Paolo VI Catechesi 8464

Mercoledì, 8 aprile 1964

8464
Diletti Figli e Figlie!

Anche oggi: vedete quanti siete? La Basilica di S. Pietro non basta a contenervi, ora che la navata centrale è occupata dalle tribune del Concilio ecumenico. E vedete da quali provenienze diverse voi confluite all’incontro col Papa?

Ebbene: questa duplice circostanza, relativa l’una al numero, l’altra alla varietà dei fedeli qui riuniti, riveste un significato che va oltre l’osservazione del fenomeno esteriore, quantitativo e qualitativo, e che ci aiuta a meditare uno degli aspetti caratteristici della Chiesa, la quale ha qui, al suo centro, le sue espressioni più evidenti e più significative. Merita, figliuoli e fedeli carissimi, meditare qui, e proprio in questo momento, la ragione di questa affluenza, tanto copiosa e tanto varia. Non è un fenomeno puramente turistico. Le possibilità moderne offerte ai nostri viaggi accrescono meravigliosamente l’aspetto esteriore del fenomeno, ma non lo spiegano. Per offrire ai vostri pensieri qualche spunto di riflessione, tipica per questo momento e per questo luogo, vi faremo due domande.

La prima: perché siete venuti? perché da tante parti del mondo affluite qua? Mi potreste rispondere: perché Roma è un centro molto interessante, da quando esiste. Ancora prima che fosse cristiana, Roma, dice uno dei suoi più grandi scrittori latini, è il faro del nondo e la rocca di tutti i popoli («. . . hanc urbem, lucem orbis terrarum atque arcem omnium gentium» - Cicerone, Catil. 4, 6, 11). Ma vi è per voi una ragione più profonda, più vostra; siete venuti a Roma perché qui è il cuore della Chiesa, qui vi sono le tombe degli Apostoli, qui vi è il Papa. Cioè un motivo religioso vi ha guidato fin qua, un motivo che mette in evidenza la struttura umana, la forma visibile e sociale, l’organizzazione particolare della religione cristiana, cioè la sua realtà storica, che è la Chiesa. Qui, ancora una volta, si scopre il disegno della Provvidenza sulla umanità: essa deve essere una sola famiglia, tutti gli uomini devono essere amici e fratelli. Qui si scopre il cardine dell’unità, qui si avverte la vocazione della cattolicità, qui si ha il senso dell’ordine spirituale che dovrebbe dare a tutti il loro posto nel mondo, e chiamare tutti a entrare nel grande concerto, ciascuno con la propria libertà e con la propria personalità, dell’armonia universale. Qui è l’immagine, sempre imperfetta e sempre in via di esprimersi meglio, della «Città di Dio», la città illuminata dalla fede e tenuta insieme dalla carità. Qui v’è una chiamata per tutti; qui ognuno è aspettato; ognuno accolto; nessuno, par di comprendere, qui deve spiritualmente mancare.

Ed ecco che voi non solo spiritualmente, ma anche materialmente oggi siete venuti, siete a Roma, siete Romani! Vi presentiamo allora un’altra domanda: vi sentite forestieri in questa Roma cattolica? in questa Chiesa degli Apostoli? in questa casa del Papa? in questo ovile di Cristo? Forestieri no. Anche gli antichi chiamavano Roma «patria communis», la patria comune. Tanto più i fedeli della santa Chiesa devono sentire che qui nessuno è straniero. Papa Pio XI, di felice memoria, parlava sempre, nelle udienze, della accoglienza nella casa di tutti, perché qui è la dimora del Padre comune. E l’idea non è nuova. Sempre i pellegrini hanno avuto l’impressione, venendo a Roma, anche quando i disagi del viaggio e dell’alloggio erano terribili, di essere in casa propria. Una antica iscrizione, incisa davanti all’antica Basilica di San Pietro, demolita per costruirvi questa mole di Michelangelo, diceva precisamente, fissando la voce d’una donna felice d’essere arrivata a questo pio luogo: in questi sacri portici non più forestiera io mi riposo (porticibus sacris iam non peregrina quiesco [Diehl. Ins. Chr., 2127]).

Così voi, carissimi! Possa quest’ora singolare e benedetta dare a voi l’impressione, la certezza, la felicità d’essere cittadini della Roma cattolica, figli dello stesso Padre celeste, fratelli tutti in Gesù Cristo, viventi dello stesso principio vitale, ch’è la grazia dello Spirito Santo, e formanti tutti insieme quel mistico Corpo del Signore, che si chiama la Chiesa!

