Paolo VI Catechesi 13165

Mercoledì, 13 gennaio 1965

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Dobbiamo un particolare saluto al numeroso gruppo degli Assistenti Ecclesiastici e dei Dirigenti Laici dell’Azione Cattolica, convenuti a Roma per studiare il tema del rinnovamento liturgico, in ordine alle nuove norme che il prossimo 7 marzo andranno in vigore nella celebrazione delle sacre cerimonie e specialmente della santa Messa.

Abbiamo da questa iniziativa una nuova prova dell’adesione stretta ed operante, dell’Azione Cattolica alla missione della Gerarchia, anche e principalmente là dove essa esercita e promuove il culto divino. Quanto questa prova, tempestiva ed illuminata, di collaborazione del nostro Laicato ai primi e più alti uffici del ministero sacerdotale faccia piacere a Noi e faccia onore all’Azione Cattolica, è facile intuire: nulla al Pastore può essere più consolante che sapersi circondato da figli che assistono alla sua azione orante e celebrativa dei misteri divini, che comprendono, che con lui operano, pregano, offrono, sperano e gioiscono, che sono con lui «un Cuor solo e un’anima sola». A quale risultato migliore di questo può pretendere la sua opera di maestro e di sacerdote? quale attestato più chiaro di questo può essere dato alla validità della sua «cura d’anime»? quale conforto più sincero e più corroborante di questo può ripagare le sue fatiche, che quello derivante dalla presenza non solo, dalla consonanza, dalla rispondenza alla sua orazione sacerdotale da parte dei fedeli, affidati alla responsabilità del suo ministero? Veramente salgono alle labbra del Sacerdote, la cui arte apostolica, la cui pedagogia religiosa è riuscita ad associare gli animi, le voci, i gesti, i cuori dei suoi fedeli alla sua mediazione fra Dio e gli uomini (ch’è poi la mediazione stessa di Cristo!), le parole di San Paolo: «. . . O fratelli miei cari e desideratissimi, mio gaudio e mia corona!» (
Ph 4,1). E son queste parole che erompono dal Nostro animo alla considerazione dei frutti che codesta nuova e intelligente e metodica azione liturgica prepara alla santa Chiesa, e alla visione della nuova primavera spirituale, che il Concilio Ecumenico va suscitando in tutte le comunità cattoliche del mondo. Vi dobbiamo una lode, ottimi Assistenti e Dirigenti, vi dobbiamo un ringraziamento, vi dobbiamo un incoraggiamento!

E dobbiamo ripetere che ciò che reca gioia a Noi, torna ad onore vostro. Diciamo a voi, Laici carissimi, specialmente: con codesto sforzo di dare esatta e viva applicazione alla Costituzione conciliare sulla sacra Liturgia voi dimostrate di possedere quell’intelligenza dei tempi che Cristo raccomandava ai suoi primi discepoli (cfr. Mt 16,4), e che la Chiesa d’oggi va svegliando e riconoscendo nei Cattolici adulti; i quali tempi reclamano una reviviscenza spirituale, attinta là dove sono le sorgenti genuine e inesauribili della verità e della grazia, di cui il Vangelo ha fatto dono all’umanità, vogliamo appunto dire alla Liturgia della Parola e alla Liturgia del Sacrificio eucaristico, alle quali sorgenti voi rivolgete i passi e abbeverate la sete. Voi dimostrate di comprendere come la nuova pedagogia religiosa che il presente rinnovamento liturgico vuole instaurare, si innesta, e quasi al posto di motore centrale, nel grande movimento, iscritto nei principii costituzionali della Chiesa di Dio, e reso più facile e più impellente dal progresso dell’umana cultura, che tende a fare d’ogni cristiano un membro vivo ed operante, non più incosciente, inerte e passivo, del Corpo mistico, elevandolo alla partecipazione personale dell’azione più alta, più bella, più operante e più misteriosa, che possa venire dall’uomo pellegrino sulla terra, inserirsi nel processo dei suoi evolventi destini, intercedere fra il mondo e Dio, l’azione appunto della sacra Liturgia. Voi così entrando nello svolgimento del disegno di salvezza, che la Chiesa promuove oggi con rinnovato fervore e norme moderne, fate non solo opera religiosa, ma apostolica altresì. L’apostolato è il vostro programma caratteristico. Ebbene, l’attività, che voi dedicate a dare pienezza di comprensione e di partecipazione all’azione liturgica, si traduce in attività rigeneratrice della. nostra società, come quella che infonde nelle anime quelle energie spirituali, morali, sentimentali, che solo la religione autenticamente praticata può dare.

