Regno dei cieli”) (Mt 19,12), Paolo definisce la situazione con una sola parola: “Chi non è sposato” (àgamos); più avanti invece rende tutto il contenuto dell’espressione “Regno dei cieli” in una splendida sintesi. Dice, infatti: “Chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore, come possa piacere al Signore” (1Co 7,32). Ogni parola di questo enunziato merita una speciale analisi.

7. Il contesto del verbo “preoccuparsi” o “cercare” nel Vangelo di Luca, discepolo di Paolo, indica che veramente bisogna cercare soltanto il Regno di Dio (cfr Lc 12,31), ciò che costituisce “la parte migliore”, l’“unum necessarium” (cfr Lc 10,41). E Paolo stesso parla direttamente della sua “preoccupazione per tutte le Chiese” (2Co 11,28), della ricerca di Cristo mediante la sollecitudine per i problemi dei fratelli, per i membri del Corpo di Cristo (cfr Ph 2,20-21 1Co 12,25). Già da questo contesto emerge tutto il vasto campo della “preoccupazione”, alla quale l’uomo non sposato può dedicare totalmente il suo pensiero, la sua fatica e il suo cuore. L’uomo, infatti, può “preoccuparsi” soltanto di ciò che veramente gli sta a cuore.

8. Nell’enunziato di Paolo, chi non è sposato si preoccupa delle cose del Signore (tà toû kyrìou). Con questa concisa espressione Paolo abbraccia l’intera oggettiva realtà del Regno di Dio.

“Del Signore è la terra e tutto ciò che essa contiene”, dirà egli stesso poco più avanti in questa lettera (1Co 10,26 cfr Ps 23 [24], Ps 1).

L’oggetto della sollecitudine del cristiano è tutto il mondo! Ma Paolo con il nome di “Signore” qualifica prima di tutto Gesù Cristo (cfr ex. gr. , Ph 2,11), e perciò “le cose del Signore” significano in primo luogo “il Regno di Cristo”, il suo Corpo che è la Chiesa (cfr Col 1,18) e tutto ciò che contribuisce alla sua crescita. Di tutto ciò si preoccupa l’uomo non sposato e perciò Paolo, essendo nel pieno senso della parola “apostolo di Gesù Cristo” (1Co 1,1) e ministro del Vangelo (cfr Col 1,23), scrive ai Corinzi: “Vorrei che tutti fossero come me” (1Co 7,7).

9. Tuttavia, lo zelo apostolico e l’attività più fruttuosa non esauriscono ancora ciò che si contiene nella motivazione paolina della continenza. Si potrebbe perfino dire che la loro radice e sorgente si trova nella seconda parte della frase, che dimostra la realtà soggettiva del Regno di Dio: “Chi non è sposato si preoccupa . . ., come possa piacere al Signore”. Questa constatazione abbraccia tutto il campo della relazione personale dell’uomo con Dio. “Piacere a Dio” - l’espressione si trova in antichi libri della Bibbia (cf. ex gr. , Dt 13,19) - è sinonimo di vita nella grazia di Dio, ed esprime l’atteggiamento di colui che cerca Dio, ossia di chi si comporta secondo la sua volontà, così da essergli gradito. In uno degli ultimi libri della Sacra Scrittura questa espressione diventa una sintesi teologica della santità. San Giovanni l’applica una sola volta a Cristo: “Io faccio sempre le cose che gli (al Padre) sono gradite” (Jn 8,29). San Paolo osserva nella lettera ai Romani che Cristo “non cercò di piacere a se stesso” (Rm 15,3).

Tra queste due constatazioni si racchiude tutto ciò che costituisce il contenuto del “piacere a Dio”, inteso nel Nuovo Testamento come il seguire le orme di Cristo.

10. Sembra che ambedue le parti dell’espressione paolina si sovrappongano: infatti, preoccuparsi di ciò che “appartiene al Signore”, delle “cose del Signore”, deve “piacere al Signore”. D’altra parte, colui che piace a Dio non può rinchiudersi in se stesso, ma si apre al mondo, a tutto ciò che è da ricondurre a Cristo. Questi sono, evidentemente, solo due aspetti della stessa realtà di Dio e del suo Regno. Paolo, tuttavia, doveva distinguerli, per dimostrare più chiaramente la natura e la possibilità della continenza “per il Regno dei cieli”.


Cercheremo di ritornare ancora su questo tema.

Ai pellegrini di lingua francese

Ai fedeli di lingua inglese



Ai pellegrini tedeschi

Ai fedeli di espressione spagnola



Ai pellegrini di lingua portoghese

Ai fedeli polacchi


Ed ecco il testo del discorso polacco del Papa in una nostra traduzione italiana.

Cari connazionali!


All’indomani della solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo desidero - nella spirituale presenza della Madre di Jasna Góra - ripetere le parole: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna” (Jn 6,68). Simon Pietro pronunciò queste parole quando molti lasciavano Cristo, non potendo capire l’annunzio dell’istituzione dell’Eucaristia (cfr Jn 6,22-71).

Le stesse parole ripeteva spesso, parlando a noi, il defunto Primate di Polonia, Cardinale Stefano Wyszynski.

