Paolo VI Catechesi 30964

Mercoledì, 30 settembre 1964

30964
Diletti Figli e Figlie!

Alla fine di questa Udienza, com’è nostra abitudine, noi canteremo insieme il Credo, quello della Messa domenicale. Nessuno, Noi pensiamo, troverà fuori luogo questa professione di fede; anzi ciascuno di voi godrà di poter esprimere in un canto comune ciò che in quest’ora e in questa basilica dev’essere un sentimento comune : la nostra adesione alla fede della Chiesa cattolica; la quale fede è quella di S. Pietro, sul cui sepolcro noi siamo adunati; e la fede di S. Pietro è quella che confessa Gesù Cristo, Figlio di Dio, nostro Maestro e nostro Salvatore; e nella fede in Cristo noi veniamo a conoscere il mistero della vita di Dio, unico nella natura, Padre e Figlio e Spirito Santo nelle persone, e a trovare nella fede non solo una nuova conoscenza della Divinità, ma un principio altresì di comunione con Dio, un principio della nostra salvezza. Questa nostra professione di fede ci serve quasi di scala, che da questo punto, la sede di Pietro, sale al cielo, e sembra invitarci in modo particolare a percorrerne gli ascendenti gradini.

Questo invito era una volta esplicitamente presentato ai visitatori dell’antica Basilica costantiniana, demolita per costruire allo stesso posto quella che ora ci accoglie. Narra il Liber Pontificalis, raccontando la vita di Papa Leone III (795-816), quello che incoronò imperatore Carlomagno, che questo Pontefice «per amore e per difesa della fede ortodossa» fece apporre due grandi scudi d’argento, uno sulla porta destra, l’altro sulla porta sinistra della confessione di S. Pietro; sui quali scudi era scolpito, in latino da una parte, in greco dall’altra, il simbolo della nostra fede, nel testo che chiamiamo di Nicea, quello cioè delle nostre Messe cantate (che aveva preso il posto del simbolo battesimale, che chiamiamo simbolo degli Apostoli), così che chiunque si avvicinava alla tomba di S. Pietro era sollecitato a recitare, con lui e a suo onore, l’atto di fede.

Ed è ciò che facciamo anche noi al termine dell’Udienza. E qui si aprirebbe una bella meditazione sulle ragioni, che ci fanno associare la professione della fede alla devozione al Principe degli Apostoli. E sono ragioni che tutti ricordiamo pensando ai fatti del Vangelo, dove appunto S. Pietro appare come l’Apostolo della fede (
Mt 16,16 Jn 6,69), e dove Cristo predice a Simone, da lui trasformato in Pietro, che toccherà a lui di «confermare» i fratelli, cioè i cristiani nella fede (Lc 22,32). Toccherà a lui di essere non solo il primo e più autorevole testimonio della risurrezione di Cristo, sulla realtà della quale si fonda l’edificio della fede, ma, come dicono i teologi, il promotore, il maestro della fede e della vita della Chiesa.

È bene perciò che, venendo a venerare la tomba di S. Pietro e incontrando l’umile suo successore investito della stessa missione d’insegnare la fede, di fortificare la fede, ogni spirito, sensibile alle voci delle cose circostanti, avverta l’impulso di credere e di professare la sua fede in perfetta armonia con Chi è guida nell’accettazione, nella comprensione, nella manifestazione, nell’applicazione e nella difesa della parola di Cristo.

Oggi, festa di S. Girolamo, viene alla Nostra memoria una parola di questo Santo, scritta da lui a Papa Damaso (366-384), dall’eremo della Calcide nella Siria, dove allora si trovava, polemizzando con gli eretici di quel tempo: «Io intanto grido che, se uno sta con la cattedra di Pietro, è dalla mia parte; «ego interim clamo, si quis cathedrae Petri iungitur, meus est» (Ep. XVI, P.L. 22, 359). Dovremo noi pure oggi, con pari convinzione e con pari energia, unirci all’autorità del magistero di Pietro per godere della luce e della sicurezza che ne deriva, e per sentire la consolazione d’essere insieme, d’essere insieme con tutti i credenti, i fedeli, che sono nel mondo e formano la Chiesa, e d’essere uniti all’albero della Chiesa, che ha Pietro alla radice e Cristo per vita.

Possa la Nostra Benedizione confortare in voi questa salutare certezza.




Mercoledì, 7 ottobre 1964

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La vostra visita giunge a Noi nel giorno in cui la pietà della Chiesa onora Maria Santissima con la festa detta del Santo Rosario. Voi certo lo sapete bene. E perciò le Nostre parole, quest’oggi, non possono ad altro riferirsi che a questa particolare forma di culto mariano.

