Catechesi 79-2005 29982

Mercoledì, 29 settembre 1982

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1. Nella lettera agli Efesini (
Ep 5,22-33) - come nei profeti dell’Antico Testamento (ad esempio in Isaia) - troviamo la grande analogia del matrimonio o dell’amore sponsale tra Cristo e la Chiesa.

Quale funzione compie questa analogia nei riguardi del mistero rivelato nell’Antica e nella Nuova Alleanza? A questa domanda bisogna rispondere gradualmente. Prima di tutto, l’analogia dell’amore coniugale o sponsale aiuta a penetrare nell’essenza stessa del mistero. Aiuta a comprenderlo fino ad un certo punto, s’intende, in modo analogico. È ovvio che l’analogia dell’amore terrestre, umano, del marito verso la moglie, dell’umano amore sponsale, non può offrire una comprensione adeguata e completa di quella Realtà assolutamente trascendente, che è il mistero divino, sia nel suo celarsi da secoli in Dio, sia nella sua realizzazione “storica” nel tempo, quando “Cristo ha amato la Chiesa ed ha dato se stesso per lei” (Ep 5,25). Il mistero rimane trascendente riguardo a questa analogia come riguardo a qualunque altra analogia, con cui cerchiamo di esprimerlo in linguaggio umano. Contemporaneamente, tuttavia, tale analogia offre la possibilità di una certa “penetrazione” conoscitiva nell’essenza stessa del mistero.

2. L’analogia dell’amore sponsale ci consente di comprendere in certo modo il mistero che da secoli è nascosto in Dio, e che nel tempo viene realizzato da Cristo, come l’amore proprio di un totale e irrevocabile dono di sé da parte di Dio all’uomo in Cristo. Si tratta dell’“uomo” nella dimensione personale e insieme comunitaria (questa dimensione comunitaria viene espressa nel libro di nei profeti come “Israele”, nella lettera agli Efesini come “Chiesa”; si può dire: Popolo di Dio dell’Antica e della Nuova Alleanza). Aggiungiamo che in ambedue le concezioni, la dimensione comunitaria è posta, in certo senso, in primo piano, ma non tanto da velare totalmente la dimensione personale, che d’altronde appartiene semplicemente all’essenza stessa dell’amore sponsale. In ambedue i casi abbiamo piuttosto a che fare con una significativa “riduzione della comunità alla persona” (Non si tratta soltanto della personificazione della società umana, che costituisce un fenomeno abbastanza comune nella letteratura mondiale, ma di una “corporate personality” specifica della Bibbia, contrassegnata da un continuo reciproco rapporto dell’individuo con il gruppo [cf. H. Wheeler Robinson, The Hebrew Conception of Corporate Personality: BZAW 66 [1936] 49-62; cf. anche J. L. McKenzie, Aspects of Old Testament Thought, in “The Jerome Biblical Commentary”, vol. 2, London 1970, p. 748]): Israele e la Chiesa sono considerati come sposa-persona da parte dello sposo-persona (“Jahvè” e “Cristo”). Ogni “io” concreto deve ritrovare se stesso in quel biblico “noi”.

3. Così dunque l’analogia di cui trattiamo consente di comprendere, in un certo grado, il mistero rivelato del Dio vivo, che è Creatore e Redentore (e in quanto tale è, al tempo stesso, Dio dell’alleanza); ci consente di comprendere tale mistero al modo di un amore sponsale, così come consente di comprenderlo anche al modo di un amore “misericordioso” (secondo il testo del libro di Isaia), oppure al modo di un amore “paterno” (secondo la lettera agli Efesini, principalmente nel capitolo 1). I modi suddetti di comprendere il mistero sono anch’essi senz’altro analogici. L’analogia dell’amore sponsale contiene in sé una caratteristica del mistero, che non viene direttamente messa in risalto né dall’analogia dell’amore misericordioso né dall’analogia dell’amore paterno (o da qualunque altra analogia usata nella Bibbia, a cui avremmo potuto riferirci).

4. L’analogia dell’amore degli sposi (o amore sponsale) sembra porre in risalto soprattutto il momento del dono di se stesso da parte di Dio all’uomo, “da secoli” scelto in Cristo (letteralmente: ad “Israele”, alla “Chiesa”); dono totale (o piuttosto “radicale”) e irrevocabile nel suo carattere essenziale, ossia come dono. Questo dono è certamente “radicale” e perciò “totale”. Non si può parlare qui della “totalità” in senso metafisico. L’uomo, infatti, come creatura non è capace di “accogliere” il dono di Dio nella pienezza trascendentale della sua divinità. Un tale “dono totale” (non creato) viene soltanto partecipato da Dio stesso nella “trinitaria comunione delle Persone”. Invece, il dono di se stesso da parte di Dio all’uomo, di cui parla l’analogia dell’amore sponsale, può avere soltanto la forma della partecipazione alla natura divina (cfr 2P 1,4), come è stato chiarito con grande precisione dalla teologia. Nondimeno, secondo tale misura, il dono fatto all’uomo da parte di Dio in Cristo è un dono “totale” ossia “radicale”, come indica appunto l’analogia dell’amore sponsale: è, in certo senso, “tutto” ciò che Dio “ha potuto” dare di se stesso all’uomo, considerate le facoltà limitate dell’uomo-creatura. In tal modo, l’analogia dell’amore sponsale indica il carattere “radicale” della grazia: di tutto l’ordine della grazia creata.

