Agostino: Le confessioni 614

Progetti di vita in comune fra amici

614
14. 24. Eravamo molti amici, che per avversione alle noie e ai disturbi della vita umana avevamo progettato, discusso e già quasi deciso di ritirarci a vivere in pace lontano dalla folla. Si era organizzato il nostro ritiro così : tutti i beni che mai possedessimo, sarebbero stati messi in comune, costituendosi, di tutti, un patrimonio solo. In tale maniera, per la nostra schietta amicizia non ci sarebbero stati beni dell’uno o dell’altro, ma un’unica sostanza, formata da tutti ; questa sostanza collettiva sarebbe stata di ognuno, e tutte le sostanze sarebbero state di tutti. A nostro parere ci saremmo potuti riunire in una decina di persone, alcune delle quali molto facoltose, specialmente Romaniano, mio concittadino e amicissimo fin dall’infanzia, allora condotto alla corte dal turbine gravoso dei suoi affari. Era lui anzi a insistere più di tutti per l’attuazione del progetto, e le sue sollecitazioni avevano un peso notevole a causa del suo ingente patrimonio, superiore di molto a tutti gli altri. Avevamo anche stabilito che anno per anno due di noi si occuperebbero, come magistrati, di provvedere tutto il necessario agli altri, invece tranquilli. Ma quando si venne a considerare se le donnicciuole, che alcuni di noi avevano già in casa e che noi desideravamo prendere, avrebbero dato il loro assenso, l’intero progetto, così ben formulato, ci andò in pezzi fra mano e fu gettato, infranto, in un angolo. Così tornammo ai nostri sospiri, ai nostri gemiti, ai nostri passi sulle strade ampie e battute del mondo (Cf. Mt
Mt 7,13), poiché molti pensieri passavano nel nostro cuore (Pr 19,21), mentre il tuo disegno sussiste eternamente (Ps 32,11). Dall’alto di quel disegno deridevi le nostre decisioni e preparavi le tue, attendendo di darci il cibo al momento opportuno, di aprire la mano e saziare le nostre anime con la tua benedizione (Ps 144,15 s).

Una nuova donna

615
15. 25. Frattanto i miei peccati si moltiplicavano (Cf. Sir
Si 23,3), e quando mi fu strappata dal fianco, quale ostacolo alle nozze, la donna con cui ero solito coricarmi, il mio cuore, a cui era attaccata, ne fu profondamente lacerato e sanguinò a lungo. Essa partì per l’Africa, facendoti voto di non conoscere nessun altro uomo (Cf. Lc Lc 1,34) e lasciando con me il figlio naturale avuto da lei. Ma io, sciagurato, incapace d’imitare una femmina e di pazientare quei due anni di attesa finché avrei avuto in casa la sposa già richiesta, meno vago delle nozze di quanto fossi servo della libidine, mi procurai un’altra donna, non certo moglie, quale alimento, quasi, che prolungasse, intatta o ancora più vigorosa, la malattia della mia anima, vegliata da una consuetudine che doveva durare fino al regno della sposa. Non guariva per questo la ferita prodotta in me dall’amputazione della compagna precedente ; però, dopo il bruciore e lo strazio più aspro, imputridiva, e la sofferenza, perché più gelida, era anche più disperata.

Il massimo dei beni e dei mali

616
16. 26. Lode a te, gloria a te (Cf. 1 Cr
1Ch 29,11 s), fonte di misericordie. Io mi facevo più miserabile, e tu più vicino. Ormai, ormai era accostata la tua mano, che mi avrebbe tolto e levato dal fango (Ps 39,3), e io lo ignoravo. Solo, a trattenermi dallo sprofondare ulteriormente nel gorgo dei piaceri carnali, stava il timore della morte e del tuo giudizio futuro, mai dileguato dal mio cuore pur nel variare delle mie opinioni. Con i miei amici Alipio e Nebridio mi ero messo a discutere sul massimo dei beni e dei mali (Cf. Cic., De fin, 1, 17, 55). Per me, dicevo, avrebbe ricevuto la palma Epicuro, se non avessi creduto alla sopravvivenza dell’anima e al prolungarsi delle nostre azioni oltre la morte, ciò che Epicuro si rifiutò di credere ; e domandavo perché mai l’immortalità e una vita trascorsa in perpetua voluttà del corpo, senza alcun timore di perderla, non dovrebbero renderci felici, o che altro dovremmo cercare. Non riflettevo che l’incapacità stessa di immaginare, perché sprofondato nella cecità, la luce della virtù e di una bellezza che si fa abbracciare da sé sola, invisibile all’occhio della carne, visibile all’intimo dello spirito, è parte di una grande miseria. Né mi chiedevo, nella mia miseria, da quale fonte mi fluiva il diletto che pure provavo a discutere di argomenti così laidi con gli amici. Senza amici non avrei potuto essere felice nemmeno nel senso che davo allora alla parola, con la massima abbondanza delle soddisfazioni carnali. Sì, io amavo quegli amici disinteressatamente e mi sentivo a mia volta amato disinteressatamente da loro. Ma ahimè, quali vie tortuose ! Guai all’anima (Is 3,9) temeraria, che sperò di trovare di meglio allontanandosi da te. Vòltati e rivòltati sulla schiena, sui fianchi, sul ventre, ma tutto è duro, e tu solo il riposo. Ed eccoti, sei qui (Ps 138,8), ci liberi dai nostri errori miserabili e ci metti sulla tua strada (Cf. Sal Ps 31,8) e consoli e dici : "Correte (Cf. 1Co 9,24), io vi reggerò (Is 46,4), io vi condurrò al traguardo e là ancora io vi reggerò".