È ormai una tradizione per i Papi di questi ultimi tempi tributare alla Madonna un omaggio sempre rinnovato e speciale mediante la spiegazione, l’apologia, la raccomandazione del Santo Rosario. Più degli altri è da ricordare Papa Leone XIII, che quasi ogni anno, dal 1883 al 1901, nella ricorrenza di questa festa pubblicava un’Enciclica sul Rosario; abbiamo così un rosario di Encicliche mariane! Sono facili a comprendersi le ragioni di tanta devozione pontificia per la Madonna: nessuno è tanto devoto di Maria Santissima quanto il Papa! Se non bastassero gli impulsi della sua pietà personale, resa sempre più viva dalle necessità spirituali del Suo ministero apostolico, che Lo obbligano ad una continua invocazione alla Madre di Cristo, quasi ad una umile e fervente conversazione con Lei, sarebbero le profonde e feconde ragioni teologiche del Suo ufficio pontificale a richiamarlo a questo culto specialissimo, e a mettere a confronto, anzi in relazione, la missione unica e somma di Maria nel disegno della nostra salvezza con la funzione propria del sacerdozio, che Cristo ha voluto partecipe del suo unico Sacerdozio per comunicarsi al mondo. Quali relazioni e quali distinzioni vi sono fra la maternità di Maria, resa universale dalla dignità e dalla carità della posizione assegnatale da Dio nel piano della Redenzione, e il sacerdozio apostolico, costituito dal Signore per essere strumento di comunicazione salvifica fra Dio e gli uomini? Maria dà Cristo all’umanità; e anche il Sacerdozio dà Cristo all’umanità, ma in modo diverso, com’è chiaro; Maria mediante l’Incarnazione e mediante l’effusione della grazia, di cui Dio l’ha riempita; il Sacerdozio mediante i poteri. dell’ordine sacro: ministero che genera Cristo nella carne il primo, e poi lo comunica per le misteriose vie della carità alle anime chiamate a salvezza; ministero sacramentale ed esteriore il secondo, il quale dispensa quei doni di verità e di grazia, quello Spirito, che porta e forma il Cristo mistico nelle anime che accettano il salutare servizio della gerarchia sacerdotale (S. Th.
III 63,3; Cat. Conc. Trid. II, 7, 23-24). Ma evidentemente Maria è, dopo Cristo e per virtù di Cristo, al vertice di questa economia di salvezza; precede e supera il Sacerdozio; Ella è ad un piano di eccellenza superiore e di efficienza differente rispetto ad esso; e se il sacerdozio al suo grado sommo possiede le chiavi del regno dei cieli, la Regina dei cieli è Lei, la Madonna, che è perciò anche rispetto alla gerarchia la Regina degli Apostoli. Comprendete pertanto, carissimi Figli, perché i Papi sono tanto devoti di Maria.

E se Noi oggi vi ricordiamo questo fatto, lo facciamo per far Nostre le esortazioni che i Nostri piissimi e venerati Predecessori hanno rivolto al popolo cristiano in onore di Maria Santissima. Troppe cose sarebbero da dire; lasciateci soltanto ripetere a voi le parole, che appunto Leone XIII citava nella sua Enciclica «Adiutricem populi» (1895) prendendole dalle labbra di quel San Cirillo d’Alessandria, che fu il principale promotore del Concilio di Efeso, ove Maria fu riconosciuta e proclamata Madre di Dio, e che così a Lei si rivolge: «Per te (Maria), gli Apostoli predicarono ai popoli la dottrina della salvezza; per te la santa Croce è lodata e adorata nel mondo intero; per te i demoni sono messi in fuga, e l’uomo è richiamato al cielo; per te ogni creatura, stretta dagli errori della idolatria, è ricondotta alla conoscenza della verità; per te i fedeli sono pervenuti al battesimo e in ogni parte del mondo sono state fondate le Chiese» (Homil. contra Nestorium).

Parole che ci infondono fiducia nella Vergine Santissima, ci richiamano a sentimenti e ad esercizi di filiale pietà, ci mostrano la relazione del culto mariano con le grandi vicende della storia; e, per noi, ci lasciano sperare nel buon esito del Concilio e nell’avvicinamento delle anime a Cristo, mentre quest’oggi, ci rimettono il Rosario in mano con un grande desiderio, con un nuovo proposito di ricominciare i ritmi deliziosi: Ave Maria, ave Maria!





Mercoledì, 14 ottobre 1964

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Diletti Figli e Figlie!

