Paolo VI Catechesi 21863

Mercoledì, 21 agosto 1963

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Carissimi Figli e Figlie!

Carissimi Fratelli e Sorelle in Cristo!

Il saluto, che Noi vi esprimiamo in questa Udienza generale, sveglia nel Nostro animo un’impressione che già abbiamo provato nelle altre simili Udienze, e che sperimentammo anche assistendo alle Udienze dei nostri Predecessori, quando Essi salutavano le folle di fedeli e di pellegrini, ammessi alla loro presenza.

L’impressione cioè che tale Nostro saluto non è dato a forestieri, non è dato ad estranei, ma è dato a persone con le quali già esiste un vincolo, molto stretto e molto vivo, di parentela spirituale. Vi ho chiamato figli e figlie, fratelli e sorelle, con affetto sincero, con sentimento profondo, come se Noi già vi conoscessimo, come se Noi qui vi aspettassimo!

Così è! La vostra venuta nella casa del Vicario di Cristo mette in evidenza non solo la Nostra Paternità universale, ma anche la vostra appartenenza alla grande e misteriosa famiglia di Cristo. Que-sto incontro Ci fa gustare spiritualmente e quasi sensibilmente l’unità e la cattolicità della Chiesa, e Ci fa ripetere: «quanto è bello, quanto è giocondo il convivere di tanti fratelli insieme» (
Ps 132,1).

Noi facciamo a voi l’augurio di riportare da questa Udienza la medesima felice impressione: la gioia della carità universale, di cui la Chiesa cattolica possiede la fonte, la soddisfazione di sentirsi fra-telli in Cristo e figli dello stesso Padre celeste.

Noi vorremmo che di questa felice esperienza voi foste testimoni ritornando alle vostre case, e sempre foste promotori dell’unità della Chiesa, operando e pregando affinché i suoi figli le siano sempre fedeli, i fratelli separati possano un giorno godere della nostra felicità, e gli uomini lontani da Cristo possano anch’essi conoscerlo e incamminarsi verso il suo unico ovile di umana fraternità e di comune salvezza.

A tal fine daremo ora la Nostra Benedizione Apostolica.


Mercoledì, 28 agosto 1963

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Cari Figli e Figlie!

Nel nome del Signore, Noi vi salutiamo.

Noi intendiamo dare al saluto il suo più alto e pieno significato. Il Nostro saluto non vuol essere semplicemente un’espressione verbale e convenzionale, ma vuole testimoniare a voi tutti il Nostro animo: cioè la coscienza dei Nostri vincoli spirituali con ciascuno di voi, di padre, di fratello, di maestro, di sacerdote e di Vicario di Cristo; vuole il Nostro saluto dire a voi la compiacenza di potervi accogliere, conoscere, benedire; vuole assicurarvi del Nostro grandissimo desiderio del vostro bene, confortarvi con la comunione della Nostra carità, assistervi con l’aiuto delle Nostre preghiere; vuole. anche manifestarvi la fiducia che Noi abbiamo in voi, che qui siete venuti certamente per darci prova della vostra fedeltà a Cristo e alla Chiesa, e che volete partire da questa Udienza rinfrancati nel proposito di forte e sincera vita cristiana.

Con questi pensieri, con questa affezione Noi vi salutiamo. Vorremmo potervi chiamare per nome, ad uno ad uno, tanto ciascuno di voi Ci è caro, e tanto è grande il concetto che Noi abbiamo per ogni singola anima, elevata dal Battesimo e dalla fede alla dignità di figlia di Dio! Ricordiamo i saluti che S. Paolo scrive alla fine della sua lettera ai Romani, nominando ogni singola persona a lui conosciuta della prima comunità cristiana in Roma. Non è certo a Noi possibile fare altrettanto: voi siete molti, voi siete troppi per questo! Ma desideriamo che ciascuno di voi abbia, nella esperienza della comunità ecclesiale che questa Udienza gli procura, il senso del posto privilegiato che a ciascuno è riservato, il senso della vocazione personale, con cui la Chiesa lo ama e lo chiama, e la certezza che la benedizione apostolica, che ora a tutti insieme daremo, è anche, e completamente, a lui destinata.

E naturalmente questa benedizione, che vuole arrivare a ciascuno di voi, si estende anche alle persone che vi sono care, e riguarda pure gli oggetti di devozione che avete portato con voi.



Mercoledì, 4 settembre 1963

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Carissimi Figli e Figlie!

