Agostino: Le confessioni 412

Il problema del bello


Composizione del trattato Sulla bellezza e la convenienza

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13. 20. Ignaro di tutto ciò, e innamorato delle bellezze terrene, io allora camminavo verso l’abisso (
Is 31,6) e dicevo ai miei amici : "Noi non amiamo che il bello. Cos’è il bello ? e cos’è la bellezza ? Cosa ci attrae e ci avvince agli oggetti del nostro amore ? La convenienza e la grazia, perché se ne fossero privi non ci attirerebbero affatto". Avvertivo cioè e notavo che nei corpi altra cosa è la bellezza, per così dire, complessiva, in quanto sono un complesso, e altra la convenienza, ossia l’armonia con altri corpi, come una parte del nostro corpo si armonizza col tutto, o un calzare col piede e così via. Questa considerazione scaturì nella mia mente dall’intimo del mio cuore, per cui scrissi alcuni libri sulla bellezza e la convenienza, credo due o tre : tu sai, Dio (Ps 68,6), io ne ho perso il ricordo, né più li possiedo. Per noi sono smarriti, chissà come.

Dedica del trattato all’oratore Gerio

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14. 21. Cosa mi spinse, Signore Dio mio, a dedicare quei libri a un oratore romano, Gerio, che non conoscevo personalmente ? Avevo preso ad amarlo per la chiara fama della sua erudizione e per alcune parole che di lui mi erano state riferite e mi erano piaciute. Ma soprattutto mi piaceva perché piaceva agli altri, ne era esaltato e lodato. La gente stupiva che da un siriano, già dotto nell’oratoria greca, fosse uscito anche un dicitore mirabile nella latina, versatissimo per di più negli studi relativi alla filosofia. Accade dunque di lodare un uomo e di amarlo anche da lungi ; ma questo amore entra forse nel cuore di chi ascolta dalla bocca di chi loda ? Lungi da me ! È invece dall’amore dell’uno che si accende l’amore dell’altro. Nasce l’amore della lode quando si crede alla sincerità degli elogi di chi loda, cioè quando costui ama chi loda.

14. 22. Così appunto io allora amavo gli uomini, seguendo il giudizio degli uomini e non il tuo, Dio mio, in cui nessuno s’inganna. Perché tuttavia la mia lode non era qual è per un auriga celebre o un cacciatore esaltato dalla fama popolare, bensì molto differente, e seria e quale avrei voluto ricevere anch’io ? Io non avrei voluto ricevere la lode e l’amore degli istrioni, per quanto li lodassi e amassi poi anch’io. Avrei preferito l’oscurità a una nomea di quel genere, l’odio addirittura a un simile amore. Come si distribuiscono in una medesima anima le forze di amori tanto vari e diversi ? Come mi avviene di amare in altri ciò che invece non detesterei né respingerei da me, se non l’odiassi ? Eppure siamo uomini entrambi. Sì, chi ama un buon cavallo, non vorrebbe esserlo, anche potendo, ma non si può dire altrettanto per un istrione, il quale partecipa della nostra natura. Io amerei dunque in un uomo ciò che non vorrei essere, pur essendo un uomo ? Quale abisso l’uomo medesimo, di cui tu, Signore, conosci persino il numero dei capelli (Cf. Mt
Mt 10,30) senza che nessuno manchi al tuo conto ! Eppure è più facile contarne i capelli che i sentimenti e i moti del cuore.

14. 23. Quel retore comunque apparteneva al genere d’uomini che io amavo al punto di voler essere come loro. La vanità mi portava fuori strada, ogni vento (Ep 4,14) mi spingeva or qua or là, ma tu nell’ombra mi pilotavi. Da dove riconosco, da dove traggo la certezza nel confessarti che l’amai più per l’amore di chi lo lodava, che per le ragioni di tante lodi ? Se, anziché lodarlo, le medesime persone lo avessero biasimato, avessero narrato di lui i medesimi fatti con accenti di biasimo e sprezzo, io non mi sarei acceso né esaltato per lui ; eppure i fatti non sarebbero stati certamente diversi, egli medesimo un uomo diverso ; soltanto i sentimenti di chi ne parlava lo sarebbero stati. Ecco qual è la condizione di un’anima inferma, non ancora aderente alle solide basi della verità. Secondo che spira l’aura delle parole dal petto di chi sentenzia, essa è trasportata e spinta, è torta e ritorta, le si offusca la luce, non scorge la verità che, ecco, ci sta davanti. Per me era poi molto importante che quel personaggio venisse a conoscere il mio stile e i miei studi. Una sua approvazione avrebbe accresciuto il mio ardore, una riprovazione avrebbe pugnalato il mio cuore vano e privo della tua fermezza. Intanto la Bellezza e convenienza, il trattato che gli avevo dedicato, io passavo e ripassavo nella mente, davanti allo sguardo compiaciuto della mia contemplazione, e l’ammiravo senza che avesse l’approvazione di nessuno.