Tanti sono oggi i gruppi presenti a questa Udienza generale, ai quali dobbiamo un saluto particolare, che limitiamo queste Nostre parole ad una semplice esortazione: quella di ricordare, anzi di ripensare questa Udienza come uno stimolo a meglio capire che cosa praticamente significhi appartenere alla Chiesa. Chi partecipa ad un'Udienza come questa, così numerosa, così composita, così fervorosa, non può non chiedere a se stesso qual è il suo posto nella Chiesa di Cristo: sono io membro della Chiesa? membro vivo? avverto la dignità che a me deriva da questa appartenenza sono lieto e fiero d’essere cristiano? d’essere cattolico? e quale è la mia funzione nel corpo mistico di Cristo? Bisogna avvertire l’unità di questo corpo mistico, in cui siamo inseriti, e la diversità organica delle funzioni in cui i membri sono distinti e distribuiti. Ci ricordiamo della celebre parola di S. Paolo: «Vi sono differenze di carismi, ma lo Spirito è uno solo . . .» (
1Co 12,4).

E il fedele che, mosso da un incontro come questo con il Papa, con il capo visibile della Chiesa, si inoltra per questi pensieri, sentirà sorgere in fondo alla propria coscienza una duplice conclusione : la prima possiamo definirla, con un termine ora molto corrente, l’«impegno»: appartenere alla Chiesa non è cosa da poco, è un fatto decisivo nella vita, è un principio da cui derivano molte conseguenze, prima delle quali l’impegno della fedeltà, la responsabilità del dono ricevuto della fede e della grazia, il dovere e l’energia di corrispondere all’elezione divina. La seconda conclusione è l’«impulso» allo sviluppo, alla crescita, alla perfezione. La fortuna di essere nella Chiesa, la nave della salvezza, non ci autorizza alla pigrizia di chi crede d’essere ormai dispensato dalla ricerca e dal progresso sulle vie di Cristo. La vita cristiana non è statica, ma dinamica. La fedeltà alla Chiesa non ci immobilizza, ma ci sprona ad una continua elaborazione interiore, per crescere nella fede, nella speranza e nella carità, e ad una continua attività esteriore in ogni sorta di opere buone.

Così che quest’udienza può essere in voi un nuovo fermento di generosi pensieri e di progredienti virtù: è ciò che Noi vi auguriamo, accompagnando il Nostro augurio con la Nostra preghiera e la Nostra Benedizione.

Saluti

Amiamo ora rivolgere il Nostro saluto al distinto e qualificato gruppo delle partecipanti al Convegno Nazionale dell’Unione Cattolica Italiana Ostetriche.

Dilette figlie. Siamo lieti di accogliervi con particolare riguardo di attenzione, di stima e di affetto: lo merita la vostra professione, così delicata e provvida, che assiste il promettente inizio di ogni nuova vita; lo esige l’animo con cui volete compierla, questa vostra missione: e cioè con spirito di credenti e di apostole, pronte a sacrifici e disagi non comuni, fedeli alle supreme esigenze della Legge di Dio, sollecite e premurose nel chinarvi sulle necessità del prossimo, ma fermamente lontane da ogni compromesso morale. Noi siamo certi che le alte indicazioni, date dal Nostro Predecessore Pio XII al vostro quotidiano servizio della vita umana, sono per voi tuttora programma luminoso di azione, a cui ispirate con cosciente responsabilità tutte le applicazioni, anche le più gravi, del vostro dovere professionale.

Nel richiamare alla vostra coscienza quei principii insostituibili e orientatori, Noi vi esprimiamo il Nostro compiacimento: perché anche nella vostra presenza, così singolare e unica nella compagine della società, Noi amiamo vedere un campo vasto e mirabile, nel quale si può e si deve esercitare, in forma tutta speciale, ma non meno importante, quell’apostolato dei laici, a cui sono chiamati tutti i figli generosi della Chiesa, ed al quale, proprio in questi giorni, l’assemblea dei Padri Conciliari ha dedicato con appassionato fervore le sue sollecitudini pastorali.

Vi sia di quotidiano conforto il pensiero di ciò che la Chiesa attende da voi; vi dia serenità e forza la consapevolezza dell’aiuto divino, e della grazia celeste, che abita in voi per sostenervi e illuminarvi: perché, secondo le belle Parole di Sant’Ambrogio: «ubi enim Domini gratia, ibi debet esse pax Domini»: «dove c’e la grazia del Signore, la c’e necessariamente la sua pace» (De Virginitate V, XXIV; ML Ml 16,16).

In pegno di questa Pace, che vi accompagni durante tutto il corso della vostra vita, Noi vi impartiamo l’apostolica Benedizione, che Ci è caro estendere altresì alle vostre dilette famiglie.

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Ein besonderer Gruss gilt heute den diesjährigen Neupriestern des Collegium Germanicum-Hungaricum, die mit Herrn Kardinal Döpfner und ihren Eltern und Verwandten an dieser Audienz teilnehmen.