Nel nome di Nostro Signore Gesù Cristo Noi vi accogliamo, vi salutiamo e vi benediciamo; e siamo felici di questo momento, che mette davanti al Nostro spirito, come uno specchio, un duplice quadro, l’uno e l’altro degni di lunga meditazione. Il primo quadro Noi lo vediamo nelle vostre anime e si riflette nella Nostra coscienza, che ne resta intimorita ed insieme esaltata. È il pensiero che voi avete su la Nostra umile persona e sul Nostro altissimo ufficio. Voi vedete in Noi il primo servitore del Signore, il Vicario di Cristo, il successore di S. Pietro, il Sommo Pontefice, il Maestro e il Pastore della Chiesa cattolica. Noi tremiamo; ma è così. Voi obbedite ad una solenne parola di S. Paolo: «Ognuno ci consideri ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio» (
1Co 4,1). Voglia il Signore che Noi siamo veramente tali, specialmente in questo momento per voi, colmandovi tutti dei favori divini.

E il secondo quadro lo vediamo invece nel Nostro pensiero e si riflette sopra di voi: chi siete voi ! Chi siete come creature di Dio, degne d’ammirazione e di riverenza; come cristiani, degni d’immenso amore; come membri della Chiesa, degni d’ogni Nostro affetto e d’ogni Nostro interesse. Siete in una parola, popolo di Dio. Sentiremo spesso ripetere questa grande parola; il Concilio ecumenico la ripeterà, derivandola dal famoso elogio, che S. Paolo fa dei cristiani: «Voi stirpe eletta, sacerdozio regale, gente santa, popolo tratto in salvo» (1P 2,9). Voi siete per Noi quasi l’immagine della Chiesa intera; e Noi guardiamo in voi la sua varietà, la sua grandezza, la sua bellezza, la sua dignità.

Questo Nostro sguardo, che intravede in voi l’azione della grazia divina, diventa augurio, diventa raccomandazione, diventa preghiera, Diremo con S. Leone Magno: «Riconosci, o cristiano, la tua dignità». Abbiate coscienza dello splendore interiore, a cui vi ha elevato la vita soprannaturale; e custodite, difendete codesta dignità, oggi specialmente che tante manifestazioni del mondo profano cospirano ad abbassare ed a macchiare tale dignità.

Sarà questo voto l’intenzione speciale della Benedizione Apostolica, che ora vi daremo.

* * * * * * * * *

(Il primo dei gruppi internazionali è quelle delle partecipanti alla V assemblea generale della Unione Europea Femminile.)

Nous savons que sont présentes à cette audience les femmes qui prennent part au cinquième Congrès de l’Union féminine européenne, réuni ces jours-ci à Rome.

Nous sommes heureux de cette visite, parce que Nous connaissons l’importance de cette Union, ses hauts idéals moraux et civils, sa sincère inspiration chrétienne, sa méthode de travail sérieux et systématique, et que Nous connaissons aussi les premiers résultats positifs de son ceuvre.

En remerciant ces Dames de leur déférent hommage, Nous voulons bien les encourager à poursuivre leur tâche, qui ne sera ni facile, ni rapide; mais qui est providentielle pour éveiller la conscience de la femme à la grande cause de l’unification de l’Europe; unification que l’on peut, à coup sûr, juger comme une étape nécessaire du progrès moderne, une garantie de la paix, une condition pour le maintien du patrimoine de notre civilisation et pour son nouveau rayonnement. Nous apprécions l’effort que l’Union féminine européenne est en train d’accomplir dans ce noble but, et Nous souhaitons qu’un tel effort puisse être soutenu par la plus large adhésion des femmes conscientes des devoirs et des besoins de notre temps, C’est à cette fin-là que Nous leurs donnons de tout coeur Notre Bénédiction.




Mercoledì, 11 settembre 1963

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Carissimi Figli e Figlie!

Questo è un momento di commozione e di conforto per Noi; e Noi vi ringraziamo di avercelo procurato con la vostra visita, che ad ogni aspetto si mostra ispirata da viva pietà religiosa e da sincera fedeltà alla Chiesa di Cristo.

Tanto edificante e confortante per Noi questo momento, Noi pensiamo e auguriamo che esso sia bello e memorabile anche per voi. L’omaggio filiale, che voi rendete al Papa, sveglia certamente anche in voi sentimenti di fede e di gaudio spirituale: il vostro sguardo non si ferma sulla Nostra umile persona, ma cerca dietro di essa Quella che Noi rappresentiamo, cerca il Signore Gesù, e vede in Lui tutta la sua Chiesa, tutta l’ umanità da Lui redenta, tutta la storia della salvezza del mondo; e trova in essa un posto assegnato a ciascuno di voi!

