Catechesi 79-2005 18603

Mercoledì, 18 giugno 2003: Is 61,10-62,5: Giubilo del profeta per la nuova Gerusalemme - Lodi mercoledì 4a settimana

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(Lettura:
Is 61,10 Is 62,4-5)

1. Si è aperto come un Magnificat il mirabile Cantico che la Liturgia delle Lodi ci propone e che ora è stato proclamato: «Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio» (Is 61,10). Il testo è incastonato nella terza parte del Libro del profeta Isaia, una sezione che gli studiosi riconducono a un’epoca più tarda, quando Israele, rientrato dall’esilio a Babilonia (VI secolo a.C.), riprende la sua vita di popolo libero nella terra dei padri e riedifica Gerusalemme e il tempio. Non per nulla la città santa, come vedremo, è al centro del Cantico e l’orizzonte che si sta schiudendo è luminoso e colmo di speranza.

2. Il profeta apre il suo canto raffigurando il popolo rinato, avvolto in splendide vesti, come una coppia di sposi, pronta per il grande giorno della celebrazione nuziale (cfr Is 61,10). Subito dopo, viene evocato un altro simbolo, espressione di vita, di gioia e di novità: quello vegetale del germoglio (Is 61,11).

I profeti ricorrono all’immagine del germoglio, in forme diverse, per raffigurare il re messianico (cfr Is 11,1 Is 53,2 Jr 23,5 Za 3,8 Za 6,12). Il Messia è un germe fecondo che rinnova il mondo, e il profeta esplicita il senso profondo di questa vitalità: «Il Signore Dio farà germogliare la giustizia» (Is 61,11), per cui la città santa diverrà come un giardino di giustizia, cioè di fedeltà e di verità, di diritto e di amore. Come diceva poco prima il profeta, «tu chiamerai salvezza le tue mura e gloria le tue porte» (Is 60,18).

3. Il profeta continua a elevare forte la sua voce: il canto è instancabile e vuole raffigurare la rinascita di Gerusalemme, davanti alla quale si sta per schiudere una nuova èra (cfr Is 62,1). La città è dipinta come una sposa in procinto di celebrare le nozze.

Il simbolismo sponsale, che appare con forza in questo passo (cfr Is 62,4-5), è nella Bibbia una delle immagini più intense per esaltare il legame di intimità e il patto di amore che intercorre tra il Signore e il popolo eletto. La sua bellezza fatta di «salvezza», di «giustizia» e di «gloria» (cfr Is 62,1-2) sarà così meravigliosa che ella potrà essere «una magnifica corona nella mano del Signore» (cfr Is 62,3).

L’elemento decisivo sarà il mutamento del nome, come avviene anche ai giorni nostri quando la ragazza si sposa. Assumere un «nome nuovo» (cfr Is 62,2) significa quasi rivestire una nuova identità, intraprendere una missione, cambiare radicalmente vita (cfr Gn 32,25-33).

4. Il nuovo nome che assumerà la sposa Gerusalemme, destinata a rappresentare tutto il popolo di Dio, è illustrato nel contrasto che il profeta specifica: «Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma tu sarai chiamata Mio compiacimento e la tua terra, Sposata» (Is 62,4). Ai nomi che indicavano la precedente situazione di abbandono e di desolazione, cioè la devastazione della città ad opera dei Babilonesi e il dramma dell’esilio, ora si sostituiscono i nomi della rinascita e sono termini di amore e di tenerezza, di festa e di felicità.

A questo punto tutta l’attenzione si concentra sullo sposo. Ed ecco la grande sorpresa: il Signore stesso assegna a Sion il nuovo nome nuziale. Stupenda è soprattutto la dichiarazione finale, che riassume il filo tematico del canto d’amore che il popolo ha intonato: «Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo creatore; come gioisce lo sposo per la sposa, così per te gioirà il tuo Dio» (Is 62,5).

5. Il canto non inneggia più alle nozze tra un re e una regina, ma celebra l’amore profondo che unisce per sempre Dio e Gerusalemme. Nella sua sposa terrena, che è la nazione santa, il Signore trova la stessa felicità che il marito sperimenta nella moglie amata. Al Dio distante e trascendente, giusto giudice, subentra ora il Dio vicino e innamorato. Questo simbolismo nuziale si trasferirà nel Nuovo Testamento (cfr Ep 5,21-32) e sarà ripreso e sviluppato dai Padri della Chiesa. Ad esempio, sant’Ambrogio ricorda che in questa prospettiva «il marito è Cristo, la moglie è la Chiesa, sposa per l’amore, vergine per l’intatta purezza» (Esposizione del Vangelo secondo , Opere esegetiche X/II, Milano-Roma 1978, p. 289).

