Paolo VI Catechesi 20964

Mercoledì, 2 settembre 1964

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Con le brevi parole, che rivolgiamo ai Nostri visitatori delle Udienze generali, Noi vorremmo aiutarli a comprendere e a mettere in valore certe impressioni imprecise, anche se spesso commoventi, che si agitano nei loro animi: allora l’udienza diventa una meditazione, diventa una lezione, diventa una luce, che il ricordo dell’udienza stessa dovrà proiettare sul sentiero futuro della vita; diventa benefica.

Ora Noi crediamo d’indovinare che una delle impressioni interiori, di chi viene a visitare il Papa, sia simile a quella di chi sale sopra un colle, sopra un osservatorio, e si accorge che la sua visione panoramica si è fatta più larga, più comprensiva d’un intero paesaggio. Visitare il Papa è come salire all’altezza dalla quale Egli vede e osserva il mondo. Cioè, avvicinando il Papa è facile pensare alla sua posizione e alla sua funzione nella Chiesa e nel mondo, ed è facile avvertire la vastità e la profondità di questioni che si concentrano intorno a Lui.

Anche tralasciando la considerazione dei rapporti religiosi del Papa col Signore e col mondo delle realtà soprannaturali, a cui il suo ministero lo lega, la considerazione dei rapporti ideali e concreti che intercorrono fra Lui, il Papa, e il mondo, sia cattolico che profano, appare grande e degna di riflessione.

Viene infatti in evidenza, da questo punto prospettico, la immensa organizzazione gerarchica della Chiesa, la moltitudine dei fedeli, le missioni lontane, la varietà ingente delle istituzioni che vivono nella Chiesa, le diocesi, le parrocchie, le famiglie religiose, le associazioni, le iniziative di preghiera, di carità, di apostolato. È la visione della cattolicità, della universalità della Chiesa, che da questo osservatorio diventa avvincente e impressionante.

E l’impressione si fa più viva e commovente se si pensa che in questa grande e complessa famiglia, che è la Chiesa, ciascuno di voi ha il suo posto. Nessuno è estraneo. Ciascuno, che sia figlio fedele della Chiesa, può dire: questa è la mia Chiesa, questa è la mia patria spirituale! Come quando, esaminando una carta geografica, ciascuno cerca il punto della propria città o del proprio paese, così, davanti al quadro della Chiesa universale, sollevato davanti allo sguardo dello spirito dall’udienza del Papa, ciascuno è invitato ad avvertire il fatto della propria inserzione nel Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa, ed è pervaso da un singolare e inebriante senso di comunione, di solidarietà, di fratellanza. Diletti Figli e Figlie: badate che questo senso di partecipazione alla Chiesa, nella sua grandezza e nella sua complessità, è una delle esperienze spirituali più belle e più benefiche della visita al Papa: è l’esperienza di abitare nella «città di Dio», d’appartenere al popolo di Dio, d’essere una cosa sola con la «santa Chiesa sparsa su tutto il mondo».

È un momento di luce, che può illuminare molti aspetti della vita comune: per un cattolico anche la vita comune deve essere attraversata e sorretta da grandi pensieri: quelli che riguardano l’unione spirituale con tutti i fratelli di fede nel mondo; quelli che ci fanno sentire come interessi nostri i problemi delle missioni e delle condizioni religiose ed umane nelle varie nazioni della terra; quelli che ci fanno godere della prosperità spirituale e morale di questa o di quella regione, e che ci fanno soffrire delle sofferenze della Chiesa là dove è decaduta, ovvero oppressa o perseguitata. Si verifica la parola di San Paolo: «Non vi sia disunione nel corpo (di Cristo), ma le membra abbiano la medesima cura le une per le altre. E quindi se un membro soffre, soffrono con esso tutte le membra; e se un membro gode, godono insieme tutte le membra» (
1Co 12,25-26).

Ecco allora che cosa avviene venendo a visitare il Papa: si intuiscono i suoi pensieri, le sue gioie ed i suoi dolori; sono i pensieri, le gioie, i dolori della Chiesa universale. L’adesione alla paternità, ch’è al centro della Chiesa, si risolleva in adesione alla fraternità di cui si compone la Chiesa; avvicinare il cuore, vuol dire sentire il palpito di tutta la circolazione del sangue; onorare l’unità della Chiesa vuol dire entrare in comunione con la cattolicità della Chiesa. È questo un esercizio spirituale caratteristico della Udienza pontificia.

