Paolo VI Catechesi 13368

Mercoledì, 13 marzo 1968 LA CASA DI DIO TUTTI CI ACCOGLIE

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Diletti Figli e Figlie!

Salutiamo i Nostri visitatori, e specialmente i gruppi giovanili, con una domanda: qual è la vostra interiore impressione trovandovi raccolti in questa basilica? Non intendiamo adesso richiamare la vostra riflessione sopra l’impressione estetica, che può nascere in ciascuno di voi dalla visione di questa chiesa monumentale, da cui si effonde un singolare e non sempre facile linguaggio di arte e di storia, ma piuttosto sul senso soggettivo del rapporto esistente fra voi e questo tempio; e cioè vi chiediamo: vi sentite qui forestieri ed estranei, come turisti che visitano un museo, interessante, ma alieno della loro vita; ovvero vi sentite qui a casa vostra, come se questa basilica fosse precisamente costruita per voi, per accogliervi, per parlarvi, per esaltare certi vostri sentimenti, di fede, di pietà, di unità? E trasferiamo questa domanda, la quale qui si presenta con maggiore chiarezza che non altrove, alla Chiesa in genere, alla società religiosa dei credenti e degli oranti, che appunto chiamiamo Chiesa: come vi sentite rispetto ad essa? Se siete battezzati, se siete cattolici, - voi sapete -, voi appartenete alla Chiesa, siete membra di questa società religiosa, visibile e spirituale insieme, la quale forma il «corpo mistico» di Cristo. Ebbene, lasciateci insistere nella Nostra domanda: qual è la vostra coscienza a riguardo della Chiesa?


CAPIRE LA CHIESA

È facile rispondere a questa domanda? Non è facile; perché, se voi interrogate la vostra coscienza sul concetto che voi vi fate della Chiesa, trovate subito difficoltà dal fatto che la Chiesa si presenta rivestita da immagini, da forme, da segni poco comprensibili: i suoi riti, i suoi abiti, le sue parole, i suoi ministri, le sue forme di vita che cosa significano? Sembra che la Chiesa parli un linguaggio incomprensibile. Si sta a vedere, si ascolta; ma senza capire, e quindi senza un preciso interesse. È un’impressione di estraneità quella che la Chiesa offre di sé alla gente del nostro tempo. La si giudica un fenomeno anacronistico, d’altri tempi; ovvero la si crede un mondo fatto per pochi iniziati, che esclude - come l’antico tempio pagano: odi profanum vulgus, et arceo - la gente comune, e soprattutto la gioventù, tutta rivolta ad altri obiettivi d’interesse, molto comprensibili e molto attraenti. La Chiesa, si dice, a chi interessa? È un campo chiuso per la mentalità del nostro tempo. E a questo senso di estraneità non si accompagna facilmente un senso di diffidenza? Di ostilità? Di antipatia, almeno, d’indifferenza: è così facile la mentalità laicista, che si sottrae da ogni impegno verso certi grandi problemi religiosi e morali! È più facile, è più comodo non credere che credere.


IL PIÙ ALTO TRAGUARDO DELLO SPIRITO UMANO

Ebbene, la visita, che voi fate a questa basilica, immagine della Chiesa, e a Colui che qui vi accoglie, il Papa, vi invita e vi aiuta a pensare. Sì, è vero che tutto quello che qui si vede non è facilmente comprensibile; è, se volete, difficile. Ma è anche vero che tutto ciò che qui si vede ha un significato; tutto è segno; tutto è simbolo; tutto parla; tutto spinge a salire verso una zona ultrasensibile, dove occorre intelligenza per arrivarvi. Dovrebbe già bastare questa osservazione per lanciare nei vostri spiriti (dico specialmente a voi, studenti, alunni ed atleti del pensiero!) un filo di riverenza e di simpatia. Qui v’è molto da scoprire; qui vi è molto da pensare; e se volete essere intelligenti, dovrete dire a voi stessi che la Chiesa, sia questa costruzione materiale, sia il misterioso edificio spirituale ch’essa è, è un grande invito, un grande stimolo a pensare, a capire, a oltrepassare i limiti dell’esperienza sensibile e scientifica, per spingere la ragione a conquiste superiori, che solo la parola rivelata di Dio, e la fede che vi corrisponde, possono raggiungere. Il primo grado della coscienza ecclesiale non allontana dunque la mentalità moderna, se questa è caratterizzata dallo sviluppo della intelligenza umana, ma la incontra e la allena verso traguardi ben degni di essa.


