Catechesi 79-2005 22122

Mercoledì, 22 dicembre 1982

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Fratelli e sorelle carissimi!

1. Siamo ormai al culmine dell’Avvento! La Chiesa, mediante la sua Liturgia, ci ha fatto riflettere, in questi giorni di grazia, sul mistero della duplice venuta del Cristo: quella dell’umiltà della nostra natura umana, e quella della definitiva sua parusia. La Liturgia ci raccomanda, pertanto, che il Signore, il quale ci dona di prepararci con gioia al mistero del suo Natale, ci trovi vigilanti nella preghiera ed esultanti nella sua lode (cf. Praefatio de Adventu, II)

In questo periodo noi cristiani siamo invitati a meditare gli eventi mirabili e misteriosi dell’Incarnazione del Figlio di Dio, che si fa umile, povero, debole, fragile, nella commovente realtà di un Bimbo, avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia.

Ma è proprio questo Bimbo, che guida, orienta, contrassegna il comportamento, le scelte e la vita delle persone, che gli stanno accanto o che sono coinvolte nella sua apparizione. C’è l’anziana Elisabetta, che ha sentito fiorire miracolosamente nel suo grembo la vita di un figlio da anni aspettato come una grazia del Signore: Giovanni il Battista sarà il precursore del Messia; c’è il marito Zaccaria, la cui lingua si scioglie per cantare le grandi gesta di Dio per il suo popolo; ci sono dei Pastori, che possono contemplare il Salvatore; ci sono dei Magi, da anni alla ricerca dell’Assoluto nella cifra dei cieli e degli astri, e che si prostreranno in adorazione di fronte al Neo-nato; c’è il vecchio Simeone, che ha atteso anche lui da lungo tempo il Messia, “luce delle genti gloria di Israele” (cfr
Lc 2,32); c’è Anna, la veneranda profetessa, che giubila per la “redenzione di Gerusalemme” (cfr Lc 2,38); c’è Giuseppe, il silenzioso, vigile, attento, tenero, paterno custode e protettore della fragilità del Bimbo; c’è infine, e soprattutto, lei, la Madre, Maria santissima, che di fronte all’ineffabile disegno di Dio si è sprofondata nella sua pochezza definendosi “serva” del Signore ed inserendosi con piena disponibilità nel progetto divino.

Ma accanto ed intorno a questo Bimbo ci sono, purtroppo, non soltanto persone che lo hanno atteso, cercato, amato, adorato; c’è anche la folla indifferente dei pellegrini e degli abitanti di Betlemme, o, addirittura, il re, potente e sospettoso, Erode, che pur di mantenere il suo potere, assassina dei piccoli Innocenti nel tentativo di eliminare l’ipotetico pretendente al trono.

2. Dinanzi alla mangiatoia di Betlemme - come poi dinanzi alla croce sul Golgota - l’umanità fa già una sua scelta di fondo nei confronti di Gesù; una scelta che, in ultima analisi, è quella che l’uomo è chiamato a fare improrogabilmente, giorno dopo giorno, nei confronti di Dio, Creatore e Padre. E ciò si compie, innanzitutto e soprattutto, nell’àmbito del profondo della coscienza personale. È qui che avviene l’incontro tra Dio e l’uomo.

È questa la terza venuta, di cui parlano i Padri, o l’“Avvento intermedio” analizzato teologicamente ed asceticamente da san Bernardo: “Nella prima venuta il Verbo fu visto sulla terra e si intrattenne con gli uomini, quando, come egli stesso afferma, lo videro e lo odiarono. Nell’ultima venuta «ogni uomo vedrà la salvezza di Dio» e «guarderanno a colui che trafissero». Occulta è invece la venuta intermedia, in cui solo gli eletti lo vedono entro se stessi e le loro anime ne sono salvate” (S. Bernardo, Sermo V De Medio adventu et triplici innovatione, 1: Opera, Ed. Cisterc., IV [1966] 188).

Questo Avvento, nel quale l’uomo, spinto dalla grazia, si inserisce, imitando gli atteggiamenti interiori di quanti attesero, cercarono, credettero ed amarono Gesù, viene vivificato mediante la costante meditazione ed assimilazione della Parola di Dio, che per il cristiano rimane il primo e fondamentale punto di riferimento per la sua vita spirituale; viene fecondato ed animato dalla preghiera di adorazione e di lode a Dio, di cui i cantici del “Benedictus” di Zaccaria, il “Nunc dimittis” di Simeone, ma specialmente il Magnificat di Maria santissima, sono modelli impareggiabili. Questo Avvento interiore viene rafforzato dalla pratica costante del Sacramenti, in particolare quello della Riconciliazione e dell’Eucaristia che, purificandoci ed arricchendoci della grazia di Cristo, ci fanno “uomini nuovi”, in sintonia con l’invito pressante di Gesù: “Convertitevi” (cfr Mt 3,2 Mt 4,17 Lc 5,32 Mc 1,15).