E continua, in un’altra sua opera: «La Chiesa è bella. Perciò il Verbo di Dio le dice: "Sei tutta bella, amica mia, e in te non c’è motivo di biasimo" (), perché la colpa è stata sommersa… Perciò il Signore Gesù – indotto dal desiderio di un amore così grande, dalla bellezza del suo abbigliamento e della sua grazia, poiché ormai in coloro che sono stati purificati non c’è più sozzura alcuna di colpa – dice alla Chiesa: "Ponimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio" (), cioè: sei adorna, anima mia, sei tutta bella, nulla ti manca! "Ponimi come sigillo sul tuo cuore", perché per esso la tua fede risplenda nella pienezza del sacramento. Anche le tue opere rifulgano e mostrino l’immagine di Dio, a immagine del quale sei stata fatta» (I misteri, nn. 49.41: Opere dogmatiche, III, Milano-Roma 1982, PP 156-157).

Saluti:


Saluti in varie lingue:

Romeno e Moldavo:

Lituano:


Ungherese:


Slovacco:


Saluto e benedico i pellegrini romeni, moldavi, lituani, ungheresi e slovacchi qui presenti


Traduzione italiana del saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini di lingua polacca. In modo particolare saluto il personale dell’ospedale di Bielsko-Biala, nel quale ha lavorato mio fratello e al quale avete voluto dare il suo nome. Grazie per questa commemorazione!

Nell’odierna catechesi meditiamo sul Cantico dal Libro di Isaia. Il profeta glorifica Dio che è presente in mezzo al suo popolo, e il segno di questa presenza è il nuovo tempio di Gerusalemme, ricostruito dopo l’esilio di Babilonia.

Questo Cantico ci introduce nella Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, che festeggeremo domani. Appunto la particolare presenza che sperimentiamo ormai non nel segno del tempio, ma nel sacramento dell’Eucaristia, costituisce il contenuto di questa solennità. Ecco perché usciamo per le strade delle città e delle campagne, affinché - procedendo dietro Cristo nascosto nell’Ostia, Egli sia glorificato e ringraziato perché è veramente e ininterrottamente presente tra noi, con il Corpo e il Sangue, con l’anima e con la divinità.

Sia lodato Gesù Cristo!
*****


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli della diocesi di Piacenza- Bobbio accompagnati dal Vescovo Monsignor Luciano Monari e da Cardinali e Prelati di Curia, originari di quella terra. Essi sono qui convenuti in occasione del mille-sette-centesimo anniversario del martirio di S. Antonino, patrono principale della loro Comunità diocesana.

Saluto poi i sacerdoti delle diocesi di Bergamo e di Brescia, insieme ai familiari; l’Associazione Nazionale Finanzieri e i rappresentanti della Cassa Rurale dei Prestiti di Pontassieve. A tutti assicuro un particolare ricordo nella preghiera, perché siano rafforzati nei loro generosi propositi di fedeltà al Vangelo.

Un saluto affettuoso ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Carissimi, l’imminente festa del “Corpus Domini” ci invita ad approfondire la nostra fede nel Mistero eucaristico.

Cari giovani, il Corpo e Sangue di Cristo sia il vostro cibo spirituale di ogni giorno, per progredire sempre più sulla via della santità. Sia per voi, cari malati, il sostegno e il conforto nella sofferenza. E aiuti voi, cari sposi novelli, a trasfondere nella vostra famiglia l’amore di cui Cristo ci ha dato la prova, donandoci se stesso nell’Eucaristia.

In occasione della solenne festa del Corpus Domini, invito i romani e i pellegrini a partecipare numerosi alla celebrazione che avrà luogo a Piazza S. Giovanni in Laterano, e alla solenne processione eucaristica che si concluderà a Santa Maria Maggiore.

Domenica prossima, mi recherò in Bosnia ed Erzegovina, per confermare nella fede quella comunità cattolica, impegnata in un importante cammino di riconciliazione e di concordia. Vi chiedo di accompagnarmi con la vostra preghiera in questo mio viaggio apostolico, che affido alla sollecitudine materna della Vergine Santa.