L’INCONTRO CON CRISTO SIGNORE

Vi sono altri gradi, aperti dalla scena sensibile e spirituale che ci circonda, ai quali possiamo facilmente accedere, solo che vi facciamo attenzione. Questo, ad esempio: quanto io osservo qui per chi è fatto? Per chi è presente? Ciascuno può tranquillamente rispondere: per me. Sì, ognuno nella Chiesa (sempre passiamo dal significato sensibile della chiesa - costruzione materiale -, a quello spirituale di Chiesa - società dei credenti), ognuno nella Chiesa è oggetto di amore. Chi entra nella Chiesa entra in un’atmosfera di amore. Nessuno dica: io qui sono forestiero. Ognuno dica: questa è casa mia. Sono nella Chiesa? Sono nella carità. Qui sono amato. Perché sono atteso, sono accolto, sono rispettato, sono preparato all’incontro, che tutto vale; all’incontro, con Cristo, via, verità, vita. Per incontrare veramente Cristo occorre la Chiesa. E se l’attenzione vostra si fa più tesa, udirete forse fare il vostro nome; sì, qui il vostro nome personale, perché la Chiesa è l’ambiente in cui Cristo viene a silenzioso, ma inconfondibile dialogo con i suoi veri seguaci. La Chiesa è l’ovile di Cristo, dove Egli, il buon Pastore, come dice il Vangelo, fa sentire la sua voce. La Chiesa è l’auditorio di Cristo. Ogni fedele qui può avvertire il senso e il valore della propria esistenza; può sentirsi chiamato a dare alla propria vita una missione sua propria, un destino umano e sovrumano insieme.

Qui fermiamo questo semplice discorso, ma non senza rispondere alla domanda che, iniziandolo, vi abbiamo posta. L’impressione, che dovete riportare da questa udienza, è quella d’essere capitati in un punto prospettico fra i più felici per contemplare il panorama della vita e per incontrare Colui che la illumina tutta, Cristo Signore.

Nel cui santo Nome di cuore, Figli carissimi, vi benediciamo.

Ai pellegrinaggi di Ferrara e Tortona

E ora, siamo in dovere di rivolgere un particolare saluto a due cospicui pellegrinaggi, che rendono così numerosa e vibrante l’Udienza di oggi: quello dell’arcidiocesi di Ferrara, guidato dal suo zelante Arcivescovo Mons. Natale Mosconi, e quello di Tortona, giunto col Pastore della diocesi, a Noi sempre tanto caro, Mons. Francesco Rossi.

Diletti figli. Siete venuti a Roma, sulla tomba di Pietro e di Paolo, per ravvivare e irrobustire la vostra fede, in quest’anno commemorativo del loro martirio, anno che appunto dalla Fede, per Nostra volontà, prende nome. Ecco i Fedeli di Tortona, che richiamano alla Nostra memoria il nome venerato di Mons. Egisto Melchiori, da Noi molto stimato, predecessore dell’attuale Vescovo, a Noi carissimo e da Noi consacrato; poi i nomi illustri di D. Lorenzo Perosi e del fratello Cardinale, e infine quello del Servo di Dio D. Orione: siate fieri, Tortonesi, del vostro patrimonio religioso, e siate sempre fedeli alle vostre tradizioni cattoliche. Per i Ferraresi, poi, figli d’un’Arcidiocesi rinomatissima, è già il secondo pellegrinaggio dell’Anno della Fede. E in questa presenza di tante anime generose, che lasciando le quotidiane occupazioni della vita, e affrontando qualche disagio, sono venuti a ritemprarsi spiritualmente a Roma, piace a Noi cogliere l’attestazione generosa di una presenza spirituale, convinta, vissuta, che, qui divenuta visibile, non si dileguerà più: una presenza nella Chiesa e per la Chiesa, un voler rimanere saldamente radicati nella «verità che tanto ci sublima», un voler essere membra viventi e operose di Cristo, innervate della sua stessa vita e della sua grazia: Christum habitare per fidem in cordibus vestris.

Ed è proprio questo l’augurio che tanto ai Pellegrini di Tortona, come a quelli di Ferrara, facciamo a ricordo e incoraggiamento di codesta vostra a Noi gratissima venuta: «Cristo abiti per la fede nei vostri cuori; siate ben radicati e fondati nella carità, affinché diveniate capaci, insieme con tutti i santi, . . . di conoscere la carità di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, in modo che siate riempiti di tutta la pienezza di Dio» (
Ep 3,17-19).

Sì, diletti figli, questo vi auspichiamo di tutto cuore: con la Nostra Apostolica Benedizione, che inviamo anche ai vostri cari lontani, specie ai piccoli, ai lavoratori, ai sofferenti, agli infermi e alle vostre diocesi, qui presenti col loro desiderio, con la loro preghiera, con la loro fede.

Ad alunni di scuole medie

Fra i gruppi di questa Udienza non possiamo non rivolgere la Nostra particolare attenzione ad alcuni gruppi di giovani studenti accompagnati dai loro Presidi ed Insegnanti.

Salutiamo anzitutto il gruppo del Liceo Ginnasio «Augusto» di Roma.