Libro settimo




VERSO LA VERITÀ

Il problema del male


L’arduo concetto di Dio

701
1. 1. Ormai la mia adolescenza sciagurata e nefanda era morta, e mi avviavo verso la maturità. Però, quanto più crescevo nell’età della vita, tanto più scadevo nella fatuità del pensiero. Non riuscivo a pensare una sostanza diversa da quella che si vede abitualmente con gli occhi. Da quando avevo cominciato a udire qualcosa della sapienza, non t’immaginavo più, o Dio, sotto l’aspetto di corpo umano e mi rallegravo, per la ripugnanza sempre provata verso questa concezione, di aver scoperto questa verità entro la fede della nostra madre spirituale, la tua Chiesa cattolica. Non trovavo però un’altra forma, con cui pensarti. Mi sforzavo di pensarti, io, un uomo, e quale uomo, te, il sommo e il solo e il vero Dio (
Jn 17,3) ; ti credevo con tutta l’anima incorruttibile, inviolabile, immutabile ; pur ignorandone la causa e il modo, riconoscevo chiaramente e sicuramente l’inferiorità di una cosa corruttibile rispetto ad una incorruttibile ; ponevo senza esitare una cosa inviolabile al di sopra di una violabile, e ritenevo le immutabili superiori alle mutabili ; il mio cuore strepitava (Cf. Lm 2,18) violentemente contro tutte le mie vane fantasie, io cercavo di allontanare col suo solo impeto dallo sguardo della mia mente la turba delle immonde immagini che le svolazzavano attorno. Ma, appena scacciata, eccola di nuovo in un batter d’occhio (1Co 15,52) avventarsi compatta contro il mio sguardo e offuscarlo. Così, sebbene non in forma di corpo umano, ero tuttavia costretto a pensarti come un che di corporeo esteso nello spazio, incluso nel mondo o anche diffuso per lo spazio infinito oltre il mondo, esso pure incorruttibile e inviolabile e immutabile, cosicché lo anteponevo al corruttibile e violabile e mutabile. Ciò perché, se non attribuivo a una cosa l’estensione in uno di tali spazi, essa per me era nulla, letteralmente nulla e non un semplice vuoto, quale si ottiene togliendo da un certo luogo un certo corpo, che rimane, il luogo, vuoto di qualsiasi corpo terrestre o acqueo o aereo o celeste, ma pure sussiste un luogo vuoto, quasi un nulla provvisto di spazio.

1. 2. Così, tardo di mente (Cf. Mt Mt 13,15 Ac 28,27), poco chiaro io stesso a me stesso, ritenevo che tutto quanto non fosse per un certo spazio esteso o espanso o addensato o gonfio, provvisto o atto a provvedersi di una di tali qualità, non fosse letteralmente nulla. Le immagini, attraverso cui si muoveva la mia mente, erano le medesime per cui si muovono abitualmente i miei occhi ; e non vedevo come questa stessa tensione interiore, con cui formavo proprio quelle immagini, era cosa diversa da esse, eppure non le avrebbe formate, se non fosse stata qualcosa di grande. Così concepivo persino te, vita della mia vita, come un vasto ente, che da ogni dove penetra per spazi infiniti l’intera mole dell’universo e di là da essa si diffonde in ogni senso attraverso spazi incommensurabili, senza limite ; e in tal modo ti possedeva la terra, ti possedeva il cielo, ti possedeva ogni cosa, e tutte erano definite dentro di te, ma tu in nessuna parte. Come la massa dell’aria, di quest’aria che sovrasta la terra, non ostacola la luce del sole, impedendole di attraversarla e penetrarvi senza squarci o fratture, ma anzi ne è tutta pervasa ; così pensavo che la massa del cielo, dell’aria, del mare, della terra stessa ti si aprisse e ti lasciasse penetrare per riceverti presente in ogni sua parte, grande o piccola, poiché tu col tuo soffio invisibile governi e dall’esterno e dall’interno tutto il tuo creato. Incapace d’immaginarmi diversamente le cose, andavo facendo di queste congetture : erano infatti falsità. Secondo quei princìpi una porzione maggiore della terra conterrebbe una porzione maggiore di te, una minore, una minore. Piene, sì, tutte le cose di te, il corpo di un elefante ti conterrebbe però in quantità maggiore di un passero, e tanto maggiore, quanto è più grande un elefante di un passero e occupa uno spazio più grande. Così tu ti sminuzzeresti negli elementi dell’universo, rendendo presente in ognuno una parte di te, piccola o grande, secondo che essi sono piccoli o grandi. Non è così, ma non avevi ancora illuminato le mie tenebre (Ps 17,29).