È perciò questo un momento di grandi pensieri, di intensità spirituale, di viva esperienza della realtà religiosa della fede cattolica.

Momento pieno e soave, ma breve e passeggero!

Potrà durare questo momento? o sarà anch’esso fugace e vano, come tanti altri delle nostre giornate?

Questo istante singolare, quest’ora benedetta deve durare! Durare nella memoria, sicuramente. Ma deve durare anche in altri effetti, che noi speriamo salutari: deve durare nel proposito di buona ed autentica vita cristiana, durare nella fedeltà alla santa Chiesa, nostra madre e maestra, durare nella preghiera per la nostra salvezza e per quella del mondo, per il prossimo Concilio ecumenico e per la pace, durare anche per l’ affezione filiale al Papa, che paternamente ve la ricambia.

È perciò con l’ augurio che questo momento sia fecondo di durevoli e benefici effetti spirituali, che ora a tutti daremo la Nostra Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 18 settembre 1963

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Cari Figli e Figlie!

Cari Fedeli e Pellegrini!

Voi venite a questa Udienza per vedere il Papa, per ascoltare la Sua voce, per ricevere la Sua benedizione, ed anche per farvi da Lui vedere ed ascoltare, per mettere davanti a Lui l’omaggio esteriore della vostra presenza e quello interiore dei vostri cuori.

Questo incontro cerca di stabilire una duplice corrente spirituale, quella che dal Papa viene a voi per recarvi qualche impressione, qualche influsso della presenza di quel Cristo, di cui Egli è il Vicario visibile; e quella che da voi sale, attraverso il ministero del Papa, allo stesso Cristo Signore, e porta al Signore le vostre ansie, le vostre speranze, le vostre preghiere.

Ebbene, se vogliamo che questa circolazione di sentimenti e di valori spirituali abbia oggi a fondersi in unica espressione, Nostra e vostra, Noi vi invitiamo a ricordare la raccomandazione, che in questi giorni abbiamo rivolto a tutta la Chiesa; la raccomandazione di preparare la ripresa del Concilio ecumenico con la preghiera e con la mortificazione. Ce ne offre anche l’occasione la celebrazione delle sacre Tempora, cioè la consacrazione della nuova stagione, l’autunno, che la liturgia e la disciplina della Chiesa ci invitano a santificare con particolari preghiere e con qualche atto di penitenza.

Cari fedeli, Noi esortiamo anche voi, che con codesta visita Ci dimostrate la vostra filiale devozione, ad associarvi, spiritualmente e praticamente, alla preparazione del Concilio. Dobbiamo sempre ricordare due cose: che un tale avvenimento riguarda tutta la Chiesa, non solo i Vescovi che si riuniscono nel Concilio, ma anche tutti i fedeli; e che il buon esito del Concilio dipenderà principalmente dallo Spirito Santo, che dobbiamo supplicare con le nostre orazioni e con le nostre buone azioni.

Siate pertanto uniti a Noi, carissimi figli e figlie, specialmente in questo momento, per chiedere al Signore una felice e feconda celebrazione del prossimo Concilio; e siate sicuri che il Signore esaudirà non solo questo desiderio, ma anche altri buoni desideri che avete nel cuore, come Noi auspichiamo con la Nostra Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 2 ottobre 1963

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Cari Figli e Figlie!

Voi venite a questo incontro, mentre si sta svolgendo il Concilio ecumenico, cioè mentre la Gerarchia della Chiesa è qui riunita e sta studiando e discutendo su grandi questioni religiose, che riguardano la vita stessa della Chiesa e la sua missione nel mondo.

È un momento straordinario, è un’ora storica, è un avvenimento eccezionale di estrema importanza in se stesso, e che può avere conseguenze assai grandi per l’avvenire della Chiesa e della società.

Ma voi come potete interessarvi di questo fatto, che non sembra riguardare direttamente le vostre persone? Noi crediamo che l’udienza, alla quale oggi partecipate, non può avere altro pensiero che questo: il Concilio; e se pure ne avete sentito parlare tante volte, adesso dovete ascoltare anche la voce del Papa, che vi invita a rivolgere al Concilio la vostra attenzione.

Innanzi tutto: non siate indifferenti davanti a tale singolare e solenne celebrazione. Procurate d’informarvi e di capire come ciò che il Concilio tratta riguarda ciò che di più grande e di più sacro vi è nel mondo, cioè quest’opera del Signore che si chiama la Chiesa; e perciò riguarda anche ciascuno di voi, la vostra fede, la vostra vita cristiana.