Le ripeto anch’io in questo giorno, tenendo presente la festa degli Apostoli di ieri ed anche tenendo presente il millenario legame della nostra Patria con la Sede di san Pietro, col suo patrimonio spirituale.

“Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”!

Queste parole sono state pronunziate in un momento critico.

In simili momenti l’uomo spesso vede meglio ciò che è definitivo ed inattaccabile: ciò su cui, unicamente, si può e si deve costruire la temporaneità.

In queste parole si racchiude il definitivo fondamento della nostra identità: siamo quelli che siamo, grazie alle parole di vita eterna; in definitiva esse decidono di noi: di ciascuno di noi - e della nostra comunità.

Tra le prove del nostro tempo vogliamo essere sempre più fedeli alle parole di vita eterna.

E perciò: Ti ringraziamo, Signora di Jasna Góra, per il millenario patrimonio di san Pietro nella nostra terra!

Ai fedeli italiani

Saluto i partecipanti al Convegno Nazionale della FIAS: Federazione Italiana Assistenza ai Sacerdoti. Il tema da loro trattato in questi giorni è assai impegnativo per tutti: “Il Popolo di Dio per i suoi Sacerdoti”; tutta la Comunità ecclesiale è invitata a prendere maggiore coscienza dei problemi dell’assistenza familiare e pastorale dei sacerdoti soli, anziani e malati. Il Signore ricompenserà certo largamente chiunque si dedica a questo settore. Ed io sono lieto di benedirvi.
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Un cordiale saluto rivolgo ai Membri del Distretto 207 del “Rotary International” dell’Emilia-Romagna e della Toscana, i quali hanno realizzato, con le loro generose offerte, una “clinica mobile”, destinata ai campi profughi che si trovano al confine fra la Thailandia e la Cambogia, e data ai Padri Camilliani Italiani, che svolgono il loro apostolato missionario tra quelle popolazioni. Desidero esprimervi, carissimi, il mio sincero compiacimento per la vostra umana e cristiana solidarietà nei confronti dei fratelli sofferenti, dando una risposta concreta ai miei continui e pressanti appelli, perché sia dato il necessario, tempestivo aiuto ai profughi.
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Rivolgo un particolare saluto al pellegrinaggio della diocesi di Casale Monferrato, guidato dal Vescovo Monsignor Carlo Cavalla. Cari fratelli e sorelle, so che voi rappresentate qui una Comunità diocesana impegnata nella preparazione del suo 25° Sinodo, che è stato indetto col motto: “Camminare insieme per rispondere alla chiamata di Dio”. Mi compiaccio vivamente per l’iniziativa e per il tema scelto. Soprattutto vi assicuro il mio ricordo al Signore, affinché il vostro impegno sia continuamente illuminato e corroborato dalla grazia di Cristo e dia frutti abbondanti e saporosi per una vita cristiana ed ecclesiale sempre più luminosa.

Intendo soprattutto salutare, tra voi, il gruppo di ragazzi handicappati, che fruiscono della vostra amorevole assistenza e ai quali mi sento spiritualmente molto vicino. In pari tempo saluto tutti gli ammalati, assicurandoli del mio affetto ed invitandoli ad attingere dalla Croce di Cristo forza e conforto.

Tutti vi benedico di gran cuore.
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Saluto poi i partecipanti al pellegrinaggio della parrocchia della Madonna della Pace di Menaré, in diocesi di Vittorio Veneto, auspicando che la visita a Roma vi porti ad essere, come raccomandava san Pietro, “forti nella fede”.
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Il mio saluto va ora ai giovani ai quali desidero ricordare le figure dei santi Pietro e Paolo, che ieri abbiamo festeggiato. Il loro amore a Cristo testimoniato fino al martirio, la loro fede ardente e l’entusiasmo con cui hanno annunciato il messaggio evangelico, rafforzi la vostra fede, sostenga la vostra volontà e vi aiuti ad essere autentici cristiani, sempre e, pertanto, anche nel periodo delle vacanze che stanno per incominciare per molti di voi.
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Anche agli Sposi novelli, venuti da tante parti in pellegrinaggio a Roma, giunga il mio cordiale saluto, insieme alla mia parola esortatrice, che ripete ciò che san Pietro e san Paolo già scrivevano ai primi cristiani: “Crescete nella grazia e nella conoscenza del Signore nostro Gesù Cristo” (2P 3,18); “Il Signore della pace vi dia egli stesso la pace, sempre ed in ogni modo” (2Th 3,16).





Mercoledì, 7 luglio 1982

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1. Durante l’incontro di mercoledì scorso, abbiamo cercato di approfondire l’argomentazione, di cui si serve san Paolo nella prima lettera ai Corinzi per convincere i suoi destinatari che colui che sceglie il matrimonio fa “bene” e chi invece sceglie la verginità (ossia la continenza secondo lo spirito del consiglio evangelico) fa “meglio” (
1Co 7,38). Continuando oggi questa meditazione, ricordiamo che secondo san Paolo “chi non è sposato si preoccupa . . . come possa piacere al Signore” (1Co 7,32).