A voi dunque ripetiamo elogio e incitamento; a voi diamo ben di cuore la Nostra Benedizione.

* * *

Diletti Figli e Figlie!

Sentirete sovente in questo periodo il discorso sulla sacra Liturgia fatto da tante voci diverse e su temi diversi, ma sempre derivato dalla recente Costituzione del Concilio ecumenico e dalla successiva Istruzione, che ne inizia la graduale applicazione. È bene che sia così: questa nuova legislazione circa il culto pubblico ed ufficiale della Chiesa è assai importante, e merita d’essere largamente divulgata e commentata, anche perché una delle sue caratteristiche e principali finalità è la partecipazione dei fedeli ai riti che il Sacerdote dirige e personifica. Ed è bene che si avverta come sia proprio l’autorità della Chiesa a volere, a promuovere, ad accendere questa nuova maniera di pregare, dando così maggiore incremento alla sua missione spirituale: era ed è cura primaria della Chiesa tutelare l’ortodossia della preghiera; e cura successiva è stata quella di rendere stabili ed uniformi le espressioni del culto; grande opera, da cui la vita spirituale della Chiesa ha ricavato immensi benefici; adesso la sua premura si allarga, modifica certi aspetti oggi inadeguati della disciplina rituale, e tende coraggiosamente, ma pensatamente ad approfondire il significato essenziale, la esigenza comunitaria ed il valore soprannaturale del culto ecclesiastico, mettendo in migliore evidenza, innanzi tutto, la funzione che vi esercita la Parola di Dio, sia quella della S. Scrittura, sia quella didattica e parenetica della catechesi e dell’omelia; e dando alla celebrazione sacramentale la sua limpida e insieme misteriosa centralità.

Per comprendere questo progresso religioso e per goderne i frutti sperati dovremo tutti modificare la mentalità abituale formatasi circa la cerimonia sacra e la pratica religiosa, specialmente quando crediamo che la cerimonia sia una semplice esecuzione di riti esteriori e che la pratica non esiga altro che una passiva e distratta assistenza. Bisogna rendersi conto che una nuova pedagogia spirituale è nata col Concilio; è la sua grande novità; e noi non dobbiamo esitare a farci dapprima discepoli e poi sostenitori della scuola di preghiera, che sta per cominciare. Può darsi che le riforme tocchino abitudini care, e fors’anche rispettabili; può darsi che le riforme esigano qualche sforzo sulle prime non gradito; ma dobbiamo essere docili ed avere fiducia: il piano religioso e spirituale, che ci è aperto davanti dalla nuova Costituzione liturgica, è stupendo, per profondità e autenticità di dottrina, per razionalità di logica cristiana, per purezza e per ricchezza di elementi cultuali ed artistici, per rispondenza all’indole e ai bisogni dell’uomo moderno. È ancora l’autorità della Chiesa che così insegna e che così avalla la bontà della riforma, nello sforzo pastorale di confortare nelle anime la fede e l’amore a Cristo e il senso religioso nel nostro mondo.

Voi, venendo dal Papa, accogliete questa sua esortazione; una volta di più farete l’esperienza della fecondità e della felicità, che l’obbedienza porta con sé; l’obbedienza, diciamo, alla Chiesa e a chi in essa ha la funzione di educare i credenti ad adorare il Padre «in spirito e verità» (Jn 4,23). Ecco la Nostra raccomandazione, ecco il Nostro voto; che entrambi vogliamo confermare con la Nostra Benedizione Apostolica.




Mercoledì, 20 gennaio 1965

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Diletti Figli e Figlie!

La vostra visita avviene durante la settimana dedicata alla preghiera e allo studio per la grande causa della ricomposizione nell’unica Chiesa di Cristo di quanti credono in Lui e sono tuttora fra loro e da noi separati.