L’argomento di Nebridio contro la concezione manichea di Dio

702
2. 3. Mi sarebbe bastato, Signore, di usare contro quegli ingannatori ingannati e muti ciarlieri (Cf. Mt
Mt 15,31), poiché dalla loro bocca non risuonava la tua parola, mi sarebbe bastato di usare l’argomento che fin dai tempi di Cartagine soleva porre innanzi Nebridio, e che tutti ci aveva scossi, quanti l’avevamo udito : cosa avrebbe potuto farti quella, chissà poi quale, genìa delle tenebre, che ti oppongono abitualmente come massa contraria, se ti fossi rifiutato di misurarti con essa ? O rispondono che ti avrebbe danneggiato, e allora non saresti inviolabile e incorruttibile ; oppure rispondono che non poteva affatto danneggiarti, e allora quale scopo trovare per la lotta ? una lotta, poi, ove una porzione di te, una delle tue membra o un prodotto della tua stessa sostanza si mescolerebbe alle potenze avverse, a nature non create da te ; e queste lo corromperebbero e degraderebbero a tal punto, che precipita dalla beatitudine nella miseria e ha bisogno di un soccorso per esserne estratto e purificato. E questo prodotto sarebbe l’anima, che il tuo Verbo libero doveva sovvenire nella sua schiavitù, puro, nella sua contaminazione, illibato, nella sua corruzione, però corruttibile anch’egli, poiché fatto di un’unica e medesima sostanza. Se ammettono l’incorruttibilità di tutto ciò che sei, ossia della sostanza di cui sei fatto, le affermazioni sopra riportate sono tutte false ed esecrabili ; se invece sostengono la tua corruttibilità, un tale giudizio è già falso e detestabile fin dalla prima parola. Sarebbe bastato questo argomento contro persone che dobbiamo rigettare a qualunque costo dallo stomaco, ove ci pesano. Chi pensava e parlava di te in questi termini, non poteva uscirne senza un orribile sacrilegio di cuore e di lingua.

Origine del male e libero arbitrio

703
3. 4. Ma anch’io ormai sostenevo e credevo fermamente la tua intangibilità, inalterabilità e immutabilità totale, Dio nostro, Dio vero, creatore non solo delle nostre anime ma altresì dei nostri corpi, né soltanto delle nostre anime e corpi, ma di tutti gli esseri e di tutte le cose. Non mi era invece chiara e palese l’origine del male ; tuttavia vedevo che, comunque fosse, la sua ricerca non avrebbe dovuto costringermi a credere mutabile un Dio immutabile, se non volevo divenire io stesso ciò che cercavo. Procedevo dunque tranquillamente, sicuro della falsità delle loro asserzioni e aborrendoli di tutto cuore, poiché li vedevo intenti a cercare l’origine del male quando erano essi medesimi colmi di malizia (Cf. Qo
Qo 9,3 Rm 1,29), tanto da ammettere piuttosto che la tua sostanza possa subire, ma non la loro fare il male.