5. Quanto sopra sembra che si possa dire in riferimento alla prima funzione della nostra grande analogia, che è passata dagli scritti dei profeti dell’Antico Testamento alla lettera agli Efesini, dove, come è stato già notato, ha subìto una significativa trasformazione. L’analogia del matrimonio, come realtà umana, in cui viene incarnato l’amore sponsale, aiuta in certo grado e in certo modo a comprendere il mistero della grazia come realtà eterna in Dio e come frutto “storico” della redenzione dell’umanità in Cristo. Tuttavia, abbiamo detto in precedenza che questa analogia biblica non solo “spiega” il mistero, ma che, d’altra parte, il mistero definisce e determina il modo adeguato di comprendere l’analogia, e precisamente questa sua componente, in cui gli autori biblici vedono “l’immagine e somiglianza” del mistero divino. Così, dunque, la comparazione del matrimonio (a motivo dell’amore sponsale) al rapporto di “Jahvè-Israele” nell’Antica Alleanza e di “Cristo-Chiesa” nella Nuova Alleanza decide in pari tempo circa il modo di comprendere il matrimonio stesso e determina questo modo.

6. Questa è la seconda funzione della nostra grande analogia. E, nella prospettiva di questa funzione, ci avviciniamo di fatto al problema “sacramento e mistero”, ossia, in senso generale e fondamentale, al problema della sacramentalità del matrimonio. Ciò pare particolarmente motivato alla luce dell’analisi della lettera agli Efesini (Ep 5,22-33). Presentando infatti il rapporto di Cristo con la Chiesa a immagine dell’unione sponsale del marito e della moglie, l’Autore di questa lettera parla nel modo più generale ed insieme fondamentale non solo del realizzarsi dell’eterno mistero divino, ma anche del modo in cui quel mistero si è espresso nell’ordine visibile, del modo in cui è divenuto visibile, e per questo è entrato nella sfera del Segno.

7. Con il termine “segno” intendiamo qui semplicemente la “visibilità dell’Invisibile”. Il mistero da secoli nascosto in Dio - ossia invisibile - è divenuto visibile prima di tutto nello stesso evento storico di Cristo. E il rapporto di Cristo con la Chiesa, che nella lettera agli Efesini viene definito “mysterium magnum”, costituisce l’adempimento e la concretizzazione della visibilità dello stesso mistero. Peraltro, il fatto che l’Autore della lettera agli Efesini paragoni l’indissolubile rapporto di Cristo con la Chiesa al rapporto tra il marito e la moglie, cioè al matrimonio - facendo al tempo stesso riferimento alle parole della Genesi (Gn 2,24), che con l’atto creatore di Dio istituiscono originariamente il matrimonio -, volge la nostra riflessione verso ciò che è stato presentato già in precedenza - nel contesto del mistero stesso della creazione - come “visibilità dell’Invisibile”, verso l’“origine” stessa della storia teologica dell’uomo.

Si può dire che il segno visibile del matrimonio “in principio”, in quanto collegato al segno visibile di Cristo e della Chiesa al vertice dell’economia salvifica di Dio, traspone l’eterno piano di amore nella dimensione “storica” e ne fa il fondamento di tutto l’ordine sacramentale. Un particolare merito dell’Autore della lettera agli Efesini sta nell’aver accostato questi due segni, facendone l’unico grande segno, cioè un grande sacramento (“sacramentum magnum”).

Ai fedeli di espressione francese


Ai fedeli di lingua inglese


Ai pellegrini di lingua tedesca


Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli di espressione portoghese

La preghiera alla Madonna di Jasna Góra



Ed ecco in una nostra traduzione italiana la preghiera del Santo Padre.

Signora di Jasna Góra!

Oggi la Chiesa venera nella sua liturgia i santi Arcangeli. Anche il 2 ottobre la Chiesa ricorderà gli Angeli Custodi.

Desidero pure oggi in modo particolare raccomandare ed affidare a te, o Madre, tutti i bambini nella mia Patria.

Mediante gli Angeli Custodi proteggili dal male. Aiutali a crescere nel bene. Nonostante le difficoltà che non mancano - e attraverso tutte le prove che passa la società - aiutali a crescere nel bene. Sia più forte il bene del male.

Raccomando a te, santissima Educatrice della mia Nazione, tutti coloro che sono responsabili per l’educazione:

- la famiglia,

- la scuola,

- la Chiesa.


Siano consapevoli le famiglie dei loro compiti educativi.

Rispetti la scuola le convinzioni dei genitori e il loro lavoro educativo, e collabori con esso.

Non cessi la Chiesa di annunziare la Buona Novella ai cuori dei bambini che così volentieri la accolgono. Non venga mai meno l’alleanza educativa tra la Chiesa e la famiglia.