Voi, carissimi Figli e Figlie, venite a leggere nel Nostro cuore le Nostre intenzioni, le Nostre pene, le Nostre speranze. Noi vi associamo volentieri a questi Nostri sentimenti, i quali non possono non essere, voi lo comprendete, che grandi e gravi e tesi sempre al colloquio con Cristo. Ed ecco che così voi partirete di qui quasi imbevuti di alti e stupendi pensieri, quelli della vita travagliata e prodigiosa della Chiesa intera, quelli della carità nelle sue dimensioni universali, quelli che sgombrano l’animo da pensieri meschini ed egoisti e vi fanno invece circolare l’amore di Dio per l’umanità.

Affinché sia profonda, sia operante, sia lieta questa lezione di carità, che è l’udienza del Papa, vi daremo ora la Nostra Apostolica Benedizione.

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L'odierna udienza generale è rallegrata dalla presenza di oltre cinquecento seminaristi di tutta Italia, convenuti a Rocca di Papa per il X Corso di Studi Missionari, organizzato dalla Pontificia Unione Missionaria del Clero nel decennio di istituzione dei Corsi medesimi. Siamo pertanto lieti di porgere il Nostro saluto a loro, a queste trepide e gioiose speranze della Chiesa, che maturano la loro vocazione sacerdotale nella pensosa consapevolezza delle responsabilità, che il problema missionario pone alla formazione, prima, e al ministero, poi, di ogni sacerdote, veramente compreso della sua redentrice missione.

Figli dilettissimi, seminaristi d’Italia!

Ci rivolgiamo dunque a voi con l’effusione del Nostro affetto paterno: voi siete i germogli più cari della Chiesa; a voi essa guarda con fierezza e commozione per l’aiuto che da ciascuno essa si ripromette, per la continuità della sua azione nel mondo; su di voi si figge l’attesa delle anime, che aspettano i ministri di Cristo, i dispensatori dei misteri di Dio (1Co 4,1), destinati a colmare la loro sete di eterno.

Ci conforta profondamente il pensiero che, nell’ascesa verso l’altare del Sacrificio Eucaristico, mèta radiosa di tutti i vostri pensieri, delle vostre aspirazioni, dei vostri sacrifici, voi volete dilatare il cuore all’ampiezza immensa degli orizzonti missionari; che desiderate trarre dalla considerazione della immensa distesa delle messi biancheggianti (cfr. Jn 4,35) l’incoraggiamento a più strenua generosità, a più fervorosa dedizione al futuro ministero, in tutti i sacrifici che esso comporterà alla vostra giovane vita, votata al Signore; e amiamo supporre che in mezzo a voi, come nei Seminari di tutta Italia, sempre più numerosi siano coloro che, fedeli alla voce di Dio che chiama, si orientino verso l’appassionante avvio di una solida vocazione missionaria.

Voi ricordate in questi giorni il decennio di attività dei Corsi di Studi Missionari, che provvido intuito la benemerita Unione Missionaria del Clero volle iniziare, segnando con la sua stimolatrice presenza un più deciso passo in avanti nella formazione missionaria dei seminaristi d’Italia. Abbiamo appreso con grande compiacimento le notizie relative alla vitalità dei vostri Circoli Missionari, alla completezza dei temi considerati, all’interesse da essi suscitato nelle vostre intelligenze giovanilmente aperte e sensibili all’azione della Chiesa nel mondo: e questo Ci dà non piccola consolazione, soprattutto nella particolare temperie di questo momento storico, in cui il Concilio Ecumenico pone con nuova urgenza davanti alla coscienza della famiglia cattolica, e in primo luogo dei sacerdoti, il dovere di essere preparati, nella preghiera e con lo studio, a intrattenere con tutti i fratelli, specialmente con i più lontani, quel dialogo multiforme, paziente, fiducioso, di cui abbiamo fatto aperta menzione nella Nostra Enciclica Ecclesiam Suam.

Di questo impegno Ci rallegriamo col Direttore Nazionale dell’unione, il Venerabile Fratello Ugo Poletti, che è venuto a degnamente raccogliere l’eredità del compianto Mons. Silvio Beltrami, e con i suoi ottimi collaboratori; con gli zelanti Superiori dei vostri Seminari, che vi guidano con mano maestra nella vostra preparazione sacerdotale e missionaria; e con voi, carissimi Chierici e Seminaristi, che negli anni più belli della vostra giovinezza sapete dimostrare con tanta prontezza e rispondenza di voler «sentire cum Ecclesia», e sintonizzare il vostro spirito all’ansia apostolica che pervade tutto il Corpo Mistico di Cristo. Continuate a dedicarvi con passione allo studio dei problemi missionari, secondo i programmi culturali che di anno in anno vi vengono proposti; date un ampio respiro missionario agli anni preziosi della vostra formazione seminaristica; e ricordate che la fecondità del vostro futuro ministero, in qualunque direzione si svolga la vostra vita consacrata, dipenderà certamente anche dalla fiamma dell’ideale missionario, che terrete viva in voi, e che saprete alimentare nelle anime a voi affidate, con le risorse che lo zelo sacerdotale vi suggerirà, con l’aiuto del Signore.