Mercoledì, 25 giugno 2003: 40° anniversario dell’elezione del Card. Giovanni Battista Montini al Sommo Pontificato

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(Lettura:
Jn 21,15-17)

1. Il brano giovanneo, che poc'anzi abbiamo ascoltato, ci ha riproposto una suggestiva scena evangelica. Il Figlio di Dio affida a Pietro il suo gregge, la sua Chiesa, contro la quale già precedentemente aveva assicurato che le porte degli inferi non avrebbero prevalso (cfr Mt 16,17-18). Gesù fa precedere questa consegna da una richiesta di amore: "Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?..." (Jn 21,15). Domanda inquietante che, ripetuta per tre volte, riporta col pensiero al triplice rinnegamento dell'Apostolo. Ma questi, nonostante l'amara esperienza, protesta umilmente: "Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo!" (Jn 21,17).

L'amore è il segreto della missione di Pietro! E' l'amore il segreto anche di quanti sono chiamati a imitare il Buon Pastore nel guidare il Popolo di Dio. "Officium amoris pascere dominicum gregem... - Incarico d'amore è pascere il gregge del Signore...", amava dire Paolo VI, facendo sua una nota espressione di sant'Agostino.

2. "Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?". Quante volte avrà sentito risuonare nel suo animo queste parole di Gesù il mio venerato Predecessore, il servo di Dio Paolo VI, che ricordiamo quest’oggi. Sono trascorsi quarant’anni dalla sua elezione alla Cattedra di Pietro, il 21 giugno 1963, e venticinque anni dalla sua morte, il 6 agosto 1978. Sin da giovane aveva lavorato a diretto servizio della Sede Apostolica, accanto a Pio XI. Di Pio XII fu per un lungo periodo un collaboratore tra i più fedeli e preziosi. Del beato Giovanni XXIII, che ho avuto la gioia di elevare agli onori degli altari tre anni or sono, fu immediato Successore. Durò quindici anni il suo ministero di Pastore universale della Chiesa e fu segnato soprattutto dal Concilio Vaticano II e da una grande apertura alle esigenze dell’epoca moderna.

Ho avuto anch’io la grazia di prendere parte ai lavori conciliari e di vivere il periodo del post-Concilio. Ho potuto personalmente apprezzare l’impegno che Paolo VI non cessava di dispiegare per il necessario ‘aggiornamento’ della Chiesa alle esigenze della nuova evangelizzazione. Succedendogli sulla Cattedra di Pietro, è stata mia cura proseguire l'azione pastorale da lui iniziata, a lui ispirandomi come a un Padre e a un Maestro.

3. Apostolo forte e mite, Paolo VI ha amato la Chiesa e ha lavorato per la sua unità e per intensificarne l’azione missionaria. In quest’ottica si comprende pienamente l’innovatrice iniziativa dei Viaggi apostolici, che costituisce, oggi, parte integrante del ministero del Successore di Pietro.

Voleva che la Comunità ecclesiale si aprisse al mondo, senza però cedere allo spirito del mondo. Con prudente saggezza ha saputo resistere alla tentazione di ‘adattarsi’ alla mentalità moderna, sostenendo con evangelica fortezza difficoltà e incomprensioni e, in qualche caso, persino ostilità. Anche nei più difficili momenti non ha fatto mancare al Popolo di Dio la sua parola illuminatrice. Sul finire dei suoi giorni, il mondo intero parve riscoprire la sua grandezza e si strinse a lui in un commosso abbraccio.

4. Ricco è il suo magistero e in gran parte orientato a educare i credenti al senso della Chiesa.

Tra i suoi molti interventi, mi limito a ricordare, oltre all’Enciclica di avvio del Pontificato Ecclesiam suam, la commovente professione di fede, conosciuta come il Credo del Popolo di Dio, pronunciata con vigore in Piazza San Pietro il 30 giugno del 1968. Come tacere poi delle coraggiose prese di posizione in difesa della vita umana con l'Enciclica Humanae vitae, e a favore dei popoli in via di sviluppo con l'Enciclica Populorum progressio, per costruire una società più giusta e solidale?

Ci sono poi le riflessioni personali che era solito appuntare durante i ritiri spirituali, quando si ‘ritirava’con se stesso, come "nella cella del cuore". Meditava sovente sul posto cui Dio lo aveva chiamato a servizio della Chiesa "sempre amata", nello spirito della vocazione di Pietro. "A questa meditazione - egli annotava durante uno di questi ritiri - nessuno potrebbe essere più impegnato di me... A capirla, a viverla! Signore, quale realtà, quale mistero! ... E' un'avventura in cui tutto dipende da Cristo..." (Ritiro 5-13 agosto 1963 - Meditazioni inedite - Ed. Studium).