E possa la benedizione dell’umile Vicario di Cristo confermare in voi tali sentimenti per sempre.





Mercoledì, 15 aprile 1964

15464
Diletti Figli e Figlie!

Carissimi, abbiamo qualche cosa da chiedervi. Voi siete cristiani, siete Nostri fratelli e figli in Cristo, voi siete appartenenti alla santa Chiesa; non potete perciò essere estranei ai Nostri sentimenti ed ai Nostri desideri. Vorremmo anzi pensare che voi non siate insensibili ai Nostri bisogni, alle Nostre pene. Buoni e intelligenti, come siete, cari Figli e Figlie, voi potete bene immaginare quali pensieri, quali timori, quali responsabilità, quali pesi, quali afflizioni gravino sul cuore del Papa. Non vorreste voi ascoltare qualche Nostra richiesta? non vorreste voi portarci qualche aiuto e qualche consolazione? Noi pensiamo che sì; voi volete corrispondere alle Nostre richieste; e già in Cuor vostro domandate: che cosa desidera il Papa da noi?

Che cosa da voi desideriamo? Ecco. Desideriamo anzi tutto che voi Ci comprendiate. Dicendo voi, diciamo tutti. Dicendo Noi, diciamo la Chiesa. La Chiesa ha bisogno d’essere da tutti compresa, d’essere conosciuta, meglio e più addentro, nel suo vero essere, nel suo cuore, nella sua missione, nel suo mistero. Voi potreste dire: «Già la conosciamo noi la Chiesa, e bene; siamo istruiti, sappiamo molte cose». Ebbene, ascoltate il Nostro desiderio; cercate di conoscere più perfettamente, più intimamente la Chiesa. Avrete allora maggiore indulgenza per il suo volto umano, avremo maggiore entusiasmo per il suo volto sovrumano. Noi vi diremo con San Paolo che la Nostra aspirazione è «che la vostra affezione (per la Chiesa) cresca sempre più e più, in cognizione ed in ogni finezza di sensibilità» spirituale (
Ph 1,9). E vi diremo anche che una delle Nostre più acute e più frequenti sofferenze è di vedere quanti abbandonano la Chiesa, quanti la criticano, quanti la offendono, proprio per una facile incomprensione, grossolana in alcuni, superficiale in molti, strana anche in non pochi cristiani e cattolici, che spesso non hanno per la Chiesa altri pensieri se non di diffidenza, di critica e di biasimo, e le recano tante difficoltà e dolori con inesplicabile disinvoltura.

Cercate, dicevamo, di comprendere la Chiesa. Ciò renderà più facile esaudire un altro Nostro desiderio: rimanere fedeli. Carissimi figli, ve lo diciamo col cuore: la Chiesa ha bisogno della vostra fedeltà, della vostra costanza, della vostra fortezza. Vedete quanti, oggi, appunto perché non comprendono e non credono, se ne vanno lontano, lasciano e, forse, tradiscono la Chiesa. Ci vengono alle labbra le parole sconsolate di Gesù, dopo il discorso di Cafarnao, abbandonato dai suoi uditori, per i quali, il giorno prima, aveva moltiplicato i pani, e rimasto solo col piccolo gruppo dei suoi discepoli: «Volete andarvene anche voi?» (Jn 6,68). Noi vi preghiamo di fare vostra, sempre, la risposta che in quella occasione Pietro, per tutti, proclamò: «Signore, a chi andremo noi? Tu solo hai parole di vita eterna» (Jn 6,69). Così, così. Non basta oggi una fedeltà formale, puramente tradizionale e convenzionale, una fedeltà forse sostenuta dal proprio gusto o dall’altrui opinione; occorre una fedeltà convinta, forte, coraggiosa, intrepida.

Ed ecco allora che l’adesione alla Chiesa diventa amore.

Bisogna amare la Chiesa. Come il Signore l’ha amata, fino a dare la sua vita per lei: «Christus dilexit Ecclesiam et se ipsum tradidit pro ea» (Ep 5,25). Bisogna amare la Chiesa: questo è ciò che Noi vi chiediamo, figli carissimi: l’amore alla santa ,Chiesa cattolica. Amare vuol dire pregare: pregate per la Chiesa. Amare vuol dire stare uniti: state uniti alla Chiesa. Amare vuol dire operare: operate per il bene della Chiesa.

Possiamo Noi sperare che voi corrisponderete col cuore e con l’opera a questi Nostri desideri? Sì, Noi lo speriamo. E speriamo perciò che questa Udienza sarà per Noi motivo di grande conforto, per voi di grande merito. E in questa fiducia diamo a voi tutti la Nostra Apostolica Benedizione.