3. 5. Mi sforzavo di vedere ciò che udivo sulla libera determinazione della volontà come causa del male che facciamo, e l’equità del tuo giudizio (Ps 118,137) come causa di quello che subiamo, ma non riuscivo a scorgerla chiaramente. Tentavo di spingere lo sguardo della mia mente fuori dall’abisso, ma vi ricadevo di nuovo ; ripetevo i tentativi, ma ricadevo di nuovo e di nuovo. Una cosa mi sollevava verso la tua luce : la consapevolezza di possedere una volontà non meno di una vita. In ogni atto di consenso o rifiuto ero certissimo di essere io, non un altro, a consentire e rifiutare ; e di trovarmi in quello stato a causa del mio peccato, lo capivo sempre meglio. Invece, degli atti che compivo mio malgrado mi riconoscevo vittima piuttosto che attore e li giudicavo non già una colpa, bensì una pena inflittami da te giustamente, non esitavo ad ammetterlo considerando la tua giustizia. Ma a questo punto mi chiedevo : "Chi mi ha creato ? Il mio Dio, vero ? che non è soltanto buono, ma la bontà in persona. Da chi mi viene dunque il consenso che dò al male e il rifiuto che oppongo al bene ? Accade così per farmi scontare giusti castighi ? Ma chi ha piantato e innestato in me questo, virgulto d’infelicità (Cf. Eb He 12,15), se sono integralmente opera del mio dolcissimo Dio ? E se fossi creatura del diavolo, donde viene a sua volta il diavolo ? Se anch’egli diventò diavolo, da angelo buono che era, per un atto di volontà perversa, questa volontà maligna che doveva renderlo diavolo donde entrò anche in lui, fatto integralmente angelo da un creatore buono ? ". Queste riflessioni tornavano a deprimermi, a soffocarmi, ma non riuscivano a trascinarmi fino al baratro di quell’errore ove nessuno ti confessa (Cf. Sal Ps 6,6), preferendo assoggettare te al male, che crederne l’uomo capace.

Incorruttibilità della sostanza divina

704
4. 6. Il mio sforzo era diretto dunque a riconoscere le altre verità, come già avevo riconosciuto che una cosa incorruttibile è migliore di una corruttibile, e avevo ammesso che tu, comunque fatto, eri quindi incorruttibile. Nessun’anima poté o potrà mai pensare nulla migliore di te, sommo e perfetto bene. Ora, se con assoluta e certa verità si antepone una cosa incorruttibile a una corruttibile, come io già l’anteponevo, qualora tu non fossi incorruttibile, avrei potuto senz’altro salire col pensiero a un’altra cosa migliore del mio Dio. Era là dunque, ove vedevo che bisogna anteporre l’incorruttibile al corruttibile, che avrei dovuto cercarti, di là osservare dove risiede il male, ossia da dove viene la corruzione stessa, che non può raggiungere in alcun modo la tua sostanza. La corruzione non può evidentemente raggiungere in alcun modo il nostro Dio : né per atto di volontà, né per forza di cose, né per eventi imprevisti, poiché lui è Dio in persona, e ciò che vuole per sé, è bene, anzi è lui quel bene stesso, mentre non è bene la corruzione. Né puoi essere costretto ad azioni involontarie, perché la tua volontà non è maggiore della tua potenza : sarebbe maggiore solo se tu stesso fossi maggiore di te stesso, essendo la volontà e la potenza di Dio lo stesso Dio. D’imprevisto, poi, cosa può esservi per te, che conosci tutto ? Nessun essere, infine, esiste, se non in quanto tu lo conosci. Ma perché una dimostrazione così estesa dell’incorruttibilità della sostanza divina, quando questa non sarebbe tale, se fosse corruttibile ?