Il “piacere al Signore” ha, come sfondo, l’amore. Questo sfondo emerge da un ulteriore confronto: chi non è sposato si preoccupa di come piacere a Dio, mentre l’uomo sposato deve preoccuparsi anche di come accontentare la moglie. Qui appare, in un certo senso, il carattere sponsale della “continenza per il regno di Dio”. L’uomo cerca sempre di piacere alla persona amata. Il “piacere a Dio” non è quindi privo di questo carattere, che distingue la relazione interpersonale degli sposi. Da una parte, esso è uno sforzo dell’uomo che tende a Dio e cerca il modo di piacergli, cioè di esprimere attivamente l’amore; d’altra parte, a quest’aspirazione corrisponde un gradimento di Dio che, accettando gli sforzi dell’uomo, corona la propria opera col dare una nuova grazia: sin dall’inizio, infatti, quest’aspirazione è stata suo dono. Il “preoccuparsi (di) come piacere a Dio” è quindi un contributo dell’uomo al continuo dialogo della salvezza, iniziato da Dio. Evidentemente ad esso prende parte ogni cristiano che vive di fede.

2. Paolo osserva, tuttavia, che l’uomo legato col vincolo matrimoniale “si trova diviso” (1Co 7,34) a causa dei suoi doveri familiari (cfr 1Co 7,34). Da questa constatazione sembra quindi risultare che la persona non sposata dovrebbe essere caratterizzata da una integrazione interiore, da una unificazione, che gli permetterebbero di dedicarsi completamente al servizio del Regno di Dio in tutte le sue dimensioni. Tale atteggiamento presuppone l’astensione dal matrimonio, esclusivamente “per il Regno di Dio”, e una vita indirizzata unicamente a questo scopo. Diversamente, “la divisione” può furtivamente entrare anche nella vita di un non sposato, il quale, essendo privo da una parte della vita matrimoniale e dall’altra di un chiaro scopo per cui dovrebbe rinunciare ad essa, potrebbe trovarsi davanti a un certo vuoto.

3. L’Apostolo sembra conoscere bene tutto ciò, e si premura di specificare che egli non vuole “gettare un laccio” a colui al quale consiglia di non sposarsi, ma lo fa per indirizzarlo a ciò che è degno e che lo tiene unito al Signore senza distrazioni (cfr 1Co 7,35). Queste parole fanno venire in mente ciò che Cristo durante l’Ultima Cena, secondo il Vangelo di Luca, dice agli Apostoli: “Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove (letteralmente, “nelle tentazioni”); e io preparo per voi un Regno, come il Padre l’ha preparato per me” (Lc 22,28-29). Chi non è sposato “essendo unito al Signore”, può essere certo che le sue difficoltà troveranno comprensione: “Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, escluso il peccato” (He 4,15). Ciò permette alla persona non sposata non tanto di immergersi esclusivamente negli eventuali problemi personali, quanto di includerli nella grande corrente delle sofferenze di Cristo e del suo Corpo che è la Chiesa.

4. L’Apostolo mostra in che modo si può “essere uniti al Signore”: ciò si può raggiungere aspirando a un costante permanere con lui, a un gioire della sua presenza (eupáredron), senza lasciarsi distrarre dalle cose non essenziali (aperispástos) (cfr 1Co 7,35).

Paolo precisa questo pensiero ancor più chiaramente, quando parla della situazione della donna sposata e di quella che ha scelto la verginità o non ha più il marito. Mentre la donna sposata deve preoccuparsi di “come possa piacere al marito”, quella non sposata “si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito” (1Co 7,34).

5. Per afferrare in modo adeguato tutta la profondità del pensiero di Paolo, bisogna osservare che la “santità”, secondo la concezione biblica, è piuttosto uno stato che un’azione; essa ha un carattere innanzitutto ontologico e poi anche morale. Specie nell’Antico Testamento, è una “separazione” da ciò che non è soggetto all’influenza di Dio, che è “profanum”, per appartenere esclusivamente a Dio. La “santità nel corpo e nello spirito”, quindi, significa anche la sacralità della verginità o del celibato, accettati per il “Regno di Dio”. E, contemporaneamente, ciò che è offerto a Dio deve distinguersi con la purezza morale e perciò presuppone un comportamento “senza macchia né ruga”, “santo e immacolato”, secondo il modello verginale della Chiesa che sta davanti a Cristo (Ep 5,27).

L’Apostolo in questo capitolo della lettera ai Corinzi, tocca i problemi del matrimonio e del celibato o della verginità in modo profondamente umano e realistico, rendendosi conto della mentalità dei suoi destinatari. L’argomentazione di Paolo è, in una certa misura, “ad hominem”. Il mondo nuovo, il nuovo ordine dei valori che egli annunzia, deve incontrarsi, nell’ambiente dei suoi destinatari di Corinto, con un altro “mondo” e con un altro ordine di valori, diverso anche da quello a cui erano giunte, per la prima volta, le parole pronunziate da Cristo.