Noi vi incoraggiamo di cuore, e vi siamo vicini con la preghiera e con l’affetto paterno, affinché «Dio, autore di ogni grazia, che vi ha chiamati all’eterna sua gloria in Cristo, vi conduca Egli medesimo a perfezione, vi renda stabili, forti, maturi. A Lui la gloria e la potenza per i secoli dei secoli» (cfr. 1P 5,10-11).

La Nostra Benedizione Apostolica confermi questi voti fervidissimi, ottenendo alla Direzione Nazionale della Unione Missionaria del Clero, a ciascuno di voi, diletti seminaristi, ai vostri Superiori e Insegnanti, e ai diletti genitori lontani ogni desiderato dono del Cielo.




Mercoledì, 9 settembre 1964

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Diletti Figli e Figlie!

La vostra visita Ci trova, alla vigilia della ripresa del Concilio ecumenico, assorbiti dai pensieri e dalle occupazioni, che il grande avvenimento reca con sé; e Noi non sapremmo oggi d’altro parlarvi che di questo tema, che interessa al sommo il Nostro ministero, ma che deve interessare altresì gli animi vostri e di quanti si sentono figli fedeli della Chiesa. Abbiamo già inviato al Cardinale Decano, che sta a capo del Consiglio cardinalizio di Presidenza del Concilio, una Lettera con un’esortazione da estendere a tutta la Chiesa per invitare tutti, Clero e fedeli, ad una preparazione ascetica, ad una partecipazione spirituale al Concilio stesso; abbiamo raccomandato, com’è ovvio per i grandi momenti della vita della Chiesa, di esprimere in qualche speciale atto di penitenza e di preghiera l’invocazione e l’attesa dello Spirito Santo, che assiste e guida il cammino dei seguaci di Cristo. Rinnoviamo a voi qui presenti, ottimi Figli e Figlie, la stessa raccomandazione: fate dono al Concilio della vostra adesione spirituale, rettificando le intenzioni interiori che sono al timone della vostra vita verso l’obbedienza a Dio e verso il suo amore, e facendo sorgere dalla profondità dei cuori qualche viva preghiera per il felice esito della straordinaria assemblea della Gerarchia ecclesiastica. Vi saremo gratissimi se avrete un ricordo nelle vostre orazioni anche per Noi, che sentiamo l’enorme peso delle Nostre responsabilità, e abbiamo più di tutti bisogno dell’aiuto di Dio.

L’ora del Concilio infatti è fra tutte, si può dire, l’ora di Dio. È l’ora nella quale la sua Provvidenza, che governa il mondo in modo a noi incomprensibile e talora identificabile dopo che gli eventi hanno lasciato intravedere un certo disegno superiore di sapienza e di bontà, deve in qualche modo lasciarci scoprire le sue intenzioni prima e durante lo svolgersi dei fatti conciliari, affinché sia sempre vera la sentenza, che precede le deliberazioni dell’assemblea ecumenica come lo fu nel primo Concilio apostolico di Gerusalemme, di cui gli Atti degli Apostoli ci danno interessantissima notizia: «Visum est enim Spiritui Sancto et nobis . . .» (
Ac 15,28). È parso infatti allo Spirito Santo ed a noi . . . L’azione divina si innesta in quella degli Apostoli, e le loro decisioni coincidono col pensiero di Dio, perchè sono suggerite e guidate dallo Spirito Santo.

Questo significa che un Concilio deve avere, da un lato, lo sguardo aperto e teso per scoprire i «segni dei tempi», come disse Gesù (Mt 16,4), gli avvenimenti umani, cioè, i bisogni degli uomini, i fenomeni della storia, il senso delle vicende della nostra vita, considerata al lume della parola di Dio, e dei carismi della Chiesa; e dall’altro, lo sguardo del Concilio deve cercare e scoprire «i segni di Dio», la sua volontà, la sua presenza operante nel mondo e nella Chiesa. Difficile l’una e l’altra scoperta; ma la seconda, quella dei segni di Dio, più della prima. L’indicazione del pensiero divino deve farsi, in un certo modo, conoscibile, sperimentale; e ciò è grazia, che bisogna, se non meritare, essere almeno in grado di accogliere. Ciò vi dice come il Concilio non è tanto un avvenimento esteriore e spettacolare, sebbene ciò abbia la sua ragion d’essere e la sua benefica efficacia; quanto un fatto interiore e spirituale, preparato, atteso, sofferto e goduto, dentro gli animi di quanti compongono il Concilio; esso diventa un fatto morale e spirituale d’incomparabile tensione e pienezza, che deve essere confortato dalla certezza d’essere animato dallo Spirito Santo. È l’ora di Dio che passa . . .