L’esistenza del male e la bontà di Dio

705
5. 7. Cercavo l’origine del male cercando male e non vedendo il male nella mia stessa ricerca. Davanti agli occhi del mio spirito (
Ps 15,8 al) ponevo l’intero creato, tutto ciò che ne possiamo scorgere, ossia la terra, il mare, l’aria, gli astri, gli alberi, gli animali mortali, e tutto ciò che ci rimane invisibile, ossia il firmamento celeste sopra di noi, tutti gli angeli e tutti gli spiriti che lo abitano, spiriti che la mia immaginazione distribuiva pure in vari luoghi, quasi fossero corpi ; così feci del tuo creato un’unica massa enorme, ove spiccavano secondo il loro genere i corpi, sia veri e reali, sia spirituali, resi arbitrariamente corporei dalla mia immaginazione, e feci enorme questa massa, non quanto era effettivamente, perché non potevo concepirlo, ma quanto mi piacque immaginare, però finita in tutte le direzioni, avvolta e penetrata da ogni parte da te, Signore, che pure rimanevi in tutti i sensi infinito, come un mare che si stenda dovunque e da dovunque per spazi immensi infinito, un unico mare che contenga nel suo interno una spugna grande a piacere, però finita e ripiena evidentemente in ogni sua parte del mare immenso. Così concepivo la tua creazione, finita e ripiena di te infinito. Dicevo : "Ecco Dio, ed ecco le creature di Dio. Dio è buono, potentissimamente e larghissimamente superiore ad esse. Ma in quanto buono creò cose buone e così le avvolge e riempie. Allora dov’è il male, da dove e per dove è penetrato qui dentro ? Qual è la sua radice, quale il suo seme ? O forse non esiste affatto ? Perché allora temere ed evitare una cosa inesistente ? Se lo temiamo senza ragione, è certamente male il nostro stesso timore, che punge e tormenta invano il nostro cuore, e un male tanto più grave, in quanto non c’è nulla da temere, eppure noi temiamo. Quindi o esiste un male oggetto del nostro timore, o il male è il nostro stesso timore. Ma da dove proviene il male, se Dio ha fatto, lui buono, buone tutte queste cose (Cf. Gn Gn 1,31) ? Certamente egli è un bene più grande, il sommo bene, e meno buone sono le cose che fece ; tuttavia e creatore e creature tutto è bene. Da dove viene dunque il male ? Forse da dove le fece, perché nella materia c’era del male, e Dio nel darle una forma, un ordine, vi lasciò qualche parte che non mutò in bene ? Ma anche questo, perché ? Era forse impotente l’onnipotente a convertirla e trasformarla tutta, in modo che non vi rimanesse nulla di male ? Infine, perché volle trarne qualcosa e non impiegò piuttosto la sua onnipotenza per annientarla del tutto ? O forse la materia poteva esistere contro il suo volere ? O, se la materia era eterna, perché la lasciò sussistere in questo stato così a lungo, attraverso gli spazi su su infiniti dei tempi, e dopo tanto decise di trarne qualcosa ? O ancora, se gli venne un desiderio improvviso di agire, perché con la sua onnipotenza non agì piuttosto nel senso di annientare la materia e rimanere lui solo, bene integralmente vero, sommo, infinito ? O, se non era ben fatto che chi era buono non edificasse, anche, qualcosa di buono, non avrebbe dovuto eliminare e annientare la materia cattiva, per istituirne da capo una buona, da cui trarre ogni cosa ? Quale onnipotenza infatti era la sua, se non poteva creare alcun bene senza l’aiuto di una materia non creata da lui ?". Questi pensieri rimescolavo nel mio povero cuore gravido di assilli pungentissimi, frutto del timore della morte e della mancata scoperta della verità. Rimaneva tuttavia saldamente radicata nel mio cuore la fede nella Chiesa cattolica del Cristo tuo, signore e salvatore nostro (2 Pt 2P 2,20). Certo una fede ancora rozza in molti punti e fluttuante oltre il limite della giusta dottrina ; però il mio spirito non l’abbandonava, anzi se ne imbeveva ogni giorno di più.

Confutazione dell’astrologia

706
6. 8. Ormai avevo anche ripudiato le predizioni fallaci e i deliri empi degli astrologhi : un altro motivo per cui ti confessino dalle intime fibre del mio cuore gli atti della tua commiserazione (
Ps 106, 8, 15, 21, 31 (Cf. Aug., En, in Ps 106,4-10 ss.: PL 37, 1421 ss.; NBA 27, 872)), Dio mio. Tu infatti, e tu solo, perché chi altro ci sottrae alla morte di ogni errore, se non la vita immortale, la sapienza che illumina le menti bisognose senza aver bisogno di lumi, e che amministra il mondo fino alle labili foglie degli alberi ? tu provvedesti alla mia ostinazione, con cui mi opposi a Vindiciano, sagace vecchio, e a Nebridio, giovane d’anima mirabile : al primo, che affermava vibratamente, al secondo, che ripeteva, sia pure con qualche incertezza, però frequentemente, che non esiste arte di prevedere il futuro, bensì è il caso, che viene spesso in soccorso alle congetture dell’uomo : tra le molte cose che si dicono, se ne dicono parecchie che poi si avverano, senza che chi le dice ne abbia coscienza, bensì le indovina soltanto perché non tace ; tu dunque mi provvedesti un amico solerte nel consultare gli astrologhi, poco esperto nella letteratura relativa, ma, come dissi, ricercatore avido di responsi. Eppure era al corrente di un fatto narratogli, diceva, da suo padre, del cui valore per sovvertire ogni fiducia nell’astrologia non si rendeva conto. Il nome del mio amico era Firmino. Educato da uomo libero, forbito nel parlare, mi consultò, come l’amico più caro, intorno a certi suoi interessi, su cui fondava vistose speranze mondane, chiedendo il mio parere secondo le sue, come si dice, "costellazioni". Io, che in materia avevo già cominciato a pencolare verso l’opinione di Nebridio, pur non rifiutandomi di fare qualche congettura e di manifestare i pronostici che si affacciavano alla mia mente dubbiosa, soggiunsi che ormai ero pressoché convinto della ridicola vanità di quelle pratiche. Allora egli mi narrò di suo padre, divoratore di trattati d’astrologia, che aveva un amico, non meno di lui e insieme a lui cultore di quegli studi. In preda alla medesima curiosità, i due si rinfocolavano a vicenda l’ardente passione che in cuore nutrivano per tali sciocchezze, al punto d’osservare persino il momento in cui nelle proprie dimore nascevano gli animali bruti, e d’annotare la posizione allora occupata dagli astri allo scopo di raccogliere dati sperimentali di quella che chiamavano scienza. Ebbene, da suo padre mi diceva di aver udito raccontare che nel periodo in cui sua madre portava lui, Firmino, in seno, anche una domestica dell’amico di suo padre era ugualmente gravida. Il fatto non poteva sfuggire al padrone, se badava a rilevare con estrema cura ed esattezza anche i parti delle sue cagne. Così i due amici calcolarono mediante le più scrupolose osservazioni i giorni, le ore e più minute frazioni di ore, l’uno per la consorte, l’altro per la fantesca. Avvenne poi che ambedue le donne si sgravassero nel medesimo istante, e così furono costretti a comporre un oroscopo uguale fin nei più minuti particolari per entrambi i neonati, per il figlio l’uno, per il piccolo schiavo l’altro. Infatti, allorché le due donne cominciarono ad avvertire le prime doglie, essi si annunciarono quanto avveniva in casa propria e predisposero alcuni messaggeri da inviarsi a vicenda non appena fosse stata annunziata a ciascuno la nascita del piccolo. Era stato facile per loro ottenere un annunzio immediato come re nel proprio regno ; e asseriva Firmino che i messaggeri partiti dalle due case s’incontrarono a metà strada, tanto che né l’uno né l’altro riuscì a notare alcuna differenza nella posizione degli astri e nelle particelle del tempo. Ciò nonostante Firmino, per essere nato in una famiglia di nobiltà locale, percorreva rapidamente le strade più nette del mondo, si arricchiva ogni giorno più e ascendeva a onori sublimi, mentre lo schiavo, che non si era scrollato minimamente di dosso il giogo della sua condizione, continuava a servire i padroni, come testimoniava Firmino stesso, che lo conosceva.