6. Se Paolo, con la sua dottrina circa il matrimonio e la continenza, si riferisce anche alla caducità del mondo e della vita umana in esso, certamente lo fa in riferimento all’ambiente, che, in un certo senso, era orientato in modo programmatico all’“uso dal mondo”. Quanto significativo è, da questo punto di vista, il suo appello “a quelli che usano del mondo” perché lo facciano “come se non ne usassero appieno” (1Co 7,31). Dal contesto immediato risulta che pure il matrimonio, in quest’ambiente, era inteso come un modo di “usare il mondo” - diversamente da come lo era stato in tutta la tradizione israelitica (nonostante alcuni snaturamenti, che Gesù indicò nel colloquio con i Farisei, oppure nel Discorso della montagna). Indubbiamente, tutto ciò spiega lo stile della risposta di Paolo. L’Apostolo si rendeva ben conto che, incoraggiando all’astensione dal matrimonio, doveva al tempo stesso mettere in luce un modo di comprensione del matrimonio che fosse conforme con tutto l’ordine evangelico dei valori. E doveva farlo col massimo realismo, tenendo cioè davanti agli occhi l’ambiente al quale si rivolgeva, le idee e i modi di valutare le cose, in esso dominanti.


7. Agli uomini che vivevano in un ambiente, ove il matrimonio era considerato soprattutto come uno dei modi di “usare del mondo”, Paolo si pronunzia quindi con le significative parole sia circa la verginità o il celibato (come abbiamo visto), sia anche circa il matrimonio stesso: “Ai non sposati e alle vedove dico: è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere” (1Co 7,8-9). Quasi la stessa idea era stata espressa da Paolo già prima: “Quanto poi alle cose di cui mi avete scritto, è cosa buona per l’uomo non toccare la donna; tuttavia, per il pericolo dell’incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito” (1Co 7,1-2).

8. Forse che l’Apostolo, nella prima lettera ai Corinzi, guarda il matrimonio esclusivamente dal punto di vista di un “remedium concupiscentiae”, come si soleva dire nel tradizionale linguaggio teologico? Gli enunziati riportati poco sopra sembrerebbero testimoniarlo. Intanto, nell’immediata prossimità delle formulazioni riportate, leggiamo una frase che ci induce a vedere in modo diverso l’insieme dell’insegnamento di san Paolo, contenuto nel capitolo 7 della prima lettera ai Corinzi: “Vorrei che tutti fossero come me (egli ripete il suo argomento preferito a favore dell’astensione dal matrimonio); - ma ciascuno ha il proprio dono da Dio, chi in un modo, chi in un altro” (1Co 7,7). Quindi, anche coloro che scelgono il matrimonio e vivono in esso ricevono da Dio un “dono”, il “proprio dono”, cioè la grazia propria di tale scelta, di questo modo di vivere, di questo stato. Il dono ricevuto dalle persone che vivono nel matrimonio è diverso da quello ricevuto dalle persone che vivono nella verginità e scelgono la continenza per il Regno di Dio; nondimeno esso è un vero “dono da Dio”, dono “proprio”, destinato a persone concrete, e “specifico”, cioè adatto alla loro vocazione di vita.

9. Si può quindi dire che, mentre l’Apostolo, nella sua caratterizzazione del matrimonio da parte “umana” (e forse ancora più da parte della situazione locale che dominava a Corinto) mette fortemente in rilievo la motivazione “del riguardo alla concupiscenza della carne”, al tempo stesso egli rileva, con non minore forza di convinzione, anche il suo carattere sacramentale e “carismatico”. Con la stessa chiarezza, con la quale vede la situazione dell’uomo in rapporto alla concupiscenza della carne, egli vede anche l’azione della grazia in ogni uomo - in colui che vive nel matrimonio non meno che in colui il quale sceglie volontariamente la continenza - tenendo presente che “passa la scena di questo mondo”.

Ai pellegrini di espressione francese

Ai pellegrini di lingua inglese


Ai pellegrini di lingua tedesca



Ai fedeli di espressione spagnola

Ai fedeli di lingua portoghese



Ai giovani ucraini

Saluto gli studenti ucraini che sono venuti a Roma per i corsi estivi presso il Centro scientifico fondato qui a Roma dal Cardinale Josyf Slipyi, a noi tanto caro.

La vostra permanenza a Roma rafforzi la vostra fede in Cristo Signore; e san Giosafat, vostro conterraneo, le cui reliquie riposano qui in questa Basilica davanti alla quale noi ci troviamo, sia per voi esempio d’amore alla santa Chiesa.

Benedico di cuore tutti voi ed i vostri cari!

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli polacchi


Queste le parole del Papa in una nostra traduzione italiana.

“Maria, Regina della Polonia, sono vicino a te, mi ricordo di te! veglio!”.

Abbiamo imparato, nel periodo del Millennio del Battesimo, le parole di questo appello. L’appello di Jasna Góra parla da diverse parti della nostra patria a colei che è stata data “per la difesa” della nostra Nazione.

In questo appello si esprimono i cuori umani. Manifestano la loro prontezza a tutto ciò che è buono e nobile. Si crea una viva comunità intorno alla nostra Regina e Madre.

La Polonia è sempre stata un paese agricolo. In una certa misura non ha cessato di esserlo anche adesso.

Presso l’Immagine della Regina della Polonia (in particolare nell’anno del suo giubileo) vegliano gli uomini che lavorano la terra.