In secondo luogo, vi esortiamo ad aprire gli occhi e ad osservare la scena che il Concilio offre allo sguardo, non dico solo la scena esterna e spettacolare, di cui questa stessa basilica dice la grandezza incomparabile, ma soprattutto la scena spirituale. Aprite gli occhi dell’anima e guardate il volto, l’aspetto, la figura che la Chiesa vi presenta. Conoscete le così dette «note» della Chiesa?, cioè quegli aspetti visibili della Chiesa, che ci devono attrarre e mera-vigliare: l’unità, la santità, la cattolicità e l’apostolicità? I teologi vedono in queste note le proprietà visibili, cioè i segni dell’opera divina nella Chiesa. È il momento di accorgersi, sì, che la Chiesa deriva da Cristo come società: una per l’unità di fede, di culto e di autorità suprema; santa per i Sacramenti, le leggi e il governo che sono altrettante sorgenti o strumenti di santificazione e di salvezza; cattolica per la incessante sua propagazione nel mondo; apostolica per la costituzione gerarchica che la ricollega a Pietro e agli Apostoli nella successione dei legittimi poteri di ordine, di magistero e di governo.

Voi avrete visto le immagini del Concilio, di questa moltitudine di Vescovi, di Pastori; bisogna sapere in essi vedere quelle note che ci indicano: ecco, questa è la Chiesa di Cristo!

E finalmente, poiché voi stessi, cari Figli e Figlie, siete membra di questa Chiesa dovete sentirvi impegnati a pregare per la Chiesa e per il Concilio. Tante volte questo è stato raccomandato; ma ora è il momento di farlo con tutto il fervore.

E sicuri della vostra corrispondenza, Noi con voi reciteremo il «Credo» e a tutti daremo la Nostra Apostolica Benedizione.

Gli invalidi per conseguenze di poliomielite

La presenza di così cari figliuoli - dice Sua Santità - è di quelle che suscitano nel cuore pienezza di gioia, tanto è gradito l’incontro. Se i visitatori sono così premurosi di vedere il Vicario di Gesù Cristo, il Papa è del pari lietissimo di intrattenersi con loro, poiché si tratta di un colloquio eccezionale.

Il Santo Padre vorrebbe avere il tempo per parlare con i singoli ospiti, per ripetere ad ognuno una parola amica e forse per sentire qualche espressione che, di certo, non lo lascerebbe indifferente, ma sarebbe ricordo squisito d’una eletta presenza.

Ma c’è anche un sentimento diverso e che, all’opposto del primo, rattrista il Padre comune delle anime. È dato dal considerare la grande prova di afflizione e l’impossibilità di eliminarla. Oh! come il Papa vorrebbe essere capace di portare ai corpi ed alle anime quel conforto che può dare la vita sana e piena, che invece manca a quei diletti figliuoli! Perciò la commozione del Papa si fa dolorosa, appunto per la impossibilità di dare un soccorso effettivo, che sarebbe tanto più cordiale, quanto maggiormente desiderato.

L’Augusto Pontefice ricorda che, appena nominato Arcivescovo di Milano, mentre era ancora qui a Roma, la notte di Natale del 1954, si recò a celebrare la Santa Messa al Centro di D. Gnocchi, al Foro Italico, dove i poliomielitici sono assistiti e curati. Salendo le scale per arrivare alla Cappella, raggiunse uno di quei bambini che faticosamente si industriava di portarsi al piano superiore: senti spontaneo il desiderio di abbracciarlo e portarlo sulle braccia: dolcissimo peso. Comunque sia, il desiderio di giovare è proprio nell’animo sacerdotale, quindi, a più forte ragione, del Santo Padre; ed Egli vorrebbe fare davvero tutto quello che può pér elevare almeno lo spirito dei suoi ascoltatori ad un livello di consolazione, di visione serena della vita, che qui sembra invece turbata da gravosa infelicità.

Conoscano adunque gli amati figli questo suo desiderio di volere il migliore sollievo per essi; sappiano che il Papa è il primo ad augurare ogni bene, con il voto speciale d’ogni serenità, pace interiore, sicurezza.

Il Pastore vuole che la sua affezione giunga ad ogni cuore e ciascuno possa dire: «il Papa mi vuole bene». È una certezza che il Vicario di Gesù Cristo ripete a tutti, in particolare ai bambini; lo ricordino sempre!

Inoltre l’Augusto Pontefice spiega che le sue parole si arricchiscono di un conforto che non è Egli a dare, bensì a ricevere.