Voi potete ben pensare come il Nostro animo, sempre tanto sensibile e vigilante in ordine a tale questione, sia in questi giorni anche maggiormente occupato dai problemi, dalle speranze, dalle discussioni, dai doveri, che vi sono connessi; e aprendosi a voi, nello stile semplice e cordiale di quest’udienza settimanale, non possa d’altro parlarvi, se non dell’unità in cui vorremmo, secondo il supremo desiderio di Cristo, vedere raccolti tutti i Cristiani. Sapete che nella seduta pubblica finale della terza Sessione del Concilio è stato approvato e promulgato un Decreto sull’Ecumenismo, che tratta appunto questo tema, tanto complesso e delicato, nell’intento di ricordare il mistero dell’unità, da cui la Chiesa non può prescindere, e di agevolare quanto più sia possibile il godimento della partecipazione piena, viva e sincera di tutti i seguaci del Vangelo alle ricchezze di tale mistero: Noi speriamo che un documento così importante, così aperto, così fiducioso porterà un giorno i suoi frutti; e ne ripetiamo ancor oggi l’esortazione, affinché tutti i fedeli Cattolici siano solleciti a favorirne il conseguimento, con la preghiera specialmente, e con la bontà della loro vita cristiana e degli esempi che irradiano da essa.

A chi non conosce la questione della riunione di tutti i Cristiani se non superficialmente, la soluzione sembra facilissima e di rapida attuazione. Ma a chi conosce i termini storici, psicologici, dottrinali della questione stessa si presentano grandi e molteplici difficoltà, di ogni genere e da ogni parte, tanto che alcuni disperano che si possa risolvere, e altri sperano ancora, ma vedono che occorrerà forse gran tempo, e certo un intervento speciale, quasi prodigioso, della grazia di Dio.

Non vogliamo ora parlarvi di queste difficoltà; ma piuttosto vogliamo richiamare la vostra attenzione sopra una tentazione, facile a sorgere negli animi buoni, che potrebbe suggerire un atteggiamento non buono, non valido per togliere la difficoltà fra tutte più grave, quella, dottrinale; la tentazione cioè di mettere da parte i punti controversi; di nascondere, di indebolire, di modificare, di vanificare, di negare, se occorre, quegli insegnamenti della Chiesa cattolica, i quali non sono oggi accettati dai Fratelli separati. Diciamo tentazione facile, perché può sembrare cosa da poco minimizzare e togliere di mezzo certe verità, certi dogmi, che sono oggetto di controversia, per raggiungere comodamente l’unione tanto desiderata, mentre il cristianesimo è verità divina, che a noi non è dato mutare, ma solo accertare e accettare, a nostra salvezza.

E questo calcolo non illude soltanto coloro che sono profani nelle questioni teologiche; esso si insinua anche in coloro che sono esperti, e che cercano, spesso in buona fede, qualche espediente razionale per spianare la via all’incontro con i Fratelli separati. L’intento è buono, il metodo no.

Che da parte cattolica si voglia riconoscere quanto di bene si trova tuttora nel patrimonio delle Chiese e delle confessioni cristiane, staccate dalla Chiesa nostra, sta bene. Che si voglia presentare la dottrina cattolica nei suoi aspetti autentici ed essenziali, prescindendo dagli aspetti discutibili e non essenziali, sta bene. Che si cerchi di prospettare i .punti controversi nei termini che li possono rendere più esatti e comprensibili anche rispetto a chi non li condivide, ancora sta bene. Questa è pazienza fraterna, questa è apologia buona, questa è la carità a servizio della verità.

Ma pretendere di togliere la difficoltà dottrinale cercando di esautorare, o di trascurare, o di celare affermazioni che il magistero della Chiesa dichiara impegnative e definitive, non è buon servizio. Non è buon servizio per la causa dell’unione, perché crea nei Fratelli separati la diffidenza, il dubbio d’essere mistificati, ovvero genera l’opinione di possibilità fallaci; e perché mette nella Chiesa il timore che si cerchi l’unione a prezzo di verità che non sono discutibili, e solleva sospetti che il dialogo si risolva a danno della sincerità, della fedeltà e della verità.

Noi vorremmo invece rendere i Cattolici sempre più idonei a sostenere il dialogo della fraternità mediante la sincerità più schietta e più umile, mediante la passione e la gioia ch’essi devono nutrire per la luce di verità d’una fede integra e vissuta, mediante la gradualità didattica dell’esposizione del nostro insegnamento, e mediante un rispetto, una stima, una carità verso gli interlocutori, che renda a loro amabile la nostra conversazione, invidiabile la certezza che il Signore ci concede, facile il possederla. Ch’essi vedano che non è dogmatismo aprioristico il nostro, non è imperialismo spirituale, non è giuridismo formale il nostro; ma ossequio totale alla verità totale, che viene da Cristo; e tesoro non geloso la pienezza della fede, ma bene pronto e fraterno, che tanto più ci fa felici, quanto più lo possiamo agli altri donare e dire non nostro, ma di Cristo, di tutti.