Mercoledì, 22 aprile 1964

22464
Diletti Figli e Figlie!

Noi salutiamo la vostra venuta a Roma, e precisamente il vostro arrivo alla tomba di San Pietro, come l’afflusso ad un punto centrale delle strade della vita. Quel detto, che afferma che «tutte le strade conducono a Roma», e che si riferisce alla meravigliosa raggiera di vie, di cui l’antica Roma seppe circondarsi per organizzare d’intorno a sé l’unità e l’universalità del suo impero, quel detto può e deve intendersi anche in senso spirituale e religioso: ogni cammino dell’uomo in cerca del suo supremo destino è rivolto verso Dio; a Dio non si va, o meglio non si arriva, se non attraverso Cristo, come ha detto Lui stesso: «Io sono la via!» (
Jn 14,6). E Cristo ha voluto rendersi accessibile mediante la Chiesa, che qui appunto ha il suo centro ed il suo Capo visibile. Qui il Signore è presente nel ministero del suo Apostolo, da lui creato sommo Pastore dei seguaci, e qui il Signore continua in Pietro e nei suoi successori la sua missione di maestro e di salvatore di quegli uomini che ascoltano la sua voce e accettano la sua guida.

Ecco perché salutiamo il vostro arrivo in questa basilica come la mèta dell’itinerario simbolico delle vostre anime, le quali camminano sul buon sentiero della fede e della vita cristiana, e qui scoprono la linea del suo svolgimento ideale, la quale qua è diretta per arrivare al suo traguardo finale, e di qua riparte per inoltrarsi nella via segnata a ciascuno in questo mondo dalla volontà di Dio.

In altri termini Noi pensiamo che la vostra presenza a questa grande udienza abbia rapporto con l’orientamento morale e religioso di ciascuna delle vostre anime verso il programma di vita cristiana assegnato ad ognuno di voi e illuminato da quella fede che la Chiesa solleva sopra i vostri passi come la lampada illuminatrice e confortatrice.

Sì, figlioli carissimi: ripensate in questo momento il disegno della vostra vita; ricordate che essa non ha senso e valore se non rispetto a Dio, e che a Dio da soli non si va; occorre l’assistenza, la sapienza, la grazia dei fratelli, della comunità organizzata in Chiesa; occorre avere la Chiesa come madre, dice S. Agostino, se vogliamo avere Dio come Padre.

E vi piacerà allora meditare le parole, che voi oggi in certo modo realizzate, di San Paolo, le quali, -mentre ci mostrano come lo zelo dell’Apostolo lo spingeva a incentrare in Roma il suo piano missionario, sembrano presagire la gravitazione spirituale di tutto il cristianesimo verso il suo centro, non solo geografico, ma provvidenziale: «Io, diceva S. Paolo dopo il suo terzo viaggio apostolico, devo vedere anche Roma» (Ac 19,21); e scrivendo poi ai Romani dirà di avere da molti anni desiderio ardente di recarsi da loro (Rm 15,23). L’attrazione di Roma non si eserciterà, dopo di allora, soltanto sopra coloro che sentono il fascino della città storica e magnifica, ma sopra quelli che hanno l’ansia d’incontrarsi con Cristo: i Santi sentono in Roma il polo dei loro profondi e grandi desideri spirituali, non solo corrispondenti ad una loro devozione religiosa, ma ad una loro concezione del cristianesimo nel mondo. Si potrebbero ricordare gli esempi di tanti Santi pellegrini verso l’Urbe, o romei, come si chiamavano nel medioevo; citiamo per tutti ciò che il biografo di Santa Brigida scrive d’una sua visione, nella quale il Signore stesso le comanda «Vade Romam!», va a Roma; e sebbene a quel tempo (verso il 1349) la Città eterna fosse ridotta in condizioni tristissime, come non mai, essa era egualmente proclamata: «compendium est ad caelum», è la scorciatoia per il cielo.

E pensando a queste cose, che si addicono al vostro viaggio ed a questa udienza, vedrete che la Chiesa vi apparirà non più come un’istituzione puramente esteriore, ma altresì e ben più come un fatto misterioso, che interessa la cella più interiore del cuore; la cella cioè del nostro incontro con Dio, nella quale essa, la Chiesa, proietta la sua luce di verità e di salvezza.

Confermate perciò in questo felice momento la vostra adesione alla santa Chiesa cattolica, la vostra fedeltà, il vostro amore; e ricevete a conferma di tali sentimenti e di tali propositi la Nostra Benedizione Apostolica.