Argomenti del trattato

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15. 24. Non vedevo però ancora nella tua arte, onnipotente e unico autore di meraviglie (
Ps 71,18 Ps 135,4), il cardine di una realtà così grande. Il mio spirito percorreva le forme corporee e io definivo bello ciò che è armonioso in sé, conveniente ciò che è armonioso in rapporto con altri oggetti, suffragando questa distinzione con esempi concreti. Poi mi volsi a considerare la natura dell’anima. Ma l’idea falsa che avevo delle sostanze spirituali m’impediva di scorgere il vero. Per quanto la verità mi balzasse agli occhi con tutta la sua forza, io non distoglievo la mente ansiosa dalla realtà incorporea verso le linee, i colori e le masse turgide ; e giacché non potevo ritrovarne nell’anima, pensavo che non avrei potuto ritrovare l’anima stessa ; e poiché nella virtù mi attraeva la pace, nel vizio mi ripugnava la discordia, scorgevo nella prima una specie di unità, nel secondo una specie di divisione. In quell’unità poi mi pareva risiedere l’anima razionale, l’essenza della verità e del bene supremo ; nella divisione invece misero scorgevo una sostanza indefinibile di vita irrazionale e l’essenza del male supremo, che per me era non solo sostanza, ma vera vita, sebbene non provenisse da te, Dio mio, da cui provengono tutte le cose (1Co 8,6 Rm 11,36). Delle due, alla prima davo il nome di monade in quanto intelligenza asessuale, alla seconda di diade, ed è la collera nei delitti, la libidine nei vizi. Non sapevo cosa dicessi. Infatti ignoravo e non avevo imparato che il male non è una sostanza, e neppure la nostra intelligenza è il bene supremo e immutabile.

Orgoglio di un uomo corrotto


15. 25. Come si commettono delitti quando l’impulso spirituale che muove le nostre azioni è corrotto e si scatena con torbida arroganza ; come si cade nel vizio quando l’anima non modera le inclinazioni di cui si alimentano i piaceri fisici, così gli errori e le opinioni false guastano la vita, se anche l’anima razionale è corrotta. Corrotta era la mia allora, poiché ignoravo che un’altra luce doveva illuminarla, se voleva godere della verità, poiché non era essa per sé l’essenza della verità. Tu infatti illuminerai la mia lucerna, Signore ; tu, Dio mio, illuminerai le mie tenebre (Ps 17,29). Tutti abbiamo attinto dalla tua pienezza (Jn 1,16) ; tu sei il vero lume, il quale illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Jn 1,9) ; perché non sei soggetto ad alterazione né ad ombra di mutamento (Jc 1,17).

15. 26. Io tendevo però verso di te, e tu mi respingevi via da te (Cf. Sal Ps 42,2) per farmi assaporare la morte (Cf. Mt Mt 16,28 Mc 8,39), poiché resisti ai superbi (Jc 4,6 1 Pt 1P 5,5) : e può esservi atto più superbo del mio, quando affermavo con demenza inaudita di essere per natura ciò che sei tu ? Ero mutevole, e ben lo capivo dal desiderio appunto di sapere per divenire da peggiore migliore ; eppure preferivo credere mutevole anche te, piuttosto che me diverso da ciò che tu sei. Di qui le tue ripulse, la tua resistenza di fronte alla mia tronfia testardaggine. Fissavo la mia immaginazione su forme corporee, ero carne e accusavo la carne, ero un soffio passeggero e ancora non tornavo (Ps 77,39) a te, passavo passeggero fra cose inesistenti in te, in me, nella materia, non create per me dalla tua verità, ma dalla mia vanità immaginate secondo la materia. E dicevo ai tuoi piccoli, ai tuoi fedeli, ai miei concittadini, da cui ero a mia insaputa in lontano esilio, dicevo loro con sciocca petulanza : "Perché dunque dovrebbe ingannarsi lo spirito, se creato da Dio ?", e non volevo sentirmi rispondere : "Perché dunque dovrebbe ingannarsi Dio". Preferivo sostenere che la tua sostanza immutabile è costretta ad errare, anziché riconoscere che la mia mutabile aveva deviato spontaneamente e per castigo errava.