Non è che un pensiero fra i tanti, onde è ripieno il Nostro spirito, Figli carissimi; un pensiero, che mentre si affida alla vostra fedeltà, si esprime in immenso amore per tutti quanti, vicini e lontani, possono dire, con San Paolo, superando ogni scisma e ogni divisione: «Ego autem Christi: io sono di Cristo» (
1Co 1,13).


Mercoledì, 27 gennaio 1965

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Diletti Figli e Figlie!

Il tema del giorno è il Concistoro, con la nomina dei nuovi Cardinali. Ne parlano tutti, anche quelli che non sono direttamente interessati a questo avvenimento, perché tutti comprendono che esso non è singolare soltanto per i suoi aspetti esteriori: la rarità, la pubblicità, la solennità, l’internazionalità . . ., ma altresì per il rapporto ch’esso può avere con l’orientamento, sia pratico che spirituale, della Chiesa nelle questioni del nostro tempo, e per il significato ch’esso riveste in ordine alle persone chiamate a far parte del Sacro Collegio. La vita cattolica è, in qualche modo, caratterizzata da questo fatto; e questo spiega l’attenzione che lo circonda, e giustifica la filiale curiosità, che Ci pare di cogliere nei vostri occhi a Noi rivolti in una muta, ma penetrante interrogazione: che cosa dobbiamo pensare di questo prossimo Concistoro? Il Papa non ci dice nulla su questo tema, che tanto stimola l’interesse di tutti, anche dei profani, e tanto più quello dei figli fedeli, venuti all’udienza del Papa, mentre tutto il mondo commenta, discute, pronostica, calcola, critica, plaude o sentenzia circa questo preannunziato Concistoro?

Figli carissimi! Voi non pretendete certamente da Noi, con queste vostre silenziose, ma evidenti domande, delle risposte esaurienti; vi basta saperne dalle Nostre labbra quel qualche cosa che vi aiuti a giudicare questo avvenimento nella sua vera luce. Vi diremo, innanzi tutto, che l’avvenimento non è straordinario, ma si inserisce nella vita consueta della Chiesa, per il fatto stesso che il Collegio cardinalizio esiste da secoli e ch’esso è iscritto nella legge normale della Chiesa, nel Diritto Canonico. Straordinari, se mai, sono alcuni suoi aspetti, che meritano qualche spiegazione. L’aspetto numerico, per primo. Si sa che fin dal secolo XVI il numero dei Cardinali era fissato a settanta; così aveva stabilito Sisto V, con la sua Costituzione «Postquam verus», nel 1586, per togliere l’arbitrio di superflue creazioni cardinalizie, per dare figura giuridica determinata al Sacro Collegio e per riferirsi al numero biblico dei settanta Seniori d’Israele, che dovevano assistere Mosè nel governo del popolo ebreo (cfr.
Ex 24,1 Pastor Ex 10,169-170). E da allora il numero di settanta non era stato oltrepassato; anche Papa Pio XII, Noi ricordiamo, volle attenersi entro tale limite, pur avvertendo che esso rispondeva a fatica alle cresciute dimensioni della Chiesa (cfr. Discorsi . . . VII, 304 ss.). È stato Papa Giovanni a varcare quel limite; ed allora non è parso a Noi sconveniente profittarne, e portare il numero dei Cardinali viventi oltre il centinaio; e ciò per ragioni plausibili. Le proporzioni della Chiesa odierna non sono più quelle del Cinquecento, ma sono assai cresciute e si sono dilatate, per grazia di Dio, sulla faccia della terra. Inoltre la funzione rappresentativa del Sacro Collegio si è fatta più ampia e più esigente, e ciò proprio per il deciso impulso dato dallo stesso Papa Pio XII al carattere soprannazionale della Chiesa, il quale si riflette nella struttura del corpo cardinalizio; e per la diffusione dell’idea ecumenica, alla quale il Concilio in corso di celebrazione conferisce tanto splendore e tanta speranza.