In tale prospettiva, per noi cristiani ogni giorno può e deve essere Avvento; può e deve essere Natale! Perché, quanto più purificheremo le nostre anime, quanto più faremo spazio all’amore di Dio nel nostro cuore, tanto più Cristo potrà venire e nascere in noi. “Elisabetta - scrive sant’Ambrogio - viene riempita di Spirito Santo dopo di aver concepito; Maria prima . . . Vedi bene che Maria non aveva dubitato, bensì creduto, e perciò aveva conseguito il frutto della sua fede. «Beata tu che hai creduto». Ma beati anche voi che avete udito e creduto: infatti ogni anima che crede, concepisce e genera il Verbo di Dio, e ne comprende le operazioni. Sia in ciascuno l’anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria a esaltare Dio (S. Ambrogio, Expos. Evang. sec. Lucam, II, 23.26: CCL 14, PP 41 PP 42).


3. Non possiamo pertanto trasformare ed avvilire il Natale in una festività di inutile spreco, in una manifestazione all’insegna del facile consumismo: il Natale è la festa dell’Umiltà, della Povertà, della Spogliazione, dell’Abbassamento del Figlio di Dio, che viene a donarci il suo infinito Amore; deve pertanto essere celebrata con autentico spirito di condivisione, di compartecipazione con i fratelli, che hanno bisogno del nostro aiuto affettuoso. Deve essere una tappa fondamentale per la meditazione sul nostro comportamento nei confronti del “Dio che viene”; e questo Dio che viene possiamo incontrarlo in un bimbo indifeso che vagisce; in un ammalato che sente venir meno inesorabilmente le forze del suo corpo; in un anziano, che dopo aver lavorato per tutta la vita, si trova di fatto emarginato e tollerato nella nostra moderna società, basata sulla produttività e sul successo.

Ai Vespri di oggi la Chiesa innalza a Cristo questa splendida preghiera: “O Rex gentium et desideratus earum, lapisque angularis, qui facis utraque unum; veni et salva hominem quem de limo formasti”. O Cristo, Re delle genti, atteso e desiderato per secoli dall’umanità ferita e dispersa per il peccato; tu che sei la pietra angolare su cui l’umanità può ricostruire se stessa e ricevere una definitiva ed illuminante guida per il suo cammino nella storia; tu che hai unificato, mediante la tua donazione sacrificale al Padre, i popoli divisi; vieni e salva l’uomo, misero e grande, fatto da te “con polvere del suolo” e che porta in sé la tua immagine e somiglianza!

Con questi auspici, rivolgo a tutti voi presenti il mio augurio affettuoso e cordiale: Buon Natale! Con la mia benedizione apostolica.

Ai cori di Fort Worth e di Des Moines


Ai pellegrini provenienti dalla Polonia


Diamo del testo polacco una nostra traduzione in italiano.

Tra due giorni è la vigilia del Natale del Signore, l’ultimo giorno dell’attesa di Avvento, e poi la Santa sera.

In questa sera i miei Connazionali si riuniscono alla tavola “della vigilia”. Si mettono a tavola insieme. Spezzano il pane bianco di Natale.

Si trovano insieme nelle comunità familiari.Si scambiano gli auguri. Si avvicinano reciprocamente e si riconciliano.

Questo costituisce come l’ultima preparazione alla venuta di Cristo nel mistero del Natale. Tutti sono pervasi dalla convinzione che bisogna ricevere degnamente Dio che nasce nella notte di Betlemme. Bisogna riceverlo con il cuore purificato e rinnovato. Bisogna togliere dalla via ciò che gli sbarra la strada dell’entrata sotto ogni tetto e in ogni casa.

Signora di Jasna Góra e Madre della mia Nazione! Nella Santa sera della vigilia sii con tutti. Sii con ogni famiglia polacca. Sii maternamente presente a ogni incontro di vigilia. Sii vicina a coloro che non potranno partecipare all’incontro di vigilia, che sono stati divisi dalle proprie famiglie, che si trovano in stato di separazione o in prigione. A tutti coloro che scambieranno gli auguri, ottieni che questi fruttifichino nel bene.