15. 27. Avevo forse ventisei o ventisette anni quando scrissi quei volumi, rivolgendo dentro di me le elucubrazioni materialistiche che rumoreggiavano alle orecchie del mio cuore. Pure tendevo queste orecchie, o dolce verità, alla tua melodia interiore nell’atto stesso di meditare sulla bellezza e la convenienza. Il mio desiderio era di stare ritto innanzi a te, di udirti, di sentirmi preso dalla gioia alla voce dello sposo (Jn 3,29) ; e non potevo realizzarlo poiché le voci del mio errore mi trascinavano fuori di me e il peso del mio orgoglio mi faceva cadere verso il basso. Non davi infatti gioia e letizia al mio udito, né esultavano le ossa, che non erano state ancora umiliate (Ps 50,10).

Lettura delle Dieci categorie di Aristotele

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16. 28. E a che mi giovava (
Qo 2,15) l’aver letto e capito da solo, sui vent’anni, un’opera aristotelica venutami fra mano, che chiamano Le dieci categorie ? A pronunciarne soltanto il nome le gote del mio maestro cartaginese di retorica, e di altre persone che passavano per erudite, si gonfiavano fino a scoppiare ; perciò io restavo là con la bocca aperta come davanti a cosa straordinaria e divina. Ne discussi poi con persone che dicevano di averla capita a fatica, pur sotto la guida di maestri coltissimi e con l’ausilio non solo delle loro parole, ma anche di molte figure tracciate sulla polvere ; ma non riuscii a saperne più di quanto avevo imparato da me solo, leggendola per mio conto. Mi sembrava che l’opera parlasse abbastanza chiaramente delle sostanze, quale l’uomo, e delle loro proprietà, quale l’aspetto dell’uomo, come sia ; la statura, di quanti piedi sia ; la relazione, di chi sia fratello ; oppure dove sia stabilito, quando nato, se stia ritto o seduto, se abbia i piedi calzati e armi indosso, se compia o subisca qualche azione, e insomma tutte le innumerevoli qualità comprese nelle nove categorie di cui ho dato qualche esempio e nella categoria stessa di sostanza.

16. 29. A che mi giovava ciò ? Anzi, mi nuoceva addirittura. Convinto che quei dieci attributi comprendono perfettamente tutto ciò che esiste, mi sforzavo di capire anche te, Dio mio, essere mirabilmente semplice e immutabile, come condizionato dalla tua grandezza e bellezza. Queste qualità mi parevano sussistere in te come in un essere condizionato, come in un corpo, mentre tu medesimo sei la tua grandezza e bellezza, invece i corpi non sono grandi e belli per loro natura. Potrebbero infatti essere meno grandi e meno belli senza perdere per ciò la loro natura. Ogni mio concetto di te era falso, non vero ; vana immaginazione della mia miseria, non solida visione della tua beatitudine. L’avevi voluto, e così accadeva in me che la terra producesse per me spine e triboli, e io ottenessi il pane a prezzo di fatiche (Gn 3,18 s).

Lettura di varie opere letterarie e scientifiche


16. 30. E a che mi giovava l’aver letto e capito da me tutti i trattati che potei delle arti cosiddette liberali, se allora ero schiavo disonestissimo delle male passioni ? Trovavo diletto nella loro lettura senza conoscere la provenienza delle sicure verità in essi contenute, poiché volgevo il dorso al lume, il viso agli oggetti illuminati : così il mio viso, se li vedeva illuminati, non era però illuminato. Quante nozioni di eloquenza e dialettica, di geometria e musica e aritmetica intesi senza grande fatica e alcun ammaestramento umano lo sai tu, Signore Dio (Tb 3,16 Ps 68,6) mio, poiché la prontezza dell’intelletto e l’acume del discernimento sono dono tuo. Ma non ne facevo offerta a te (Cf. Sal Ps 53,8), quindi erano per me un potere più nocivo che utile. Infatti m’industriai di rivendicare a me stesso la parte migliore della mia sostanza ; anziché preservare la mia forza presso di te (Ps 58,10), mi allontanai da te verso un paese lontano, ove dissiparla fra le meretrici passioni (Lc 15,13). A che mi giovava invero l’uso non buono di una cosa buona ? Non mi rendevo conto delle grandi difficoltà che la comprensione di quelle dottrine presenta anche a studiosi d’ingegno, se non quando mi sforzavo di spiegarle a loro, e il più eccellente fra loro era il meno tardo a capire la mia spiegazione.