Voi comprendete perciò le Nostre apprensioni. Voi comprendete come, con l’invocazione della divina assistenza, e specialmente con la preghiera allo Spirito Santo, animatore della Chiesa, e con la supplica alla Madonna, Regina degli Apostoli e perciò dei Vescovi, voi potete. magnificamente collaborare alla buona riuscita del Concilio. Confidiamo tanto, Figli e Figlie in Cristo, in cotesto spirituale aiuto; e, con riconoscenza aggiunta alla benevolenza, di cuore tutti vi benediciamo. Ora una parola anche a voi, diletti fanciulli di Azione Cattolica, che punteggiate questa Udienza come fiori soavissimi di innocenza, di bontà e di grazia. Siete venuti da ogni parte d’Italia con un particolare titolo di onore, che vi deve far andare giustamente fieri: avete vinto infatti le gare diocesane per lo studio catechistico-liturgico, e per l’attività apostolica delle vostre Associazioni; e vi accompagnano le vostre ottime Delegate parrocchiali, liete di vedere nei risultati da voi conseguiti il meritato riconoscimento delle loro fatiche e sollecitudini.

Non è Nostra intenzione rivolgervi un discorso, perché la naturale vivacità dei vostri anni troverà forse già troppo lunga la durata di questa Udienza. Desideriamo dirvi soltanto: bravi! Vincere un concorso diocesano, ove si presentano altri fanciulli e fanciulle, certamente preparati, certamente in gamba nei riflessi mnemonici, nella prontezza delle risposte, nella completezza dello studio, vincere un simile concorso, diciamo, è segno che siete stati bravi per davvero. Ve lo diciamo dunque di cuore.

E con le Nostre parole ve lo dice Gesù, di cui tanto umilmente compiamo le veci qui in terra: Gesù che, come ai tempi della sua vita terrena, vi guarda con particolare predilezione, e, come allora, vuole accarezzarvi, abbracciarvi, stringervi al cuore, dicendo ai grandi: «Lasciate che i fanciulli vengano a me!» (Mc 10,14).

Per meglio conoscere Lui avete studiato così bene il catechismo; per vivere di Lui e in Lui siete incominciati a entrare nel regno suggestivo e ricchissimo della Liturgia e della vita della Chiesa; per portare a Lui i vostri compagni di scuola e di giuochi vi aprite alle prime conquiste entusiasmanti dell’apostolato.

Sia Gesù la vostra vita, il vostro cibo, la vostra luce, il vostro amico: oggi, negli anni preziosi e fuggevoli dell’infanzia, domani negli impegni della adolescenza, e poi sempre, sempre, per tutta la vita! È questo il Nostro augurio, la Nostra preghiera, la Nostra benedizione: nella quale vogliamo comprendere gli Assistenti e le Dirigenti Centrali e Diocesani, qui presenti, le Delegate Parrocchiali, il cui corso merita il più ampio incoraggiamento, i genitori lontani, e quanti nelle parrocchie si dedicano con generosità e fervore alla completa formazione cristiana di codeste belle speranze della Chiesa, germogli di giovinezza buona e pura, consolazione profonda del cuore del Papa.

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All'odierna Udienza Generale partecipa il cospicuo gruppo dei Sacerdoti Assistenti Provinciali e Diocesani delle ACLI, provenienti da Rocca di Papa, ove si svolge il loro XIII Convegno nazionale. Vogliamo perciò rivolgerci particolarmente a loro, che si preparano nella preghiera e nello studio allo svolgimento di un nuovo anno di attività e di iniziative, a favore degli interessi spirituali e anche materiali dei diletti lavoratori cristiani d’Italia.

Sacerdoti carissimi!

La vostra presenza procura viva consolazione al Nostro cuore, e ve ne ringraziamo sentitamente. Se è sempre grande la gioia che Ci procurano i numerosi gruppi di pellegrini, che continuamente si succedono, attestando con l’eloquenza dei fatti il vivente fervore della loro fede, più toccante è quella che Ci danno i Nostri sacerdoti. Il pensiero ritorna, in queste occasioni, agli incontri avuti nella Nostra vita pastorale con le schiere valorose di un sacerdozio umile e preparato, generoso e positivo: con le figure di pastori zelanti, che, talora in condizioni disagiate, spesso nell’isolamento e nella solitudine dei loro posti avanzati di sentinelle di Dio, portavano l’impronta viva del testimone di Cristo, del missionario, del custode vigile, che scruta i segni dell’alba nella notte incombente. I sacerdoti, tutti i sacerdoti, Ci sono particolarmente cari, li portiamo nel cuore con le loro ansie apostoliche, con le loro difficoltà, con le loro speranze: e Ci è cara questa occasione, che Ci permette di affermarlo ancora una volta pubblicamente, affinché la Nostra voce giunga a tutti i sacerdoti in cura d’anime, e sia loro di conforto e di sostegno.