Il vostro numero così rilevante, e il fatto che appartenete ad uno dei più distinti Istituti di Roma, Ci obbliga ad esprimere a voi, giovani carissimi, tutta la Nostra gioia e soddisfazione per la vostra presenza. Siete venuti per porgere omaggio al Vicario di Cristo e Vescovo della vostra Diocesi; il che Ci dice i vostri sentimenti di fede, e anche la vostra fierezza di essere giovani credenti e figli di Roma cattolica. Lasciate, dilettissimi figliuoli, che vi raccomandiamo di essere non soltanto fieri della vostra Roma, ma anche degni di questo privilegio. Roma cristiana non può appagarsi di giovani mediocri. Il Cristianesimo a Roma non può essere vissuto in qualche maniera: o lo si vive in pienezza o lo si tradisce. Questa è la vocazione di Roma; e questo è l’impegno a cui voi dovete rispondere con decisione e con una fedeltà che, se occorre, sia pronta anche al sacrificio. In questo senso formuliamo il Nostro augurio per voi, carissimi giovani, e lo avvaloriamo con la Nostra Benedizione.

Poi saluteremo con cordiale attenzione gli alunni della Scuola Media «Marco Polo» di Ostia. Anche voi, figliuoli, appartenete alla Nostra dilettissima diocesi. Vi diremo: amate lo studio e sappiate infondere alla vostra nobile fatica un’anima religiosa che la sostenga, la elevi e la santifichi. È così che sarete in grado di innalzarvi ai grandi ideali e di comprendere i grandi bisogni del nostro tempo, rimanendo immuni dal dubbio, dalla noia, dallo scetticismo, dalle lusinghe dei piaceri disonesti. Mai forse come in questo periodo della storia la gioventù studentesca ha avuto più decisiva missione da compiere nella società. Coraggio, adunque, giovani dilettissimi! Fate dono alla nostra società, e specialmente alla Nostra Roma, della vostra giovinezza pura, sana, forte. Vi accompagni la Nostra Benedizione.

Merita, quindi, un Nostro particolare compiacimento e incoraggiamento il gruppo degli alunni della Scuola Media «Pollione» di Formia. Sappiamo che la vostra visita a Roma e al Papa è dovuta come premio alla vostra esemplare condotta e al vostro ottimo rendimento scolastico. Ciò procura immenso piacere al Nostro animo e Ci suggerisce ogni migliore speranza per il vostro avvenire. Continuate, figliuoli carissimi, ad essere sempre di esempio in mezzo ai vostri compagni. Vi auguriamo con tutto il cuore di aspirare sempre, come vuole San Paolo, a «tutto quello che è vero, tutto quello che è onesto, tutto quello che è giusto, tutto quello che è santo, tutto quello che rende amabile: e il Signore della pace sarà con voi» (Ph 4,8-9). A voi, alla vostra Scuola, ai vostri parenti il Nostro saluto e la Nostra Benedizione.

Gruppi d’Irlanda e di Francia

Today We bid a special welcome to the newly ordained Priests from the Pontifical Irish College, from Saint Isidore’s College of the Irish Franciscan Fathers, and from the International College of the Minims. Be of good cheer, beloved sons, and set forth confidently upon your priestly work as ambassadors of Christ, Who has conquered the World. We bless most affectionately you, your dear parents, relatives and friends who have attended your Ordination, and also those still at home.

To the Brothers of Rome, a group of Religious Lay Brothers who have just followed the Spiritual Exercises together and joined in discussing religious renewal and the apostolate, We offer a warm welcome, and We pray that you may continue, with even greater ardent love for God and man, your admirable ministry of humble and silent service to the Church and to Christ. It is in His Name, beloved sons and daughters, that We lovingly impart to you all, Our Apostolic Blessing.

Et maintenant Nous désirons adresser un mot spécial au pèlerinage des malades de l’Hospitalité Landaise de N.-D. de Lourdes. A vous tous qui souffrez dans votre corps et dans votre âme, à vous qui vous dévouez au service de vos frères infirmes ou handicapés, aux prêtres et religieuses qui vous accompagnent - et notamment à Mgr Saint-Germain, vicaire général du diocèse de Dax - Nous souhaitons la bienvenue et vous assurons que personne n’est inutile dans l’Eglise du Seigneur. Dans la «communion des saints» nous sommes vraiment membres les uns des autres, tous marqués par le signe de la croix et le sceau de notre glorification et de notre transfiguration dans le Christ de Pâques. Que cette certitude vous soit une source de joie et d’espérance, et, en ce temps de Carême, l’occasion par excellence pour monter à Jérusalem avec Jésus afin d’y souffrir, d’y mourir et d’y ressusciter avec Lui.

Mercoledì, 20 marzo 1968 UN DIRITTO INSOPPRIMIBILE AL BENESSERE

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Diletti Figli e Figlie!