Desidero ora, in questo periodo della maturazione dei campi - e piano piano si avvicina il periodo della mietitura - unirmi dinanzi alla Signora di Jasna Góra proprio con loro:

con gli agricoltori,

con gli uomini della campagna polacca.

Prego la nostra Madre per “i buoni raccolti e la felice mietitura”.


Invoco la benedizione per questo lavoro, che “nutre e difende”.

Quanto dobbiamo ad esso! Maria, Regina della Polonia, sono vicino a te, mi ricordo di te, veglio insieme con coloro che custodiscono l’eredità della terra polacca, che vivono del suo buon raccolto: che “nutrono e difendono” il corpo e l’anima della Nazione.

Che possano e sappiano realizzare i loro compiti anche ai nostri giorni!

Ad un piccolo gruppo di sacerdoti novelli ungheresi

Tra i pellegrini di oggi c’è un piccolo gruppo di otto sacerdoti novelli, provenienti dall’Ungheria, dal Seminario di Eger i quali, ordinati sacerdoti nel mese di giugno scorso, desiderano esprimere al successore di Pietro la loro fedeltà ed implorare da lui la benedizione apostolica, per il loro futuro apostolato.

Diletti Figli, vi benedico di cuore e pongo la vostra attività pastorale sotto la protezione della santa Vergine, patrona dell’Ungheria.

Ai gruppi italiani

Rivolgo il mio saluto al folto pellegrinaggio regionale della Sicilia, guidato dal Vescovo Ausiliare di Catania.

Sono contento della vostra odierna presenza, che mi porta l’assicurazione dell’entusiasmo e della fede cristiana di tutta la nobile popolazione sicula. Da parte mia, vi assicuro la mia stima e il mio affetto, mentre sono lieto di augurarvi sempre maggiori traguardi di crescita civile ed ecclesiale. Portate questi miei sentimenti ai vostri conterranei insieme alla mia benedizione, che di cuore imparto a voi tutti.
* * *


Un particolare benvenuto va ai Padri Capitolari dei Canonici Regolari dell’Immacolata Concezione, che hanno recentemente eletto il loro nuovo Superiore Generale nella persona del reverendo Pierre Fouret. Su di lui e su tutti i membri di questa Famiglia religiosa invoco la pienezza delle grazie celesti per una sempre più luminosa testimonianza evangelica.


Saluto ora le numerose religiose presenti, fra le quali desidero menzionare le Suore Operaie della santa Casa di Nazaret, auspicando ogni bene per la loro Congregazione e per la loro attività.
* * *


Intendo anche salutare i numerosi gruppi folkloristici, rappresentanti di sei nazionalità e partecipanti al “IX Festival della Collina”, che si svolge a Latina. Essi sono espressione di fraternità internazionale e perciò meritano lode. Insieme a loro, saluto gli accompagnatori, gli interpreti e gli Organizzatori. A tutti sono lieto di augurare ogni bene nel Signore.
* * *


Desidero salutare tutti i giovani qui presenti, ed in particolare gli aderenti al “Movimento Gen”, i quali, profittando delle vacanze, sono convenuti da ogni parte d’Europa per uno dei loro Congressi annuali.

Carissimi, le vacanze, oltre ad essere un sollievo dalle fatiche del lavoro e dello studio, devono diventare per voi un’occasione propizia per consolidare le scelte dello spirito e il tempo favorevole per rinnovare i vostri impegni di costruttori di una gioventù nuova, con l’aiuto di Colui che “vuole che tutti siano una cosa sola”.
* * *


Saluto poi gli ammalati. Carissimi, sappiate che siete i prediletti del Padre, perché egli vi ha chiamati a riprodurre in modo del tutto particolare l’immagine del suo Figlio, che nella sofferenza ha salvato il mondo. Vi sono vicino con la preghiera e vi accompagno con la mia benedizione.
* * *


Infine rivolgo un pensiero augurale agli sposi novelli. Da poco avete domandato, nella fede al Signore, di accompagnarvi con la sua presenza efficace nel cammino della vita. Egli benedica il vostro amore, affinché sia sempre sincero, totale e fedele.

A tutti i presenti vada la mia benedizione.

Appello per il Libano


Fratelli e sorelle.

Desidero rivolgere anche oggi un invito a pregare per i nostri fratelli che soffrono nel Libano, e particolarmente nella capitale, Beirut.

Da più di tre settimane, alcuni quartieri di quella città sono stretti dalla morsa della guerra; centinaia di migliaia di persone sono a corto di viveri, di acqua, di medicinali e di ciò che è indispensabile per vivere; la capitale è sotto l’incubo degli scontri sanguinosi che potrebbero infuriare nelle sue strade, di casa in casa, se le trattative non giungessero a soluzione.

Purtroppo, dopo tante vittime, distruzioni e privazioni, non è stata ancora raggiunta un’intesa onorevole tra le parti in conflitto. Bisognerebbe affrettare i tempi del negoziato; ogni ora che passa è un nuovo peso e una nuova minaccia di ancor più dure sofferenze che gravano sulle popolazioni inermi.