Ma la caratteristica fisionomia della pastorale, alla quale dedicate le vostre migliori energie - l’assistenza spirituale ai lavoratori - dà a voi uno speciale titolo alla Nostra benevolenza, diletti Assistenti Provinciali e Diocesani delle ACLI. Non possiamo esimerci da una parola di sentito compiacimento per la dedizione, con cui vi preparate con sempre più cosciente senso di responsabilità, per la serietà, che dedicate all’approfondimento e all’aggiornamento dei problemi inerenti al vostro ministero, per la ricerca di una completa qualificazione di fronte agli imperativi indilazionabili dell’apostolato fra i lavoratori cristiani.

E vogliamo lasciarvi una parola di paterna esortazione, che vi accompagni nell’attività del nuovo anno di lavoro, e sia come il ricordo del vostro Congresso, e di questa significativa Udienza.

— Siate sacerdoti, anzitutto, e sacerdoti santificatori. È questa la vostra missione precipua, il vostro titolo d’onore, il motivo che giustifica la vostra presenza nel mondo del lavoro; questo desiderano essenzialmente da voi i lavoratori, adusi alle fatiche e alle usure della loro vita. E il sacerdote che, in qualunque forma, sotto qualunque pretesto, ponesse in secondo piano questo aspetto primordiale della sua vocazione, per dar luogo alle doti esteriori, alle risorse di natura e di carattere, o ai mezzi puramente naturali di un lavoro da organizzatore, da burocrate, da tecnico anche brillante e completo, quel sacerdote, diciamo, si esporrebbe forse all’insuccesso e al fallimento. Permetteteci il ricordo di alcune parole, rivolte ai Nostri dilettissimi sacerdoti di Milano, ma che vogliamo qui ricordare per meglio sottolineare il Nostro pensiero: «La conoscenza del nostro sacerdozio... ci riporti a Cristo, con umiltà piangente, con carità commossa, con abbandono generoso alla sua operante presenza.. . Questa ascetica sacerdotale, esteriore ed interiore, ci trova talvolta dimentichi: ci si concede alle abitudini profane; talvolta impazienti, ci si domanda a che cosa servono tante vecchie prescrizioni, e non ci si fa scrupolo di contravvenire a qualcuna di esse; ci si trova tal altra convinti che fare il contrario di ciò che la lettera prescrive è un conquistare lo spirito: la lettera sarebbe l’obbedienza, sarebbe la conformità di costume con i propri Confratelli, sarebbe la rinuncia all’occhio che si scandalizza: mentre lo spirito sarebbe l’esperienza della vita profana, specialmente sotto alcune forme seducenti: come, ad esempio, l’amore ai beni di questo mondo, al di là dei nostri doveri, l’acquiescenza a tendenze culturali e sociali che la Chiesa proscrive. Il mondo, nel quale dobbiamo vivere ed operare, esercita anche su di noi le sue seduzioni sottili: come avvicinarlo e come rimanere indenni dal suo fascino contagioso è problema assai importante e complesso per la vita del sacerdote» (G. B. Card. Montini, Discorsi al Clero, p. 128-129).

— Ancora: la vostra presenza al fianco dei lavoratori sia la testimonianza vivente, fatta persona che con essi soffre, spera ed ama, che la Chiesa è con loro, e fa proprie e incoraggia le loro giuste aspirazioni ad una condizione di vita e di lavoro, che sia consona alla dignità della persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio, e redenta col Sangue Preziosissimo di Cristo. La Chiesa è vicina ai lavoratori con cuore di madre, e moltiplica le attestazioni, solenni o quotidiane, di questo suo interesse affettuoso e sollecito verso la loro condizione. Solo una mente accecata dalla prevenzione più ostile potrebbe oggi negare tale realtà: tante sono le prove e i documenti di queste materne premure, che si distribuiscono nei secoli come tante pietre miliari di un millenario cammino, che ha il suo punto di partenza nella lieta novella dell’umana fraternità in Cristo Signore e nel suo Mistico Corpo, per giungere fino alle splendenti affermazioni dei più recenti documenti pontifici. Sì, la Chiesa mette in guardia i lavoratori dal seguire teorie e pratiche ingannevoli, che essendo basate sulla negazione di Dio non possono che sfociare anche nella negazione dell’uomo, nonostante i loro effimeri successi, ma essa non ha mai cessato, né cesserà mai di sostenere i diritti dei più deboli, di proteggere gli oppressi e gli sfruttati, di predicare l’amore sincero, basato sul reciproco rispetto dei mutui diritti e doveri.