Madre di Jasna Góra! In questa Santa sera desidero unirmi a te, in modo particolare, in modo filiale, nel mistero del Natale.

E per te desidero unirmi a tutti coloro che vivono nella mia terra nativa, nello spezzare il pane di Natale. Questo pane testimonia il grande mistero dei cuori. Veramente “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”.


Ai giovani, ai malati e agli sposi novelli

Il mio saluto va ora ai giovani qui presenti. Carissimi, l’imminente festività del Figlio di Dio, nato in una grotta per amore degli uomini, è l’indicazione precisa e insieme l’invito indilazionabile a un rinnovamento di pace e di giustizia, costruito sulla base dell’incontro di amore tra l’uomo e Dio. Per tali scopi di rinnovamento, cari giovani, la Chiesa fa affidamento sul vostro entusiasmo e sulla vostra carica di generosità.
* * *


Mi rivolgo ora a voi, cari ammalati, che, nonostante la rigidità della stagione invernale, avete voluto essere anche voi presenti a questo nostro incontro. Il pensiero della nascita di Cristo nella grotta di Betlemme vi faccia comprendere quanto la vostra sofferenza sia vicina e cara al Signore che viene a salvarci attraverso la strada del dolore, e quanto essa sia apprezzata dalla Chiesa come valore di redenzione e di elevazione a favore di tutta l’umanità.

A voi, e a quanti soffrono nel corpo e nello spirito, il mio più affettuoso saluto e il mio incoraggiamento.
* * *


Infine, mi rivolgo a voi, sposi novelli, invitandovi a soffermarvi nella grotta di Betlemme a contemplare lo spettacolo umano-divino di una Madre, di uno Sposo e di un Bimbo, che è insieme Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. Il giorno 26 dicembre la liturgia celebrerà la festività della Sacra Famiglia. Ogni famiglia costituita col segno del sacramento del Matrimonio è una Famiglia sacra, dove i bimbi che nascono sono anche figli di Dio.

A voi, novelli Sposi, il mio augurio cordiale di contribuire alla rinascita della società con la fondazione e lo sviluppo di una famiglia sinceramente cristiana. A tutti la mia benedizione.


Mercoledì, 29 dicembre 1982

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Cari fratelli e sorelle!

1. Quest’ultima Udienza generale dell’anno è tutta pervasa dalla luce del Santo Natale, recentemente celebrato, e ci porta altresì a riflettere sull’imminente ricorrenza, così ricca di significato umano, del passaggio dal vecchio al nuovo anno.

La storia dell’uomo, infatti, illuminata dal mistero del Dio fatto uomo, nostro Signore Gesù Cristo, acquista un deciso orientamento verso il mondo del Divino. La festa del Natale dà un senso cristiano al succedersi degli eventi e agli umani sentimenti, progetti, speranze, e consente di rintracciare in questo ritmico e apparentemente meccanico scorrere del tempo, non soltanto le linee di tendenza di un umano peregrinare, ma anche i segni, le prove e gli appelli della Provvidenza e Bontà divina.

2. Andiamo verso il meglio? Andiamo verso il peggio? Per il cristiano, non c’è dubbio: la Redenzione di Cristo, che inizia con la santa notte di Natale, conduce progressivamente l’umanità redenta e che accoglie questa Redenzione, al trionfo sul male e sulla morte.

Certamente, a mano a mano che si procede verso Dio, aumentano prove e difficoltà. Questo vale per il cammino della Chiesa come per quello dei singoli cristiani. Le forze ostili alla verità e alla giustizia - come ci spiega tutto il libro dell’Apocalisse - aumentano, nel corso della storia, le loro trame e la loro violenza contro chi vuol seguire la via del Redentore. Quindi, in definitiva, nonostante i rischi e le parziali sconfitte, la storia procede verso il trionfo del bene, verso la vittoria finale del Cristo.

3. Il progresso storico, dunque, per il cristiano, è una realtà ed è una speranza certa; esso, però, non è il semplice risultato di una specie di processo dialettico, che ci esima dall’impegno personale per la giustizia e la santità; ed il fatto di essere posti, con la Redenzione, in una corrente di grazia divina che ci porta verso il Regno, non elimina la deprecabile possibilità, da parte di chiunque di noi, di sottrarsi volontariamente alla forza benefica di tale influsso divino.

