Paolo VI Catechesi 13766

Mercoledì, 13 luglio 1966

13766

Diletti Figli e Figlie!

Un minuto di riflessione. Perché siete venuti? Lo sappiamo: per vedere il Papa. Ma perché volete vedere il Papa? Perché è il Vicario di Cristo ed è il Capo della Chiesa. Dunque voi volete avere qualche visione riflessa di Cristo e qualche visione diretta della Chiesa. È una grande aspirazione la vostra; e spiega un po’ l’affluenza a queste Udienze generali. Voi volete vedere. La visita è un’esplorazione, una ricerca. È uno sguardo, che non si ferma alla scena sensibile, che qui si presenta ai vostri occhi; ma che vuole penetrare, se possibile, verso le realtà religiose, che qui si presentano al vostro spirito: Possiamo ora indirizzare la vostra legittima curiosità verso il grande tema, verso il mistero della Chiesa, che qui dà maggiore segno di sé. Ecco: se voi, con la semplicità del fedele, volete qui avere qualche notizia essenziale sulla Chiesa, sorgono nei vostri spiriti due domande: che cosa è, finalmente, la Chiesa? E se credete d’aver già qualche cognizione sulla natura della Chiesa, subentra la seconda domanda: che cosa fa in sostanza, la Chiesa? Natura e missione della Chiesa sono le due grandi domande che ogni fedele si pone, e che qui, nel momento dell’udienza del Papa, si affacciano alla sua avidità di vedere e capire.

Prendiamo ora la seconda domanda (alla prima abbiamo dato altre volte qualche cenno di risposta). Che cosa fa la Chiesa? Questa domanda nella coscienza di molti uomini del nostro tempo si risolve in quest’altra: a che cosa serve la Chiesa? E l’abitudine moderna di valutare ogni cosa in funzione dell’utilità pratica, economica, fa sorgere la tentazione di rispondere: non serve a nulla; la Chiesa non fa nulla di ciò che serve alla vita reale. Non è forse vero, purtroppo, che molti pensano a questo modo?

Ebbene, per afferrare il senso della missione della Chiesa, cioè della sua efficienza, del suo inserimento nel giro vorticoso dell’attività umana, basterà ricordare una semplice, ma sublime parola di Gesù agli Apostoli, cioé del Fondatore della Chiesa a quelli che l’avrebbero diretta dopo di Lui. La parola è questa: «Voi siete la luce del mondo» (
Mt 5,14). Facciamo l’ipotesi di trovarci in una stanza oscura, nella quale improvvisamente è acceso un lume: forse che le cose e le persone, che sono in quella stanza, sono cambiate? Sono quelle di prima. Ma che cosa è avvenuto? Con la luce accesa è avvenuto che tutto l’ambiente ha preso forma e misura; ogni cosa ha acquistato linea e colore. Ricordate la poesia del Manzoni sulla Pentecoste? «Come la luce rapida - piove di cosa in cosa, - e i color vari suscita -. ovunque si riposa . . .». Così, Figli carissimi, avviene là dove la Chiesa arriva.

La Chiesa non serve a nulla, in senso assoluto, nell’ordine temporale, perché appunto «il. suo regno non è di questo mondo» (cfr. Jn 18,36); ma è la luce del mondo. Cioè ella ha con sé un messaggio di verità e di sapienza che dà senso a questa scena della nostra vita terrena; ella accende la coscienza dell’uomo; ella gli svela chi è lui (perché rimane sempre l’antico enigma dell’uomo su se stesso; al grande precetto della filosofia: conosci te stesso, la risposta è sempre ambigua, parziale, mutevole, dolorosamente incerta). La Chiesa dà all’uomo vera coscienza di sé.

Anzi, a bene osservare, la coscienza che la Chiesa fa sorgere nell’umanità non è semplicemente una sapienza speculativa; è una coscienza operante; è un’inquietudine, se volete; un fermento, una vocazione, una responsabilità, un fine da raggiungere; un uomo nuovo da ricavare dal vecchio, un regno da conquistare, una nuova vita da iniziare qui per goderne oltre il tempo la pienezza. Nessun umanesimo, come quello che la Chiesa annuncia ed instaura, immette tante idee, tante energie, tante speranze nel cuore dell’uomo, quanto la Chiesa. Sua missione è di educare l’uomo; educare, nel senso etimologico e socratico della parola, di estrarre, di mettere in efficienza, di portare a perfezione. Ella sa, sì, che l’uomo è un essere implicito e per giunta radicalmente ferito dal peccato originale; ma la Chiesa ha un’immensa stima, un’immensa fiducia, un immenso amore per l’uomo; e perciò, come dice il Concilio, «essa si sente realmente e intimamente solidale col genere umano e con la sua storia» (Gaudium et spes GS 1).