Questo ricordi la vostra presenza tra i lavoratori, diletti figli. procurando di far giungere a tutti, come primo obiettivo del vostro apostolato, i lineamenti precisi, accessibili, suasivi della dottrina evangelica e del Magistero della Chiesa.

— Infine: la vostra parola e la vostra azione siano spese per inculcare la netta preminenza degli interessi spirituali su ogni altro valore umano, anche il più sacrosanto. Come sacerdoti siete luce della terra, sale del mondo (Mt 5,13-14): siete i ministri di Cristo e i dispensatori dei misteri di Dio (1Co 4,1); siete i buoni amministratori della multiforme grazia del Signore (1P 4,10). Il vostro primo dovere è dunque quello di alimentare nei lavoratori cristiani il senso comunitario della vita ecclesiale, la stima e la frequenza dei Sacramenti, la fame e la sete della parola di Dio: nella certezza, prima vissuta e quindi luminosamente inculcata, che il primato di ogni ricerca e di ogni interesse spetta per il vero cristiano al regno di Dio e alla sua giustizia, perché il resto verrà dato in soprappiù (Mt 6,33).

Ciò non vuol dire che si debbano trascurare i valori materiali; tutt’altro, perché, secondo il Vangelo, questa è la prima condizione per possederli; ma è un paterno richiamo a voi, sacerdoti carissimi, perché siete i rappresentanti autorevoli della Chiesa, la quale - come abbiamo scritto nella recente Enciclica - «con candida fiducia si affaccia sulle vie della storia, e dice agli uomini: io ho ciò che voi cercate, ciò di cui voi mancate. Non promette così la felicità terrena, ma offre qualche cosa - la sua luce, la sua grazia - per poterla, come meglio possibile, conseguire; e poi parla agli uomini del loro trascendente destino» (L’Osservatore Romano, 10-11 agosto 1964, p. 8) .

Ecco, diletti figli, quanto abbiamo desiderato dirvi in questo lietissimo incontro. E affinché il vostro lavoro sia sempre fecondo di soprannaturale efficacia, avvalorata dalla grazia divina, Noi vi accompagniamo col Nostro affetto e con la Nostra preghiera, ed effondiamo su di voi e sulle benemerite Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani la confortatrice Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 16 settembre 1964

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Diletti Figli e Figlie!

Il pensiero, che viene alla Nostra mente in occasione di questa Udienza, Ci è suggerito dal Santo di cui oggi, 16 settembre, ricorre la festa, S. Cipriano, un Vescovo africano del III secolo, un martire di grande statura; egli scrisse un opuscolo celebre, intitolato De unitate Ecclesiae, nel quale si trovano insegnamenti opportuni non solo per il tempo successivo alla persecuzione dell’imperatore Decio, la quale aveva prodotto profonde divisioni nelle comunità cristiane dell’Africa, ma per i nostri giorni, per il Concilio stesso che stiamo celebrando. La frase, che viene alla Nostra memoria, è celebre, e forse voi già la conoscete; ma merita d’essere qui ricordata, e poi meditata come una norma direttiva della vita; e suona così: «Non può avere Dio per padre, chi non ha la Chiesa per madre: «Habere iam non potest Deum patrem, qui Ecclesiam non habet matrem» (De unitate Ecclesiae; P.L. VI, 519).

Questa parola esprime una verità che corrisponde ad un pensiero di Dio, sul quale si fonda tutto il piano della nostra religione e della nostra salvezza, la necessità cioè della Chiesa, della istituzione dalla quale noi riceviamo i doni di verità e di grazia indispensabili per la nostra vita presente e futura, tanto che meritano a tale istituzione il nome tenero ed augusto di «madre»: la madre Chiesa. È lei che ci genera alla vita religiosa, ch’è la vita vera, definitiva e soprannaturale, alla quale siamo chiamati.

Questa necessità della Chiesa è proclamata in ogni cosa, in ogni atto, che voi osservate in un’udienza pontificia: che cosa un’udienza pontificia manifesta più chiaramente della presenza solenne della Chiesa nel mondo, una presenza che qui si documenta d’una visibilità e d’una religiosità senza confronti, e che tende precisamente a documentare quel pensiero divino della necessità della Chiesa stessa? e non è forse per sentire vibrare nelle vostre anime tale divina esigenza, diventata per voi un’incomparabile fortuna, che voi ambite venire all’incontro col Papa? Questa Udienza. suscita infatti due sentimenti, i quali potrebbero essere espressi in termini teologici, ma ora da Noi semplicemente enunciati così: un sentimento di inquietudine, di timore, di ricerca, relativo alla questione fondamentale della propria salvezza, al problema della propria vita: dove trovare il senso della nostra esistenza e come trovare la via sicura per possederlo e per viverlo? L’altro sentimento di trepidazione e di gioia per aver trovato nella Chiesa di Cristo la risposta sicura e concreta a tali angosciose domande, e per sperimentare in certa misura la consolazione interiore di sapersi figli veri e amorosi della Chiesa e perciò figli veri ed amorosi di Dio.