5. Carissimi Fratelli e Sorelle, rendiamo grazie a Dio per il dono di questo Pontefice, guida salda e saggia della Chiesa. Nell’omelia del 29 giugno 1978, a poco più di un mese dalla conclusione della sua operosa esistenza terrena, Paolo VI confidava: "Davanti ai pericoli che abbiamo delineato… ci sentiamo spinti ad andare a Cristo, come a unica salvezza, e a gridargli: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Jn 6,68). Solo Lui è la verità, solo Lui è la nostra forza, solo Lui la nostra salvezza. Da Lui confortati, proseguiremo insieme il nostro cammino" (Insegnamenti XVI, 1978, p. 524).

Alla luce della meta eterna comprendiamo meglio quanto sia urgente amare Cristo e servire la sua Chiesa con gioia. Ci ottenga questa grazia Maria, che Paolo VI, con amore filiale, volle proclamare Madre della Chiesa. E sia proprio Lei, la Madonna, a stringere tra le sue braccia quel suo devoto figlio nell’eterna beatitudine riservata ai fedeli servitori del Vangelo.

Saluti:

Saluti in varie lingue:

Lituano:

Romeno:

Ceco:
Slovacco:
Croato:

[Traduzione italiana: Saluto e benedico i pellegrini di lingua lituana, romena, ceca, slovacca e croata qui presenti]



Traduzione italiana del saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i pellegrini dalla Polonia.

Oggi abbiamo commemorato la persona del Papa Paolo VI. Sabato scorso cadeva infatti il 40° della sua elezione alla Cattedra di Pietro. Questo Servo di Dio, nei 15 anni del suo Pontificato, con grande saggezza introdusse l’insegnamento del Concilio Vaticano II. Il suo servizio pastorale fu sempre segnato dall’amore di Dio, degli uomini e della Chiesa.

Benedico di cuore voi qui presenti e le vostre famiglie. Sia lodato Gesù Cristo.

*****


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto in particolare i fedeli della diocesi di Teggiano-Policastro, accompagnati dal loro Pastore Monsignor Angelo Spinillo, i rappresentanti dell’Associazione Bibliotecari Ecclesiastici Italiani, guidati dal Vescovo Mons. Ciriaco Scanzillo, la Federazione Italiana Comunità Terapeutiche e gli Allievi Ufficiali dell’Accademia della Guardia di Finanza.

Saluto, inoltre, i giovani i malati e gli sposi novelli.

Domenica scorsa, la Provvidenza divina mi ha concesso di compiere un nuovo viaggio apostolico in Bosnia ed Erzegovina, nella città di Banja Luka, a sei anni dalla visita pastorale a Sarajevo. Un viaggio breve, ma intenso e carico di speranza per quel Paese tanto provato dai recenti conflitti.

Rinnovo il mio cordiale ringraziamento a quanti mi hanno accolto, ai Vescovi e alle Autorità, ai Responsabili politici del Paese e ai membri del Consiglio Interreligioso, che ho potuto incontrare, constatando con piacere la loro disponibilità al dialogo. Ho colto in tutti la volontà di superare le dolorose esperienze del passato per costruire, nella verità e nel perdono reciproco, una società degna dell’uomo e accetta a Dio.

Culmine del pellegrinaggio è stata la solenne Liturgia eucaristica con la beatificazione di Ivan Merz, che ho proposto come esempio ai cattolici, e specialmente ai giovani, di quella Terra. Per la sua intercessione, preghiamo il Signore che questo Viaggio apostolico porti i frutti sperati per la Chiesa e per l'intera popolazione della Bosnia ed Erzegovina. Domando a Dio che, sostenuti anche dalla Comunità internazionale, quei popoli siano in grado di risolvere i complessi problemi ancora aperti, e possano realizzare la legittima aspirazione di vivere nella pace e di far parte dell’Europa unita.




Mercoledì, 2 luglio 2003: Salmo 145: Beato chi spera nel Signore - Lodi mercoledì 4a settimana

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(Lettura:
Ps 145,1-3 Ps 145,5-6).