Madre santissima! Ottima Educatrice! Prendi sotto la tua protezione i bambini polacchi nella famiglia, nella Chiesa e nella scuola, ovunque. Proteggili!

Ai fedeli italiani

Desidero salutare il gruppo degli Ufficiali Superiori dell’Aeronautica Militare, i quali celebrano il quarantesimo anno della loro nomina a “Ufficiale Pilota”, conseguita nell’Accademia Aeronautica di Caserta. Al Generale Umberto Bernardini, a tutti gli Ufficiali presenti ed ai loro familiari il mio sincero augurio di pace e di prosperità, avvalorato dalla mia benedizione apostolica.
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Un cordiale saluto anche alle maestranze del Gruppo Tessile IARPAC di Foligno ed al loro Presidente. Sulle vostre persone, sulle vostre famiglie e sul vostro lavoro invoco l’effusione delle grazie divine, di cui è pegno la mia benedizione apostolica.
* * *


Il mio pensiero e il mio saluto vanno poi a voi, Giovani, che portate in questo incontro una lieta ventata di entusiasmo e di gioia. In particolare, vorrei oggi salutare il gruppo di giovani cantanti e musicisti afro-americani i quali sono convenuti a Roma per una manifestazione, su invito dell’Associazione “Incontri culturali internazionali - rassegne internazionali di teatro”.

Carissimi, vi auguro che conserviate il vostro cuore sempre giovane per tutta la vostra vita, e che siate testimoni di solidarietà e di pace!
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Ed a voi, carissimi fratelli Ammalati, che condividete le sofferenze del Cristo Crocifisso, rivolgo la mia parola di incoraggiamento; vi affido l’impegno di offrire il vostro dolore e le vostre preghiere per la continua purificazione della Chiesa pellegrina sulla terra.
* * *


Anche a voi, novelli Sposi, che avete consacrato il vostro amore nel sacramento del Matrimonio, rivolgo l’augurio che la vostra nascente famiglia cristiana sia una autentica comunità di fede e di carità, nella quale regnino la fedeltà e la dedizione vicendevoli.

A voi tutti la mia particolare benedizione apostolica.
* * *


Desidero ora fare un breve riferimento all’odierna festività liturgica: oggi, infatti, la Chiesa commemora i tre santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele. Vi esorto a riflettere sulla figura e sulla funzione di questi singolari “principi della milizia celeste”, e a onorarli con la preghiera.

Ciascuno di noi deve educarsi a sentire i tre Arcangeli come amici e protettori presso Dio e invocarli spesso con fiducia. Essi ci danno conforto e luce richiamandoci al cielo ed a quei supremi misteri della fede, che al cielo stesso ci guidano.





Mercoledì, 6 ottobre 1982

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1. Proseguiamo l’analisi del classico testo del capitolo 5 della lettera agli Efesini, versetti (
Ep 22-23) A questo proposito occorre citare alcune frasi contenute in una delle precedenti analisi dedicate a questo tema: “L’uomo appare nel mondo visibile come la più alta espressione del dono divino, perché porta in sé l’interiore dimensione del dono. E con essa porta nel mondo la sua particolare somiglianza con Dio, con la quale egli trascende e domina anche la sua «visibilità» nel mondo, la sua corporeità, la sua mascolinità o femminilità, la sua nudità. Un riflesso di questa somiglianza è anche la consapevolezza primordiale del significato sponsale del corpo, pervasa dal mistero dell’innocenza originaria” (L’amore umano nel piano divino, Città del Vaticano 1980, p. 90). Queste frasi riassumono in poche parole il risultato delle analisi centrate sui primi capitoli del libro della Genesi, in rapporto alle parole con cui Cristo, nel suo colloquio con i Farisei sul tema del matrimonio e della sua indissolubilità, fece riferimento al “principio”. Altre frasi della medesima analisi pongono il problema del sacramento primordiale: “Così, in questa dimensione, si costituisce un primordiale sacramento, inteso quale segno che trasmette efficacemente nel mondo visibile il mistero invisibile nascosto in Dio dall’eternità. E questo è il mistero della Verità e dell’Amore, il mistero della vita divina, alla quale l’uomo partecipa realmente . . . È l’innocenza originaria che inizia questa partecipazione . . .” (Ep 22-23).

2. Bisogna rivedere il contenuto di queste affermazioni alla luce della dottrina paolina espressa nella lettera agli Efesini, avendo presente soprattutto il passo del capitolo (Ep 5,22-33), collocato nel contesto complessivo di tutta la lettera. Del resto, la lettera ci autorizza a far questo, perché l’Autore stesso nel capitolo 5, versetto 31,(CFR Ep 5,31) fa riferimento al “principio”, e precisamente alle parole dell’istituzione del matrimonio nel libro della Genesi (Gn 2,24).In che senso possiamo intravedere in queste parole un enunciato circa il sacramento, circa il sacramento primordiale? Le precedenti analisi del “principio” biblico ci hanno condotto gradualmente a questo, in considerazione dello stato dell’originaria gratificazione dell’uomo nell’esistenza e nella grazia, che fu lo stato di innocenza e di giustizia originarie. La lettera agli Efesini ci induce ad accostarci a tale situazione - ossia allo stato dell’uomo prima del peccato originale - dal punto di vista del mistero nascosto dall’eternità in Dio. Infatti leggiamo nelle prime frasi della lettera che “Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo / . . . ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. / In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, / per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità . . .” (Ep 1,3-4).