Inutilità dell’ingegno e della cultura separati da Dio


16. 31. A che mi giovava ciò, se, Signore Dio e verità, pensavo che tu fossi un corpo luminoso e immenso, e io un frammento di quel corpo ? Smisurata perversione ! Eppure era il mio stato e non arrossisco, Dio mio, di confessarti gli atti della tua misericordia (Cf. Sal Ps 106, 8, 15, 21, 31) verso di me e invocarti, come non arrossii allora di professare davanti agli uomini le mie bestemmie latrando contro di te (Cf. Gdt Jdt 11,15). A che mi giovava allora l’abile destreggiarsi del mio ingegno attraverso le scienze, l’aver districato senza l’ausilio di maestri umani tanti libri intricatissimi, se poi erravo con mostruosa e sacrilega infamia nella dottrina della tua pietà ? Oppure, perché tanto nuoceva ai tuoi piccoli un’intelligenza di gran lunga più tarda della mia, quando non si ritiravano lungi da te, e dunque mettevano sicuri le piume nel nido della tua Chiesa e sviluppavano le ali della carità con l’alimento di una fede sana (Cf. Sal Ps 83,4 Jb 39,26) ? O Signore Dio nostro, noi si speri nella copertura delle tue ali, e tu proteggi noi (Ps 35, 8;56, 2; 62, 8; 60, 5; 16, 8), sorreggi noi. Tu ci sorreggerai, ci sorreggerai da piccoli, e ancora canuti ci sorreggerai (Is 46,4). La nostra fermezza, quando è in te, allora è fermezza ; quando è in noi, è infermità. Il nostro bene vive sempre accanto a te, e nell’avversione a te è la nostra perversione. Volgiamoci tosto indietro, Signore, per non essere sconvolti. Il nostro bene vive indefettibilmente accanto a te, perché tu medesimo lo sei (Cf. Sal Ps 101,28), e non temiamo di non trovare al nostro ritorno il nido da cui siamo precipitati. La nostra casa non precipita durante la nostra assenza : è la tua eternità.

Libro quinto




DA CARTAGINE A ROMA E MILANO

Introduzione


Lodi al Signore

501
1. 1. Accetta l’olocausto delle mie confessioni (Cf. Sal
Ps 50,21) dalla mano della mia lingua (Cf. Prv Pr 18,21), formata e sollecitata da te alla confessione del tuo nome (Ps 53,8). Risana tutte le mie ossa, e ti dicano : "Signore, chi simile a te ?" (Ps 6,3 Ps 34,10). Chi a te si confessa non ti rende nota la sua intima storia, poiché un cuore chiuso non esclude da sé il tuo occhio, né la durezza degli uomini respinge la tua mano, bensì tu la stempri a tuo piacere, con la pietà o la punizione ; e nessuno si sottrae al tuo calore (Ps 18,7). La mia anima ti lodi (Ps 118,175 Ps 145,2) per amarti, ti confessi gli atti della tua commiserazione (Cf. Sal Ps 106, 8, 15, 21, 31 (Cf. Aug., En, in Ps 106,4-10 ss.: PL 37, 1421 ss.; NBA 27, 872)) per lodarti. L’intero tuo creato non interrompe mai il canto delle tue lodi : né gli spiriti tutti (Cf. Sal Ps 150,6) attraverso la bocca rivolta verso di te (Cf. Tb Tb 3,14 Ps 50,15), né gli esseri animati e gli esseri materiali, attraverso la bocca di chi li contempla. Così la nostra anima, sollevandosi dalla sua debolezza e appoggiandosi alle tue creature, trapassa fino a te, loro mirabile creatore (Cf. Sal Ps 71,18 Ps 135,4). E lì ha ristoro e vigore vero.

Presenza di Dio consolatore

502
2. 2. Vadano, fuggano (Cf. Sal
Ps 138,7) pure lontano da te gli inquieti e gli iniqui. Tu li vedi, ne distingui le ombre fra le cose. Così l’insieme risulta bello anche con la loro presenza, con la loro deformità. Che male poterono farti ? dove poterono deturpare il tuo regno, se è giusto e intatto dall’alto dei cieli fino ai lembi estremi della terra ? Dove fuggirono fuggendo dal tuo volto (Ps 138,7) ? in quale luogo non li puoi trovare ? Fuggirono per non vedere la tua vista posata su di loro e urtare, accecati, contro di te (Cf. Rm Rm 11,7-11), che non abbandoni nulla di ciò che hai creato (Cf. Sap Sg 11,25) ; per non urtare contro di te, e ricevere l’equo castigo della loro iniquità. Si sottrassero alla tua mitezza per urtare nella tua giustizia e cadere nella tua severità. Evidentemente ignorano che tu sei dovunque e nessun luogo ti racchiude, che tu solo sei vicino anche a chi si pone lontano da te. Dunque si volgano indietro a cercarti : tu non abbandoni le tue creature (Cf. Sal Ps 9,11) come esse abbandonano il loro creatore. Se si volgono indietro da sé a cercarti, eccoti già lì, nel loro cuore, nel cuore di chiunque ti riconosce e si getta ai tuoi piedi, piangendo sulle tue ginocchia dopo il suo aspro cammino (Cf. Sap Sg 5,7). Tu prontamente ne tergi le lacrime (Cf. Ap Ap 7,17 Ap 21,4), e più singhiozzano allora e si confortano al pianto perché sei tu, Signore, e non un uomo qualunque, carne e sangue (Mt 16,17 1Co 15,50), ma tu, Signore, il loro creatore, che le rincuori e le consoli. Anch’io dov’ero quando ti cercavo ? Tu eri davanti a me, ma io mi ero allontanato da me e non mi ritrovavo. Tanto meno ritrovavo te.