E questo ora basti per introdurvi, diletti Figli, nella considerazione della missione della Chiesa. No, ella non è inutile alla vita e alla storia umana. È salutare, è provvidenziale, è necessaria. Vorremmo che tutti voi riportaste da questa Udienza una accresciuta riconoscenza a Cristo nostro Signore per aver istituito la Chiesa e per averle dato la missione di illuminare e educare l’umanità; e in pari tempo vorremmo che crescesse in voi la venerazione e la fiducia per la santa Chiesa. Con la Nostra Apostolica Benedizione.

Lo stesso Sommo Pontefice riassume, quindi, il suo Discorso nelle principali lingue. Rivolgendosi ai fedeli di lingua francese, dopo gli accenni al tema generale della Esortazione, il Santo Padre ha questo saluto per i pellegrini della Pax Christi di Strasburgo:




Mercoledì, 20 luglio 1966

20766

Diletti Figli e Figlie!

La vostra visita Ci trova in vacanza. Veramente Ci trova in questa residenza estiva dei Papi, dove il clima buono e la sospensione di alcuni impegni ordinari della attività consueta del Papa promettono ristoro alle Nostre scarse forze fisiche (Ci sembra di ascoltare l’invito cortese, che Gesù fece una volta ai suoi apostoli: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco» [
Mc 6,31 ]), e Ci trova dove nello stesso tempo Ci sia dato di attendere, con maggiore impegno e maggiore tranquillità, a due forme di attività inerenti al Nostro ufficio apostolico: lo studio e la preghiera.

Quest’ultima specialmente: la preghiera. Quando pensiamo alle parole del Maestro, che ci ammonisce essere desiderio del Padre di trovare adoratori «in spirito e verità» (Jn 4,24); e quando ricordiamo come Egli sia stato esempio e guida alla orazione ed abbia sempre esortato i suoi a questa prima attività, spirituale; quando ricordiamo la scuola degli Apostoli, che educano i nuovi fedeli alla preghiera incessante (dice, ad esempio, San Paolo ai Tessalonicesi: «Sine intermissione orate», pregate senza smettere mai [1, 5, 17]); quando cerchiamo d’entrare nella visione globale del cristianesimo, della sua essenza religiosa, del suo disegno soprannaturale di rapporti fra Dio e l’uomo, del suo messaggio di vivificazione delle anime, della sua vocazione d’ogni fedele al sacerdozio regale, che lo autorizza a entrare in dialogo con Dio, chiamandolo Padre (cfr. Rm 8,15 Ga 4,6); quando osserviamo la vita cristiana nella storia, come si è manifestata nelle sue espressioni più alte e più genuine; e quando guardiamo ai più veri e profondi e trascurati bisogni degli uomini del nostro tempo, non possiamo non concludere per il primato della preghiera nel campo dell’attività multiforme della Chiesa.

La Chiesa è la società di uomini che pregano. Suo scopo primario è d’insegnare a pregare. Se vogliamo sapere che cosa fa la Chiesa, dobbiamo osservare ch’essa è una scuola d’orazione. Essa ricorda ai fedeli l’obbligo dell’orazione; essa sveglia in essi l’attitudine e il bisogno dell’orazione; essa insegna come e perché si deve pregare; essa fa della preghiera il «grande mezzo» della salvezza, e nello stesso tempo la proclama il fine sommo e prossimo della vera religione. La Chiesa fa della preghiera l’espressione elementare e sublime della fede: credere e pregare si fondono in un medesimo atto; e ne fa l’espressione insieme della speranza; è la Chiesa, che, memore dell’insegnamento di Gesù, ci ricorda continuamente come, per ottenere ciò che desideriamo, bisogna pregare: «petite et accipietis», domandate ed otterrete (Jn 16,24 Mt 21,22); e finalmente la Chiesa proclama l’identità della preghiera con la carità; Bossuet lo afferma: «Il est certain qu’il n’y a que la sede charité qui prie» (Serm. 1,374). Pregare è amare (cfr. Bremond, de la prière, 21).