Preghiamo per le vittime della guerra, per i loro parenti, per i profughi ed i senza tetto. Chiediamo a Dio di voler ispirare i responsabili di tutte le parti: che i Libanesi possano recuperare e consolidare l’unità e l’indipendenza del loro Paese e si concluda rapidamente un accordo che, salvaguardando l’incolumità sia dei civili che dei combattenti, venga incontro alle aspirazioni di giustizia per i Palestinesi, e di sicurezza e di pace per tutti i popoli interessati.



Mercoledì, 14 luglio 1982

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1. Durante le nostre precedenti considerazioni, analizzando il settimo capitolo della prima lettera ai Corinzi, abbiamo cercato di cogliere e di comprendere gli insegnamenti e i consigli, che san Paolo dà ai destinatari della sua Lettera sulle questioni riguardanti il matrimonio e la continenza volontaria (ossia l’astensione dal matrimonio). Affermando che chi sceglie il matrimonio “fa bene” e chi sceglie la verginità “fa meglio”, l’Apostolo fa riferimento alla caducità del mondo - ossia a tutto ciò che è temporale.

È facile intuire che il motivo della caducità e della labilità di ciò che è temporale, parla, in questo caso, con molta maggior forza che non il riferimento alla realtà dell’“altro mondo”. Benché l’Apostolo qui si esprima non senza difficoltà, possiamo, tuttavia, essere d’accordo che alla base dell’interpretazione paolina del tema “matrimonio-verginità” si trova non tanto la stessa metafisica dell’essere accidentale (quindi passeggero), quanto piuttosto la teologia di una grande attesa, di cui Paolo fu fervido propugnatore. Non il “mondo” è l’eterno destino dell’uomo, ma il Regno di Dio. L’uomo non può attaccarsi troppo ai beni che sono a misura del mondo perituro.

2. Pure il matrimonio è legato con la “scena di questo mondo”, che passa; e qui siamo, in un certo senso, molto vicini alla prospettiva aperta da Cristo nel suo enunziato circa la futura risurrezione (cfr
Mt 22,23-32 Mc 12,18-27 Lc 20,27-40). Perciò il cristiano, secondo l’insegnamento di Paolo, deve vivere il matrimonio dal punto di vista della sua vocazione definitiva. E mentre il matrimonio è legato con la scena di questo mondo che passa e perciò impone, in un certo senso, la necessità di “chiudersi” in questa caducità, l’astensione dal matrimonio, invece, si potrebbe dire libera da una tale necessità. Proprio per questo l’Apostolo dichiara che “fa meglio” colui che sceglie la continenza. Benché la sua argomentazione prosegua su tale strada, tuttavia si mette decisamente in primo piano (come già abbiamo costatato) soprattutto il problema di “piacere al Signore” e di “preoccuparsi delle cose del Signore”.

3. Si può ammettere che le stesse ragioni parlano in favore di ciò che l’Apostolo consiglia alle donne rimaste vedove: “La moglie è vincolata per tutto il tempo in cui vive il marito; ma se il marito muore è libera di sposare chi vuole, purché ciò avvenga nel Signore. Ma se rimane così, a mio parere, è meglio; credo infatti di avere anch’io lo Spirito di Dio” (1Co 7,39-40). Quindi: rimanga nella vedovanza piuttosto che contrarre un nuovo matrimonio.


4. Mediante ciò che scopriamo con una lettura perspicace della prima lettera ai Corinzi (specie del capitolo 7), si svela tutto il realismo della teologia paolina del corpo. Se l’Apostolo nella lettera proclama che “il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi” (1Co 6,19), al tempo stesso egli è pienamente consapevole della debolezza e della peccaminosità alle quali l’uomo soggiace, proprio a motivo della concupiscenza della carne.

Tuttavia, una tale coscienza non gli offusca in alcun modo la realtà del dono di Dio, che viene partecipato sia da coloro che si astengono dal matrimonio, sia da coloro che prendono moglie o marito. Nel capitolo 7 della prima lettera ai Corinzi troviamo un chiaro incoraggiamento all’astensione dal matrimonio, la convinzione che “fa meglio” colui che si decide per essa; ma non troviamo, tuttavia, alcun fondamento per considerare coloro che vivono nel matrimonio come “carnali”, e coloro invece che, per motivi religiosi, scelgono la continenza come “spirituali”. Infatti, nell’uno e nell’altro modo di vivere - diremmo oggi: nell’una e nell’altra vocazione - opera quel “dono” che ciascuno riceve da Dio, cioè la grazia, la quale fa sì che il corpo è “tempio dello Spirito Santo” e tale rimane, così nella verginità (nella continenza) come anche nel matrimonio, se l’uomo si mantiene fedele al proprio dono e, conformemente al suo stato, ossia alla sua vocazione, non “disonora” questo “tempio dello Spirito Santo”, che è il suo corpo.