1. Il Salmo 145, che ora abbiamo ascoltato, è un «alleluia», il primo dei cinque che chiudono l’intera raccolta del Salterio. Già la tradizione liturgica ebraica ha usato questo inno come canto di lode per il mattino: esso ha il suo vertice nella proclamazione della sovranità di Dio sulla storia umana. Alla fine del Salmo si dichiara, infatti, che «il Signore regna per sempre» (Ps 145,10).

Ne consegue una consolante verità: non siamo abbandonati a noi stessi, le vicende delle nostre giornate non sono dominate dal caos o dal fato, gli eventi non rappresentano una mera successione di atti privi di ogni senso e meta. Da questa convinzione si sviluppa una vera e propria professione di fede in Dio, celebrato con una sorta di litania in cui si proclamano gli attributi di amore e di bontà che gli sono propri (cfr Ps 145,6-9).

2. Dio è creatore del cielo e della terra, è custode fedele del patto che lo lega al suo popolo, è Colui che fa giustizia nei confronti degli oppressi, dona il pane che sostiene gli affamati e libera i prigionieri. È Lui ad aprire gli occhi ai ciechi, a rialzare chi è caduto, ad amare i giusti, a proteggere lo straniero, a sostenere l’orfano e la vedova. È Lui a sconvolgere la via degli empi ed a regnare sovrano su tutti gli esseri e su tutti i tempi.

Sono dodici affermazioni teologiche che, col loro numero perfetto, vogliono esprimere la pienezza e la perfezione dell’azione divina. Il Signore non è un sovrano distante dalle sue creature, ma è coinvolto nella loro storia, come Colui che propugna la giustizia, schierandosi dalla parte degli ultimi, delle vittime, degli oppressi, degli infelici.

3. L’uomo si trova, allora, di fronte ad una scelta radicale tra due possibilità contrastanti: da un lato c’è la tentazione di «confidare nei potenti» (cfr Ps 145,3), adottando i loro criteri ispirati alla malvagità, all’egoismo e all’orgoglio. In realtà, questa è una strada scivolosa e fallimentare, è «un sentiero tortuoso e una via obliqua» (cfr Pr 2,15), che ha come meta la disperazione.

Infatti, il Salmista ci ricorda che l’uomo è un essere fragile e mortale, come dice lo stesso vocabolo ’adam che, in ebraico, rimanda alla terra, alla materia, alla polvere. L’uomo - ripete spesso la Bibbia - è simile a un palazzo che si sgretola (cfr Qo 12,1-7), ad una ragnatela che il vento può squarciare (cfr Jb 8,14), ad un filo d’erba verdeggiante all’alba e secco alla sera (cfr Ps 89,5-6 Ps 102,15-16). Quando la morte piomba su di lui, tutti i suoi progetti si sfaldano ed egli ridiventa polvere: «Esala lo spirito e ritorna alla terra; in quel giorno svaniscono tutti i suoi disegni» (Ps 145,4).

4. C’è, però, anche un’altra possibilità davanti all’uomo ed è quella esaltata dal Salmista con una beatitudine: «Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe, chi spera nel Signore suo Dio» (Ps 145,5). È questa la via della fiducia nel Dio eterno e fedele. L’amen, che è il verbo ebraico della fede, significa proprio un fondarsi sulla solidità incrollabile del Signore, sulla sua eternità, sulla sua potenza infinita. Ma soprattutto significa condividere le sue scelte che la professione di fede e di lode, da noi prima descritta, ha messo in luce.

È necessario vivere nell’adesione al volere divino, offrire il pane agli affamati, visitare i prigionieri, sostenere e confortare i malati, difendere e accogliere gli stranieri, dedicarsi ai poveri e ai miseri. È, in pratica, lo stesso spirito delle Beatitudini; è decidersi per quella proposta d’amore che ci salva fin da questa vita e sarà poi l’oggetto del nostro esame nel giudizio finale, che suggellerà la storia. Allora saremo giudicati sulla scelta di servire Cristo nell’affamato, nell’assetato, nel forestiero, nel nudo, nel malato, nel carcerato. «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40): questo dirà allora il Signore.

5. Concludiamo la nostra meditazione del Salmo 145 con uno spunto di riflessione che ci è offerto dalla successiva tradizione cristiana.