Noi possiamo godere di tanta fortuna, che dice una misteriosa predilezione del Padre celeste per noi, pensando che Egli ha potenza e bontà per far giungere la sua salvezza anche a quelli che in buona fede non appartengono alla Chiesa; ma dobbiamo nello stesso tempo sentire la grande responsabilità, che deriva dalla nostra vocazione alla via della salvezza, che è la Chiesa; la responsabilità di mantenere fedelmente i nostri passi su tale via; e la responsabilità di operare e di pregare, affinché tutti possano entrare nella via stessa e trovarvi con noi la possibilità, la speranza, il gaudio della salvezza.

Sentimenti questi che possono tradursi in proposito e in ricordo di questa Udienza, come Noi stessi auguriamo, tutti di cuore benedicendovi.

Saluti

Dobbiamo un saluto speciale al Pellegrinaggio della Diocesi di Tortona, qui presente per rendere omaggio filiale alla Nostra umile persona, o piuttosto al Nostro ministero apostolico; e lo dobbiamo perché tanti pensieri Ci rendono particolarmente cara quella Diocesi : dove il Servo di Dio Don Orione ha posto la sede centrale della sua grande «Piccola Opera della Divina Provvidenza» e dove la sua tomba sembra sorgente di sempre magnifici sviluppi della provvidenziale Opera stessa; dove parimente ebbe la culla e la sepoltura Lorenzo Perosi, nome immortale nel regno della musica sacra; dove fu Vescovo Monsignor Egisto Melchiori, degnissima figura di Pastore e a Noi maestro ed amico; e dove ora è Presule Monsignor Francesco Rossi, da Noi consacrato Vescovo ed a Noi carissimo. A lui, ai sacerdoti e fedeli della diletta Diocesi un particolare saluto ed una particolare benedizione.

* * *

Il qualificato gruppo dei partecipanti al V Congresso Internazionale per la Riproduzione animale merita un particolare saluto, che siamo lieti di porgere con tutto il cuore: sia per il cospicuo numero, che li distingue, sia per l’importanza e la serietà degli studi, a cui essi dedicano la loro vita.

Diletti figli! Ci ha procurato viva consolazione l’apprendere che, al termine delle laboriose giornate del vostro congresso, svoltosi a Trento, avete desiderato concluderne i lavori con la vostra visita al Papa. Ve ne ringraziamo sinceramente, e vi esprimiamo il Nostro compiacimento per questo gesto, che è più di un atto di cortesia, è più di un motivo esteriore, suggerito dalla vostra presenza a Roma: esso è un atto di fede, che getta viva luce sulle disposizioni interiori con cui compite i vostri studi così delicati, così interessanti, così provvidamente orientati verso la soluzione di urgenti necessità del momento presente.

Vi sostenga nelle quotidiane fatiche della ricerca e della sperimentazione biologica il pensiero dei vostri fratelli che soffrono, ed attendono una mano amica, che venga loro incontro con positiva offerta di utili soluzioni. E soprattutto vi sostenga la certezza esaltante della divina promessa del Cristo, che ha voluto ritenere fatto a sé tutto quanto è compiuto a favore dei più piccoli tra i suoi fratelli (
Mt 25,40).

Nel suo nome Noi vi esprimiamo la Nostra compiacenza, unita all’incoraggiamento per la fruttuosa prosecuzione delle vostre attività; e perché l’abbondanza dei suoi doni celesti allieti e conforti voi e i vostri cari, qui presenti, le vostre famiglie lontane, i colleghi di lavoro e di studio, Noi vi impartiamo la Nostra Apostolica Benedizione, pegno e conferma della Nostra benevolenza.




Mercoledì, 23 settembre 1964

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Diletti Figli e Figlie!