3. La lettera agli Efesini apre davanti a noi il mondo soprannaturale dell’eterno mistero, degli eterni disegni di Dio Padre nei riguardi dell’uomo. Questi disegni precedono la “creazione del mondo”, quindi anche la creazione dell’uomo. Al tempo stesso quei disegni divini cominciano a realizzarsi già in tutta la realtà della creazione. Se al mistero della creazione appartiene anche lo stato dell’innocenza originaria dell’uomo creato, come maschio e femmina, ad immagine di Dio, ciò significa che il dono primordiale, conferito all’uomo da parte di Dio, racchiudeva già in sé il frutto dell’elezione, di cui leggiamo nella lettera agli Efesini: “Ci ha scelti . . . per essere santi e immacolati al suo cospetto” (Ep 1,4). Ciò appunto sembrano rilevare le parole del libro della Genesi, quando il Creatore-Elohim trova nell’uomo - maschio e femmina - comparso “al suo cospetto”, un bene degno di compiacimento: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gn 1,31). Solo dopo il peccato, dopo la rottura dell’originaria alleanza con il Creatore, l’uomo sente il bisogno di nascondersi “dal Signore Dio”: “Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, poiché sono nudo, e mi sono nascosto” (Gn 3,10).

4. Invece, prima del peccato, l’uomo portava nella sua anima il frutto dell’eterna elezione in Cristo, Figlio eterno del Padre. Mediante la grazia di questa elezione l’uomo, maschio e femmina, era “santo e immacolato” al cospetto di Dio. Quella primordiale (o originaria) santità e purezza si esprimeva anche nel fatto che, sebbene entrambi fossero “nudi . . ., non provavano vergogna” (Gn 2,25), come già abbiamo cercato di mettere in evidenza nelle precedenti analisi. Confrontando la testimonianza del “principio”, riportata nei primi capitoli del libro della Genesi, con la testimonianza della lettera agli Efesini, occorre dedurre che la realtà della creazione dell’uomo era già permeata dalla perenne elezione dell’uomo in Cristo: chiamata alla santità attraverso la grazia di adozione a figli (“predestinandoci a essere suoi figli adottivi / per opera di Gesù Cristo, / secondo il beneplacito della sua volontà. / E questo a lode e gloria della sua grazia, / che ci ha dato nel suo Figlio diletto”) (Ep 1,5-6).

5. L’uomo, maschio e femmina, divenne fin dal “principio” partecipe di questo dono soprannaturale. Tale gratificazione è stata data in considerazione di Colui, che dall’eternità era “diletto” quale Figlio, sebbene - secondo le dimensioni del tempo e della storia - essa abbia preceduto l’incarnazione di questo “Figlio diletto” e anche la “redenzione” che abbiamo in lui “mediante il suo sangue” (Ep 1,7).

La redenzione doveva diventare la fonte della gratificazione soprannaturale dell’uomo dopo il peccato e, in certo senso, malgrado il peccato. Questa gratificazione soprannaturale, che ebbe luogo prima del peccato originale, cioè la grazia della giustizia e dell’innocenza originarie - gratificazione che fu frutto dell’elezione dell’uomo in Cristo prima dei secoli - si è compiuta appunto per riguardo a lui, a quell’unico Diletto, pur anticipando cronologicamente la sua venuta nel corpo. Nelle dimensioni del mistero della creazione, la elezione alla dignità della figliolanza adottiva fu propria soltanto del “primo Adamo”, cioè dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio, quale maschio e femmina.

6. In quale modo si verifica in questo contesto la realtà del sacramento, del sacramento primordiale? Nell’analisi del “principio”, di cui è stato citato poco fa un brano, abbiamo detto che “il sacramento, come segno visibile, si costituisce con l’uomo, in quanto «corpo», mediante la sua «visibile» mascolinità e femminilità. Il corpo, infatti, e soltanto esso, è capace di rendere visibile ciò che è invisibile: lo spirituale e il divino. Esso è stato creato per trasferire nella realtà visibile del mondo il mistero nascosto dall’eternità in Dio, e così esserne segno” (L’amore umano nel piano divino, Città del Vaticano 1980, p. 90).