Non è Nostra intenzione, vi diremo subito, di accrescere l’efficienza del Sacro Collegio per via d’inflazione numerica; è anzi Nostro proposito, anche se a Concilio finito dovremo procedere alla creazione di qualche altro Cardinale, di contenerne strettamente il numero entro i confini delle vere necessità della Chiesa, la quale deve, sì, rispecchiare la sua magnifica universalità nel Collegio Cardinalizio, sintesi ormai dell’orbe cattolico non meno che dell’urbe romana, ma ciò maggiormente in forma simbolica e qualitativa, che non quantitativa; tanto più che Noi pensiamo di poterCi anche valere nell’esercizio del Nostro ufficio apostolico, secondo i bisogni ed in varie forme, dell’assistenza di Nostri Fratelli nell’Episcopato, come già avviene e come meglio potrà avvenire in futuro.

Perciò Nostra intenzione è di dare al Sacro Collegio un’espressione di più piena comunione e di più effettiva rappresentanza di autorità, di collegialità, di esperienza, di tradizione, di cultura, di merito. Avrete osservato, a questo proposito, la varietà di qualificazioni, che distinguono i nuovi membri del Collegio Cardinalizio. Questo vi dica come la Chiesa romana non sia un ovile chiuso, immobile, egoista ed esclusivista, ma sia piuttosto il centro indispensabile d’un gregge raccolto e multiforme, il gregge di Cristo, mirabilmente caratterizzato dalla complementarità delle sue proprietà costituzionali: l’unità e la cattolicità, l’autorità e la fraternità, l’identità della fede nella sconfinata e polivalente larghezza della carità.

E accenniamo appena a queste cose, Figli carissimi, affinché, venendo voi a farci visita nell’incidenza di questo bello episodio ecclesiastico, cresca in voi il desiderio di sempre meglio conoscere e sempre più ammirare questo vecchio, maestoso e robusto albero della Chiesa di Pietro, che, passando secoli e infuriando bufere, lungi dal divenire arido e decrepito, trova sempre in se stesso le energie divine, che Cristo gli ha infuse e che, a volta a volta, ne ringiovaniscono le tradizionali strutture. Ed anche affinché abbiate ad amare sempre più la santa Chiesa di Dio nel suo aspetto universale, ed abbiate a pensare che voi, figli, voi fedeli, a tutti questi fatti, come dice l’Apostolo, «non siete ospiti e forestieri, ma siete concittadini dei santi e della famiglia di Dio» (Ep 2,19).




Mercoledì, 3 febbraio 1965

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Diletti Figli e Figlie!

Risuonano al Nostro spirito le parole del Vangelo, che ieri, nella festa della Presentazione al tempio del fanciullo Gesù e della Purificazione di Maria Santissima, la liturgia offriva alla Nostra meditazione, e che proclama Gesù il Messia del Signore «Christum Domini», la salvezza di tutti i popoli «salutare . . . omnium populorum», luce per illuminare le nazioni «lumen ad revelationem gentium» (
Lc 2,30-32). Parole che la consueta ripetizione nella preghiera spoglia della straordinaria efficacia, ch’esse dovrebbero avere per i nostri animi per ricordarci molte cose di cui non ci dovremmo mai dimenticare; e cioè: Gesù è al vertice delle aspirazioni umane, è il termine delle nostre speranze e delle nostre preghiere, è il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, è cioè il Messia, il centro dell’umanità, Colui che dà un senso agli avvenimenti umani, Colui che dà un valore alle azioni umane, Colui che forma la gioia e la pienezza dei desideri di tutti i cuori, il vero uomo, il tipo di perfezione, di bellezza, di santità, posto da Dio per impersonare il vero modello, il vero concetto di uomo, il fratello di tutti, l’amico insostituibile, l’unico degno d’ogni fiducia e d’ogni amore: è il Cristo-uomo. E nello stesso tempo Gesù è alla sorgente d’ogni nostra vera fortuna, è la luce per cui la stanza del mondo prende proporzioni, forma; bellezza ed ombra; è la parola che tutto definisce, tutto spiega, tutto classifica, tutto redime; è il principio della nostra vita spirituale e morale; dice che cosa si deve fare e dà la forza, la grazia, per farlo; riverbera la sua immagine, anzi la sua presenza in ogni anima che si fa specchio per accogliere il suo raggio di verità e di vita, che cioè crede in Lui e accoglie il suo contatto sacramentale; è il Cristo-Dio, il Maestro, il Salvatore, la Vita.