Insufficienze ed errori del manicheismo


Il vescovo manicheo Fausto, lacciuolo del diavolo

503
3. 3. Esporrò al cospetto del mio Dio le vicende di quell’anno, ventinovesimo della mia vita. Poco prima era giunto a Cartagine un vescovo manicheo di nome Fausto, gran lacciuolo del diavolo (Cf. 1 Tm
1Tm 3,7 1Tm 6,9 2 Tm 2Tm 2,26), in cui si lasciava impigliare molta gente ammaliata dalla dolce favella, che anch’io elogiavo, però distinguendola dalla verità delle cose che ero avido di conoscere. Badavo cioè non tanto al recipiente delle parole, quanto alla vivanda del sapere che, nome altisonante fra quei tali, il grande Fausto mi metteva innanzi. Lo aveva preceduto la fama di uomo versatissimo in tutte le nobili discipline, ma particolarmente erudito nelle lettere. Io, che ricordavo, per averle lette e studiate, le opere di molti filosofi, confrontandone alcune con le favole prolisse dei manichei, trovavo più probabili le teorie di chi ebbe tanta perspicacia, da fare giusta stima del mondo, pur senza scoprirne affatto il Signore (Sg 13,9) ; perché tu sei grande, Signore, e volgi lo sguardo sugli umili, mentre gli eccelsi li vuoi conoscere da lontano (Ps 137,6) e solo ai cuori contriti (Ps 33,19) ti avvicini ; non ti riveli ai superbi neppure se con la loro curiosa destrezza sappiano calcolare le stelle e l’arena, misurare gli spazi siderei ed esplorare le piste degli astri.

Facoltà e difetti della scienza


3. 4. Investigando questi misteri con l’intelligenza e l’ingegno da te ricevuti, essi fecero molte scoperte, predissero con anticipo di molti anni gli eclissi della luce del sole e della luna, con il giorno, l’ora e la misura in cui sarebbero avvenuti, senza errare nei calcoli. I fenomeni si verificarono puntualmente secondo le loro predizioni, ed essi misero per iscritto le leggi scoperte, tuttora consultate e usate per predire l’anno, il mese dell’anno, il giorno del mese, l’ora del giorno e la misura in cui la luce del sole e della luna scomparirà ; e il fenomeno avverrà puntualmente secondo le predizioni. Il popolo ne è ammirato, gli ignari stupiti, gli esperti imbaldanziti ed esaltati. Ma se, lontani ed eclissati dalla tua luce per la loro empia superbia, prevedono con tanto anticipo l’offuscamento futuro del sole, non vedono però il loro, presente, poiché non ricercano con spirito religioso l’origine del proprio ingegno, con cui eseguono queste ricerche ; o, se si scoprono tue creature, non si donano a te con slancio affinché tu conservi le tue creature. Quasi fossero essi i propri creatori (Cf. Sal Ps 99,3), non si annientano per te, non abbattono come uccelli in volo le proprie vanità, come pesci del mare le proprie curiosità, che li spingono a percorrere i segreti sentieri dell’abisso, come bestie del campo (Ps 8,8 s) le proprie lascivie, affinché tu, Dio, fuoco divoratore, distrugga (Cf. Dt 4,24 He 12,29) i loro morti desideri e ricrei le loro persone a una vita immortale.