La vostra vita Ci trova occupati da un pensiero, di cui crediamo bene dare conto anche a voi, come padre ai suoi, figli. È un anno (l’anniversario esatto cadeva ieri, 26 marzo), è un anno da che Noi abbiamo pubblicato la lettera-enciclica, che dalle parole iniziali s’intitola «Populorum progressio», rivolta alla Chiesa e al mondo per impegnare l’attenzione di tutti sopra un fatto caratteristico e capitale del nostro tempo, il risveglio cioè della coscienza dei popoli circa il bisogno di progredire, un risveglio che sembra scoprire una legge generale dell’umanità, quella d’essere di più, d’avere di più, di fruire di più dei beni che la vita ed il mondo mettono a disposizione dell’uomo. Questa idea di progresso non era nuova per le nazioni già civilizzate e sviluppate, tanto da costituire una di quelle formole magiche e mitiche di cui l’uomo moderno si compiaceva e si esaltava, come fosse una religione, una somma concezione dei tempi nuovi. Ma quando l’idea di progresso entrò nella psicologia delle popolazioni stagnanti nelle loro forme primitive, o imperfette di civiltà, prive cioè delle prodigiose risorse economiche e sociali derivanti dalle scoperte scientifiche (pensate, ad esempio, all’elettricità) e dall’applicazione delle risorse della natura alla macchina, a potenti strumenti cioè ausiliari del lavoro umano fino a moltiplicarne prodigiosamente il rendimento diminuendone in pari tempo la fatica, un’inquietudine enorme sollevò e solleva queste popolazioni, suscitando in esse il desiderio, il bisogno, il diritto a passare dal livello modesto, e spesso miserabile, del loro tenore di vita ad un livello più alto, più ricco, più degno, più umano. Questa aspirazione è tuttora in piena efficienza; essa fermenta nella maggior parte dell’umanità, producendo gli effetti molteplici, che tutti conosciamo: lo sforzo verso l’indipendenza, politica dapprima, economica e culturale poi, mettendo in evidenza condizioni alle volte tristissime di questi popoli nuovi, la fame, la malattia, l’ignoranza, l’incapacità a trasformarsi in meglio con le loro proprie forze; e insofferenti come essi sono d’ogni sfruttamento colonialista, non riconoscono talora nemmeno i vantaggi che l’epoca coloniale loro recò, e misurano così la loro inferiorità al confronto dei popoli progrediti, con sentimenti ribelli ad ogni forma di tutela da parte di popoli ricchi, e ostili a quello stesso benessere che si è fra loro prodotto per opera altrui, e ancor oggi detenuto da pochi, forestieri o indigeni che siano, a loro quasi esclusivo vantaggio.

Lacrime e collera caratterizzano, per lo più, la psicologia di questi popoli giovani, che soffrono d’un male nuovo, prima inavvertito, oggi intollerabile, l’avvertenza della sperequazione economica e civile, che li separa e li umilia nel confronto dei popoli benestanti.


DIMENSIONE INTERNAZIONALE DI GRAVI PROBLEMI

È un problema cruciale e mondiale. Esso trasferisce la famosa questione sociale dall’interno delle singole società alla dimensione internazionale, alla umanità intera; e se la giustizia sociale - che promuove la trasformazione delle classi componenti una società verso una più equa distribuzione della ricchezza e della cultura, in modo che a nessuno manchi la sufficienza per vivere da uomo, ed a nessuno sia dato un esagerato ed egoistico godimento dei beni temporali quando altri ne siano penosamente privi - si applica sul piano delle relazioni fra nazione e nazione, si comprende la vastità e l’importanza dei problemi suscitati dal progresso moderno, quando oramai ogni popolo ne acquisti la nozione, e con la nozione la pretesa, per tanti versi legittima, d’esserne partecipe.

Può la Chiesa disinteressarsi di questo gigantesco aspetto della vita umana contemporanea? La Chiesa certamente non è fatta per occuparsi della soluzione tecnica di questi problemi; vogliamo dire dei problemi economici e politici che riguardano la ammissione dei popoli in via di sviluppo al livello di sufficienza e di dignità che loro compete; ma questi stessi problemi derivano la loro forza logica ed umana da una concezione della vita umana, che solo la religione ad essi fornisce. E cioè: è la religione, quella cristiana fra tutte, che vede nel progresso umano una intenzione divina: Dio ha creato l’uomo perché fosse signore della terra, e la terra fosse a beneficio ordinato di tutti. È la religione che offre fondamento di giustizia alle rivendicazioni dei non abbienti, quando ricorda che tutti gli uomini sono figli d’uno stesso Padre celeste, e perciò fratelli. È la religione che sola può ricordare al ricco d’essere amministratore, e non padrone dispotico dei suoi beni, i cui frutti devono in qualche equa misura essere a profitto di chi ne abbisogna. È la religione cattolica, la nostra, che instaura la legge suprema della carità, chiaroveggente dei mali e dei bisogni del prossimo, e cogente, col soave e libero impero dell’amore, al soccorso altrui; ed è la religione di Cristo, della quale è principio e fine in questo mondo l’ordine, l’equilibrio, la concordia degli uomini, che ricorda essere lo sviluppo dei popoli il nome attuale della pace.