5. Nell’insegnamento di Paolo, contenuto soprattutto nel capitolo 7 della prima lettera ai Corinzi, non troviamo nessuna premessa a ciò che più tardi sarà chiamato “manicheismo”. L’Apostolo è pienamente consapevole che - per quanto la continenza per il Regno di Dio rimanga sempre degna di raccomandazione - contemporaneamente la grazia, cioè “il proprio dono di Dio”, aiuta anche gli sposi in quella convivenza, nella quale (secondo le parole della “Genesi” 2, 24) essi sono così strettamente uniti da diventare “una sola carne”. Questa convivenza carnale è quindi sottoposta alla potenza del loro “proprio dono da Dio”. L’Apostolo ne scrive con lo stesso realismo, che caratterizza tutto il suo ragionamento nel capitolo 7 di questa lettera: “Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito. La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie” (1Co 3-4).

6. Si può dire che queste formulazioni sono un chiaro commento, da parte del Nuovo Testamento, alle parole appena ricordate del libro della Genesi (Gn 2,24). Tuttavia, le parole qui usate, in particolare le espressioni “dovere” e “non è arbitra (arbitro)”, non possono essere spiegate astraendo dalla giusta dimensione dell’alleanza matrimoniale, così come abbiamo cercato di chiarirlo facendo l’analisi dei testi del libro della Genesi; cercheremo di farlo ancor più pienamente, quando parleremo della sacramentalità del matrimonio in base alla lettera agli Efesini (cfr Ep 5,22-33). A suo tempo, occorrerà tornare ancora su queste espressioni significative, che dal vocabolario di san Paolo sono passate in tutta la teologia del matrimonio.

7. Per ora, continuiamo a rivolgere l’attenzione alle altre frasi dello stesso brano del capitolo 7 della prima lettera ai Corinzi, in cui l’Apostolo rivolge agli sposi le seguenti parole: “Non astenetevi tra voi se non di comune accordo e temporaneamente, per dedicarvi alla preghiera, e poi ritornate a stare insieme, perché satana non vi tenti nei momenti di passione. Questo però vi dico per concessione, non per comando” (1Co 7,5-6). È un testo molto significativo, a cui forse occorrerà fare ancora riferimento nel contesto delle meditazioni sugli altri temi.

È molto significativo il fatto che l’Apostolo, il quale, in tutta la sua argomentazione circa il matrimonio e la continenza, fa, come Cristo, una chiara distinzione tra il comandamento e il consiglio evangelico, senta il bisogno di riferirsi anche alla “concessione”, come ad una regola supplementare e ciò proprio soprattutto in riferimento ai coniugi e alla loro reciproca convivenza. San Paolo dice chiaramente che sia la convivenza coniugale, sia la volontaria e periodica astensione dei coniugi deve essere frutto di questo “dono di Dio” che è loro “proprio”, e che, cooperando consapevolmente con esso, gli stessi coniugi possono mantenere e rafforzare quel reciproco legame personale e insieme quella dignità che il fatto di essere “tempio dello Spirito Santo che è in loro” (cfr 1Co 6,19) conferisce al loro corpo.

8. Sembra che la regola paolina di “concessione” indichi il bisogno di prendere in considerazione tutto ciò che, in qualche modo, corrisponde alla soggettività tanto differenziata dell’uomo e della donna. Tutto ciò che, in questa soggettività, è di natura non soltanto spirituale ma anche psico-somatica, tutta la ricchezza soggettiva dell’uomo, la quale, tra il suo essere spirituale e quello corporale, si esprime nella sensibilità specifica sia per l’uomo che per la donna - tutto ciò deve rimanere sotto l’influsso del dono che ciascuno riceve da Dio, dono che è suo proprio.

Come si vede, san Paolo nel capitolo 7 della prima lettera ai Corinzi interpreta l’insegnamento di Cristo circa la continenza per il Regno dei cieli in quel modo, molto pastorale, che gli è proprio, non risparmiando in quest’occasione accenti del tutto personali. Egli interpreta l’insegnamento sulla continenza, sulla verginità, parallelamente alla dottrina sul matrimonio, conservando il realismo proprio di un pastore e, al tempo stesso, le proporzioni che troviamo nel Vangelo, nelle parole di Cristo stesso.

9. Nell’enunziato di Paolo si può ritrovare quella fondamentale struttura portante della dottrina rivelata sull’uomo, che anche con il suo corpo è destinato alla “vita futura”. Questa struttura portante sta alla base di tutto l’insegnamento evangelico sulla continenza per il Regno di Dio (cfr Mt 19,12) - ma contemporaneamente poggia su di essa anche il definitivo (escatologico) compimento della dottrina evangelica circa il matrimonio (cf. Mt 22,30 Mc 12,25 Lc 20,36). Queste due dimensioni della vocazione umana non si oppongono tra di loro, ma sono complementari. Tutte e due forniscono una piena risposta a una delle fondamentali domande dell’uomo: alla domanda circa il significato di “essere corpo”, cioè circa il significato della mascolinità e della femminilità, di essere “nel corpo” un uomo o una donna.