Wir heissen euch, geliebte Söhne, wie auch eure Angehörigen, die an eurer Freude teilnehmen und euch, oft unter grossen Opfern, auf eurem Weg zum Priestertum begleitet haben, herzlich willkommen.

In euch hat sich nach Jahren ernster Vorbereitung das Geheimnis des Priestertums Christi erfüllt. Voll tiefen Dankes tretet ihr nun unter die Menschen, die euch erwarten; vor viele aber auch, die erfüllt sind von fieberhafter Geschäftigkeit, scheinbar zufrieden und ganz ausgefüllt von den technischen Errungenschaften unserer Zeit. Menschen, die euch oft fremd gegenüber stehen werden, nicht bereit oder nicht in der Lage, auf Geistiges oder Geistliches einzugehen.

Dennoch, geliebte Söhne, derselbe Herr, der das Wort sagt: «Ecce, ego mitto vos», spricht zu euch auch das Noli timere. Ja, fürchtet euch nicht, denn ihr seid ja Priester Christi und er ist es, der euch aussendet, seine Frohbotschaft zu künden und sein Brot zu brechen. Und dies allen Menschen, deren Herz unruhig ist, bis es in Gott Erfüllung gefunden.

Darum verschliesst euch nicht, seid bereit für jedes Apostolat, das euer Bischof euch anvertrauen wird. Und wo immer ihr hingestellt werdet, dort steht als ganze Priester und als ganze Menschen. Seid aber gewiss, gerade in diesem Gehorsam eurem Dienst gegenüber und in jedem Opfer, das er von euch fordert, werdet ihr zugleich die tiefsten Freuden des Priestertums verkosten.

Danket daher Gott, der euch in dieser entscheidenden Stunde berufen hat als Seelsorger für Gegenwart und Zukunft mitentscheidénd zu sein.

Mit diesen Gedanken erflehen wir euch, geliebte Sohne, wie euren Lieben allen Gottes gnadenvolle Hilfe und erteilen euch als Unterpfand dessen von Herzen den Apostolischen Segen.

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Chères filles, participantes au quinzième Congrès de l’association catholique internationale des oeuvres de protection de la jeune fille.

Nous sommes heureux de vous donner une salutation toute particulière. Vous êtes ici réunies à Rome en une importante assemblée dont le but est d’adapter aux nécessités d’aujourd’hui l’oeuvre si utile, née à Fribourg en 1897, et qui depuis lors a inlassablement travaillé au service de la jeune fille. Par les missions d’accueil que vous avez multipliées dans les gares, les ports, et les aérogares, par les bureaux de placement, les secrétariats, et les foyers, c’est tout un réseau d’amitié désintéressée et efficiente que vous avez su mettre en place au service des jeunes filles.

C’est cette aide si nécessaire que vous voulez continuer, en tenant compte de l’évolution du monde et des moeurs. Et c’est pourquoi vous avez choisi pour thème de vos journées d’étude: Les jeunes filles et nous, en 1964. Soyez-en félicitées. Et puissent vos travaux vous permettre aux unes et aux autres de prendre une conscience plus claire des différents aspects de la vie’ des jeunes filles dans le monde d’aujourd’hui, pour adapter en conséquence les moyens que vous vous proposez de mettre à leur disposition. Car, aujourd’hui comme hier, c’est la sauvegarde de la dignité morale de la jeune fille qu’il faut assurer, en lui permettant d’acquérir une véritable formation professionnelle, morale et religieuse. Aussi, par-delà l’aide temporaire si nécessaire pour surmonter les difficultés d’un voyage ou pour trouver un travail moralement sûr, il faut permettre à la jeune fille d’épanouir sa propre personnalité, de découvrir sa responsabilité personnelle dans l’orientation de sa vie, et de réaliser sa vocation humaine et chrétienne.

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Chers Messieurs,

L'occasion des journées d’études que votre Groupe a organisées ces jours-ci dans cette ville de Rome, vous avez exprimé le désir de venir Nous présenter vos hommages. C’est bien volontiers que Nous avons accédé à votre demande et il Nous est très agréable de vous souhaiter la bienvenue dans Notre demeure.

Vous savez combien déjà, depuis le début de Notre pontificat, Nous avons manifesté l’intérêt que Nous portons aux problèmes européens, tout en Nous maintenant - cela va sans dire - dans le domaine qui est le Nôtre.