Il grande scrittore del terzo secolo Origene, quando giunge al v. 7 del Salmo che dice: «Il Signore dà il pane agli affamati e libera i prigionieri», vi coglie un implicito riferimento all’Eucaristia: «Abbiamo fame di Cristo, ed egli stesso ci darà il pane del cielo. "Dacci oggi il nostro pane quotidiano". Coloro che parlano così, sono affamati; coloro che sentono bisogno del pane, sono affamati». E questa fame è pienamente saziata dal Sacramento eucaristico, nel quale l’uomo si nutre del Corpo e del Sangue di Cristo (cfr Origene - Gerolamo, 74 omelie sul libro dei Salmi, Milano 1993, PP 526-527).

Saluti:

Saluti in varie lingue:


Traduzione italiana del saluto in lingua croata:

Con cordiali parole di benvenuto, mi rivolgo ai pellegrini croati qui presenti, impartendo loro e alle rispettive famiglie la Benedizione Apostolica

Siano lodati Gesù e Maria!


Traduzione italiana del saluto in lingua ungherese:

Saluto cordialmente i fedeli ungheresi.
Di cuore imparto a tutti voi
la Benedizione Apostolica.
Sia lodato Gesù Cristo!


Traduzione italiana del saluto in lingua rumena:

Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli provenienti dalla Romania assicurando per ciascuno un ricordo nella preghiera. Di cuore benedico voi e i vostri cari.


Traduzione italiana del saluto in lingua bielorussa:

Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli provenienti dalla Bielorussia, assicurando per ciascuno un ricordo nella preghiera. Di cuore benedico voi e i vostri cari.



Traduzione italiana del saluto in lingua polacca:

Saluto cordialmente i miei connazionali.

Il Salmo 145, che abbiamo meditato oggi sottolinea la necessità della speranza e la fiducia nel Signore. Solo Dio conosce lo scopo e il fine dell'esistenza umana: "Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore" (Rm 14,8). "Loderò il Signore per tutta la mia vita, finché vivo canterò inni al mio Dio" (Ps 145,2).

Beato chi durante la sua vita spera in Dio. Ricordiamoci questo sempre, anche durante le vacanze e nei giorni del nostro riposo. Grazie per questa vostra visita. Sia lodato Gesù Cristo.

*****


Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i partecipanti al convegno promosso dal Centro "Beato Filippo Smaldone", e i partecipanti al Meeting di Missiologia.

Saluto, poi, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Si celebrerà domani la festa dell’apostolo Tommaso. La sua intercessione accresca la fede in voi, cari giovani, perché siate pronti a testimoniare Cristo in ogni ambiente. Aiuti voi, cari malati, ad offrire ogni sofferenza perché nel mondo si realizzi il progetto salvifico di Dio. Sostenga infine voi, cari sposi novelli, nell’impegno di nutrire la vostra famiglia con quotidiana e fedele preghiera.

APPELLO DEL SANTO PADRE


Con profonda tristezza seguo le drammatiche vicende della Liberia e della regione settentrionale dell’Uganda. Faccio appello all’impegno di tutti affinchè quelle care popolazioni africane ritrovino pace e sicurezza, e non venga loro negato il futuro a cui hanno diritto. Esprimo inoltre la mia vicinanza alle Chiese locali, duramente colpite nelle persone e nelle opere, mentre incoraggio i Pastori e i fedeli tutti ad essere forti e saldi nella speranza. Lo ottenga dalla Misericordia divina la nostra insistente preghiera!




Mercoledì, 9 luglio 2003: Salmo 142, 1-11: Preghiera nella tribolazione - Lodi giovedì 4a settimana

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(Lettura:
Ps 142,1 Ps 142,6-7 Ps 142,10-11)

1. È stato or ora proclamato il Salmo 142, l’ultimo dei cosiddetti «Salmi penitenziali» nel settenario di suppliche distribuite nel Salterio (cfr Ps 6 Ps 31 Ps 37 Ps 50 Ps 101 Ps 129 Ps 142). La tradizione cristiana li ha utilizzati tutti per invocare dal Signore il perdono dei peccati. Il testo che oggi vogliamo approfondire era particolarmente caro a san Paolo, che ne aveva dedotto una radicale peccaminosità in ogni creatura umana: «Nessun vivente davanti a te, (o Signore), è giusto» (Ps 142,2). Questa frase viene assunta dall’Apostolo a base del suo insegnamento sul peccato e sulla grazia (cfr Ga 2,16 Rm 3,20).

La Liturgia delle Lodi ci propone questa supplica come proposito di fedeltà e implorazione di aiuto divino agli inizi della giornata. Il Salmo infatti ci fa dire a Dio: «Al mattino fammi sentire la tua grazia, poiché in te confido» (Ps 142,8).