Saluti in francese




Mercoledì, 29 aprile 1964

29464
Diletti Figli e Figlie!

Il sentimento, che nasce nel Nostro cuore alla visione della vostra presenza - anche oggi quanto numerosa, quanto varia, e quanto affettuosa! - è quello della riconoscenza: grazie, grazie, diciamo a ciascuno di voi per essere venuto a visitarci, a procurarci il piacere di conoscervi, di salutarvi, di pregare con voi, di benedirvi. Voi capite come questo sentimento cresce in proporzione della devozione che qua vi conduce, dei disagi e delle spese del vostro pellegrinaggio, della distanza, che voi avete superata per avvicinarvi alle tombe degli Apostoli ed a Noi; così quelli che vengono da più lontano Ci sono ora più vicini!

Questo Nostro ringraziamento, carissimi Figli e Figlie, non è soltanto l’espressione doverosa e consueta della cortesia di chi è visitato ai suoi visitatori; è qualche cosa di più: è la voce della carità, di cui vive la Chiesa, è la vibrazione dei vincoli che uniscono il Padre ai suoi figli a lui stretti d’intorno, è la prova dell’unità spirituale, che a questo incontro esteriore mostra l’interiore, rete di rapporti che tutti ci fa fratelli in Cristo, e tutti variamente imparentati nella compagine organica e visibile del suo mistico Corpo: voi Figli e Figlie, e Noi, in Cristo, vostro Padre; voi discepoli, e Noi per suo mandato, maestro vostro; voi gregge del Signore, e Noi, nel suo nome, vostro Pastore.

Comprendete perciò come un’udienza, pia e domestica come questa, è per Noi come una festa di famiglia, una consolazione dello spirito, una celebrazione del mistero della Chiesa. Perciò vi siamo grati della vostra venuta; perciò accogliamo con umile gioia le vostre acclamazioni, non fermate alla Nostra Persona, ma rivolte al ministero, che esercitiamo, e al Signore, che rappresentiamo. Vi diremo di più: la vostra adesione è la Nostra letizia, la Nostra speranza nelle tante apprensioni, nelle tante necessità, nelle tante pene, che fanno grave - voi lo potete ben credere - il Nostro servizio apostolico. Voi Ci confortate al pensiero, nascente della vostra fedeltà, che la forza del Papa è l’amore dei suoi figli. Qui, ora, quasi Ce ne fate gustare l’esperienza; Noi ve ne siamo, Figli e Figlie, gratissimi.

Sì, la forza del Papa è l’amore dei suoi figli, è l’unione della comunità ecclesiastica, è la carità dei fedeli che sotto la guida formano un Cuor solo e un’anima sola. Questo contributo di energie spirituali, che viene dal popolo cattolico alla Gerarchia della Chiesa, dal singolo cristiano fino al Papa, Ci fa pensare alla Santa, che domani la Chiesa onorerà con festa speciale, Santa Caterina da Siena, l’umile, sapiente, impavida vergine domenicana, che, voi tutti sapete, amò il Papa e la Chiesa, come non si sa che altri facesse con pari altezza e pari vigore di spirito.

Fra le tante e immense cose che questa devotissima figlia della Chiesa c’insegna, due ne possiamo ricordare quasi a conferma di quanto vi stiamo dicendo; e cioè: anche una povera donna, una figliola del popolo, può amare e quindi servire la Chiesa ed il Papato con grandezza d’animo superlativa e con effetti benefici, che solo la Provvidenza, per verità, può disporre e calcolare. Cioè tutti, come del resto voi fate in questo momento, devono amare la Chiesa, e tutti possono renderle così un grande dono: quello del cuore. E poi: la Chiesa ed il Papato si possono e si devono amare, S. Caterina ce lo insegna, anche se il loro volto fosse velato da umane infermità: la testimonianza di fedeltà e di carità sarà allora più grande, più intelligente, più meritoria; ed è forse questa la lezione di cui tanti moderni, che pur si dicono cattolici, bene non comprendono, intenti come sono, e quasi appassionati a cercare difetti nella Chiesa e nella Curia Romana, formulando critiche non sempre serene e .talora non oggettive. Gesù una volta ebbe a dire: «Beato colui che non si sarà scandalizzato di me» (
Mt 11,6); è parola, che la storia della Chiesa ci fa meditare; e che il figlio della Chiesa, che abbia di essa l’intelligenza vera e che ad essa dia tributo di carità vera, ancor oggi troverà, come Gesù l’annunciò, sorgente di beatitudine.