Nel suo profondo significato, il vero progresso storico che, come dice il Concilio Vaticano II (Gaudium et Spes
GS 39), è preparazione al Regno di Dio, non può che essere l’effetto degli sforzi umani sorretti dalla forza redentrice del Sangue di Cristo. Il Verbo divino, incarnandosi, ha redento il tempo e la storia, conducendoli verso la salvezza dell’uomo e la sua beatitudine nella visione beatifica, e dando ad essi un’inarrestabile, anche se contrastata, spinta progressiva.

4. Abbiamo celebrato domenica scorsa la festa della Sacra Famiglia di Nazaret, modello di tutte le famiglie cristiane.

In particolare, per la famiglia vale il problema che ci siamo posti in termini generali: i valori della famiglia stanno decadendo? I valori della famiglia si stanno rafforzando? Anche qui, la nostra risposta di fede non può che essere una risposta di speranza e di sano ottimismo cristiano, che non chiede gli occhi alla gravità dei reali fenomeni involutivi, ma sa riconoscere anche i fenomeni di crescita, e trae dalle difficoltà, offerte da certi processi di decadenza, l’occasione per una più fervorosa ricerca della santità e di una coraggiosa testimonianza, anche in questo fondamentale settore della vita, come è quello della famiglia.

L’Anno liturgico, con le sue periodiche festività, tese a ricordarci e a farci vivere ora questo ora quello dei capisaldi del pensare e dell’agire cristiano, è un inestimabile dono di Dio, presente nella nostra storia: un dono - si può dire - del Santo Natale. Le ricorrenze liturgiche sostengono così la nostra fedeltà al messaggio evangelico, permettendoci nel contempo di farne continuamente fruttificare la infinita virtualità.

La festa della Sacra Famiglia è uno dei principali tra questi punti luminosi offertici dalla Liturgia nel nostro cammino terreno: è con essi che possiamo comprendere il significato escatologico del tempo e come veramente Cristo, innalzato sulla croce, trae a sé tutte le cose (cfr Jn 12,32).

5. La Liturgia, della quale stiamo vivendo in questi giorni alcuni momenti particolarmente intensi, ci illumina così sul senso del tempo e della storia, per cui, se sorgesse in noi l’impressione che il male stia aumentando e trionfando, essa ci risponde, col mistero del Natale, introduttivo a quello della Croce. No, non aumenta il male: aumentano le prove. E poiché Dio, insieme con la prova, dà anche la forza per superarla (cfr 1Co 10,13), l’abbondanza del male, che ci vuol colpire o sedurre, finisce per trasformarsi in una sovrabbondanza di bene e di gloria. Per questo, san Paolo ha potuto dire che “laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20). Nel corso del tempo, aumentano gli attacchi contro il Regno di Dio e contro coloro che vogliono piamente seguire il Cristo; ma aumenta anche il dono di fortezza loro concesso dallo Spirito Santo, sicché alla fine tutto si risolve nella vittoria, per quanti sono restati fedeli.

Questa, cari fratelli e sorelle, è la visuale con la quale dobbiamo incamminarci ad affrontare e vivere l’anno nuovo che ci sta dinanzi. La vita di quaggiù non è, per se stessa, un comodo e garantito viaggio verso il meglio. Fin dai primi anni della nostra vita, se teniamo gli occhi aperti, ce ne accorgiamo. Il meglio, certamente, è una prospettiva reale; l’umanità, guidata dal Popolo di Dio, sta marciando verso tale direzione; ma, per ciascuno di noi, questa marcia verso il “meglio”, non è priva di rischi e di difficoltà; e soprattutto, ogni giorno, è sottoposta alla prova della nostra responsabilità, dev’essere l’oggetto di una libera scelta.


La luce di Betlemme, la luce del Presepio, ci indicano la direzione verso il meglio, ci parlano della vittoria finale del bene, ci incoraggiano a camminare con speranza e senza paura, “senza deviare né a destra né a sinistra”.

Ringraziamo la santissima Trinità per questa luce. Ringraziamo Maria, la Madre del Signore, che, col suo consenso, ha permesso che questa luce scendesse sulla terra. Ringraziamo per le prove passate, e stiamo pronti ad agire virilmente, come veri figli della luce.

Con la mia benedizione.

Al gruppo “Gyan Ashram” di Bombay

Ai polacchi


Del discorso del Papa in polacco pubblichiamo qui di seguito la nostra traduzione italiana.

Madre di Jasna Góra!

Oggi mi presento davanti alla tua amata Effigie nel cuore stesso dell’ottava del Natale del Signore.