A meditare ancora un poi possiamo scorgere l’universalità di Cristo nelle parole citate del Vangelo, cioè Gesù è per tutti; per ogni singola anima, per ciascuno di noi; e per ogni singolo popolo: ogni stirpe, ogni nazione, ogni civiltà lo può raggiungere, lo può avere; anzi lo deve raggiungere, lo deve avere; Gesu è per tutti. E a spingere in questa visione l’occhio più a fondo arriviamo alla dottrina di San Paolo, ch’è poi la teologia della Chiesa: Cristo è necessario, senza di Lui non si può fare, senza di Lui non si può vivere; e inoltre: Cristo è sufficiente, basta Lui alla nostra guida suprema, alla nostra sapienza ultima, alla nostra salvezza eterna. Cristo è la vera e sola religione, Cristo è la sicura rivelazione di Dio, Cristo è il solo ponte fra noi e l’oceano di vita ch’è la Divinità, la Trinità santissima, per cui, volere o no, siamo stati creati e a cui siamo destinati.

Cioè: la meditazione su Gesù, il Bambino di Betlem, l’operaio di Nazareth, il Maestro di Palestina, il Crocifisso del Calvario, il Risorto di Pasqua, si apre davanti come uno sconfinato panorama di verità vitali e stupende. Si apre. Attenti, Figli carissimi. Si apre; come si apre? da sé? Il racconto evangelico, a cui ci riferiamo, non ce lo dice. Anzi ci lascia capire che nessuno, salvo il vecchio, umile profeta, che dà l’annuncio della apparizione di Cristo nel Tempio di Dio, s’era accorto di Lui. È questo un aspetto del Vangelo estremamente interessante e misterioso: Gesù si rivela e si nasconde allo stesso tempo: coloro che lo vedono, non vedono chi Lui è; ricordate: «videntes non vident» (Mt 13,13); ci si dovrà pensare, tremando e pregando. Ma ciò che a Noi preme osservare in questo momento è il fatto che due fattori, secondo il Vangelo, entrano in gioco per fare dell’apparizione fisica di Gesù una rivelazione del suo carattere messianico e divino; uno, lo Spirito Santo, fattore invisibile, ma primo e superiore agente, il quale ispira al buon Simeone la scoperta del Salvatore presente; e l’altro, Simeone stesso, che si fa profeta, si fa voce, si fa maestro, che parla per annunciare la realtà della rivelazione presente e nascosta.

L’apertura della verità religiosa alle nostre anime esige questi due coefficienti: lo Spirito Santo, la grazia di Dio, cioè, senza la quale non possiamo giungere alla fede e alla salvezza; e il magistero, la voce esterna, di chi è incaricato di parlare in nome di Dio, dell’apostolo, della Chiesa maestra, noi diciamo, sicuri di continuare e di realizzare il disegno evangelico, l’economia della rivelazione. Fides ex auditu, la fede nasce dall’ascoltare (Rm 10,17).

Ebbene: voi, venendo oggi dal Papa, abbiate, una volta di più, questa letizia e questa certezza, che dalle sue labbra, povere labbra di uomo mortale ed ignaro, si ripete la grande profezia che ammaestra, illumina e salva il mondo, la profezia di Simeone e di Pietro: Gesù è il Cristo, è il Salvatore atteso e venuto, è il Figlio del Dio vivente.

Ascoltate, pensate, credete e gioite! Figli carissimi, con la Nostra Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 17 febbraio 1965

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Diletti Figli e Figlie!

È sempre un piacere per Noi accogliere in questa udienza settimanale tanti gruppi di visitatori, non d’altro desiderosi che d’incontrarsi col Papa, per testimoniare a lui la loro devozione e avere da lui la sua benedizione. E ancor più che un piacere, spesso è un conforto. Ci sembra di leggere nei vostri cuori i sentimenti di fedeltà e di bontà, che qua vi conducono, e Ci sembra dover corrispondere a cotesto atteggiamento cordiale e filiale con la Nostra fiducia. Possiamo aver fiducia di voi? possiamo essere sicuri che voi volete bene al Papa? che voi comprendete la Nostra missione? che voi ascoltate la Nostra parola? che voi desiderate sostenere le Nostre intenzioni, consolare le Nostre afflizioni? Sì?