E cioè: il Santo Padre sa che i diletti figliuoli, nonostante siano così travagliati da profonda sofferenza, sono pieni di coraggio, di buona volontà; e gran merito va, per questo, a quanti li assistono. Iddio benedica quelli che si dedicano ai fratelli bisognosi ed infelici; Iddio ricolmi le loro anime e vite di innumerevoli consolazioni e meriti, proprio perché hanno la bontà di porsi a fianco di così eletti amici e fratelli; di porgere la mano a sorreggerli, educarli, per renderli capaci di compiere qualche cosa di utile nella vita, per bastare a se stessi, e partecipare al concerto della umanità operante.

Per il desiderio di vederli ripartire un po’ consolati e felici, al termine dell’incontro, il Papa li esorta: Siate sempre molto coraggiosi; non lasciatevi mai prendere dall’avvilimento, pensando anche ai progressi della tecnica; alla terapia così intelligente ed efficace che aiuta non pochi movimenti delle membra malate.

Inoltre, vuole aggiungere un particolare, già forse inteso da altri. Il dedicarsi a qualche applicazione semplice in sé, ma diventata eroica per chi soffre, è impresa che rappresenta una vittoria sopra la minorata efficienza operativa, desta grande ammirazione e vivo conforto per lo spettacolo di energie, resistenza e integrità di spirito in un corpo rivelatosi imperfetto. Ed allora, invece di dover attendere consolazioni, sono i colpiti a darne agli altri, dimostrando come si vive e come si sopportano le calamità della vita.

Ciascuno, quindi, voglia ognor meglio temprarsi e diventare maestro di energia umana e cristiana, che affronta la vita con disinvoltura e con la vittoriosa attitudine promanante dallo spirito. Siano coraggiosi, coltivino inalterata fiducia, facciano quanto possono per abilitare la vita all’attività a cui deve essere destinata e non abbiano timore di essere delle esistenze mancate o inutili. Appunto il coraggio promuove il buon esempio e dona incomparabile serenità. Questa medesima audacia è lezione per tutti, lieti di considerare gli amati infermi quali fratelli carissimi, sostenitori e suscitatori di coraggio nel fronteggiare le prove di quaggiù. Si diventa, in tal modo, benefattori del prossimo. Le famiglie che hanno qualcuno di questi fanciulli, di queste persone afflitte da un morbo tanto terribile e perciò li trattano con speciali attenzioni, pensino di possedere un esempio di grandezza morale. Avranno, poi, altissimo premio per l’assistenza e la bontà usate ai familiari tanto bisognosi di cure, ricevendo, immediatamente, una irradiazione di incomparabile letizia e fiducia, da cui si innalza, accetta ed ascoltata, la preghiera a Dio.

Il Santo Padre ricorda che tali sofferenze non devono fermarsi al livello puramente umano di sola rassegnazione; Egli desidera che esse pervengano ancora più in alto e giungano al livello religioso, spirituale. I figliuoli carissimi sanno che il Signore vede e predilige: se i passi della loro esistenza nel campo fisico e nel campo sociale sono inceppati, proprio per questo essi debbono pensare che la prova con cui Iddio li sperimenta è una specie di presenza del Signore, anzi di sua vicinanza, sino a udire distinta la sua voce: Figliuolo fermati; guarda che la vita è grande per ciò che soffre, che ama e che tende a superare. Io ho scelto te perché tu sia guida ed esempio anche agli altri di questa grandezza spirituale. Io ho scelto te perché tu sia vicino a me.

C’è una parola di San Paolo che fa tanto meditare: «Christo confixus sum cruci». Anch’io sono confitto in croce con Cristo. E l’essere sulla croce con Cristo vuol dire superare il mondo, entrare nel piano di salvezza che il Signore ha stabilito per il riscatto di questa nostra povera umanità, e divenire capaci di effondere intorno a noi meriti, esempi, preghiere, forze morali, che solo chi soffre generosamente e con questa fede nell’anima, può comunicare agli altri e offrire a Dio.

In Gesù Cristo i sofferenti hanno il loro amico, che comprende angustie ed avversità; le tempera e rimerita; e prepara una nuova vita perfetta e completa.

Come sarà bello quel giorno in cui anche le parti minorate saranno restituite a perfezione; e i vittoriosi potranno dire: Ho guadagnato la pienezza di vita che il Signore largisce a quanti gli sono fedeli sulla croce e gli saranno un giorno compagni nella resurrezione!



Mercoledì, 9 ottobre 1963

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Diletti Figli e Figlie!