La Chiesa celebra in questa ottava la solennità della Sacra Famiglia. Nell’effigie di Jasna Góra tu ti presenti sempre dinanzi a noi con Gesù sul braccio, come Madre col Bambino.


Questa immagine ci mette dinanzi agli occhi il mistero della Divina Maternità e della Sacra Famiglia.

E perciò desidero raccomandare oggi, in modo particolare, a te, o Madre, ogni famiglia polacca.

Nel periodo della preparazione al Millennio del Battesimo abbiamo imparato a pregare affinché questa famiglia sia forte con la potenza di Dio. E per questa intenzione continuiamo a pregare.

La famiglia è forte con la potenza di Dio quando Cristo si trova al centro della sua vita - così come nella famiglia di Nazaret.

La famiglia forte con la potenza di Dio diventa forza di ogni uomo e dell’intera Nazione.

O Madre di Jasna Góra! Fa’ sì che ogni famiglia polacca sia forte con la potenza di Dio - in particolare quando nella nostra terra natale la sua forza è tanto necessaria all’uomo e alla Nazione.

Ad alcuni gruppi italiani

Desidero rivolgere un saluto al gruppo di pellegrini del Centro diocesano “Giuseppe Toniolo” di Verona.

Carissimi, vi sono grato per la vostra partecipazione a questa Udienza e per l’opera svolta dal vostro Centro mediante incontri, conferenze e dibattiti. Il vostro pellegrinaggio romano al fine di “Conoscere Roma Cristiana” è una delle espressioni del vostro impegno di promuovere la cultura e la fede. Vi siano propizi questi giorni trascorsi a Roma per confermare con le testimonianze storiche e le espressioni artistiche le antiche radici della fede cristiana, che trovano il loro centro ideale presso il sepolcro di Pietro. Vi accompagni la mia benedizione.
* * *


Sono lieto di rivolgermi ora particolarmente ai pellegrini della parrocchia “Sacro Cuore” di Romano, in diocesi di Padova, venuti a Roma in occasione del ventesimo di fondazione della loro parrocchia, costituiti dal gruppo musicale “Cantoria Alleluia”.


Carissimi, nel vostro paese, tutto è giovane: Chiesa ed opere parrocchiali, famiglie e abitazioni; tutto dunque è proteso verso il futuro. Siatene voi stessi quotidiani artefici, con la fede salda, con l’amore al lavoro e al sacrificio. Vi sostenga la mia benedizione.
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Saluto poi di cuore i vari gruppi di religiose e di appartenenti agli Istituti Secolari, fra i quali desidero menzionare le Figlie di sant’Angela Merici, riunite in questi giorni a Roma per l’Assemblea Generale elettiva.

Il Signore vi sia vicino e vi sostenga nel vostro impegno alla sequela di Cristo.

Vi accompagni anche la mia benedizione.
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Ed ora saluto di cuore i numerosi giovani, che animano con il loro entusiasmo questo incontro, che avviene dopo la celebrazione del Natale e nell’imminenza di fine anno. La meditazione sull’infinito amore di Dio, che ha portato sulla terra Gesù per salvare l’umanità, vi sia di stimolo a comportarvi com’egli si è comportato nella mitezza e nell’umiltà del cuore, nel generoso servizio alla Chiesa e al prossimo. E l’anno che muore, simbolo della caduta delle cose terrene, v’induca a stimare sempre di più la vostra elezione in Cristo, in modo da essere coerenti con tale vostra sublime dignità per mezzo dell’amore che non tramonta. Con la mia benedizione, che imparto a voi ed alle vostre famiglie.
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A voi, dilettissimi malati, che la sofferenza ha reso più sensibili verso l’estrema indigenza di Dio fatto uomo nella grotta di Betlemme, sia di conforto il pensiero che le privazioni, a cui vi obbliga la vostra infermità, acquistino valore per le intenzioni che le accompagnano e le nobilitano. A somiglianza del Divin Salvatore, voi potete purificare il mondo per mezzo della vostra interiore disponibilità al volere del Padre celeste; voi potete fare tanto bene alla santa Chiesa elevando il vostro spirito verso il Salvatore e verso quanto Dio dispone e permette nei suoi misteriosi disegni. A tale scopo con particolare affetto vi benedico.
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Ho il piacere, infine, di salutare gli sposi novelli. La vostra letizia, carissimi, è fervida premessa per una serena esistenza coniugale, basata sulle incomparabili leggi divine dell’unità e della indissolubilità, sull’amore vicendevole costruito giorno per giorno con abnegazione e sacrificio. Vi sostenga la mia benedizione.