Mercoledì, 6 maggio 1964

60564
Il viaggio a Roma, la visita alle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo, l’udienza del Papa, Noi pensiamo, sono per il viaggiatore attento, per il pellegrino pensoso, per il fedele orante, motivi molto stimolanti a penetrare nel senso della Città eterna e a raccogliervi fra le tante lezioni quella sulla Chiesa, sulla Chiesa cattolica, sulla Chiesa di Cristo. Tutto parla di lei a Roma, anche se moltissime altre cose vi sono degne d’interesse. Ma la parola su la santa Chiesa rimane, a Nostro avviso, quella più significativa. Chi venisse a Roma senza sentire, senza ascoltare questa voce su la Chiesa, sarebbe sordo alla nota più forte e più profonda del suo sublime linguaggio.

Qui parla la storia della Chiesa: chi non la sente? Qui parla la dottrina della Chiesa: chi può ignorare che a Roma vi è una cattedra che fa scuola al mondo? Qui la Chiesa manifesta più che altrove le sue note caratteristiche, perché appunto qui la Chiesa si mostra nella sua unità centrale, nella sua cattolicità universale, nella sua derivazione apostolica, nella sua ricchezza di santità, sia nello sforzo per essere conseguita, sia nel suo trionfo per essere raggiunta e celebrata. Questo è il fenomeno di più facile osservazione.

Ma vi sono altri aspetti della Chiesa che qui possono essere scoperti da chi abbia aperto e intelligente l’occhio dello spirito. È abbastanza facile, ad esempio, accorgersi a Roma che la Chiesa è al tempo stesso umana e misteriosa, come lo è un corpo abitato dall’anima; la si intravede nella sua definizione antichissima e modernissima di Corpo mistico.

Così è ancora più facile scorgere a Roma il bellissimo aspetto comunitario della Chiesa, cioè la fraternità e l’eguaglianza di tutti i suoi figli, come è evidente a Roma l’aspetto gerarchico e maestoso della Chiesa, il quale ci presenta la diversa funzionalità dei membri della stessa comunità: «Che sarebbe, scrive S. Paolo, se tutte le parti (della Chiesa) fossero un solo membro, dove sarebbe il corpo? Ora invece abbiamo molte membra (differenti, che compongono) un solo corpo» (
1Co 12,19-20); ed ecco che a Roma la gerarchia della Chiesa possiede il suo capo, il Papa, donde tutto l’ordine gerarchico trae la sua consistenza e la sua armonia. Un altro tema, forse più arduo e complesso, ma non meno bello, è offerto alla meditazione del cittadino e del pellegrino in Roma dalla attraente difficoltà di commisurare l’aspetto visibile della Chiesa, il quale qui è portato al suo massimo grado (dove mai l’espressione sensibile della religione cristiana: l’organizzazione, l’arte, la liturgia, la parola, trova come a Roma eguale pienezza?), con quello invisibile della Chiesa medesima, il quale aspetto invisibile è pure qui proclamato, anzi generato dalla missione stessa della Chiesa, la quale insegna la verità di Cristo, e dispensa la grazia di Cristo («plenum gratiae et veritatis», ricordate il Vangelo di S. Giovanni? 1, 14); e non sa; non può tracciare i confini della verità e della grazia, noti solo all’occhio di Dio: estremamente concreta ed estremamente spirituale la Chiesa qui presenta una volta di più il suo volto, sì, preciso, ma irradiante bellezza e mistero.

Cari Figli: tutti voi oggi fate fotografie. Ciascuno vuole fermare l’immagine delle cose vedute e quasi fissarla e averla sempre con sé. Provate a fare sullo schermo, teso, nitido e tranquillo, dell’anima la fotografia di Roma cattolica, la fotografia della Chiesa di Cristo che a Roma ha il suo centro meraviglioso: non sappiamo se vi riuscirete, ma sappiamo che l’interesse per la visione che cercherete di fissare e di portare con voi sarà tale da lasciarvi incantati di ammirazione, e, Dio voglia, di amore per tutta la vita. È questo l’augurio che vi facciamo e che confermiamo con la Nostra Benedizione Apostolica.




Mercoledì, 13 maggio 1964

13564
Il pensiero spirituale, che vogliamo lasciare a questa udienza, non può dimenticare che la Chiesa si prepara in questa novena, precedente la festa di Pentecoste, a celebrare la discesa dello Spirito Santo sopra gli Apostoli, avvenimento da cui ha preso principio la piena vita della Chiesa.