Questo segno ha inoltre una sua efficacia, come ancora dicevo: “L’innocenza originaria collegata all’esperienza del significato sponsale del corpo” fa sì che “l’uomo si sente, nel suo corpo di maschio e di femmina, soggetto di santità” (Città del Vaticano 1980 p. 91). “Si sente” e lo è fin dal “principio”. Quella santità conferita originariamente all’uomo da parte del Creatore appartiene alla realtà del “sacramento della creazione”. Le parole della Genesi (Gn 2,24) “l’uomo . . . si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”, pronunciate sullo sfondo di questa realtà originaria in senso teologico, costituiscono il matrimonio quale parte integrante e, in certo senso, centrale del “sacramento della creazione”. Esse costituiscono - o forse piuttosto confermano semplicemente - il carattere della sua origine. Secondo queste parole, il matrimonio è sacramento in quanto parte integrale e, direi, punto centrale del “sacramento della creazione”. In questo senso è sacramento primordiale.

7. L’istituzione del matrimonio, secondo le parole della Genesi 2, 24, esprime non soltanto l’inizio della fondamentale comunità umana che, mediante la forza “procreatrice” che le è propria (“siate fecondi e moltiplicatevi”) (Gn 1,28), serve a continuare l’opera della creazione, ma essa nello stesso tempo esprime l’iniziativa salvifica del Creatore, corrispondente alla eterna elezione dell’uomo, di cui parla la lettera agli Efesini. Quella iniziativa salvifica proviene da Dio-Creatore e la sua efficacia soprannaturale s’identifica con l’atto stesso della creazione dell’uomo nello stato dell’innocenza originaria. In questo stato, già fin nell’atto della creazione dell’uomo, fruttificò la sua eterna elezione in Cristo. In tal modo occorre riconoscere che l’originario sacramento della creazione trae la sua efficacia dal “Figlio diletto” (cfr Ep 1,6, dove si parla della “grazia che ci ha dato nel suo Figlio diletto”). Se poi si tratta del matrimonio, si può dedurre che - istituito nel contesto del sacramento della creazione nella sua globalità, ossia nello stato dell’innocenza originaria - esso doveva servire non soltanto a prolungare l’opera della creazione, ossia della procreazione, ma anche ad espandere sulle ulteriori generazioni degli uomini lo stesso sacramento della creazione, cioè i frutti soprannaturali dell’eterna elezione dell’uomo da parte del Padre nell’eterno Figlio: quei frutti, di cui l’uomo è stato gratificato da Dio nell’atto stesso della creazione.

La lettera agli Efesini sembra autorizzarci ad intendere in tal modo il libro della Genesi e la verità sul “principio” dell’uomo e del matrimonio ivi contenuta.

Ai pellegrini di espressione tedesca

Ai fedeli di lingua francese


Ai fedeli di espressione inglese

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai fedeli di espressione portoghese


A due pellegrinaggi provenienti dalla Lettonia e dalla missione di Darmstadt, in Germania

Amati lettoni, con il cuore pieno di gioia vi saluto in Roma presso la tomba di san Pietro. Io prego per la Lettonia ogni giorno. Che la Regina della Terra Mariana protegga e custodisca voi, le vostre famiglie, il vostro popolo e la vostra Terra.

La benedizione apostolica, data con tutta la benevolenza paterna, accompagna questi miei voti.

Ai giovani di origine croata

Sia lodato Gesù e Maria!

Cari miei giovani Croati!

Saluto i Croati della missione di Darmstadt, Germania, vincitori quest’anno della Olimpiade d’istruzione religiosa. Lontani dalla patria, voi, con la vostra vittoria avete dato un bel contributo alla celebrazione dell’anno di san Francesco tra gli operai croati nella Germania Federale. La figura di san Francesco sia per voi modello della vostra vita, e la Bibbia una continua ispirazione per la vostra vita spirituale. A voi e a tutti i Croati sparsi nel mondo la mia apostolica benedizione.

Ai fedeli polacchi


Delle parole del Papa diamo qui di seguito la nostra traduzione italiana.

Cari miei Connazionali!

All’inizio del mese di ottobre mi inginocchio dinanzi alla Madre di Jasna Góra col Rosario in mano, e mi incontro con voi nel Rosario.

Diciamo le parole più semplici che mai vanno in prescrizione perché in esse vi è la stupenda profondità del “saluto angelico”. Il Creatore parla con il creato; il Padre Eterno con la Vergine Immacolata. Questo colloquio stabilisce la realtà del mistero dell’Immacolata - e nello stesso tempo decide della dignità che l’uomo ha: dinanzi a Dio eterno - e dinanzi a tutta la storia terrena.


Non molto tempo fa, il Cardinale Arcivescovo di Cracovia disse: “Desideriamo che ritorni il tempo del colloquio e non trascuriamo niente perché esso possa tornare; non trascuriamo nulla perché non vada perduto alcunché di quello che è grande e giusto, di quello che è nato nel corso dei due ultimi anni, e grazie al quale oggi ci sentiamo più che mai padroni di questa terra”.

Dobbiamo quindi, cari fratelli e sorelle, legarci fortemente con il Rosario perché non vada perduto in noi nulla.

Dobbiamo legarci molto alla preghiera perché l’uomo, ogni uomo, e insieme a lui l’intera Nazione, ottenga quella dignità che fiorisce in tutta la sua vita soprattutto mediante il colloquio con Dio.

Ci invita a ciò, in modo particolare, il “Milite dell’Immacolata” e Martire dell’Oswiecim che domenica prossima sarà elevato alla gloria degli altari nella Chiesa di Dio.