Nous savons que le Groupe Démocrate Chrétien du Parlement Européen réunit des représentants de divers pays membres de ce Parlement, appartenant à des confessions religieuses différentes, mais tous animés du même désir d’oeuvrer, dans une collaboration loyale et fraternelle, à l’édification progressive de l’Europe. Cette Europe de demain, mais qui est déjà en gestation, devra reposer sur le patrimoine humain, moral et religieux, inspiré en grande partie par l’Evangile, qui a assuré et continue d’assurer à ce continent un rayonnement unique dans l’histoire des civilisations.

Permettez donc que Nous profitions de cette occasion pour vous renouveler Nos encouragements et pour vous exhorter à poursuivre une tâche qui, si elle est ardue et complexe, apparaît sans nul doute d’une nécessité vitale pour l’avenir de l’Europe et même du monde entier. Soyez donc assurés, chers Messieurs, que Nous suivrons toujours avec sympathie vos efforts en vue de hâter l’avènement d’une Europe pacifiée et unifiée.

C’est dans cet esprit que Nous formons devant Dieu des voeux fervents pour la pleine réussite d’une aussi noble entreprise et c’est de grand coeur que Nous appelons sur vos travaux, sur vos personnes et vos familles, l’abondance des bénédictions du Ciel.




Mercoledì, 21 ottobre 1964

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Diletti Figli e Figlie!

A Voi il nostro paterno e affettuoso saluto! Esso vuoi arrivare alle vostre anime per ricambiare le espressioni della vostra pietà, per confortare in voi ogni buon pensiero, che questa udienza possa in voi suscitare, e per ottenervi dal Signore le grazie, di cui ha bisogno la vostra vita e di cui avete desiderio per voi stessi e per quanti vi sono cari.

Ma questo Nostro saluto vorrebbe insieme raggiungere un altro scopo, proprio d’un incontro col Papa, quello cioè di farvi oltrepassare lo schermo della scena visibile, che avete davanti agli occhi, per farvi arrivare con lo sguardo della fede ad ammirare la scena invisibile, richiamata e rappresentata dal carattere apostolico e pontificale, di cui la Nostra umile persona è rivestita. Un’udienza pontificia deve essere una visione in trasparenza. È questo uno sforzo caratteristico di questo momento. Se i vostri occhi ed i vostri animi si fermassero all’aspetto sensibile di ciò che avete davanti, potrebbero essere interessati, forse ammirati e stupiti; ma essi rimarrebbero ciechi e distratti rispetto a ciò che merita qui veramente di essere visto e ammirato, non sensibilmente, ma spiritualmente. Basti una parola per farvi comprendere quale dev’essere il frutto migliore d’un’udienza pontificia.

Voi vedete ora in Noi il Capo della Chiesa cattolica. Il Capo visibile. Sta bene. E pensate all’importanza, alla responsabilità, alla singolarità di questo sublime e pesante Ufficio, che la Provvidenza ha messo sulle povere Nostre spalle: ecco il Capo della Chiesa! Ma chi è il vero Capo della Chiesa? San Paolo ce lo dice chiaramente: è Gesù Cristo. Egli è il Capo supremo della Chiesa intera, la quale è il suo mistico Corpo (
Ep 1,22-23). Vi sono allora due capi della Chiesa? E se Cristo è il solo Capo, che la regge, la possiede e la santifica, come si può dire che vi è un altro Capo? La risposta è facile; e voi tutti la conoscete: l’unico vero e sommo Capo della Chiesa, sola sorgente della sua salvezza, è Cristo Signore. «Caput Christus est»: Cristo è il Capo, dice San Paolo (1Co 11,3). Tu solus sanctus, Tu solus Dominus, Tu solus altissimus, noi cantiamo nella Santa Messa. E così è. Noi celebreremo domenica prossima la festa della Regalità di Cristo, istituita apposta per concentrare il nostro pensiero e il nostro culto su di Lui, che è «il Primo in tutte le cose» (Col 1,18). Ma Gesù Cristo, salito al Cielo, si è sottratto alla nostra terrena conversazione; si è reso invisibile. Certamente Egli è sempre in relazione viva con la sua Chiesa, a cui infonde il suo Spirito; Egli è sempre presente in vari modi fra noi: con la sua grazia, con la sua parola eterna, con i riflessi della sua umanità nella nostra (Mt 25,40); e di più Egli ha stabilito d’essere qui in terra presente mediante l’esercizio dei poteri, ch’Egli ha conferito ai suoi Apostoli, alla Gerarchia: «Chi ascolta voi, ascolta me» (Lc 10,16); anzi Egli ha voluto rendersi presente, in modo perenne e visibile, mediante il supremo ministero di salvezza, conferito al primo degli Apostoli, a Pietro, Capo degli Apostoli e Capo della Chiesa.