E il pensiero è questo, a voi già noto, ma degno di riflessione per dare a quest’udienza un titolo a particolare memoria; e cioè: voi sapete che Cristo, prima di salire al Cielo e di scomparire dalla scena visibile di questo mondo, promise di mandare ai suoi Apostoli ed a quelli che con loro facevano comunità lo Spirito Santo, il Quale avrebbe loro dato il potere di perpetuare la missione di Cristo, di formare la Chiesa. Questa effusione dello Spirito Santo conferisce ai seguaci di Gesù un principio nuovo e soprannaturale di vita, che chiamiamo la grazia, la carità creata nelle anime dalla Carità increata stessa, ch’è appunto lo Spirito Santo. Sono da ricordare a questo proposito, come un’espressione dottrinale mirabilmente sintetica e scultorea, le parole del Nostro grande Predecessore Leone XIII, il quale, nell’Enciclica che si apre con il titolo «Divinum illud», afferma che «come Cristo è il Capo della Chiesa, lo Spirito Santo ne è l’anima» (A.S.S., 29, 650). La Chiesa di Cristo vive dello Spirito di Cristo. Lo Spirito Santo è l’anima del Corpo mistico; è una corrente viva di luce e di amore che lo percorre, lo vivifica, lo abilita a compiere atti soprannaturali e meritori per la vita eterna, lo santifica, in un certo senso lo divinizza. È questo il grande mistero del cristianesimo, il quale non è solo una dottrina, una società umana, una religione come le altre, un fenomeno storico; è una vita; una partecipazione alla vita di Cristo, e, mediante questa inserzione, diventa una comunione vitale con Dio. È il centro del nostro messaggio evangelico; è il cuore del nostro catechismo.

Ora: come si effonde, in via ordinaria, ma sicura, lo Spirito Santo nelle anime, dalla Pentecoste in poi? Si effonde per via sacramentale. Lo sappiamo: è questo il grande veicolo di salute istituito da Cristo. E chi ha ricevuto da Cristo il potere di amministrare i Sacramenti? Possiamo dire, in un senso generale, che tale meraviglioso potere è stato dato al sacerdozio cristiano, al ministero di salvezza del fratello verso il fratello, agli Apostoli per primi, che hanno avuto per successori i Vescovi, e che avevano per capo San Pietro, a cui succede il Papa. Il mandato, conferito dal Signore a San Pietro ed agli Apostoli, e perciò alla Gerarchia pastorale che ne continua la missione, non riguarda solo la potestà di guidare e governare i fedeli, ma contiene e conferisce altresì la potestà di santificarli; è una potestà che proviene essa stessa dallo Spirito Santo, che investe uomini scelti e li abilita a trasmettere la grazia: «Ricevete lo Spirito Santo, ha detto Gesù ai suoi discepoli la sera della risurrezione, a chi rimetterete i peccati saranno rimessi» (
Jn 20,23). Gesù risorto dava loro il potere di risuscitare la vita divina nelle anime; il che avviene specialmente mediante il ministero sacramentale, fonte della grazia, infusione dello Spirito Santo.

Esiste perciò una relazione provvidenziale fra la grazia divina ed il ministero che la dispensa; fra la causa formale e finale della nostra santificazione, e la causa strumentale propria della Chiesa cattolica, che la distribuisce e la attribuisce alle anime; e questa relazione ci fa vedere come Cristo sia presente nella persona di chi egli ha associato al suo Sacerdozio. Non vi è perciò distacco, né opposizione fra il mistero interiore della grazia e il ministero esteriore che la dispensa; ed onorare il sacerdozio vuol dire onorare Cristo che opera in lui, e vuol dire aspirare a quello Spirito Santo, la cui infusione ci fa santi e vivi in Cristo.

La vostra visita al Papa, che altri non è se non colui che rappresenta Cristo nel più alto grado e agisce più d’ogni Sacerdote in suo nome, vuol essere pertanto rivolta, alla fine, alla ricerca di quella comunione con lo Spirito di Cristo, ch’è al termine della nostra vita religiosa. Si va alla fontana, che è il ministero apostolico, per attingere l’acqua della salute, che è la grazia vivificante del sommo Amore, lo Spirito Santo.

Sappiate perciò mettere al di sopra d’ogni culto, d’ogni devozione, d’ogni desiderio quello dello Spirito vivificante di Cristo e della sua grazia, e siate sempre avveduti e fedeli di ricercarne il dono magnifico da chi lo può dispensare, dal Sacerdozio della Chiesa Cattolica.