2. Il Salmo inizia con un’intensa e insistente invocazione rivolta a Dio, fedele alle promesse di salvezza offerta al popolo (cfr Ps 142,1). L’orante riconosce di non avere meriti da far valere e quindi chiede umilmente a Dio di non atteggiarsi a giudice (cfr Ps 142,2).

Poi egli tratteggia la situazione drammatica, simile ad un incubo mortale, in cui si sta dibattendo: il nemico, che è la rappresentazione del male della storia e del mondo, lo ha condotto fino alle soglie della morte. Eccolo, infatti, caduto nella polvere della terra, che è già un’immagine del sepolcro; ecco le tenebre, che sono la negazione della luce, segno divino di vita; ecco, infine, «i morti da gran tempo», cioè i trapassati (cfr Ps 142,3), tra i quali gli sembra di essere già relegato.

3. L’esistenza stessa del Salmista è devastata: manca ormai il respiro e il cuore sembra un pezzo di ghiaccio, incapace di continuare a battere (cfr Ps 142,4). Al fedele, atterrato e calpestato, restano libere solo le mani, che si levano verso il cielo in un gesto che è, al tempo stesso, di implorazione di aiuto e di ricerca di sostegno (cfr Ps 142,6). Il pensiero infatti gli corre al passato in cui Dio ha operato prodigi (cfr Ps 142,5).

Questa scintilla di speranza riscalda il gelo della sofferenza e della prova in cui l’orante si sente immerso e in procinto di essere travolto (cfr Ps 142,7). La tensione, rimane, comunque, sempre forte; ma un raggio di luce sembra profilarsi all’orizzonte. Passiamo, così, all’altra parte del Salmo (cfr Ps 142,7-11).

4. Essa si apre con una nuova, pressante invocazione. Il fedele sentendo quasi sfuggirgli la vita, lancia a Dio il suo grido: «Rispondimi presto, Signore, viene meno il mio spirito» (Ps 142,7). Anzi, egli teme che Dio abbia nascosto il suo volto e si sia allontanato, abbandonando e lasciando sola la sua creatura.

La scomparsa del volto divino fa piombare l’uomo nella desolazione, anzi, nella morte stessa, perché il Signore è la sorgente della vita. Proprio in questa sorta di frontiera estrema fiorisce la fiducia nel Dio che non abbandona. L’orante moltiplica le sue invocazioni e le appoggia con dichiarazioni di fiducia nel Signore: «Poiché in te confido… perché a te si innalza l’anima mia… a te mi affido… sei tu il mio Dio…». Egli chiede di essere salvato dai suoi nemici (cfr Ps 142,8-12) e liberato dall’angoscia (cfr Ps 142,11), ma fa anche ripetutamente un’altra domanda, che manifesta una profonda aspirazione spirituale: «Insegnami a compiere il tuo volere, perché sei tu il mio Dio» (Ps 142,10a; cfr Ps 142,8b.10b). Questa ammirevole domanda la dobbiamo fare nostra. Dobbiamo capire che il nostro bene più grande è l’unione della nostra volontà con la volontà del nostro Padre celeste, perché soltanto così possiamo ricevere in noi tutto il suo amore, che ci porta la salvezza e la pienezza della vita. Se non è accompagnata da un forte desiderio di docilità a Dio, la fiducia in Lui non è autentica.

L’orante ne è consapevole ed esprime quindi questo desiderio. La sua è allora una vera e propria professione di fiducia in Dio salvatore, che strappa dall’angoscia e ridona il gusto della vita, in nome della sua «giustizia», ossia della sua fedeltà amorosa e salvifica (cfr Ps 142,11). Partita da una situazione quanto mai angosciosa, la preghiera è approdata alla speranza, alla gioia e alla luce, grazie ad una sincera adesione a Dio e alla sua volontà, che è una volontà di amore. È questa la potenza della preghiera, generatrice di vita e di salvezza.

5. Fissando lo sguardo verso la luce del mattino della grazia (cfr Ps 142,8) san Gregorio Magno, nel suo commento ai sette Salmi penitenziali, così descrive quell’alba di speranza e di gioia: «È il giorno illuminato da quel sole vero che non conosce tramonto, che le nubi non rendono tenebroso e la nebbia non oscura… Quando apparirà Cristo, nostra vita, e cominceremo a vedere Dio a viso aperto, allora fuggirà ogni caligine delle tenebre, svanirà ogni fumo dell’ignoranza, sarà dissipata ogni nebbia della tentazione… Quello sarà il giorno luminoso e splendido, preparato per tutti gli eletti da Colui che ci ha strappato dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto.