6. 9. All’udire il racconto del fatto, cui, per la qualità del narratore, non potevo non prestare fede, tutte le mie resistenze si dissolsero e crollarono. Dapprima mi provai a distogliere lo stesso Firmino da quel morboso interesse. Gli feci rilevare come nell’esame fatto delle sue costellazioni, per potergli predire la verità avrei dovuto scorgere quanto meno la posizione eminente dei genitori nel parentado, la nobiltà della famiglia al suo paese, i natali onesti, l’educazione onorevole e l’istruzione da uomo libero che aveva ricevuto. Consultato invece dallo schiavo in base alle medesime costellazioni, valide anche per lui, ora avrei dovuto scorgervi, per rivelare a lui pure la verità, una famiglia di condizione infima, lo stato servile e ogni altro elemento ben diverso e lontano dai precedenti. Sarebbe allora accaduto che con le medesime osservazioni avrei dovuto dare risposte diverse per rispondere il vero, mentre, se avessi dato risposte uguali, avrei risposto il falso. Una conclusione al tutto certa s’imponeva : i responsi veritieri ricavati dall’osservazione delle costellazioni non derivano dall’arte, ma dalla sorte ; i falsi non da ignoranza dell’arte, ma da inganno della sorte.

6. 10. Poi, trovata la via ormai aperta, mi diedi a ruminare fra me la faccenda per parare le obiezioni che poteva muovere qualcuno dei folli che traggono un lucro dall’astrologia, e che desideravo assalire, ridicolizzare, confutare senza indugio. Avrebbero potuto insinuare che Firmino mi aveva raccontato delle fole, o le aveva raccontate a lui il padre. Quindi mi volsi a considerare il caso dei gemelli. In generale l’uscita dell’uno dal seno materno segue quella dell’altro a un intervallo di tempo così breve, che, per quanti sforzi si facciano per dargli un valore nel corso naturale delle cose, sfugge in ogni caso all’osservazione dell’uomo e non può assolutamente essere rilevato nei segni che l’astrologo esaminerà per trarne un pronostico veritiero. Ma veritiero non sarà, poiché dall’esame degli stessi segni un astrologo avrebbe dovuto predire la stessa sorte per Esaù e Giacobbe, che ebbero sorte diversa. Le predizioni sarebbero state sbagliate, o, se giuste, sarebbero dovute essere diverse, mentre le osservazioni erano uguali. Dunque l’astrologo avrebbe predetto il vero non per arte, ma per buona sorte. In realtà tu, Signore, regolatore giustissimo dell’universo, all’insaputa dei consultori e dei consultati, con un’ispirazione misteriosa fai sempre udire a chi si consulta, dall’abisso di giustizia del tuo giudizio (Cf. Sal Ps 35,7), la risposta vantaggiosa per lui secondo gli occulti meriti delle anime. Nessun uomo ti domandi : "Che è ciò ?" (Ex 13,14 Ex 16,15 Si 39,26), "A che ciò ?". Non lo domandi, non lo domandi, perché è un uomo.