UNA PRESENZA DI GIUSTIZIA DI COMPRENSIONE E DI PACE

Potevamo Noi tacere, se così stanno le cose? Non potevamo. E perciò abbiamo parlato. È sembrato ad alcuni che la Nostra parola fosse aspra e ingiustificata verso quei sistemi economici, che di per sé non tendono a creare condizioni paritarie fra gli uomini, favorendo gli uni e obbligando gli altri a soffrire d’una perpetua condizione d’inferiorità; ma non è certo Nostra intenzione di disconoscere i termini naturali dei processi economici, né d’offendere coloro che ne sono i promotori, quando una visione non parziale, non egoista, ma globale, ‘ma umana inquadri tali processi nelle esigenze del bene comune. Così è sembrato ad altri che, denunciando Noi nel nome di Dio i gravissimi bisogni per cui soffre tanta parte dell’umanità, Noi aprissimo la via alla così detta teologia della rivoluzione e della violenza: lungi dal Nostro pensiero e dal Nostro linguaggio una simile aberrazione; cosa ben diversa dalla positiva, coraggiosa e energica attività necessaria, in molti casi per instaurare nuove forme di progresso sociale ed economico. Come pure è sembrato a molti, e fors’anche a voi che Ci ascoltate, che una così complessa e gigantesca questione, qual è quella della retta e decisa promozione del progresso del popoli, esulasse dall’interesse degli uomini singoli, dalla iniziativa privata e da quella dei corpi intermedi; e ciò è vero; questa è questione di chi governa le sorti della politica generale e delle relazioni internazionali; ma tuttavia essa può e deve interessare l’attenzione di tutti, dev’essere oggetto di opinione pubblica, deve entrare nella mentalità di tutti, dev’essere problema di coscienza d’ogni cristiano: le moderne comunicazioni hanno fatto nostro prossimo anche i lontanissimi; e dove è la fame, la miseria, l’impotenza a vivere da uomini liberi e degni, ivi è la chiamata alla nostra carità.


PROSEGUE IL LAVORO INTELLIGENTE E FERVOROSO

Quando voi beneficate le missioni, quando concorrete al soccorso della fame nel mondo: quando sostenete le opere che promuovono l’alfabetizzazione, eccetera, voi rispondete alla vocazione di questa carità universale, che mira al giusto progresso dei popoli.

Abbiamo voluto ricordarvi questo grande tema, a cui la Chiesa è impegnata, ed a cui attende con intelligente e fervorosa attività la Nostra Commissione Post-conciliare Iustitia et Pax (di cui vediamo qui presenti alcuni valorosi dirigenti), affinché sappiate come oggi palpita il cuore della Chiesa; e se il vostro batte all’unisono col suo; la Nostra Benedizione Apostolica vi è assicurata.

Saluto alle Religiose della Congregazione Romana di San Domenico

Nous tenons à adresser un souhait particulier de bienvenue aux Religieuses de la Congrégation Romaine de Saint Dominique, réunies autour de leur nouvelle Prieure générale pour un chapitre spécial d’aggiornamento. Nous vous encourageons, chères Filles, à tout mettre en oeuvre, dans la fidélité à votre vocation apostolique dominicaine, pour assurer le service d’éducation humaine et chrétienne qui vous est confié à travers le monde: promouvoir la formation d’une jeunesse, forte dans sa foi et soucieuse d’apostolat dans son milieu de vie. Aussi est-ce volontier que Nous louons vos efforts généreux de rénovation religieuse dans l’esprit du Concile et de l’Eglise et que Nous vous bénissons, toutes et chacune, de grand coeur.

Due pellegrinaggi della Jugoslavia

Il Nostro saluto si rivolge ora ai due gruppi di pellegrini venuti dalla Jugoslavia: ai fedeli della parrocchia di S. Antonio di Zagabria, e a quelli della Diocesi di Maribor.

Siate i benvenuti, Figli dilettissimi!

Ci recate con la vostra visita la viva eco del vostro Paese che Noi molto amiamo ed apprezziamo. E Ci recate insieme la prova del vostro amore e della vostra fedeltà a Cristo e alla Chiesa; amore e fedeltà che vi proponete certamente di rafforzare in questo odierno incontro col Successore di Pietro. Comprendete allora che il Nostro saluto non è un semplice gesto convenzionale, ma vuol dirvi invece tutta la Nostra soddisfazione di potervi accogliere, di assicurarvi del Nostro affetto e di promettervi l’assistenza delle Nostre preghiere.