Il pensiero, che occupa gli animi di coloro che partecipano ad un'Udienza come questa, è di solito così concepito: «Ecco la Chiesa! Noi vediamo finalmente il volto della Chiesa!». Non è forse questo il vostro pensiero? I sentimenti, che sorgono nella mente davanti a questi solenni edifici di culto, al ricordo della loro origine, della loro storia, della loro funzione, all’incontro specialmente col Papa, col successore di S. Pietro, col Vicario di Cristo, al pensiero di ricevere la sua benedizione, questi sentimenti - diciamo - procurano l’esperienza, quasi sensibile, la gioia, lo stupore di vedere la Chiesa nella sua espressione più piena, più autentica, più edificante.

Così dev’essere, Figli carissimi, perché qui i segni visibili della Chiesa sono più manifesti, le tracce della sua storia sono più palesi e più gloriose, la fonte della sua suprema autorità e dei doni divini più vicina e più vivace.

Ma facciamo attenzione. La Chiesa ha qui il suo centro; ma essa non è soltanto qui. Essa è dovunque sono dei cristiani battezzati e credenti, guidati dai legittimi Pastori. La Chiesa è anche nei vostri luoghi d’origine; è anche a casa vostra. Qui è celebrata, in modo più evidente, la unità della Chiesa; .ma nelle vostre sedi lontane, alle vostre case, è forse più chiara un’altra nota della Chiesa, la cattolicità, la sua universalità.

E ciò che certamente commuove i vostri spiriti, in questo momento, è l’avvertire che queste due note della Chiesa, l’unità e la cattolicità, si corrispondono, si integrano a vicenda. Non è forse vero che voi tutti, invocando qui la benedizione del Papa, pensate di applicarla alle vostre singole anime, e poi di farla arrivare alle vostre famiglie, alle vostre opere, alle vostre rispettive Nazioni?

Si, ciò è ora da pensare: la Chiesa è dappertutto, dove sono fedeli cattolici.

E Noi volentieri, insieme a voi, corriamo col pensiero alle vostre singole stazioni di partenza, alle vostre singole comunità. Pensiamo ai vostri focolari domestici, ai vostri bambini e ai vostri figliuoli, ai vostri cari, ai vostri vecchi, ai vostri ammalati. Pensiamo alle vostre abitazioni, alle vostre scuole, ai vostri istituti, ai vostri luoghi di lavoro; pensiamo alle vostre chiese, dove siete stati battezzati; dove andate alla Messa; pensiamo ai vostri cimiteri, dove riposano i vostri defunti. Dove è la fede, ivi è la Chiesa; e dove è la Chiesa ivi è Cristo.

Perciò Noi stessi uniamo le Nostre preghiere alle vostre, e chiediamo al Signore di conservarvi tutti buoni e fedeli alla santa Chiesa, dovunque voi siate; chiediamo a Lui di consolarvi, di proteggervi, di guidare la vostra vita e quella dei vostri cari sui sentieri della sua pace e della sua salvezza. E a tal fine vi daremo la Nostra affet-tuosa Benedizione Apostolica.


Mercoledì, 16 ottobre 1963

16103

Diletti Figli e Figlie!

Queste udienze sono per Noi motivo di grande conforto.

Esse Ci offrono l’occasione, forse unica, d’incontrarvi, di conoscervi, di benedirvi. Il Nostro ministero trova qui un momento di pienezza, di cui dobbiamo a voi, che siete venuti a visitarci e darci prova del vostro spirito filiale, la fortuna di esprimere i sentimenti della Nostra paternità.

Ci sembra doveroso e Ci torna facile dire a tutti voi la viva e profonda dilezione, che il Signore Ci mette nel cuore. Vorremmo che ciascuno di voi si sentisse benvoluto dal Papa. Noi infatti desideriamo il vostro bene, Noi preghiamo sempre per voi, Noi tra poco vi benediremo. Ci sembra d’essere autorizzati a far Nostre le parole di S. Paolo ai Filippesi: «Dio mi è testimone che io voglio bene a tutti voi nel cuore di Cristo Gesù» (
Ph 1,8).

È con questi sentimenti nell’animo che Noi guardiamo a voi come fratelli, come tutti e ciascuno membri d’una stessa mistica comunità, tutti degni dello stesso amore, come tutti favoriti dalla stessa vocazione cristiana. Anche circa questo aspetto della Chiesa, di cui voi qui Ci siete l’immagine, S. Paolo c’insegna l’eguaglianza che tutti in Cristo ci parifica: «Non vi è più Giudeo, né Greco; non vi è schiavo, né libero; non vi è uomo o donna, ma tutti voi siete uno solo in Cristo Gesù» (Ga 3,28).