Se così è, la vostra affettuosa presenza - la vostra, cari e venerati Sacerdoti; la vostra, ottimi Religiosi e Religiose; la vostra, giovani dilettissimi; la vostra, fedeli buoni e visitatori cortesi - la vostra presenza, diciamo, Ci è di grande conforto. Perché dovete sapere, e certo già immaginate, che anche il Papa ha bisogno di conforto. Chi fermasse lo sguardo alla scena esteriore, nella quale ordinariamente appare la persona e l’azione del Papa, potrebbe pensare che egli vive immerso in un’atmosfera di serenità superiore, dove tutto è bello, tutto è facile, tutto è ammirato; e che perciò se ne sta beato nel duplice colloquio, che impegna il suo ministero: il colloquio col Cielo, di cui egli possiede le chiavi segrete, e il colloquio col mondo, a cui non altro messaggio rivolge, se non di pace e di carità. Non per niente, pensano molti, al Papa si dà il titolo di «beatissimo Padre».

Ecco, Figli carissimi: che il Papa, sì, viva alle sorgenti del gaudio e della pace, proprio in virtù del suo ufficio apostolico, che tanto lo unisce a Cristo, il Quale «è la nostra pace» (
Ep 2,14), e che lo mette in comunione con quel Dio «Padre delle misericordie e Dio d’ogni consolazione, che ci consola in ogni nostra tribolazione, affinché noi stessi siamo in grado di consolare coloro che sono nell’afflizione» (2Co 1,3-4), è vero; e ne ringraziamo il Signore immensamente; come potremmo vivere altrimenti? Ma è anche vero che insieme ai conforti spirituali, provenienti dall’alto, il Papa ha le sue pene, che vengono innanzi tutto dalla sua pochezza umana, messa ogni momento a confronto e quasi in conflitto, con l’enorme e smisurato complesso dei suoi doveri, dei suoi problemi, delle sue responsabilità; pena questa che sa talvolta d’agonia; e poi pene che nascono proprio dal fatto e dall’esercizio del suo ministero. È questa la sorte di chi vuol seguire il Signore: la croce da portare con Lui e per Lui; e tanto più è la sorte di chi è a Cristo assimilato per via del Sacerdozio e per via del sommo ufficio pastorale. È questo un campo riservato alla Nostra intima vita spirituale; e giova piuttosto tacerne che parlarne. Ma vi sono pene, che hanno la loro origine e la loro storia esteriore; e tutti le possono, se non valutare, individuare e conoscere.

Non ve ne faremo l’elenco; sarebbe abbastanza lungo. Se leggerete l’Epistola della prossima domenica di Sessagesima, che narra le tribolazioni dell’Apostolo, potrete rendervi conto di quanto fosse dura e difficile la vita eroica di lui, e di quanto possa esserlo, anche in misura assai, assai inferiore e in forme del tutto diverse e prive d’ogni drammatica gravità, quella di chi ne continua indegnamente la missione e cerca, almeno da lontano, di seguirne gli esempi.

Accenniamo appena: una delle Nostre pene più acute è l’infedeltà di alcuni buoni, che dimenticano la bellezza e la gravità degli impegni che a Cristo e alla Chiesa li uniscono; è questo un fenomeno che l’evoluzione della vita moderna accentua in modo doloroso, tanto nel campo delle dottrine, quanto in quello dei costumi e degli orientamenti pratici: quante debolezze, quanti opportunismi, quanti conformismi, quante viltà! Come possiamo non soffrire dell’abbandono di figli educati alla scuola di Cristo e tanto da Lui amati, tanto necessari al bene della comunità ecclesiale e della società?

Che diremo poi d’un’altra pena, ogni giorno ricorrente, quella di vedere incompreso il pensiero e respinta la carità della Chiesa? L’inefficacia del lavoro apostolico e lo studio cattivo talvolta, che ne deforma le intenzioni e ne rifiuta l’offerta, sono spine profonde e quotidiane per il cuore dei Pastori della Chiesa e lo sono anche per Noi.

È penoso diciamo; ed a voi, Figli fedeli, chiediamo il conforto di cui è per Noi oggi foriera la vostra presenza. Grazie di codesta filiale consolazione. Vogliate continuarne l’affettuoso beneficio con la vostra comprensione, con la vostra fedeltà, con la vostra preghiera. Noi lo ricambiamo di cuore con la Nostra Benedizione Apostolica.


Mercoledì, 24 febbraio 1965

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Diletti Figli e Figlie!

Il nostro discorso è oggi più breve del solito: gli impegni del Concistoro non Ce ne consentono la consueta misura.