10. Ciò che qui di solito definiamo come teologia del corpo si dimostra come qualcosa di veramente fondamentale e costitutivo per tutta l’ermeneutica antropologica - e al tempo stesso ugualmente fondamentale per l’etica e per la teologia dell’ethos umano. In ciascuno di questi campi bisogna ascoltare attentamente non soltanto le parole di Cristo, in cui egli si richiama al “principio” (Mt 19,4) o al “cuore” come luogo interiore e contemporaneamente “storico” (cfr Mt 5,28) dell’incontro con la concupiscenza della carne - ma dobbiamo ascoltare attentamente anche le parole, mediante le quali Cristo si è richiamato alla risurrezione per innestare nello stesso irrequieto cuore dell’uomo i primi semi della risposta alla domanda circa il significato di essere “carne” nella prospettiva dell’“altro mondo”.

Ai pellegrini di lingua francese


Ai fedeli di lingua inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai fedeli di espressione spagnola

Ai pellegrini di lingua portoghese



Agli sloveni

Saluto cordialmente i pellegrini sloveni presenti tra noi, giunti a Roma in tre gruppi: uno dalla Jugoslavia, e cioè i fedeli della parrocchia di Braslovce (diocesi di Maribor) col loro parroco; gli altri due dalla diocesi di Gurk in Carinzia, e precisamente gli studenti del ginnasio sloveno di Klagenfurt e la gioventù cattolica di Zelezna Kapla (Eisenkappel).

Desidererei che tutti, col loro comportamento e con zelo apostolico testimoniassero il Cristo “via, verità e vita” e lo irradiassero ciascuno nel proprio ambiente.

Agli studenti raccomando particolarmente di utilizzare con cura il tempo, destinato alla formazione culturale e alla maturazione spirituale, perché l’assunzione delle responsabilità nella Chiesa e nella società - quando verrà il tempo - non li trovi impreparati.

Alla gioventù cattolica vorrei ripetere, che il Santo Padre vi vuole particolarmente bene e ha fiducia in voi, come vi vuole bene e ripone la sua fiducia in voi la santa Chiesa, conscia di quali ideali e di quali sacrifici è capace questa gioventù.


A tutti dal profondo del cuore imparto la benedizione apostolica, della quale siano partecipi anche i vostri cari a casa, specialmente i bambini e i malati.


Preghiera alla Madonna di Jasna Góra



Questa la traduzione italiana delle parole del santo Padre.

Signora di Jasna Góra!

Da sei secoli sei entrata nella nostra storia e ci aiuti a farla.

Fare la storia vuol dire lavorare di generazione in generazione in favore dell’identità della propria Nazione. Nella storia si manifestano la continuità e l’identità.

Nel seicentesimo anniversario vogliamo ringraziarti per il fatto che nel corso di tante generazioni sei stata presente nella nostra storia, aiutandoci a conservare la continuità e l’identità.

Ti ringraziamo in particolare per i periodi difficili che non sono mancati nel passato.

E la contemporaneità - ciò che si racchiude nei limiti della vita delle recenti generazioni dei polacchi - è marcata da una particolare fatica. Basta ricordare ancora una volta i sei milioni di vittime dell’ultima guerra: fronti, campi di concentramento, carceri. Tutto ciò per difendere i fondamentali diritti della Nazione - i diritti di ogni uomo.

Non lo può dimenticare nessuno. Non lo possono dimenticare gli altri: i lontani e i vicini.

Tu, Signora di Jasna Góra, ricordi a tutti che bisogna parlare della Polonia, mantenere il rispetto per la Nazione, che ha diritto a vivere la sua propria vita.

Tu, Signora di Jasna Góra, parli alla coscienza di tutti, rendi testimonianza dei diritti degli uomini e della Nazione, perché tu - come Madre - fai con noi la nostra storia da secoli.

Ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli

Rivolgo un saluto particolare ai giovani; e desidero in modo speciale menzionare gli Allievi Ufficiali della Scuola di Applicazione di Torino. Vi sono poi gli Alunni dei Seminari Minori di alcune Nazioni di Europa, ospiti in questi giorni del centro Mariapoli del Movimento dei Focolari. Vi ringrazio tutti per la vostra presenza, che è indice di fede e di cordiale affetto e, mentre vi auguro la pace e la letizia nel Signore, vi esorto ad amare e seguire sempre sinceramente la Verità.
* * *


La mia parola di conforto e di partecipazione va ora ai cari ammalati qui presenti, nel ricordo di san Camillo de Lellis, di cui oggi celebriamo la festa liturgica. Mentre vi esprimo il mio costante e profondo affetto nel Signore, vi esorto anche a rivolgere spesso e con fervore le vostre preghiere al santo degli infermi, che meditando su Gesù sofferente e Buon Samaritano, ha saputo dare una visione così luminosa e consolante del dolore nei disegni della Provvidenza.

Egli vi ottenga la pazienza ed il coraggio di vivere con amore e fiducia la vostra prova!
* * *


E vi accompagni sempre la mia benedizione! Infine, saluto ancora con gioia e con simpatia gli Sposi novelli, che sono venuti in pellegrinaggio qui a Roma, alla Sede di Pietro! Avete ricevuto il “grande sacramento” del Matrimonio, che realizza in modo concreto l’amore creatore di Dio! Siatene sempre degni per mezzo di una intensa vita spirituale e siate fieri di portare nella società moderna il vostro amore fedele, puro, fiducioso e sereno.

Il mondo ha bisogno soprattutto della vostra testimonianza!



Catechesi 79-2005 30682