Nel medesimo tempo guardiamo a voi come membra distinte dello stesso mistico corpo, aventi perciò caratteristiche ben diverse e funzioni differenti (cfr. 1Co 12,12). Perciò Noi abbiamo un saluto speciale, pieno di riverenza e di stima, per i Vescovi presenti, per i Sacerdoti, per i Religiosi e per le Religiose, che assistono a questa Udienza. Poi salutiamo i Laici, quelli che compongono con onore e fedeltà le famiglie cristiane, e invochiamo particolari grazie su ogni focolare domestico, che voi qui rappresentate. Salutiamo i giovani, i vecchi; salutiamo i fanciulli ed i loro maestri; salutiamo i lavoratori e i dirigenti; salutiamo gli infermi e i sofferenti; salutiamo quelli che rivestono funzioni civili o militari; tutti insomma, secondo le rispettive e singole particolarità: la Chiesa riconosce ed onora, assiste e santifica ogni ceto di persone, ogni anima ed ogni particolare condizione ed ogni buona attività umana.

Ricevete tutti perciò la Nostra Benedizione Apostolica.

Saluto in lingua tedesca

Geliebte Söhne und Töchter!

Es liegt uns am Herzen, Uns zunächst an den grossen Pilgerzug aus Deutschland zu richten, der zur Seligsprechung Johannes Nepomuk Neumann nach hier gekommen ist und dessen Mitglieder mit dem neuen Seligen die gleiche Heimat teilen. Wir haben an euch, geliebte Söhne und Töchter, bereits am Sonntag in Sankt Peter ein eignes Grusswort gerichtet. Heute möchten Wir euch nur ein herzliches «Vergelts-Gott» zurufen für die kostbare Gabe, die ihr Uns verehrt habt. Gott segne euch und alle eure Lieben!

Daneben heissen Wir heute den Cäcilienverband der deutschsprachigen Länder willkommen, an dessen Besuch vor sechs Jahren in Mailand Wir Uns gern erinnern. Heute ist der Verband hier durch den so weithin bekannten Domchor aus Aechen vertreten, der die hohe Auszeichnung hat, in den kommenden Tagen vor den KonzilsVätern die h-moll Messe von Johannes Sebastian Bach darzubieten. Wir beglückwünschen den hochwürdigsten Herrn Bischof von Aachen zu seinem Chor und wünschen seinen Mitgliedern auch weiterhin Gottes reichsten Segen für sein Wirken im kirchlichen Apostolat, die Herzen zu Gott zu führen, eingedenk der Worte des heiligen Paulus: «Cantate Domino semper, in Psalmen und Hymnen, sagt Gott dem Vater Dank für alles im Namen unseres Herrn Jesus Christus» (vgl. Ep 5,19-20).

Mit diesem Wunsche erteilen Wir euch allen, geliebte Söhne und Töchter, die ihr hier anwesend seid, als Unterpfand der ganzen Liebe und Gnade Christi, von Herzen den Apostolischen Segen.


Mercoledì, 23 ottobre 1963

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Carissimi Figli e Figlie,

Noi vi accogliamo con grande consolazione: la visione che voi Ci recate della vostra fede in Cristo, della vostra devozione alla Chiesa, del vostro impegno per una vita buona e cristiana e l’offerta per Noi più desiderata, più grata e più consolante. Noi vi ringraziamo di questo vostro dono di testimonianza, di fedeltà cristiana come della cosa più bella per voi, più preziosa per Noi. Forse voi non pensavate, venendo a Roma e visitando il Papa, di compiere un atto così alto e significativo, così caratteristico per un cattolico: quello di rendere testimonianza alla vostra religione, alla vostra pietà, alla vostra concezione cristiana della vita. Voi sapete che la «testimonianza» è uno dei primi doveri del vero cristiano; ed ecco che qui, venendo come pellegrini, come fedeli, come figli, a visitare il Vicario di Cristo, voi rendete testimonianza alle vostre coscienze dapprima, interiormente; esteriormente, poi, per il tempo e per il mondo in cui viviamo.

Noi vi ringraziamo di ciò. Anzi vogliamo confortare la vostra testimonianza che, per quanto sincera, può essere quasi inavvertita con la Nostra, che è invece espressamente da Noi professata ed offerta. Noi per primi, e proprio per il Nostro ministero apostolico, diamo voluta e aperta testimonianza a Cristo Signore. La parola, che Gesù disse ai suoi Apostoli, al momento di lasciarli prima dell’Ascensione, era questa: «Voi mi sarete testimoni . . . fino alle estremità della terra!» (
Ac 1,8). Questa parola dura ancora, e qui risuona, qui si realizza.