Mercoledì, 20 maggio 1964

20564
Diletti Figli e Figlie!

La festa della Pentecoste, che abbiamo testé celebrata e nella cui luce si svolge questa grande udienza, obbliga la Nostra parola a ricordarvi il mistero della discesa dello Spirito Santo; un mistero iniziato nel giorno in cui il Signore inondò la Chiesa nascente del suo Spirito - «baptizabimini», sarete battezzati dallo Spirito Santo, disse Gesù congedandosi dai suoi Apostoli (
Ac 1,5) -, ma non terminato in quel giorno; un mistero che continua tuttora, il mistero che nasconde e svela ad un tempo il segreto della vita della Chiesa. Lo Spirito Santo è il principio divino animatore della Chiesa. È vivificante, come cantiamo nel Credo della santa Messa. È unificante. E’ illuminante. E’ operante. E’ consolante. E’ santificante, in una parola: conferisce alla Chiesa questa nota, questa prerogativa, d’essere santa. E santa in due sensi; perché recettiva dello Spirito Santo, cioè pervasa dalla grazia, dalla vita soprannaturale, che rende le singole anime, che sono in grazia di Dio, un tempio della divina presenza, e fa di tutta la Chiesa la sede, la «casa di Dio» sulla terra: per di più lo Spirito Santo si serve della Chiesa come di suo organo, di suo strumento per comunicarsi alle anime, al mondo; e ciò specialmente formando nella Chiesa un ministero, un veicolo, un servizio, attraverso il quale normalmente, nell’azione sacramentale e nell’esercizio del magistero, lo Spirito Santo si diffonde nella Chiesa stessa, anima e santifica quella, umanità, che è assunta a formare il Corpo mistico di Cristo.

È questa una grande dottrina. È la grande e misteriosa realtà dei rapporti vitali, instaurati da Cristo fra l’uomo e Dio, è nella sua essenza, profonda e ineffabile, la religione, la vera religione, la vera relazione che nello Spirito Santo, per merito di Cristo, ci unisce al Padre. Come non profittare di questo semplice accenno per raccomandare a voi tutti, - che in questo momento e in questa sede cercate l’espressione più alta e più autentica della vita religiosa - il culto supremo ed amoroso allo Spirito Santo? Sine tuo numine, nihil est in homine, dice la bellissima sequenza della santa Messa di questi giorni: senza la tua divina assistenza, o divino Spirito, nulla rimane nell’uomo. Noi abbiamo voluto introdurre, come già sapete, in quelle acclamazioni che si definiscono dalla prima, cioè il «Dio sia benedetto», una lode anche allo Spirito Santo: benedetto lo Spirito Santo Paraclito, appunto per «colmare una lacuna», purtroppo abbastanza frequente nella pietà popolare, quella cioè che dimentica di tributare allo Spirito Santo, Dio, la terza Persona della Santissima Trinità, e a noi comunicato come Dono supremo dell’Amore di Dio, una lode esplicita e fervente. Vediamo di dare al culto allo Spirito Santo più degna espressione.

E come, ancora, non ricordare a voi tutti che questo ineffabile nostro incontro con lo Spirito Santo è per noi normalmente e autorevolmente condizionato all’adesione alla Chiesa visibile e gerarchica, al ministero ecclesiastico, come dicevamo? Lo Spirito Santo può effondersi come vuole: Spiritus ubi vult spirat, lo Spirito soffia dove vuole (Jn 3,8). Ma noi dobbiamo attenderlo e cercarlo là dove Cristo ha promesso che lo Spirito sarebbe passato e sarebbe conferito. Sono sempre degne di memoria le sapientissime parole di S. Agostino, le quali ci fanno ricordare il rapporto essenziale fra il corpo visibile e umano della Chiesa e la sua invisibile e divina animazione. Dice quel, santo Dottore: «Nulla deve tanto temere il Cristiano che la separazione dal corpo di Cristo. Se infatti si separa dal corpo di Cristo, non è più suo membro; se non è suo membro non è più alimentato dallo Spirito di Lui» (Tr. 27 in Io).

Se avremo la saggezza e l’umiltà di aderire alla Chiesa nella sua espressione umana, concreta, e talora difettosa, avremo la fortuna di avere da lei, fonte sempre fedele e inesausta della verità e della grazia, l’incomparabile e indispensabile dono della vita divina. Così sia per tutti noi!

Così sia oggi per voi, carissimi, nel paterno e affettuoso segno della Nostra Apostolica Benedizione.