Entrando oggi nella casa del Padre Comune, avete potuto gustare spiritualmente e quasi sensibilmente la gioia di appartenere alla grande universale famiglia della Chiesa Cattolica, e avrete ripetuto dentro di voi le parole. del Salmista: «Quam bonum et quam iucundum habitare fratres in unum» (Salmo 132, 1).

Ritornando alle vostre case, siate i testimoni di questa felice esperienza, e conservatela gelosamente come grazia grande nei vostri cuori; vi aiuterà a mantenervi saldi in quella fermezza di fede e di propositi di vita cristiana che siete venuti ad attingere alla Tomba di San Pietro.

A tal fine vi impartiamo di cuore la Nostra Apostolica Benedizione.



Mercoledì, 3 aprile 1968 IL FONDAMENTO DI IMPAREGGIABILE SICUREZZA

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Diletti Figli e Figlie!

E fra tutti: a voi, cari Studenti che oggi avete i primi posti in questa grande Udienza, si rivolge il Nostro pensiero, che sarebbe carico di troppe cose da dirvi, e si dirige la Nostra parola, che invece vuol essere semplice e breve, ma importante in ordine alla vostra formazione mentale, come a quella d’ogni altro Nostro ascoltatore.

Vi faremo una domanda: avete compreso il significato del nome simbolico di Pietro, dato da Gesù al suo principale discepolo, Simone figlio di Giona: «Io ti dico che ti chiamerai Pietro, e su questa pietra Io costruirò la mia Chiesa» (
Mt 16,18), la società cioè di coloro che credono in me e sono raccolti nel mio nome intorno, anzi fondati sopra di te? È chiaro il concetto che Gesù voleva esprimere, anche se, a bene osservare, esso è tanto complesso e profondo; il concetto cioè della solidità, della fissità, della permanenza, diciamo pure della immobilità. Gesù, dando a Simone figlio di Giona - un uomo buono, ma, da quanto di lui conosciamo, un uomo entusiasta e mutevole, generoso e timido, - il titolo, anzi il dono, il carisma della forza, della durezza, della capacità di resistere e di sostenere, com’è appunto la natura d’una pietra, d’un sasso, d’una roccia, associava il messaggio della sua parola alla virtù nuova e prodigiosa di questo apostolo, che doveva avere la funzione, lui e chi gli sarebbe legittimamente succeduto, di testimoniare con impareggiabile sicurezza quello stesso messaggio, che con termine comprensivo chiamiamo Vangelo.

LA VOLUBILE INSTABILITÀ DELLA CULTURA MODERNA

Pensateci bene. Noi ci troviamo ora sulla tomba di Simone diventato Pietro. Noi ricordiamo e sperimentiamo la verità della parola fondatrice di Gesù: qui quella pietra (immagine anche essa e derivazione di quell’altra pietra, la pietra d’angolo, centro, base, forza di tutto il cristianesimo, ch’è Cristo stesso), quella pietra, diciamo, è ancora ferma, solida, sicura. È un prodigio storico, psicologico, teologico meraviglioso. È una prova, che potremmo dire sperimentale, di un’altra parola profetica e solenne di Gesù: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Mt 24,35). E questo fatto singolare riveste una particolare importanza proprio per voi, carissimi Figli, che come Studenti, e voi tutti come studiosi, sotto l’aspetto pedagogico e ideologico, siete cercatori della verità. Che cosa è lo studio se non una ricerca di tante, belle e meravigliose verità? Ma che cosa vi dice, a questo proposito, la mentalità moderna, non esclusa quella scientifica? Vi dice che la verità non è immobile, non è definitiva, non è sicura; tanto che oggi si definisce la scuola piuttosto come una ricerca di verità, che non come possesso e conquista di verità. Infatti: tutto cambia, tutto progredisce, tutto si trasforma; il pensiero umano è caratterizzato dal suo movimento, dal suo procedimento storico, dal così detto storicismo, eretto a sistema fino a fare del tempo il generatore e il divoratore delle verità che la scuola viene, man mano, insegnando; la «cronolatria» domina la cultura, con questo risultato, che nulla più è certo, nulla stabile, nulla degno d’essere accettato e creduto come valore al quale si possa confidare la guida e il senso della vita.