E perciò il Papa, successore di San Pietro, è, sì, Capo della Chiesa, ma subordinato, determinato all’ordine ministeriale, e tutto derivante da Cristo; così che onorando questo suo «umile ed alto» ufficio, come voi volete fare, voi onorate Cristo, e a Lui dovete rivolgere ogni onore ed ogni gloria. Il primato del Papa nella Chiesa non copre, non contende il primato di Cristo; ma piuttosto lo rappresenta, lo serve e lo celebra; ed al confronto si curva e si confonde con quello, facendo sue le parole del Precursore: «Illum oportet crescere, me autem minui»: Lui deve crescere, io scomparire (Jn 3,30).

Questo pensiero è a Noi stessi particolarmente presente in relazione al Nostro intervento al prossimo Congresso Eucaristico di Bombay, intervento di cui abbiamo dato domenica scorsa l’annuncio. Non vorremmo infatti che la Nostra presenza a quel solenne atto di culto a Nostro Signore portasse distrazione, attirando l’attenzione sulla Nostra persona a scapito della devozione, che tutta deve essere concentrata in Gesù Cristo. Vorremmo piuttosto che il Nostro insolito viaggio tornasse di onore a Lui solo, e stimolasse gli animi di chi assiste da vicino e di chi da lontano guarda al Congresso eucaristico a fissarsi tanto di più nel mistero della presenza eucaristica e sacrificale di Cristo.

Ed è quello che Noi fin d’ora a voi per questa Udienza raccomandiamo, esortandovi a riferire a Cristo l’amore e l’omaggio, che voi tributate al suo Vicario, il Quale nel nome di Lui tutti vi benedice.




Mercoledì, 28 ottobre 1964

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Diletti Figli e Figlie!

Vi porgiamo di cuore il Nostro saluto! A tutti, a ciascuno! E come siamo soliti a fare, profittiamo di questo breve momento del Nostro incontro con voi per farvi meditare, per farvi gustare uno dei tanti aspetti che l’udienza del Papa può assumere per le vostre anime. Uno di questi aspetti si può definire il senso di comunione proprio d’un vero cristiano, che non può non essere un fedele cattolico. Questa parola «comunione», riferita alla Chiesa, fa ora, a buon diritto, fortuna. Il Concilio ne fa uso nei suoi schemi dottrinali; e coloro che cercano, oltre che sui libri, in fondo alla propria anima, che cosa significa appartenere alla Chiesa, trovano e sentono questa intima risposta: appartenere alla Chiesa vuol dire essere iscritti ad una società, non solo, ma partecipare altresì ad una circolazione di beni soprannaturali, che sono la fede, la speranza, la carità, la grazia. Vuol dire essere aderenti ad una comunione esteriore, visibile, prodotta e sostenuta da fratelli incaricati di fungere da pastori, da padri, dalla Gerarchia cioè; e vuol dire essere aderenti ad una comunione interiore animata dallo Spirito Santo.

Ed ecco allora che l’udienza del Papa diventa una specie di esame di coscienza, di controllo interiore, circa l’adesione che il visitatore possiede e professa verso la comunione ecclesiale, di cui il Papa è il centro e il promotore principale.

Noi non dubitiamo che codesta prova abbia risposta positiva. Qui ciascuno dei presenti si chiede: sono io nella comunione del popolo di Dio e della sua Gerarchia apostolica? Certamente, Noi vogliamo credere, sarà la risposta; anzi ciascuno dirà a se stesso, con un atto cosciente e fervoroso: sì, io voglio essere e sempre essere in questa comunione della salvezza che è la Chiesa di Cristo, della quale Pietro è il nesso supremo d’unione e di stabilità.

Ora, diletti Figli, codesta adesione è di somma importanza. Noi potremmo fare Nostre le parole di Sant’Agostino: «. . . Chi rifugge dalla nostra comunione, sappia ch’egli si separa da tutta la Chiesa: «Communionem nostram qui refugit, sinceritas vestra noverit eum sese a tota Ecclesia separare» (EP 204,7). Ancora la scultorea parola di S. Ambrogio viene al Nostro spirito: Ubi Petrus, ibi Ecclesia, dov’è Pietro, li è la Chiesa (in Ps. XL, 30; P.L. 14, 1082). L’adesione a Pietro ci fa aderire alla comunione con la Chiesa.

E sopra questa semplice, ma fondamentale scoperta della comunione con la Chiesa si aprono altre due scoperte: quella della comunione con Cristo e quella della comunione dei Santi. Per essere uniti a Cristo bisogna essere uniti a chi Egli ha costituito depositari e ministri dei suoi doni di salvezza. Ed inoltre: «La comunione con la Chiesa gerarchica è presupposto indispensabile per la comunione dei Santi, per l’appartenenza al Corpo mistico del Salvatore» (Piolanti, La com. dei Santi, p. 482).