Mercoledì, 27 maggio 1964

27564
Daremo in questa udienza un particolare pensiero alla Madonna. Ci preme innanzi tutto farvi notare che anche in questa Basilica, dedicata al Principe degli Apostoli, San Pietro, qui forse martirizzato e qui certamente sepolto, la Madre di Cristo ha un suo degnissimo altare. Fedeli e visitatori spesso non vi dànno l’attenzione che esso merita, sia perché eretto al culto di Maria, la quale, come tutti sappiamo, è venerata dalla Chiesa in modo del tutto speciale, e sia per la dignità della sua costruzione e della sua decorazione, che lo fanno pregevolissimo. Ma non è così appariscente da attrarre lo sguardo della gente, abbagliato com’è dalle tante meraviglie della Basilica, quanto meriterebbe. Si trova, come certo conoscete, sul lato destro della Basilica stessa, ed è situato in una delle quattro Cappelle minori, disegnate da Michelangelo, la quale si chiama Gregoriana dal nome di Papa Gregorio XIII, che ne terminò la costruzione, e la volle ornata magnificamente, e che nel 1580 vi trasportò una immagine allora e tuttora veneratissima, detta «Madonna del Soccorso», piccola icone del secolo XI, e un tempo collocata nell’oratorio di San Leone. Chi sa guardare scoprirà tante cose intorno a questo monumento della pietà mariana, che diranno come essa sia a Roma nutrita di riferimenti biblici, e professata con la fede e l’arte.

Ma il ricordo di Maria Santissima, Madre di Dio e Madre nostra, perché Madre di Cristo, in questo luogo e in questa circostanza, richiama la mente ad un’altra considerazione, cioè ad un tema dottrinale della massima importanza, e per le discussioni che se ne fanno nel mondo religioso e in occasione del Concilio ecumenico, tema di grande attualità, quello cioè della relazione che corre fra Maria e la Chiesa! Oh! non intendiamo di svolgere un tema di tanta ampiezza e di tanta profondità. Ci basta proporlo alla vostra attenzione, alla vostra devozione, quasi a memoria di questa udienza. Chi vorrà meditare su questo binomio: «Maria e la Chiesa» troverà ragioni bellissime per associarne i due termini in una viva ammirazione del disegno di Dio, che ha voluto la cooperazione umana, quella di Maria, quella della Chiesa, al compimento della Redenzione; troverà nella tradizione secolare della teologia e della liturgia spesso riferiti a Maria e alla Chiesa i medesimi simboli; troverà che Maria è la figura ideale della Chiesa, «Ecclesiae typus», il modello della Chiesa, come dice sant’Ambrogio (in
Lc 11,7); colei, come scrive poi S. Agostino, che: «figuram in se sanctae Ecclesiae demonstrat» (De Symb. ad catech. 1; P.L. 40, 661), colei che rispecchia in sé l’immagine della Santa Chiesa; possiamo dire di più: in Maria, piena di grazia, troviamo tutte le ricchezze che la Chiesa rappresenta, possiede e dispensa; in Maria soprattutto abbiamo la Madre virginale di Cristo, nella Chiesa la Madre virginale dei cristiani, naturale quella maternità, mistica questa.

Dice ancora S. Agostino: «Maria generò fisicamente il capo del Corpo mistico, e la Chiesa genera spiritualmente le membra di quel capo» che è Cristo (De Sancta Virg. 2; P.L. 40, 397). Ma non solo si può contemplare in Maria la figura della Chiesa, ma si possono scoprire tante altre relazioni che mostrano come l’elezione di Maria è congiunta con quella dell’umanità redenta: basterebbe ricordare la presenza della Madonna nel Cenacolo, il giorno di Pentecoste, per ammirare come quella data, ch’era per Maria nuova e terminale pienezza di grazia, era per la Chiesa il momento iniziale dell’effusione della grazia, quasi la nascita alla vita dello Spirito Santo; così che, anche per questo titolo, la Madonna può essere considerata e onorata come Madre della santa Chiesa, la quale è pure insignita del dolcissimo e altissimo titolo di madre, la Madre Chiesa: le prerogative della Vergine si comunicano alla Chiesa; Maria possiede e riassume in se, in grado eminente e perfetto, tutte le perfezioni e le grazie, di cui Cristo ricolma la Chiesa.

Concludiamo fissando nei nostri animi la convinzione che Maria e la Chiesa sono realtà essenzialmente innestate nel disegno della salvezza a noi offerta dall’unico principio di grazia e dall’unico mediatore tra Dio e l’uomo, che è Cristo; essenzialmente! E che chi ama Maria deve amare la Chiesa; come chi vuol amare la Chiesa deve amare la Madonna. Saper congiungere nella nostra devozione, salva ogni proporzione e ogni differenza, Maria e la Chiesa, sia il ricordo di questa udienza, e lo confermi la Nostra Benedizione Apostolica.





Paolo VI Catechesi 8464