Una ricerca penosa

707
7. 11. Così, mio soccorritore (
Ps 18,15 Ps 58,18), mi avevi liberato da questi ceppi. Ora ricercavo l’origine del male, senza esito. Non permettevi però che le burrasche del pensiero mi strappassero mai alla fede. Credevo alla tua esistenza, all’immutabilità della tua sostanza, al tuo governo sugli uomini, alla tua giustizia ; che in Cristo, tuo figlio, signore nostro, nonché nelle Sacre Scritture garantite dall’autorità della tua Chiesa cattolica fu da te riposta per l’umanità la via della salvezza verso quella vita, che ha inizio dopo questa morte. Assicurati e consolidati saldamente nel mio animo questi princìpi, ricercavo febbrilmente quale fosse l’origine del male. Che doglie per questo parto del mio cuore, che gemiti, Dio mio ! E lì a mia insaputa eri tu ad ascoltarli. Quando, tacito, mi tendevo nello sforzo della ricerca, erano alte le grida che salivano verso la tua misericordia, i silenziosi spasimi del mio spirito. Tu conoscevi la mia sofferenza, degli uomini nessuno. Una ben piccola parte del tormento la mia lingua riversava nelle orecchie dei miei amici più stretti. Ma sentivano mai tutto intero il tumulto del mio spirito, se non mi bastava né il tempo né le parole per esprimerlo ? Giungeva però intero al tuo udito il ruggito del mio cuore gemebondo ; davanti a te stava il mio desiderio, il lume dei miei occhi non era con me (Ps 37,9-11). Era dentro di me, ma io fuori ; non era in un luogo, mentre io guardavo soltanto le cose contenute in un luogo, senza trovarvi un luogo ove posare. Tali cose non mi accoglievano in modo che potessi dire : "Mi basta", e : "Qui sto bene" ; e neppure mi lasciavano libero in modo che potessi tornare dove sarei stato bastantemente bene. Ero sì al di sopra delle cose, ma al di sotto di te, mia vera gioia se mi assoggettavo a te, come avevi assoggettato a me le creature che hai fatto sotto di me (Cf. Gn Gn 1,28). Questo sarebbe stato l’equilibrio perfetto e il centro della mia salvezza : sarei rimasto secondo la tua immagine (Gn 1,26 s) e insieme, servendo te, avrei comandato il mio corpo. Ma per la mia superbia mi sollevavo contro di te, mi lanciavo contro il mio Signore dietro lo scudo della mia dura cervice (Jb 15,26). Quindi anche le creature infime mi montarono sopra, opprimendomi senza lasciare da nessuna parte sollievo e respiro. Da sé mi venivano incontro a caterve, in masse compatte da ogni dove, se guardavo attorno ; se mi concentravo, immagini di corpi mi sbarravano da sé la via del ritorno, quasi dicendo : "Dove vai, essere indegno e sordido ?". Erano tutte germinazioni della mia ferita. Hai umiliato il superbo come un ferito (Ps 88,11) ; il mio tumore mi separava da te, le mie gote troppo gonfiate mi ostruivano gli occhi.

Dio medico rude, ma provvido

708
8. 12. Ma tu, Signore, permani in eterno (
Ps 101,13), e non ti adiri in eterno verso di noi (Ps 84,6). Hai sentito pietà di questa terra e cenere (Cf. Sir Si 17,31), piacque ai tuoi occhi (Ps 18,15 Da 3,40) di raccontare le mie sconcezze. Mi agitavi con pungoli interni (Cf. Verg., Aen, 11, 337) per rendermi insoddisfatto, finché al mio sguardo interiore tu fossi certezza. Il mio tumore scemava sotto la cura della tua mano nascosta, la vista intorbidata e ottenebrata della mia mente guariva di giorno in giorno (Ps 60,9 Ps 95,2 Si 5,8 Is 58,2 2Co 4,16) sotto l’azione del collirio pungente di salutari dolori.

Incontro col neoplatonismo


Luci e ombre nei trattati neoplatonici

709
9. 13. Anzitutto volesti mostrarmi come tu resista ai superbi, mentre agli umili accordi favore (
Jc 4,6 1 Pt 1P 5,5) ; e con quanta misericordia tu abbia indicato agli uomini la via dell’umiltà, dal momento che il tuo Verbo si è fatto carne e abitò in mezzo agli uomini (Jn 1,14). Per il tramite dunque di un uomo gonfio d’orgoglio smisurato mi provvedesti alcuni libri dei filosofi platonici tradotti dal greco in latino. Vi trovai scritto, se non con le stesse parole, con senso assolutamente uguale e col sostegno di molte e svariate ragioni, che al principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio ; egli era al principio presso Dio, tutto fu fatto per mezzo suo e senza di lui nulla fu fatto ; ciò che fu fatto è vita in lui, e la vita era la luce degli uomini, e la luce nelle tenebre, e le tenebre non la compresero ; poi, che l’anima dell’uomo, sebbene renda testimonianza del lume, non è tuttavia essa il lume, ma il Verbo, Dio, è il lume vero, il quale illumina ogni uomo che viene in questo mondo ; e che era in questo mondo, e il mondo fu fatto per mezzo suo, e il mondo non lo conobbe. Che però egli venne a casa sua senza che i suoi lo accogliessero, ma a quanti lo accolsero diede il potere di divenire figli di Dio, poiché credettero nel suo nome (Jn 1,1-12), non trovai scritto in quei libri.