Mercoledì, 5 gennaio 1983

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1. “Io . . . prendo te . . . come mia sposa”; “Io . . . prendo te . . . come mio sposo”: queste parole sono al centro della liturgia del matrimonio quale sacramento della Chiesa. Queste parole pronunciano i fidanzati inserendole nella seguente formula del consenso: “. . . prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”. Con tali parole i fidanzati contraggono il matrimonio e nello stesso tempo lo ricevono come sacramento, di cui entrambi sono ministri. Entrambi, uomo e donna, amministrano il sacramento. Lo fanno davanti al testimoni. Testimone qualificato è il sacerdote, che in pari tempo benedice il matrimonio e presiede a tutta la liturgia del sacramento. Inoltre testimoni sono, in certo senso, tutti i partecipanti al rito delle nozze, e in modo “ufficiale” alcuni di essi (di solito due), appositamente chiamati. Essi debbono testimoniare che il matrimonio è contratto davanti a Dio e confermato dalla Chiesa. Nell’ordine normale delle cose, il matrimonio sacramentale è un atto pubblico, per mezzo del quale due persone, un uomo e una donna, diventano di fronte alla società e alla Chiesa marito e moglie, cioè soggetto attuale della vocazione e della vita matrimoniale.

2. Il matrimonio come sacramento viene contratto mediante la parola, che è segno sacramentale in ragione del suo contenuto: “Prendo te come mia sposa - come mio sposo - e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”. Tuttavia, questa parola sacramentale è, di per sé, soltanto il segno dell’attuazione del matrimonio. E l’attuazione del matrimonio si distingue dalla sua consumazione fino al punto che, senza questa consumazione, il matrimonio non è ancora costituito nella sua piena realtà. La constatazione che un matrimonio è stato giuridicamente contratto ma non consumato (“ratum - non consummatum”), corrisponde alla constatazione che esso non è stato costituito pienamente come matrimonio. Infatti le parole stesse: “Prendo te come mia sposa - mio sposo” si riferiscono non soltanto ad una realtà determinata, ma possono essere adempiute soltanto attraverso la copula coniugale. Tale realtà (la copula coniugale) è peraltro definita fin dal principio per istituzione del Creatore: “L’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne” (
Gn 2,24).

3. Così, dunque, dalle parole, con le quali l’uomo e la donna esprimono la loro disponibilità a divenire “una sola carne”, secondo l’eterna verità stabilita nel mistero della creazione, passiamo alla realtà che corrisponde a queste parole. L’uno e l’altro elemento è importante rispetto alla struttura del segno sacramentale, a cui conviene dedicare il seguito delle presenti considerazioni. Dato che il sacramento è il segno per mezzo del quale si esprime ed insieme si attua la realtà salvifica della grazia e dell’alleanza, bisogna considerarlo ora sotto l’aspetto del segno, mentre le precedenti riflessioni sono state dedicate alla realtà della grazia e dell’alleanza.

Il matrimonio, come sacramento della Chiesa, viene contratto mediante le parole dei ministri, cioè degli sposi novelli: parole che significano e indicano, nell’ordine intenzionale, ciò che (o piuttosto: chi) entrambi hanno deciso di essere, d’ora in poi, l’uno per l’altro e l’uno con l’altro. Le parole degli sposi novelli fanno parte della struttura integrale del segno sacramentale, non soltanto per ciò che significano, ma, in certo senso, anche con ciò che esse significano e determinano. Il segno sacramentale si costituisce nell’ordine intenzionale, in quanto viene contemporaneamente costituito nell’ordine reale.

4. Di conseguenza, il segno del sacramento del matrimonio è costituito mediante le parole degli sposi novelli, in quanto ad esse corrisponde la “realtà” che loro stessi costituiscono. Tutti e due, come uomo e donna, essendo ministri del sacramento nel momento di contrarre il matrimonio, costituiscono in pari tempo il pieno e reale segno visibile del sacramento stesso. Le parole da essi pronunciate non costituirebbero di per sé il segno sacramentale del matrimonio, se non vi corrispondesse la soggettività umana del fidanzato e della fidanzata e contemporaneamente la coscienza del corpo, legata alla mascolinità e alla femminilità dello sposo e della sposa. Qui bisogna rievocare alla mente tutta la serie delle analisi relative al Libro della Genesi (cfr Gn 1-2), compiute in precedenza. La struttura del segno sacramentale resta infatti nella sua essenza la stessa che “in principio”. La determina, in certo senso, “il linguaggio del corpo”, in quanto l’uomo e la donna, che mediante il matrimonio debbono diventare una sola carne, esprimono in questo segno il reciproco dono della mascolinità e della femminilità, quale fondamento dell’unione coniugale delle persone.