La mattina di quel giorno è la risurrezione futura… In quel mattino brillerà la felicità dei giusti, apparirà la gloria, si vedrà l’esultanza, quando Dio astergerà ogni lacrima dagli occhi dei santi, quando ultima sarà distrutta la morte, quando i giusti rifulgeranno come il sole nel regno del Padre.

In quel mattino il Signore farà sperimentare la sua misericordia… dicendo: "Venite, benedetti dal Padre mio" (Mt 25,34). Allora sarà manifesta la misericordia di Dio, che nella vita presente la mente umana non può concepire. Il Signore ha infatti preparato, per quelli che lo amano, ciò che occhio non vide né orecchio udì né entrò nel cuore dell’uomo» (PL 79, coll. 649-650).

Saluti:


Saluti in varie lingue:

Traduzione italiana del saluto in lingua ceca:

Un cordiale benvenuto ai pellegrini di Ropice u Trince.

Auguro a voi tutti che le ferie estive giovino non solo alla salute del corpo, ma anche a quella dell'anima. Con questi voti volentieri vi benedico.

Sia lodato Gesù Cristo!


Traduzione italiana del saluto in lingua slovacca:

Saluto di cuore i pellegrini slovacchi provenienti da Bratislava e da Oravská Lesná.

Volentieri imparto la Benedizione Apostolica a voi e alle vostre famiglie.

Sia lodato Gesù Cristo.



Traduzione italiana del saluto in lingua ungherese:

Rivolgo un cordiale saluto ai fedeli ungheresi, specialmente a quelli di Tiszaúváros, di Várpalota ed alla Banda Musicale di Tiszavasvár.

Di cuore imparto a tutti voi la Benedizione Apostolica.


Traduzione italiana del saluto in lingua rumena:

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini rumeni, in particolare ai fedeli e al coro della parrocchia di Onesti, nella diocesi di Iasi, accompagnati dal loro parroco.

Carissimi, cantate al Signore un canto nuovo, con il cuore e con la vostra vita!

Benedico di cuore ciascuno di voi e i vostri cari.

Sia lodato Gesù Cristo!


Traduzione italiana del saluto in lingua polacca:

Il salmo 142, che abbiamo ascoltato durante l’udienza odierna, è uno dei cosiddetti "Salmi penitenziali". Esprime il dramma spirituale dell’uomo peccatore, il quale consapevole della propria debolezza aspetta la riconciliazione con Dio e si fida della Sua misericordia. Tutti noi facciamo esperienza di questo dramma nella nostra vita e siamo in cammino verso la conversione. Bisogna ricordare che ogni uomo diventa migliore nel campo spirituale soltanto per la grazia di Dio, la quale purifica, giustifica e santifica: "Signore, liberami dall’angoscia, per la tua giustizia". Sia lodato Gesù Cristo.

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Rivolgo ora un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto le Suore dell’Immacolata Concezione Nostra Signora di Lourdes, le Missionarie del Cuore di Maria e le Suore Francescane dell’Immacolata Concezione di Lipari, che celebrano in questi giorni il loro Capitolo generale. Care Sorelle, durante le vostre assemblee capitolari voi volete riflettere su come le vostre rispettive Famiglie religiose debbano proseguire il loro cammino apostolico, percorrendo fedelmente le orme dei Fondatori. La Vergine Santa renda fruttuoso ogni vostro sforzo spirituale. Il Papa vi accompagna con la preghiera.

Saluto, poi, i fedeli della Parrocchia "San Filippo Neri" di Frattamaggiore. Carissimi, auspico che l’odierno incontro costituisca per ciascuno un’occasione per crescere nella fede.

Il mio pensiero va poi, come di consueto, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli.

Ci stiamo inoltrando sempre più nel periodo estivo, tempo di turismo e di pellegrinaggi, di ferie e di riposo. Cari giovani, vi invito ad approfittare dell’estate per utili esperienze sociali e religiose. Auguro a voi, cari malati, di trovare conforto nella vicinanza dei vostri familiari. E a voi, cari sposi novelli, rivolgo l’invito ad utilizzare questo periodo estivo per approfondire la vostra importante missione nella Chiesa e nella società.







Catechesi 79-2005 18603