9. 14. Così trovai scritto in quei libri che il Verbo Dio non da carne, non da sangue, non da volontà d’uomo né da volontà di carne, ma da Dio è nato ; che però il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Jn 1,13 s), non lo trovai scritto in quei libri. Vi scoprii, certo, sotto espressioni diverse e molteplici, che il Figlio per la conformità col Padre non giudicò un’usurpazione la sua uguaglianza con Dio, propria a lui di natura ; ma il fatto che si annientò da sé, assumendo la condizione servile, rendendosi simile agli uomini e mostrandosi uomo all’aspetto ; si umiliò prestando ubbidienza fino a morire, e a morire in croce, onde Dio lo innalzò dai morti e gli donò un nome che sovrasta ogni nome, affinché al nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi in cielo, in terra, agli inferi, e ogni lingua confessi che il Signore Gesù sta nella gloria di Dio Padre (Ph 2,6-11), non è contenuto in quei libri. Vi si trova che il tuo Figlio unigenito esiste immutabile fin da prima di ogni tempo e oltre ogni tempo, eterno con te ; che le anime attingono la felicità dalla sua pienezza (Jn 1,16) e acquistano la sapienza rinnovandosi grazie alla partecipazione della sapienza in se stessa stabile (Cf. Sap Sg 7,27) ; ma il fatto che morì nel tempo per i peccatori (Rm 5,6), e invece di risparmiare il tuo unico Figlio, lo hai consegnato per noi tutti (Rm 8,32), non si trova in quei libri. Infatti celasti queste verità ai sapienti e le rivelasti ai piccoli (Mt 11,25), per attrarre quanti soffrono e sono oppressi a lui, che li ristori, poiché è mite e umile di cuore (Mt 11,28 s) e guiderà i miti nella giustizia, insegna ai mansueti le sue vie (Ps 24,9), osservando la nostra umiltà e la nostra sofferenza, rimettendoci tutti i nostri peccati (Ps 24,18). Ma quanti, innalzandosi sul coturno di una scienza a loro dire più sublime, non ne odono le parole : Imparate da me, poiché sono mite e umile di cuore, e troverete il riposo per le vostre anime (Mt 11,29), sebbene conoscano Dio, non lo glorificano né ringraziano come Dio, bensì si disperdono nei loro vani pensieri, e il loro cuore insipiente si ottenebra. Proclamandosi saggi, si resero stolti (Rm 1,21 s).

9. 15. Perciò trovavo in quei libri anche la gloria della tua incorruttibilità, trasformata in idoli e simulacri di ogni genere foggiati a immagine dell’uomo corruttibile e degli uccelli e dei quadrupedi e dei serpenti (Rm 1,23). Vi si può vedere il piatto egiziano, per cui Esaù perdette i privilegi della primogenitura (Cf. Gn Gn 25,33 s) : il popolo primogenito onorò in tua vece la testa di un quadrupede (Cf. Es Ex 32,1-6), col cuore rivolto in Egitto (Ac 7,39) e la tua immagine, la sua anima (Cf. Ps 56,7), curva innanzi all’immagine di un vitello che si ciba di fieno (Ps 105,20). Trovai queste cose in quei libri, e non me ne cibai. Ti piacque, Signore, di togliere a Giacobbe l’onta (Ps 118,22) della sua inferiorità, affinché il maggiore servisse al minore (Gn 25,23) ; chiamasti le genti alla tua eredità (Ps 78,1). Quindi io, venuto a te dalle genti, fissai il mio sguardo sull’oro che per tuo volere il popolo prediletto asportò dall’Egitto (Cf. Es Ex 3,22 Ex 11,2), poiché, dovunque era, era cosa tua. Dicesti agli ateniesi per bocca del tuo Apostolo che noi in te viviamo e ci muoviamo e stiamo, come dissero anche certuni fra i loro autori (Ac 17,28), e senza dubbio quei libri provenivano di là. Così non prestai attenzione agli idoli degli egiziani, cui sacrificavano col tuo oro coloro che trasformarono la verità di Dio in menzogna, adorarono e servirono la creatura anziché il creatore (Rm 1,25).


Agostino: Le confessioni 614