5. Il segno del sacramento del matrimonio viene costituito per il fatto che le parole pronunciate dagli sposi novelli riprendono il medesimo “linguaggio del corpo” come al “principio”, e in ogni caso gli danno una espressione concreta e irripetibile. Gli danno una espressione intenzionale sul piano dell’intelletto e della volontà, della coscienza e del cuore. Le parole: “Io prendo te come mia sposa - come mio sposo”, portano in sé appunto quel perenne, e ogni volta unico e irripetibile, “linguaggio del corpo” e nello stesso tempo lo collocano nel contesto della comunione delle persone: “Prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”. In tal modo il perenne e ogni volta nuovo “linguaggio del corpo”, è non soltanto il “substrato” ma, in certo senso, il contenuto costitutivo della comunione delle persone. Le persone - uomo e donna - diventano per sé un dono reciproco. Diventano quel dono nella loro mascolinità e femminilità scoprendo il significato sponsale del corpo e riferendolo reciprocamente a se stessi in modo irreversibile: nella dimensione di tutta la vita.

6. Così il sacramento del matrimonio come segno permette di comprendere le parole degli sposi novelli, parole che conferiscono un nuovo aspetto alla loro vita nella dimensione strettamente personale (e interpersonale: “communio personarum”), sulla base del “linguaggio del corpo”. L’amministrazione del sacramento consiste in questo: che nel momento di contrarre il matrimonio l’uomo e la donna, con le parole adeguate e nella rilettura del perenne “linguaggio del corpo”, formano un segno, un segno irripetibile, che ha anche un significato prospettico: “tutti i giorni della mia vita”, cioè fino alla morte. Questo è segno visibile ed efficace dell’alleanza con Dio in Cristo, cioè della grazia, che in tale segno deve divenire parte loro, come “proprio dono” (secondo l’espressione della prima Lettera ai Corinzi CFR 1Co 7,7).

7. Formulando la questione in categorie socio-giuridiche, si può dire che fra gli sposi novelli è stipulato un patto coniugale di contenuto ben determinato. Si può inoltre dire che, in seguito a questo patto, essi sono diventati sposi in modo socialmente riconosciuto, e che in questo modo è anche costituita nel suo germe la famiglia come fondamentale cellula sociale. Tale modo di intendere è ovviamente concorde con la realtà umana del matrimonio, anzi, è fondamentale anche nel senso religioso e religioso-morale. Tuttavia, dal punto di vista della teologia del sacramento, la chiave per comprendere il matrimonio rimane la realtà del segno, con cui il matrimonio viene costituito sulla base dell’alleanza dell’uomo con Dio in Cristo e nella Chiesa: viene costituito nell’ordine soprannaturale del vincolo sacro esigente la grazia. In questo ordine, il matrimonio è un segno visibile ed efficace. Originato dal mistero della creazione, esso trae la sua nuova origine dal mistero della Redenzione, servendo all’“unione dei figli di Dio nella verità e nella carità” (Gaudium et Spes GS 24). La liturgia del sacramento del matrimonio dà forma a quel segno: direttamente, durante il rito sacramentale, in base all’insieme delle sue eloquenti espressioni; indirettamente, nello spazio di tutta la vita. L’uomo e la donna, come coniugi, portano questo segno in tutta la loro vita e rimangono quel segno fino alla morte.

Ai Fratelli di San Gabriele a Roma per il Capitolo



Ai fedeli di lingua tedesca


Preghiera alla Madonna di Jasna Gora




Signora di Jasna Gora!

All’inizio dell’anno nuovo mi inginocchio dinanzi alla tua Effigie. In essa è iscritto il mistero della Divina Maternità che noi veneriamo nel giorno dell’ottava del Natale del Signore, che è anche il giorno del Capodanno.

Ai tuoi piedi, a Jasna Gora, desidero vivere questa ricorrenza insieme con la mia Nazione che da sei secoli fissa lo sguardo sulla tua Maternità Divina in particolare mediante questa Effigie.

Grazie ad essa, nella tua Divina Maternità la Nazione polacca ritrova, attraverso tante generazioni, la sua propria Madre. E a questa Madre affida se stessa: tutta la società umana e polacca, la comunità della Nazione e la sua storia.