Ad alcuni gruppi italiani

Un cordiale saluto desidero rivolgere al gruppo di pellegrini dell’Agordino, terra natale del mio indimenticabile predecessore, Papa Giovanni Paolo I, i quali sono venuti a Roma per ricordare il loro caro e illustre conterraneo e per pregare sulla sua tomba.

A voi, carissimi fratelli, il mio vivo compiacimento per questo vostro delicato gesto e l’auspicio che conserviate sempre quella fede cristiana, limpida e forte, che è la grande eredità spirituale della vostra Regione.
* * *


Sono presenti a questa Udienza dei Missionari - sacerdoti, religiosi, religiose, laici - che si stanno preparando, nella preghiera e nella riflessione, a partire per l’Africa.

È con sincera emozione che vi rivolgo il mio affettuoso saluto, unito alla mia preghiera, perché le vostre fatiche e i vostri sacrifici per la diffusione del Vangelo siano accolti dal Signore e contribuiscano a far produrre frutti di grazia.
* * *



Il mio saluto si rivolge anche ai rappresentanti della Sezione di Pescara e dell’“Associazione Italiana contro le Leucemie”.

A voi ed ai vostri familiari presenti va il mio augurio perché possiate trascorrere una vita serena, confortata ed animata dalla fede in Gesù Cristo.

A tutti i menzionati gruppi la mia benedizione apostolica, che vuol confermare i miei voti augurali.
* * *


Il mio saluto vuole andare ora ai giovani qui presenti, e mi è suggerito dalla festa della Madonna del santo Rosario, che ricorre domani.

Vorrei chiedere: amate voi il Rosario, cari giovani? Esso è una devozione tanto cara a Maria, è una preghiera molto raccomandabile per crescere nella virtù e nella pratica della vita cristiana. Per questo, desidero esortarvi ad amarla ed a farne uso frequente, a nutrimento della vostra spiritualità.
* * *


E che dire del santo Rosario e del peculiare valore che esso ha per voi, cari ammalati? Quale dolce consolazione è questo intimo e filiale colloquio con Maria, nelle ore della solitudine, dell’angoscia, della desolazione! Vicino a Maria - voi lo sapete bene - ogni croce diventa leggera, e le stesse sofferenze diventano fonte di merito. Anche per voi, cari Sposi novelli, è necessaria e spiritualmente assai utile la protezione materna della Vergine, invocata sotto il titolo di Regina del santo Rosario. Anche a voi, pertanto, desidero rivolgere, col mio saluto, una parola di speciale esortazione a conferma dell’uso di questa pia pratica all’interno del focolare domestico, che avete da poco fondato. Darete così una dolce tonalità mariana al vostro amore di sposi cristiani.

Vi accompagni tutti la mia benedizione.



Mercoledì, 13 ottobre 1982

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1. Nella nostra precedente considerazione abbiamo cercato di approfondire - alla luce della lettera agli Efesini - il “principio” sacramentale dell’uomo e del matrimonio nello stato della giustizia (o innocenza) originaria.

È noto, tuttavia, che l’eredità della grazia è stata respinta dal cuore umano al momento della rottura della prima alleanza con il Creatore. La prospettiva della procreazione, invece di essere illuminata dall’eredità della grazia originaria, donata da Dio non appena infusa l’anima razionale, è stata offuscata dalla eredità del peccato originale. Si può dire che il matrimonio, come sacramento primordiale, è stato privato di quella efficacia soprannaturale, che, al momento della istituzione, attingeva al sacramento della creazione nella sua globalità. Nondimeno, anche in questo stato, cioè nello stato della peccaminosità ereditaria dell’uomo, il matrimonio non cessò mai di essere la figura di quel sacramento, di cui leggiamo nella lettera agli Efesini (
Ep 5,22-33) e che l’Autore della medesima lettera non esita a definire “grande mistero”. Non possiamo forse desumere che il matrimonio sia rimasto quale piattaforma dell’attuazione degli eterni disegni di Dio, secondo i quali il sacramento della creazione aveva avvicinato gli uomini e li aveva preparati al sacramento della Redenzione, introducendoli nella dimensione dell’opera della salvezza? L’analisi della lettera agli Efesini, e in particolare del “classico” testo del capo 5, versetti 22-33, sembra propendere per una tale conclusione.