Questi pensieri possono giovare ad allargare l’orizzonte visuale della vita religiosa ordinaria e ad infonderle nuovo respiro nelle verità che fanno della nostra fede la nostra vita; e possono disporci a ben celebrare la prossima festa dei Santi, alla cui comunione già siamo congiunti, nella certezza ma nell’oscurità della fede, e alla cui comunione aspiriamo nella pienezza del godimento d’essere finalmente e totalmente con Cristo.

E a confortare questi pensieri, come a confortare in ogni suo buon desiderio ciascuno di voi, valga ora la Nostra Apostolica Benedizione.




Mercoledì, 4 novembre 1964

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È presente all'udienza un pellegrinaggio straordinario, al quale dobbiamo un particolare saluto, quello degli Ex Combattenti Italiani, convenuti a Roma con i loro familiari, provenienti dall’estero, principalmente dai vari Stati dell’America Latina, con alcuni provenienti anche dall’America settentrionale, altri da varie Nazioni d’Europa, ed anche da altre parti del mondo, perfino dall’Australia. Sono circa, Ci dicono, millecinquecento Pellegrini, guidati da distinte Personalità delle varie Associazioni Italiane dei Combattenti e dei Reduci. Riuniti a Roma per loro cerimonie patriottiche, questi antichi Soldati hanno voluto rendere visita anche a Noi, e vengono a chiederci la Nostra benedizione.

Volentieri ve la diamo, cari Ex Combattenti, la Nostra benedizione; vogliamo che essa sia il giusto riconoscimento per il dovere compiuto, per i disagi, i rischi, i dolori sofferti, per il cameratismo che ancora vi unisce; ma ancor più desideriamo che la Nostra benedizione conforti nei vostri animi i sentimenti della fratellanza e della pace fra di voi e verso tutti i popoli, anche quelli che ieri vi furono nemici, e avvalori i propositi generosi di chi fu buon Soldato: la fedeltà verso il Paese, che vi diede i natali e verso quelli presso i quali avete stabilito le vostre dimore e il servizio alla società, tanto bisognosa d’essere sostenuta dalle virtù, che devono essere vostre: e cioè lo spirito di obbedienza e di sacrificio, il senso della lealtà e dell’onore, la difesa dei valori civili e spirituali, che fanno un popolo forte e sano.

Siamo convinti che un Ex Combattente, il quale converta in energie morali i ricordi del tragico dramma, a cui egli ha partecipato, abbia in sé una sorgente di alti pensieri, di esperienze umane, di desideri generosi, e che sia perciò idoneo, se non più a impugnare le armi della guerra, a ben maneggiare invece quelle della pace: vogliamo dire la concordia, il lavoro, la giustizia, la libertà . . . E siamo anche convinti, come la vostra presenza ce ne dà conferma, che coloro i quali hanno fatto da bravi Soldati il loro dovere militare, ritornati alla vita civile, possono trarre dalla esperienza passata e dalla passione sofferta un senso virile e nuovo della vita totale, quello che accresce il bisogno di Dio, il dovere della sua ricerca, la fiducia nella sua Provvidenza, la soddisfazione di credere e di pregare: il senso religioso, e, a ben guardare, il senso cristiano.

Ed è ciò che alla fine Noi vi auguriamo, illustri Signori e diletti figli, con la Benedizione Apostolica, che ora vi impartiremo.

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Diletti Figli e Figlie!

La buona parola, che si attende da Noi per dare a questa Udienza qualche semplice motivo di riflessione spirituale, si riferisce ad una impressione, che quasi sempre produce negli animi dei visitatori l’incontro col Papa: l’impressione dell’«autorità».

Ed è impressione esatta. Qui tutto parla di autorità: le chiavi di Pietro figurano dappertutto. La composizione stessa di questa riunione mette in evidenza la struttura organica e gerarchica della Chiesa. La presenza del Papa, del Capo visibile della Chiesa, accentua questa impressione ricordando a tutti come esista nella Chiesa un potere sommo, che è prerogativa personale, avente autorità su tutta la comunità adunata nel nome di Cristo; potere non solo puramente esterno, ma capace di creare o di sciogliere obbligazioni interne alle coscienze; e non già lasciato alla elezione facoltativa dei fedeli, ma necessario alla struttura della Chiesa; e non derivato da essa, ma da Cristo e da Dio. Vi sarà utile, pellegrini o visitatori che voi siate, sostare su questo aspetto della Chiesa cattolica, il quale acquista in questa sede la sua più manifesta espressione.