Che cosa significa un’Udienza del Papa? È quello che cerchiamo Noi stessi di capire e poi di spiegare ai Nostri visitatori. Ci accorgiamo che una Udienza del Papa significa molte cose; presenta cioè vari aspetti, che la visione delle persone e delle cose secondo la fede moltiplica mirabilmente e allarga su panorami immensi, della religione, della storia, della vita. Uno di questi aspetti Ci è suggerito da una circostanza unica e notevole di questo giorno e di questo luogo: oggi la reliquia preziosissima - il sacro capo dell’Apostolo Andrea - lascerà questa Basilica, dove da cinque secoli è custodita, e sarà entro la settimana riportata a Patrasso, in Grecia, dove S. Andrea subì il martirio della crocifissione, e donde la reliquia, al tempo di Papa Pio II, era stata portata a Roma, perché vi fosse custodita, nel timore che una invasione, temuta allora come imminente, la esponesse a qualche manomissione. S. Andrea era fratello di San Pietro; e questo fatto memorabile ci riporta col pensiero alla scena evangelica, stupendamente narrata dall’Evangelista San Giovanni quale testimonio, e lui stesso protagonista, della scena stessa. È la scena del primo incontro di Gesù con i suoi discepoli e futuri apostoli, quando Giovanni Battista identifica per la seconda volta Gesù presente sulle rive del Giordano, e ripete il suo grido: Ecco l’Agnello di Dio! Due discepoli del Precursore, udite queste parole, «andarono dietro a Gesù. Gesù si volse e, notato che lo seguivano, domandò loro: chi cercate? Essi gli dissero: Rabbi! (che tradotto vuol dire maestro), dove abiti? Egli rispose loro: venite e vedrete. Andarono e videro dove egli abitava; e rimasero con lui quel giorno. Era circa l’ora decima (pomeriggio inoltrato). Andrea, fratello di Simone Pietro, era uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e aveva seguito Gesù» (
Jn 1,35-40).

Questo racconto ha meritato il titolo di «primo chiamato» ad Andrea; e mette in evidenza il fatto che ogni incontro con Cristo riveste carattere di chiamata. Il rapporto prodotto dalla sua presenza fra noi non può non assumere l’aspetto d’una vocazione; non può non tradursi in un invito da parte di Cristo a seguirlo, e da parte di chi da Lui è incontrato in una scelta, in una risposta, tendenzialmente orientativa, forse decisiva per tutta la vita. «Venite e vedrete» dice il Signore. «Andarono e videro» quei primissimi chiamati. Si iniziava così la espressa convocazione degli uomini alla sequela di Cristo; e voi sapete come si definisce il risultato di questa convocazione; si definisce «la Chiesa», che appunto significa l’assemblea dei chiamati, o, come si esprime San Paolo, «dei chiamati santi» (1Co 1,2 Rm 1,7), formanti cioè «il popolo di Dio» (1P 2,10).

Ora sembra a Noi che ogni Udienza pontificia, riunita da sentimenti pii e spirituali, rifletta in qualche modo l’incontro di anime pellegrinanti sui sentieri misteriosi della vita col Pastore e col Maestro dell’umanità, ch’è Nostro Signor Gesù Cristo, come quella che fa incontrare le persone presenti all’udienza con Colui che, assai, assai imperfettamente, ma autenticamente rappresenta visibilmente quel divino Viandante, che non solo volle essere nostro compagno di cammino, ma nostra guida, nostro Capo altresì; e che tuttora e sempre, e qui nelle umili sembianze del suo Vicario, continua a chiamare; sì, a chiamare: «Venite e vedrete»; «Venite a me voi tutti, che siete affaticati ed oppressi, ed io vi consolerò» (Mt 11,28); «Venite dietro a me, e vi farò diventare pescatori d’uomini» (Mt 4,19).

Cioè : l’incontro dell’udienza pontificia solleva negli spiriti attenti delle persone presenti la coscienza d’essere stati chiamati a fissare il proprio rapporto con Cristo: quello di fedeli? di indifferenti? di avversari? Di fedeli certamente! E allora la coscienza continua: di fortunati, di eletti, di responsabili!

Carissimi figli e figlie! L’udienza pontificia fa echeggiare in fondo alle vostre anime la voce del Signore, che ricorda ed ammonisce: Tu sei cristiano, tu sei cattolico! E ciascuno comprende quale abbondanza di conseguenze sorga da tale persuasione fatta cosciente, nella singolarità e nella solennità di questa circostanza: davanti al Papa, al Vicario di Cristo, tu sei cristiano, tu sei cattolico; quale cristiano? quale cattolico?

Oh! lasciate che Noi rinforziamo codesta intima voce, invitando, esortando, supplicando ciascuno di voi ad essere vero cristiano, autentico cattolico. Noi potremmo avvalorare questa vocazione con altre e gravi ragioni: quelle che nascono dai bisogni della Chiesa, dai bisogni del nostro mondo presente; bisogni immensi, che chiamano e invocano la presenza, la testimonianza, l’azione, la dedizione di animi forti e generosi, ai quali la voce di Cristo ha aperto un destino nuovo e meraviglioso: quello d’essere apostoli!

Così l’Apostolo Andrea, così il fratello Apostolo Pietro, qui oggi, quasi con voce sola, parlino evangelicamente alle nostre anime; mentre a tale voce si unisce la Nostra, paterna e benedicente.





Paolo VI Catechesi 20964