2. Quando l’Autore, al versetto 31, fa riferimento alle parole dell’istituzione del matrimonio, contenute nella Genesi (Gn 2,24) “Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”), e subito dopo dichiara: “Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa” (Ep 5,32), sembra indicare non soltanto l’identità del Mistero nascosto in Dio dall’eternità, ma anche quella continuità della sua attuazione che esiste tra il sacramento primordiale connesso alla gratificazione soprannaturale dell’uomo nella creazione stessa e la nuova gratificazione - avvenuta quando “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa . . .” (Ep 5,25-26) - gratificazione che può essere definita nel suo insieme quale Sacramento della Redenzione. In questo dono redentore di se stesso “per” la Chiesa, è anche racchiuso - secondo il pensiero paolino - il dono di sé da parte di Cristo alla Chiesa, ad immagine del rapporto sponsale che unisce marito e moglie nel matrimonio. In tal modo il Sacramento della Redenzione riveste, in certo senso, la figura e la forma del sacramento primordiale. Al matrimonio del primo marito e della prima moglie, quale segno della gratificazione soprannaturale dell’uomo nel sacramento della creazione, corrisponde lo sposalizio, o piuttosto l’analogia dello sposalizio, di Cristo con la Chiesa, quale fondamentale “grande” segno della gratificazione soprannaturale dell’uomo nel Sacramento della Redenzione, della gratificazione, in cui si rinnova, in modo definitivo, l’alleanza della grazia di elezione, infranta al “principio” con il peccato.

3. L’immagine contenuta nel passo citato della lettera agli Efesini sembra parlare soprattutto del Sacramento della Redenzione come della definitiva attuazione del Mistero nascosto dall’eternità in Dio. In questo “mysterium magnum” si realizza appunto definitivamente tutto ciò, di cui la medesima lettera agli Efesini aveva trattato nel capitolo 1. Essa infatti dice, come ricordiamo, non soltanto: “In lui (cioè in Cristo) [Dio] ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto . . .” (Ep 1,4), ma anche: “Nel quale [Cristo] abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati, secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha abbondantemente riversata su di noi . . .” (Ep 1,7-8). La nuova gratificazione soprannaturale dell’uomo nel “Sacramento della Redenzione” è anche una nuova attuazione del Mistero nascosto dall’eternità in Dio, nuova in rapporto al sacramento della creazione. In questo momento la gratificazione è, in certo senso, una “nuova creazione”. Si differenzia però dal sacramento della creazione in quanto la gratificazione originaria, unita alla creazione dell’uomo, costituiva quell’uomo “dal principio”, mediante la grazia, nello stato della originaria innocenza e giustizia. La nuova gratificazione dell’uomo nel Sacramento della Redenzione gli dona invece soprattutto la “remissione dei peccati”. Tuttavia, anche qui può “sovrabbondare la grazia”, come altrove si esprime san Paolo: “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20).

4. Il Sacramento della Redenzione - frutto dell’amore redentore di Cristo - diviene, in base al suo amore sponsale verso la Chiesa, una permanente dimensione della vita della Chiesa stessa, dimensione fondamentale e vivificante. È il “mysterium magnum” di Cristo e della Chiesa: mistero eterno realizzato da Cristo, il quale “ha dato se stesso per lei” (Ep 5,25); mistero che si attua continuamente nella Chiesa, perché Cristo “ha amato la Chiesa” (Ep 5,25), unendosi con essa con amore indissolubile, così come si uniscono gli sposi, marito e moglie, nel matrimonio. In questo modo la Chiesa vive del Sacramento della Redenzione, e a sua volta completa questo sacramento come la moglie, in virtù dell’amore sponsale, completa il proprio marito, il che venne in certo modo già posto in rilievo “al principio”, quando il primo uomo trovò nella prima donna “un aiuto che gli era simile” (Gn 2,20). Sebbene l’analogia della lettera agli Efesini non lo precisi, possiamo tuttavia aggiungere che anche la Chiesa unita con Cristo, come la moglie col proprio marito, attinge dal Sacramento della Redenzione tutta la sua fecondità e maternità spirituale. Ne testimoniano, in qualche modo, le parole della lettera di san Pietro, quando scrive che siamo stati “rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna” (1P 1,23). Così il Mistero nascosto dall’eternità in Dio - Mistero che al “principio”, nel sacramento della creazione, divenne una realtà visibile attraverso l’unione del primo uomo e della prima donna nella prospettiva del matrimonio - diventa nel Sacramento della Redenzione una realtà visibile nell’unione indissolubile di Cristo con la Chiesa, che l’Autore della lettera agli Efesini presenta come l’unione sponsale dei coniugi, marito e moglie.

5. Il “sacramentum magnum” (il testo greco dice: tò mysterion toûto méga estín) della lettera agli Efesini parla della nuova realizzazione del Mistero nascosto dall’eternità in Dio; realizzazione definitiva dal punto di vista della storia terrena della salvezza. Parla inoltre del “renderlo [il mistero] visibile”: della visibilità dell’Invisibile. Questa visibilità non fa sì che il mistero cessi d’esser mistero. Ciò si riferiva al matrimonio costituito al “principio”, nello stato dell’innocenza originaria, nel contesto del sacramento della creazione. Ciò si riferisce anche all’unione di Cristo con la Chiesa, quale “mistero grande” del Sacramento della Redenzione. La visibilità dell’Invisibile non significa - se così si può dire - una totale chiarezza del mistero. Esso, come oggetto della fede, rimane velato anche attraverso ciò in cui appunto si esprime e si attua. La visibilità dell’Invisibile appartiene quindi all’ordine dei segni, e il “segno” indica soltanto la realtà del mistero, ma non la “svela”. Come il “primo Adamo” - l’uomo, maschio e femmina - creato nello stato dell’innocenza originaria e chiamato in questo stato all’unione coniugale (in questo senso parliamo del sacramento della creazione), fu segno dell’eterno Mistero, così il “secondo Adamo”, Cristo, unito con la Chiesa attraverso il Sacramento della Redenzione con un vincolo indissolubile, analogo all’indissolubile alleanza dei coniugi, è segno definitivo dello stesso Mistero eterno. Parlando dunque del realizzarsi dell’eterno mistero, parliamo anche del fatto che esso diventa visibile con la visibilità del segno. E perciò parliamo pure della “sacramentalità” di tutta l’eredità del Sacramento della Redenzione, in riferimento all’intera opera della Creazione e della Redenzione, e tanto più in riferimento al matrimonio istituito nel contesto del sacramento della creazione, come anche in riferimento alla Chiesa come sposa di Cristo, dotata di un’alleanza quasi coniugale con lui.