3. 5. Ignorano invece la via, il tuo Verbo, con cui creasti ciò (Cf. Gv Jn 14,6 Jn 1,3) che essi calcolano, loro stessi che calcolano, il senso con cui percepiscono ciò che calcolano, l’intelligenza per cui calcolano ; mentre la tua sapienza è incalcolabile (Ps 146,5). L’Unigenito si è fatto lui stesso sapienza e giustizia e santificazione per noi (1Co 1,30), fu calcolato fra noi e pagò il tributo a Cesare (Cf. Mt Mt 22,21). Ignorano questa via su cui discenderebbero da se stessi a lui, e per lui ascenderebbero a lui ; ignorano questa via e si credono eccelsi e luminosi come gli astri, mentre eccoli precipitati in terra, col cuore ottenebrato e insipiente. Molte verità dicono sul creato, ma non cercano devotamente la verità, autrice della creazione. Quindi non la trovano o, se la trovano, pur conoscendo Dio, non come Dio l’onorano o lo ringraziano, ma si disperdono nei loro vani pensieri, si proclamano sapienti (Rm 1,21 s) attribuendo a se stessi ciò che è proprio a te, e quindi studiandosi anche, nella loro perversissima cecità, di attribuire a te ciò che è proprio a loro. Ossia trasferiscono le loro menzogne su di te, che sei la verità (Cf. Gv Jn 14,6), trasformando la gloria di Dio incorruttibile nell’immagine dell’uomo corruttibile e degli uccelli e dei quadrupedi e dei serpenti ; convertono la tua verità in menzogna e adorano e servono la creatura anziché il creatore (Rm 1, 23, 25).

Dogmatismo manicheo


3. 6. Molte sono, comunque, le nozioni esatte che ricavarono dallo stesso creato e che io appresi. Me ne offrivano la prova razionale i calcoli, la successione delle stagioni, le testimonianze visibili degli astri, e le confrontavo con le sentenze di Mani, che in proposito scrisse molto, delirando abbondantissimamente ; e non mi si offriva la prova razionale né dei solstizi ed equinozi, né degli eclissi celesti, né degli altri fenomeni analoghi che avevo appreso dai testi della sapienza profana ; tuttavia mi si imponeva di credergli, anche se discordava dalle spiegazioni che i calcoli numerici e i miei occhi accertavano, e largamente ne divergeva.

Scienza e fede

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4. 7. Signore, Dio di verità (
Ps 30,6), basta la conoscenza di queste cose per piacerti ? Infelice davvero chi conosce tutte quelle e ignora te ; felice chi conosce te, anche se ignora quelle. Chi poi sa e di te e di quelle, non per quelle è più felice, ma per te solo felice, se, oltre a conoscerti, ti glorifica per ciò che sei e ti ringrazia, anziché sperdersi nei suoi vani pensieri (Cf. Rm Rm 1,21). Chi sa di possedere un albero e ti è grato di goderlo, pur ignorando i cubiti della sua altezza o la sua estensione in larghezza, è migliore di chi lo misura e ne conteggia tutti i rami, però non lo possiede né riconosce il suo creatore né lo ama. Così all’uomo di fede il mondo intero con i suoi tesori appartiene (Pr 17,6) ; forse non ha quasi nulla, eppure tutto possiede (Cf. 2Co 6,10) perché unito a te, padrone di tutto. Non importa se nemmeno conosce i giri delle Orse : solo uno stolto dubiterebbe che non sia in ogni caso migliore di chi sa misurare il cielo, enumerare le stelle, pesare gli elementi, però fa nessun conto di te, che ogni cosa hai disposto nella sua misura e numero e peso (Sg 11,21).

Presunzione sfrontata di Mani

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5. 8. Infine, chi chiedeva a un certo Mani di scrivere anche su cose che non occorre conoscere per imparare la pietà ? Tu dicesti all’uomo : "Ecco, pietà è sapienza" (
Jb 28,28). Quindi egli poteva ignorare la pietà, pur conoscendo alla perfezione le altre nozioni. Senonché, avendo l’audacia sfrontatissima d’insegnare queste ultime senza conoscerle, tanto meno poteva conoscere la prima. È pure vanità esibire la scienza mondana anche quando la si possiede, e invece pietà riconoscerla come tua. Perciò il suo molto parlare, a sproposito, su tali argomenti aveva questo fine : che, confutato da persone davvero istruite in materia, si rivelasse qual era la sua perspicacia in argomenti più astrusi. Lungi dal cercare di essere negletto dagli uomini, tentò di far credere che lo Spirito Santo, consolazione e ricchezza dei tuoi fedeli, risiedeva in lui di persona con la pienezza della sua autorità. Perciò, quando si coglievano flagranti errori nella sua teoria sul cielo, le stelle e i movimenti del sole e della luna, argomenti certo estranei all’insegnamento religioso, ne risultava tuttavia con sufficiente chiarezza l’empietà dei suoi tentativi. Egli esponeva nozioni che non solo ignorava, ma erano anche false, con un orgoglio a tal punto insensato, che si sforzava di attribuirle alla propria persona come divina.