Sì, qui siamo al centro dell’autorità della Chiesa. E quale reazione suscita nei vostri animi questa osservazione, qui così palese e documentata? Ecco: può darsi che la prima reazione spontanea non sia di gaudio. Sarà forse una reazione d’interesse curioso o di ammirazione; ma non a tutti, non sempre, di soddisfazione. In alcuni anzi, poco formati al «senso della Chiesa», sarà di diffidenza e quasi di difesa, di ripulsa verso una potestà così alta e così indiscutibile. Come mai? perché questo atteggiamento negativo verso una potestà di paternità, di servizio e di salvezza?

Sarebbe lungo spiegarlo. Ma tutti possono accorgersi che si è diffusa un po’ dappertutto la mentalità del protestantesimo e del modernismo, negatrice del bisogno e dell’esistenza legittima d’un’autorità intermedia nel rapporto dell’anima con Dio. «Quanti uomini fra Dio e me!» (Rousseau)esclama la voce famosa d’un epigono di questa mentalità. E c’è chi ha parlato di religione di autorità e di religione di spirito, per contrapporre l’una all’altra, per identificare nella religione d’autorità il cattolicesimo, e nella religione di spirito le correnti del sentimento religioso liberale e soggettivista del nostro tempo, e per concludere ovviamente che la prima, la religione chiamata d’autorità, non è autentica e che la seconda deve procedere e svolgersi da sé, senza vincoli esteriori, arbitrari e soffocanti. E così anche i plausibili progressi della cultura moderna, circa la personalità umana, circa la libertà individuale, circa il primato morale della coscienza cospirano spesso a negare la funzione, o a diminuire la competenza, o a mortificare il prestigio dell’autorità religiosa.

Se davvero l’autorità religiosa - parliamo di quella costitutiva e direttiva della Chiesa cattolica - fosse un potere arbitrario, o fosse contrario alla vita spirituale, o ponesse vincoli indebiti alle coscienze, o anche si concepisse alla stessa guisa dell’autorità temporale, questa diffidenza, questo risentimento, questa rivendicazione di autonomia soggettiva avrebbero ragion d’essere. Ma voi sapete che così non è.

Voi che avete, e volete avere il «senso della Chiesa» sapete benissimo due cose, in questa discussione molto importante. E cioè sapete, in primo luogo, che l’autorità nella Chiesa, e perciò nella religione, non si è costituita da sé, ma è stata istituita da Cristo; è pensiero suo, è volontà sua, è opera sua; e perciò davanti all’autorità della Chiesa noi dobbiamo sentirci davanti a Cristo. «Chi ascolta voi, ascolta me» (
Lc 10,16) ha detto il Signore. E tutte le volte che si cercherà di impugnare questa istituzione, ch’è la potestà apostolica, sia di santificazione, che di magistero e di governo nella Chiesa, si urterà contro la parola, contro il disegno, contro l’amore di Cristo.

Sì, anche contro l’amore di Cristo. Perché l’autorità nella Chiesa, anche quando per essere efficace è forte e severa, è uno strumento della sua carità. L’autorità. nella Chiesa è veicolo dei doni divini, è servizio di carità per la carità; è infatti istituita per mettere in esercizio a favore della salvezza il grande precetto dell’amore; non è espressione di orgoglio, non è impresa a proprio vantaggio, non è nemmeno una copia dell’autorità civile armata di spada e vestita di gloria. È una funzione pastorale, rivolta cioè alla guida e alla prosperità altrui; e non solo non è contraria alla dignità e alla vitalità spirituale delle anime su cui essa si esercita, ma è proprio istituita per conferire loro dignità e vitalità spirituale, per garantire loro la luce della verità divina, per distribuire loro i doni dello Spirito, e per assicurare loro il retto cammino verso Dio. Santa Caterina dice bene, riportando parole suggeritele dal Signore: «Io volsi che l’uno avesse bisogno dell’altro, e fossero miei ministri a ministrare le grazie e doni che hanno ricevuto da me. Ché, voglia l’uomo o no, non può fare che per forza non usi l’atto della carità» (Dialogo, Ed. Ferrari, Roma, 1947, p. 19-20). Ed è perciò funzione provvida e indispensabile. Ritornano alla Nostra mente le parole del Pontificale, che Noi dicevamo all’ordinazione dei Sacerdoti: Quando più siamo fragili, tanto più abbiamo bisogno dell’aiuto di molti di loro: «Quanto fragiliores sumus, tanto his pluribus indigemus».

Carissimi Figli! vorremmo che questa Udienza sollecitasse in voi la meditazione di questo aspetto della vita ecclesiastica, per confortare in voi la riconoscenza al Signore che così l’ha voluta e costituita e per ravvivare in voi l’adesione cordiale e filiale all’autorità della Chiesa, in virtù della quale autorità ora Noi di tutto cuore vi benediciamo.





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