E prendendo come tema di queste poche parole il Concistoro stesso, pensiamo che anche voi ne abbiate notizia, e ne seguiate in qualche modo la celebrazione, come spettatori, o come osservatori estranei, ma curiosi di notare gli aspetti esteriori di questo solenne e abbastanza raro avvenimento. È, sì, un episodio della vita della Chiesa che merita attenzione. Il numero dei nuovi Cardinali, la loro origine e provenienza da ogni parte del mondo, le loro funzioni e la loro opera, il seguito che portano con sé, le ripercussioni provocate nei vari ambienti per la loro nomina, il trambusto delle visite e delle cerimonie che solleva un Concistoro, le chiese di Roma, assegnate in titolo ai nuovi Cardinali, poi il solenne rito del Concistoro pubblico, che avverrà domani, in San Pietro, con la concelebrazione insieme a Noi di tutti i nuovi Cardinali e così via, sono temi e quadri che destano interesse, commenti e pensieri.

Ed è bene che i fedeli, dotati di quel «senso della Chiesa», di cui oggi tanto si parla, seguano con occhi aperti e con animo attento questo avvenimento.

Ma a questo punto Noi troviamo propizia l’occasione per un richiamo pedagogico ecclesiastico d’indole generale; ed è questo. Chi vive nell’ambito della Chiesa è continuamente attratto, stimolato da una quantità enorme e varia di «segni». Siccome le realtà divine, di cui la religione ci parla, non sono visibili, non sono sensibili, e siccome la nostra umana conoscenza procede dalle immagini e dalle espressioni sensibili per arrivare a qualche concetto spirituale, la Chiesa adopera continuamente segni sensibili per farci arrivare alla comprensione delle verità e dei misteri del mondo religioso.

Ricordate quanti «segni sacri» sono messi a nostra disposizione per introdurci nell’interno del regno di Dio: il pane e il vino non diventano i segni sacramentali della presenza e del sacrificio di Cristo? Ma pensate a quanti altri segni è chiamata la nostra attenzione dal culto e dalla vita stessa della Chiesa; l’arte sacra, ad esempio, non è che un segno sensibile di cose e di bellezze nascoste.

Ora può capitare che la nostra attenzione, o meglio la nostra distrazione, si fermi a questa esposizione esteriore, a questo linguaggio figurato, senza andare oltre. Uno, ad esempio, può ascoltare una musica religiosa per il suo valore artistico, acustico, senza badare a chi ed a che cosa realmente si riferisce. Possiamo cioè, anche nell’ambito ecclesiastico, guardare il di fuori delle cose e dei fatti, senza darci premura di capire il di dentro. Possiamo fermarci a ciò ch’è esteriore e che ha ragione di mezzo, senza darci pensiero di capire, di leggere dentro il vero significato di ciò che ci è semplicemente rappresentato.

Bisogna invece procurare di oltrepassare la scena esteriore delle cose sacre, e di penetrare nel significato, nel valore, nella realtà interiore a cui esse vogliono condurci. Questa è una raccomandazione importante; e vale per tutti i momenti, tutte le situazioni, tutti gli avvenimenti della vita religiosa.

E vale perciò anche per il Concistoro, che stiamo celebrando e che voi state osservando. Interessatevi, sì, di tutti i suoi aspetti particolari, che sono attraenti e importanti; ma non fermatevi soltanto a questi; cercate di comprendere qualche cosa di più; sarà forse un po’ difficile, ma sarà anche molto bello: vedrete, ad esempio, in questo Concistoro l’immagine vivente dell’universalità della Chiesa; vedrete la sua vitalità che si rinnova e che si adatta alla storia del mondo; vedrete la sua carità, che cerca di unire, di onorare, di salvare tutti gli uomini; vedrete la sua grandezza e la sua bellezza; e se osserverete bene, vedrete come anche questo fatto particolare della sua storia lascia intravedere la misteriosa presenza di Cristo nella sua Chiesa. Perché la Chiesa è, e lo ha detto tanto bene il Concilio, il «sacramento di Cristo».

Aprite gli occhi dell’anima, aprite gli occhi della fede; e allora Roma, questa Roma sacra, vi farà cogliere, meravigliosamente e meglio che altrove, che qui, ancora e sempre, vive Gesù. E Noi proprio nel suo nome vi benediciamo.




Paolo VI Catechesi 13165