5. 9. Ascoltando qua o là un mio fratello cristiano, che in materia è inesperto e ha idee sbagliate, io considero le sue opinioni pazientemente né vedo come gli nuoccia l’ignorare accidentalmente la posizione e la condotta di enti corporei creati da te, allorché su di te, Signore, creatore di tutto (Cf. 2 Mac 2M 1,24), non ha opinioni sconvenienti. Gli nuocerebbe invece il pensare che questa scienza faccia parte proprio dell’insegnamento religioso e l’affermare con sfrontata ostinazione quanto ignora. E poi no : perfino una simile debolezza trova nella culla della fede il sostegno materno della carità finché l’uomo nuovo (Cf. Ef Ep 4,24) si levi alla perfezione virile senza lasciarsi spingere or qua or là dal vento di ogni dottrina (Ep 4,13 s). Per chi tuttavia aveva osato erigersi a tale dottore, maestro, guida e capo dei discepoli, che i suoi seguaci erano persuasi di trovarsi al seguito non di un uomo comune, ma del tuo Spirito Santo, si poteva mai giudicare che tanta follia, una volta dimostrata falsa, non meritasse esecrazione e un netto rifiuto ? Io per altro non avevo ancora assodato chiaramente se la successione di giorni e notti ora più lunghe, ora più brevi, come delle notti stesse ai giorni, l’oscuramento delle luci celesti e quanti fenomeni del genere avevo letto negli altri libri, non si fosse potuto spiegarli anche secondo i suoi insegnamenti. Se si fosse potuto, pur rimanendo incerto, naturalmente, su come stessero le cose, avrei tuttavia messo innanzi, per conservare la mia fede, la sua autorità, a cagione della fama di santo che lo circondava.

Attesa, arrivo, personalità di Fausto

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6. 10. Perciò durante i nove anni circa, in cui la mia mente vagabonda ascoltò costoro, attesi con desiderio fin troppo intenso l’arrivo di questo Fausto. Tutti gli altri suoi consorti, con i quali ero venuto accidentalmente a contatto, alle obiezioni che muovevo su questa materia non sapevano rispondere se non con la promessa del suo arrivo : al primo abboccamento egli non avrebbe avuto la minima difficoltà a risolvere nel modo più chiaro questi e altri più intricati quesiti che gli avessi eventualmente proposti. Così quando arrivò feci la conoscenza di una persona amabile, un parlatore piacevole, capace di esporre le medesime cose dette da altri, in forma molto più attraente. Ma che importavano alla mia sete i più preziosi calici di un elegantissimo coppiere ? Di simili discorsi le mie orecchie erano già sature ; non mi apparivano migliori per essere detti meglio, o veri per essere eloquenti, né mi appariva saggia la sua mente per essere il suo aspetto gradevole ed elegante l’eloquio. Quanto a coloro che me ne promettevano meraviglie, non erano buoni giudici : egli sembrava a loro accorto e saggio perché li dilettava la sua parola. Ho conosciuto d’altra parte una diversa specie di persone, che prendevano addirittura in sospetto la verità e si rifiutavano di tenersene paghi se gliela si porgeva con linguaggio ornato e ridondante. Ma per mio conto ero già stato ammaestrato dal mio Dio in modi mirabili e segreti : e credo che fosti tu ad ammaestrarmi perché si tratta della verità e fuori di te nessun altro è maestro di verità, ovunque e da dovunque splenda la sua fama. Avevo già imparato da te, dunque, che un argomento esposto non deve sembrare vero perché esposto eloquentemente, né falso perché risuonano confusamente le parole dalla bocca ; ma neppure vero perché espresso rozzamente, né falso perché forbito il discorso. Accade invece della sapienza e della stoltezza come dei cibi utili e nocivi : sono somministrabili con parole ornate o disadorne, come entrambi quei cibi con piatti civili o rusticani.