Perché, carissimi figli, che cosa significa tutto quello che qui vedete, se non una testimonianza a Gesù Cristo? Noi vorremmo che i vostri occhi fossero capaci di leggere questa testimonianza in tutto quello che Roma cattolica vi offre allo sguardo: testimonianza sono i suoi monumenti sacri, testimonianza questa solenne basilica, testimonianza le catacombe, testimonianza la storia religiosa di questa città, testimonianza soprattutto è Pietro, il principe degli Apostoli, che qui col martirio - martirio vuol proprio significare testimonianza - l’ha professata, e quasi impressa nel suolo di Roma; testimonianza è il Papato, è la Chiesa che da Pietro deriva, e che non ha altro fine se non proclamare, cioè testimoniare, la fede cristiana.

E vorremmo anche perciò che la vostra visita a Roma e al Papa parlasse, con cento voci, alle vostre anime di questa testimonianza di fede cristiana, così che voi, tornando alle vostre case e alle vostre occupazioni, aveste a portare nei vostri cuori la luce, la forza, la gioia del nostro Credo cattolico. Lo reciteremo insieme, alla fine dell’udienza; e allora vi daremo di cuore la Nostra Benedizione Apostolica.

Saluto en lingua tedesca

Geehrte offiziere und Mannschaft der Flottille der Königlichen Niederländischen Kriegsmarine!

Wir freuen Uns, Sie begrüssen zu können und sind geehrt, Sie in Ihrer jugendlichen Stärke in der Uniform Ihres Landes hier bei Uns zu sehen.

Wir grüssen jeden einzelnen von Ihnen und griissen in Ihnen das gute und edle niederländische Volk, das Sie hier vertreten. Wir möchten Ihnen Unsere Achtung und Unsere guten Wünsche für Ihr Vaterland zum Ausdruck bringen; Ihrer Fahne bringen Wir gern Unsere Ehrenbezeugung entgegen.

Ihr freundlicher Besuch hier erlaubt Uns auch, Ihnen ein Wort zu sagen, wie es Unserer Mission entspricht: Denken Sie an Gott den Herrn und gedenken Sie seines Gesetzes; erfüllen Sie hochherzig Ihre Pflichten; und empfangen Sie Unseren Segen wie von einem Vater, der Sie liebt und der für Sie betet.



Mercoledì, 30 ottobre 1963

30103 Diletti Figli e Figlie!

Questa vostra visita avviene in giorni che sono tutti occupati dal pensiero della santità, È questo il grande tema che rende tanto vive ed interessanti le riunioni e le discussioni del Concilio, è questo il tema che siamo felicemente obbligati a meditare, mentre nuove figure di uomini buoni e grandi sono da Noi beatificati e offerti alla venerazione e all’imitazione del popolo cristiano; e finalmente questo tema della santità sarà celebrato da tutta la Chiesa nella bellissima prossima festività dedicata a tutti i Santi del Paradiso.

Questo pensiero suggerisce perciò i Nostri voti per voi, carissimi, che già siete tutti in quella condizione eletta e fortunata di figli di Dio mediante il battesimo, che vi merita, come usavano dire i primi cristiani, il titolo di «santi», cioè di benedetti e di dedicati al Signore e di membri della santa Chiesa; e i Nostri voti mirano appunto a risvegliare nei nostri spiriti il senso della dignità cristiana e il proposito di volerla sempre conservare e vivere almeno in quella forma abituale e magnifica, che chiamiamo lo stato di grazia e che è già santità. Che cosa è più bello, e che cosa è più importante per la nostra vita che questo?

Quale altro bene, quale ricchezza, quale perfezione è mai superiore alla grazia, al principio divino della vita soprannaturale? e quale altra condizione, quale altra forza può essere in noi più efficace per il nostro progresso spirituale, per la nostra continua santificazione, che la fedeltà allo stato di grazia? E sarà questo il favore più prezioso che Noi ora domanderemo per voi al Signore: che siate cristiani vivi; vivi della grazia di Dio, santi cioè, e capaci di fare d’ogni esperienza della vita temporale, della gioia e del dolore, della fatica e dell’amore, dell’interiore discorso della coscienza e dell’esteriore dialogo con il prossimo, un’occasione, uno stimolo a migliore bontà, a maggiore santità.

Sarà necessario a tal fine ridestare in noi il senso morale, il senso cioè del bene e del male, quel senso stesso del peccato, che la mentalità moderna, quando è priva della fede in Dio, va miseramente perdendo; e sarà altresì necessario aumentare in noi il gusto della preghiera e della fiducia nell’infinita bontà del Signore, che è veramente il solo Santo e il solo santificante. Valga dunque la Nostra Apostolica Benedizione a ottenere a voi tutti il sommo beneficio della santificazione cristiana.




Paolo VI Catechesi 21863