In questo difficile momento della storia desidero dinanzi a te, Madre, esprimere i filiali auguri per la Polonia, per la mia Patria e per la Nazione.

Auguro che questa Nazione possa vivere nella pace e non nel clima di guerra; che possa vivere la sua propria vita.

Auguro che vengano rispettati - come condizione indispensabile per la pace - tutti i diritti dell’uomo.


Auguro che vengano rispettati pure tutti i diritti della Nazione, attraverso i quali essa possa essere se stessa e decidere di sé secondo le sue giuste aspirazioni e i suoi desideri. Accogli questi auguri, o Madre di Jasna Gora, come preghiera mediante la quale viene venerata la tua divina e insieme umana maternità.

Esaudiscila! e aiuta a realizzarla.

Ai gruppi italiani

Rivolgo ora il mio affettuoso saluto ai fedeli di Torre del Greco, che concludono la commemorazione del 150° anniversario della morte del Beato Vincenzo Romano, il quale per ben 35 anni fu sacerdote zelante e preposito nella loro cittadina.

Carissimi, vi ringrazio della vostra presenza, che ricorda la devozione del beato Vincenzo al Papa ed alla Chiesa e vi esorto a mantenere sempre convinta e ardente la fede cristiana da lui vissuta e insegnata con tanto amore e ansia apostolica. Egli che fu sempre e solamente dedito alla cura delle anime a lui affidate, con il suo esempio e la sua intercessione, ottenga dal signore per la Chiesa di oggi numerosi e santi sacerdoti, pienamente impegnati nella vita pastorale. A tutti la mia Benedizione.
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Partecipa ora all’udienza un gruppo di Padri Oblati di San Giuseppe, responsabili delle Comunità religiose dell’istituto nella Provincia italiana.

Carissimi, nel rivolgervi il mio cordiale saluto, desidero esprimervi sincero apprezzamento per l’iniziativa di raccogliervi a riflettere sui compiti connessi con la responsabilità a voi affidata nell’ambito della Congregazione. Sia vostra costante cura di orientare le singole Comunità verso la percezione sempre più chiara del carattere soprannaturale e della santità della vita religiosa, perseguendo quelle virtù che hanno in Cristo la loro sorgente e in San Giuseppe, vostro Patrono, l’impareggiabile modello. Di gran cuore benedico voi e i vostri Confratelli, come anche le molteplici attività pastorali della Congregazione.
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Rivolgo ora un cordiale saluto, e la mia paterna esortazione ai giovani che partecipano a questa Udienza. Carissimi, la Liturgia di questo tempo ci parla dell’Epifania, cioè di Cristo che si è manifestato ai magi, primizia e simbolo dei popoli chiamati alla salvezza messianica. A imitazione di questo sapienti dell’Oriente, anche voi cercate Gesù, contemplate Gesù, accogliete Gesù in voi e sarete traboccanti di gioia, messaggeri di pace, motivo di sicura speranza per il mondo. E’ questo il mio augurio per l’anno nuovo, accompagnato dalla mia Benedizione.
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Al gruppo degli ammalati qui presenti ed a quanti soffrono nel corpo e nello spirito desidero riservare un particolare pensiero, che è conferma del mio affetto per essi, oltre che assicurazione del mio costante ricordo nella preghiera ed augurio di serenità nel Signore per l’anno nuovo. Gesù Bambino vi apre le braccia e il cuore. Accostatevi a Lui, come si accostarono i Magi, offrendoGli i doni del vostro spirito, cioè l’oro del vostro amore, l’incenso della vostra preghiera e la mirra della vostra sofferenza quotidiana. Egli darà a ciascuno di voi la risposta, che sarà luce e conforto per la vostra esistenza.
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Infine, mi rivolgo ai novelli Sposi e vi dico: “Siate i benvenuti nella casa del Papa e ricevete il suo affettuoso saluto con un fervido augurio!”. A voi che, ricevendo il Sacramento del Matrimonio, vi siete giurati eterno amore ed indefettibile fedeltà di fronte a Dio e alla Chiesa, auspico di cuore - all’inizio dell’anno nuovo - di vivere “in santità e giustizia” per tutti i giorni della vostra vita. Invoco, pertanto, sulle vostre nascenti famiglie la continua assistenza dell’Emmanuele, “Dio con noi”, perché come vi ha uniti nel vincolo dell’amore sponsale, vi conservi sempre in esso per la vostra gioia e la gloria del Padre Celeste. Confermo tali voti con la mia Benedizione.





Catechesi 79-2005 22122