6. 11. L’avidità con cui avevo aspettato per tanto tempo il personaggio era appagata dall’eccitazione patetica delle sue dispute e dalla scelta di parole adatte, che si ordinavano spontaneamente a rivestire i concetti. Ero dunque soddisfatto, e come molti altri o anche più di molti altri, lo elogiavo e magnificavo ; però mi stizzivo di non potergli sottoporre, nella ressa degli ascoltatori, le mie questioni e metterlo a parte delle mie angustie, conferendo con lui nell’intimità, ascoltando e rispondendo ai suoi argomenti. Quando infine me ne fu data l’occasione e con i miei amici riuscii ad accaparrarmi la sua attenzione in un’ora adatta per un dibattito a due, esposi alcuni dubbi che mi turbavano ; ma conobbi anzitutto un uomo che non conosceva le lettere, se si esclude la grammatica, in cui pure non era eccezionalmente versato : aveva letto alcune orazioni tulliane, pochissimi libri di Seneca, qualche volume di poesia, e i pochi dei suoi correligionari che siano scritti in un latino corretto e adorno. In più, dall’esercizio dei discorsi tenuti giornalmente in pubblico gli derivava una parlata facile, resa ancora più gradita e seducente da un uso accorto dell’ingegno e da un certo garbo naturale. È così come ricordo, Signore Dio mio, arbitro della mia coscienza ? Il mio cuore e la mia memoria sono innanzi a te (Cf. At
Ac 8,21 Nb 10,9), che allora mi muovevi secondo l’occulto segreto della tua provvidenza e già rivolgevi i miei turpi errori davanti alla mia faccia (Cf. Sal Ps 49,21) perché al vederli li odiassi.

Gradevole modestia di Fausto

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7. 12. Dopoché mi apparve abbastanza chiaramente l’incompetenza di quell’uomo nelle discipline in cui l’avevo immaginato eccellente, cominciai a perdere la speranza di avere da lui spiegate e risolte le questioni che mi turbavano. Naturalmente avrebbe potuto ignorare le mie questioni, e possedere la verità religiosa ; ma a patto di non essere un manicheo. I libri manichei rigurgitano d’interminabili favole sul cielo, le stelle, il sole, la luna, e io desideravo appunto questo : che dimostrasse intelligentemente, dopo averle raffrontate con le spiegazioni matematiche da me lette altrove, come la spiegazione offerta dai testi di Mani fosse preferibile o di certo almeno pari ; ma non speravo più tanto. Gli sottoposi tuttavia le questioni, affinché le considerasse e discutesse. Egli con innegabile modestia e cautela si rifiutò di addossarsi il pesante fardello ; non ignaro della propria ignoranza in materia, non si vergognò di riconoscerla. Era dunque ben diverso dai molti chiacchieroni che avevo dovuto sopportare e che avevano cercato di erudirmi senza dire nulla. Costui aveva un’intelligenza, se non diretta verso di te (
Ps 77,37 Ac 8,21), però non troppo incauta verso se stessa. Non del tutto inesperto della propria inesperienza, evitò di rinchiudersi con una disputa temeraria in una posizione senza uscite e di non facile ritirata per lui. Anche questo atteggiamento me lo rese ancora più accetto. La modestia di un animo che si apre è più bella della scienza che io cercavo ; e quell’uomo lo trovai sempre così in tutte le questioni un po’ difficili e sottili.

Sfiducia e freddezza verso il manicheismo


7. 13. Con lui si dissolse l’interesse che avevo portato alle dottrine di Mani. Fiducia ancora minore nutrivo verso gli altri loro maestri, dopoché il più famoso mi si rivelò ignorante nelle molte questioni che mi turbavano. Non mancai tuttavia di frequentarlo a motivo della passione che lo infiammava per la letteratura, da me insegnata a quel tempo come retore ai giovani di Cartagine. Leggevo in sua compagnia i testi di cui aveva udito parlare e che desiderava conoscere, oppure io stesso ritenevo adatti a un’indole come la sua. Per il resto i miei sforzi e intenti di progredire in quella setta furono tutti immediatamente stroncati dopo conosciuto quell’uomo, benché non me ne separassi del tutto. Non trovando, direi, nulla di meglio, decisi di star pago per il momento della posizione che avevo comunque raggiunto precipitosamente, finché apparisse una luce preferibile. Così quel Fausto, che fu per molti un lacciuolo mortale (Cf. Sal Ps 17,6 Pr 21,6), senza volerlo e senza saperlo aveva già cominciato a sciogliere il lacciuolo in cui ero stato preso. Le tue mani, Dio mio, nel segreto della tua provvidenza non abbandonavano invero la mia anima ; d’altra parte, dal cuore sanguinante di mia madre ti si offriva per me notte e giorno il sacrificio delle sue lacrime. Agisti verso di me in modi mirabili (Cf. Gl Jl 2,26). Fu azione tua, Dio mio, perché dal Signore sono diretti i passi dell’uomo, e gli imporrà la via (Ps 36,23). Come ottenere la salvezza, se la tua mano non ricrea la tua creazione ?

A Roma ; crisi scettica


I motivi della partenza

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Agostino: Le confessioni 412