LIMPIDO E GENUINO SIA L'INSEGNAMENTO RELIGIOSO

Questo fenomeno invade anche il campo religioso, che molti vorrebbero sottoporre ad una revisione radicale, tentando di spogliarlo di quei dogmi, cioè di quegli insegnamenti, che sembrano antiquati e sorpassati dal progresso scientifico, e che sono incomprensibili al pensiero moderno. Nel tentativo di dare alla religione cattolica un’espressione più conforme al linguaggio odierno e alla mentalità corrente, cioè di «aggiornare» l’insegnamento religioso, spesso, purtroppo, se ne sovverte l’intima realtà, e si cerca di renderlo «comprensibile» cambiandone dapprima le formole di cui la Chiesa-maestra lo ha rivestito e quasi sigillato per fargli varcare i secoli conservandone gelosamente l’identità, e alterando poi il contenuto stesso della dottrina tradizionale, sottoponendola alla legge dominante dello storicismo trasformatore. La parola di Cristo così non è più la Verità, che non muta e che rimane sempre identica e pari a se stessa, sempre viva, sempre luminosa, sempre feconda, anche se spesso superiore alla nostra comprensione razionale; ma si riduce ad una verità parziale, come le altre, che la mente misura e modella nei propri confini pronta, nella successiva generazione, a darle un’altra espressione, secondo un libero esame, che la spoglia d’ogni obiettiva e trascendente autorità.

IL CONCILIO CI RIPRESENTA LA VOCE INFALLIBILE DI GESÙ NEL SUCCESSORE DI PIETRO

Si dirà che il Concilio ha iniziato e autorizzato un tale trattamento dell’insegnamento tradizionale. Nulla di più falso, se vogliamo rimetterci alla parola magistrale di quel Papa Giovanni, Nostro venerato Predecessore, e inventore, se così è lecito esprimerci, di quell’«aggiornamento», in nome del quale non pochi osano infliggere al dogma cattolico pericolose, e talora spericolate, interpretazioni e deformazioni. Papa Giovanni ebbe a proclamare, nel famoso discorso d’apertura del secondo Concilio Ecumenico Vaticano, che il Concilio stesso doveva riaffermare tutta la dottrina cattolica «nulla parte inde detracta», senza detrarne alcuna sua parte, anche se doveva essere cercato il modo migliore e più confacente alla maturità degli studi moderni di darle espressione nuova più adeguata e più profonda (cfr. A.A.S. 1963, 791-792). Così che la fedeltà al Concilio ci esorta da un lato ad uno studio nuovo e sagace delle verità della fede, dall’altro ci riporta a quella univoca, perenne, consolatrice testimonianza di Pietro, che Gesù volle sua voce infallibile nel seno stesso della sua Chiesa, a garanzia della stabilità della fede e quasi a sfida della abilità arbitraria e consumatrice del tempo.

Perciò, carissimi Figli e Figlie, che venite a deporre sulla tomba dell’infrangibile pietra l’atto fidente e filiale della vostra adesione alla vera fede cattolica, sentite, al tempo stesso, la forza che emana dalla sua stabilità e che sostiene, anche per il nostro secolo, la vitalità sempre feconda e gioconda della Parola di Cristo. E affinché a voi tutti non manchi questa stupenda duplice spirituale esperienza, vi diamo di cuore la Nostra Apostolica Benedizione.



Mercoledì Santo, 10 aprile 1968 «CIASCUNO DI NOI DEVE MORIRE E RISUSCITARE CON CRISTO»

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Diletti Figli e Figlie,

Tutti vi salutiamo e tutti vi consideriamo con Noi partecipi alla celebrazione dei sacri riti, che dànno a questi giorni il nome di «settimana santa». È una celebrazione che Noi stimiamo molto importante. Essa rinnova non solo il ricordo della morte e della risurrezione del Signore, ma l’efficacia altresì dell’opera redentrice di Cristo. Essa attualizza nei suoi termini più genuini il mistero pasquale; lo rispecchia nei suoi riti, lo riproduce nella sua divina virtù, lo rende accessibile ai fedeli, che degli esempi e della grazia di Cristo vogliono vivere; essa segna nel corso del tempo il momento più pieno della presenza di Cristo fra noi, e nel corso dell’anno l’ora centrale a cui tende e da cui parte tutta l’attività liturgica della Chiesa. Essa riguarda Cristo, morto e risuscitato; ma riguarda anche ciascuno di noi, perché ciascuno di noi deve morire e risuscitare con Cristo. Per noi Cristo ha compiuto il dramma della Redenzione; con noi Egli lo vuole rivivere. Non lasciamo passare la Pasqua senza entrare nel quadro delle sue realtà e delle sue esigenze.

Noi sappiamo benissimo che molti di voi sono a Roma in questi giorni come visitatori, come turisti, venuti all’eterna Città per ammirarne le memorie ed i monumenti, per fare un’escursione primaverile e godere un po’ di cielo sereno e di tepido sole; ma vogliamo credere che nessuno di voi tralascerà di dare alla Settimana santa qualche pensiero, e, se possibile, qualche atto di presenza alle grandi cerimonie religiose delle chiese romane. E come voi, viaggiatori, camminate con la guida in mano per subito tutto vedere e valutare, Noi vorremmo indicarvi alcuni aspetti di tali cerimonie, molto semplicemente e sommariamente, alle quali vi esortiamo di partecipare, affinché più rapida e più fruttuosa ne sia la comprensione e l’assistenza.