Ai pellegrini di lingua francese


Ai fedeli di lingua inglese


Ai pellegrini di lingua tedesca


Ai fedeli di lingua spagnola


Ai fedeli di lingua portoghese

Ad un gruppo di pellegrini ungheresi

Un saluto particolare ad un gruppo di pellegrini ungheresi provenienti dalla diocesi di Veszprém, guidati dal loro parroco.

Saluto con affetto i pellegrini della diocesi di Veszprém. La mia benedizione apostolica ai cattolici ungheresi!

La preghiera alla Madonna di Jasna Góra



Questa la traduzione in italiano della preghiera del papa alla Madonna di Jasna Góra.

Madre di Jasna Góra!

Desidero oggi in modo particolare, renderti grazie per il giorno della canonizzazione di san Massimiliano Maria Kolbe, renderti grazie per domenica scorsa.

“Gaude Mater Polonia

prole fecunda nobili”.

Queste parole che da secoli sono state riferite a san Stanislao, primo santo polacco canonizzato, conviene oggi riferirle all’ultimo: san Massimiliano.

Rallegrati, madre-Polonia dinanzi alla Madre di Jasna Góra!

Rallegrati, terra natale del tuo nuovo figlio elevato alla gloria degli altari.


Rallegrati come una volta hai gioito per Stanislao, così come, dopo di lui, ti sei rallegrata degli altri figli della Polonia sui quali è stata posata l’aureola dei santi.

Stanislao ha riportato la vittoria sotto la spada,

Massimiliano mediante il bunker della fame.

In ogni epoca è difficile la vittoria del bene. Ma in ogni epoca il bene vince.

Lo dico dinanzi alla Signora di Jasna Góra e lo dico a voi, Connazionali, che, nel corso degli ultimi anni, avete fatto un grande sforzo verso il bene; verso il bene comune.

Accogliete come patrono dei nostri tempi difficili Massimiliano Maria, il santo in casacca a righe martire del bunker della fame.

La Signora di Jasna Góra accolga in gloria il Milite dell’Immacolata.

Ad alcuni gruppi italiani

Sono lieto di salutare il numeroso pellegrinaggio del Movimento per la terza età, della diocesi di Prato, guidato dal Vescovo, Monsignor Pietro Fiordelli.

Mi compiaccio della vostra presenza, che è segno di fede e di amore per la Chiesa. Mentre vi esorto a vivere con profondo spirito cristiano questa stagione della vostra vita, amo auspicare che la società si renda sempre più sensibile ai vostri problemi e più pronta a risolverli. Da parte mia vi assicuro che potete sempre contare sull’affetto del Papa e sul suo interessamento per voi. Per questo vi benedico di cuore.
* * *


Desidero ora rivolgere un particolare saluto ai giovani. In questi giorni in cui atti di violenza e di odio opprimono i nostri cuori, voglio ricordarvi la necessità che - sull’esempio di san Massimiliano Kolbe - siate i primi testimoni della bellezza e della forza sempre vincente dell’amore cristiano, dimostrato, se necessario, fino al sacrificio supremo.
* * *


Il mio pensiero va, inoltre, agli ammalati. Per voi e per tutti questo mese di ottobre sia un richiamo alla recita quotidiana del santo Rosario, quale invocazione privilegiata alla beata Vergine. Lei, Madre di Dio e Madre nostra, non mancherà certo di presentare le vostre sommesse invocazioni e i vostri affanni a Colui che è il solo sollievo e ristoro, nelle tribolazioni della vita.
* * *


Voglio infine ricordare gli Sposi novelli, venuti a Roma per iniziare il loro cammino sulle memorie del Principe degli Apostoli, al centro della Cattolicità. Con le parole del Concilio Vaticano II, iniziato 20 anni orsono, esprimo l’augurio che il Signore abbia sempre un posto privilegiato nella vostra famiglia, la quale deve essere come una piccola Chiesa aperta e inserita profondamente nella vita della grande comunità ecclesiale, di cui siete parte insostituibile.

In pegno di questi auspici, a tutti imparto di cuore la propiziatrice benedizione apostolica.




Catechesi 79-2005 29982