RIEVOCARE LA PASSIONE E IL SACRIFICIO DEL SIGNORE

Il primo aspetto è quello che potremmo dire storico; cioè il carattere di memoria che queste cerimonie rivestono. Esse si riferiscono agli ultimi giorni della vita temporale di Gesù, tutti lo sanno. Ma la rievocazione che ne fa la Chiesa merita che la nostra memoria sia risvegliata, sia precisa, sia impegnata. Non per nulla il racconto della Passione è ripetuto quattro volte, quanti sono gli evangelisti, durante la Settimana; e gli ultimi tre giorni sono caratterizzati dal fatto principale che li domina: il Giovedì Santo dalla Cena pasquale, che diventa Cena eucaristica; il Venerdì Santo, dal processo e dalla crocifissione e dalla morte del Signore; il Sabato Santo, dal ricordo della sua sepoltura, per arrivare alla notte della risurrezione pasquale. Il solo quadro di questi avvenimenti è avvincente; e non è difficile proporlo alla nostra prima contemplazione, anche se essa è solo descrittiva.

LA RIVELAZIONE PIÙ PROFONDA ED ESATTA DEL FIGLIO DI DIO

La seconda contemplazione riguarda le persone del dramma, dramatis personae; ognuna diventa tipica e rappresentativa; l’azione, in cui ogni personaggio della Passione e della vicenda pasquale si trova impegnato, risalta in modo impressionante, l’umanità si rivela nelle sue facce più interessanti, e sigilla in tali profili la psicologia eterna dell’uomo, senza forse la maestà e la sottigliezza, spesso artificiosa, delle scene celebri del teatro classico e delle virtuosità delle rappresentazioni cinematografiche moderne, ma con tale incomparabile sincerità e naturalezza, che si è tentati di ripetere: ecco l’uomo! Questa esclamazione fu detta da Pilato e riferita a Gesù: ecco l’uomo! E se su di Lui si ferma la nostra considerazione, quale stupore, quale fascino, quale turbamento, quale amore invadono gli animi attenti e fedeli! La Passione di Cristo è la più profonda ed esatta rivelazione di Lui. Lo si avverte, ad esempio, dalle parole di Pietro, che si rifiuta all’umiltà di Gesù, chino davanti a Lui per lavargli i piedi: «Tu a me?» (
Jn 13,6). Quel Tu! Così, a tragedia finita, la voce del Centurione, che confessa: «Questi era veramente il Figlio di Dio!» (Mt 27,54). Ma soprattutto la duplice testimonianza di Gesù stesso, che afferma essere Lui il Cristo Figlio di Dio (Mt 26,64) durante il processo religioso; ed essere il Re della storia messianica, durante il processo civile (Jn 18,37), e che per tali testimonianze sarà crocifisso. I fedeli, i santi tentano spingere l’esplorazione nel fondo della psicologia di Cristo, e non sanno più uscirne se non ebbri di meraviglia e di amore.

E la contemplazione si fa più ampia, più profonda; cosmica e teologica, quando cerca le ragioni del dramma divino; le letture specialmente della Veglia del Sabato santo ci introducono in questo misterioso padiglione, dove il peccato umano, la giustizia e la misericordia divina s’incontrano, dove la morte e la vita duello conflixere mirando (Seq. Pasquale), e dove la vittoria di Cristo risorto si presenta come fonte della nostra salvezza e paradigma della vita cristiana.


LUMINOSA GUIDA NELLA LITURGIA

Ancora un passo deve fare la nostra contemplazione, ed è quello dell’esperienza emotiva, drammatica ed amorosa di questa storia, di questa celebrazione. Troveremo, ad esempio, nei magnifici responsori dell’officiatura al mattutino dei tre grandi giorni precedenti alla Pasqua, le grida più alte e più cupe, più forti e più tenere, più violente e più dolci che l’anima della Chiesa abbia saputo esprimere al ricordo rivissuto del mistero pasquale. Cioè anche la sinfonia dei sentimenti è non solo consentita durante questa potente celebrazione, ma è invitata ad aggiungere alla visione del dramma pasquale le sue note più alte e più commosse, donde la liturgia della Settimana santa attinge voci di suprema bellezza.

Troppo vi sarebbe da dire, è chiaro. Ma vi basti ora sapere che il grande cuore della Chiesa, e con esso l’umile cuore del Papa, vibra con viva coscienza e con impetuosa commozione per la celebrazione del mistero pasquale, e invita i vostri cuori a palpitare con lei. A ciò vi esorta e v’incoraggia la Nostra Benedizione Apostolica.

Saluto ed augurio a speciali gruppi (in francese)




Paolo VI Catechesi 13368