È noto a tutti quanto si sia parlato, scritto, operato in ordine alla preghiera. Essa è tema di inesauribile fecondità. Ciò che importa ora notare, se vogliamo conoscere la missione della Chiesa, è l’importanza essenziale e suprema che essa attribuisce alla preghiera, sia come attività personale, che scaturisce in fondo al cuore umano, sia come culto divino, nel quale si effonde la voce della comunità cristiana; contemplazione e liturgia sono due momenti indispensabili e complementari dell’espressione religiosa della Chiesa, pervasa dal soffio dello Spirito Santo e vivente di Cristo, la cui vita in essa persevera ed agisce (cfr. Maritain, Liturgie et contemplation, Désclée de Br.).

Ed è noto a voi tutti parimente come la prima affermazione, la prima riforma, il primo rinnovamento, che il Concilio Ecumenico ha dato alla Chiesa, ha avuto per oggetto la Liturgia, cioè la preghiera ufficiale e comunitaria della Chiesa stessa. Ricordiamolo bene.

Che diremo di coloro che distinguono l’attività della Chiesa in culturale e apostolica, separano l’una dall’altra, preferendo la seconda a scapito della prima? E che diremo di coloro che ritengono artificiosa, noiosa ed inutile la vita interiore, e praticamente indicano sciupato il tempo e vano lo sforzo per attendere al silenzio esteriore per dare al colloquio interiore la sua intima voce? Potrà mai il cristianesimo documentare se stesso di fronte al mondo bisognoso di verità vitale, se non si presenta come arte di esplorare le profondità dello spirito, di conversare con Dio, e di allenare i suoi seguaci all’orazione? Avrà mai un cristianesimo, che fosse privo di profonda, sofferta ed amata vita di preghiera, l’afflato profetico, che gli è necessario per imporre fra le mille voci risonanti nel mondo la sua che grida, che canta, che conquide e che salva? Avrà mai i carismi indispensabili dello Spirito Santo un’attività, che pretendesse testimoniare Cristo e infondere nell’umanità il fermento della novità rigeneratrice, qualora non attingesse nell’umiltà e nella sublimità dell’orazione il segreto della sua certezza e della sua forza?

Vi diciamo queste cose, Figli carissimi, affinché sia sempre presente in voi il concetto della necessità, della priorità della preghiera, e affinché sappiate corrispondere all’invito solenne del Concilio Ecumenico, che tutti invita a ritornare alle acque pure e vitali della preghiera della Chiesa; voi sapete quale sforzo essa stia svolgendo per ridare al Popolo cristiano il senso e la capacità di pregare con essa, e con essa celebrare e vivere i suoi misteri di grazia e di presenza divina.

E questo vi diciamo affinché nel periodo del riposo estivo ciascuno di voi sappia trovare qualche momento di raccoglimento interiore, di fervore spirituale, di rinnovamento religioso. Al riposo delle consuete fatiche professionali sia congiunta una veglia spirituale: il tempo libero anche a questo deve servire.

E poiché la vostra visita a questa considerazione Ci ha condotto e questa raccomandazione Ci ha suggerita, confortiamo in voi il buon desiderio d’un risveglio spirituale con la Nostra Apostolica Benedizione.

Il Movimento dell’Azione Cattolica per l'Infanzia (in francese)




Mercoledì, 27 luglio 1966 - PROLUNGAMENTO E SVILUPPO DEL VANGELO

27766

Diletti Figli e Figlie!

Anche Voi certamente, come tutti quelli che, dentro o fuori della Chiesa, sono stati obbligati dal grande avvenimento del Concilio Ecumenico a riflettere sulla natura e sulla missione della Chiesa medesima, vi sarete domandati: in sostanza, che cosa fa la Chiesa? Qual è la sua missione? Qual è precisamente la sua attività?


Queste domande hanno risposte facili, ma assai importanti e interessanti. È chiaro che la Chiesa vive ed opera per continuare e diffondere la missione stessa di Cristo. L’idea fondamentale, che presiede a tutta la dottrina sulla Chiesa, è quella della continuazione. La Chiesa è un prolungamento e uno sviluppo del Vangelo. La Chiesa porta Cristo nel tempo, nei secoli, nella storia; e cammina verso l’incontro finale, escatologico con Cristo glorioso. Una parola del Signore la fiancheggia: «Io sono con voi, tutti i giorni, sino alla fine del mondo» (
Mt 28,20). Ma questa continuità non è puramente statica, immobile, conservatrice. La Chiesa non è un’istituzione chiusa in se stessa, e sollecita soltanto di difendersi e di conservarsi. La Chiesa è nata per dare testimonianza: «Voi, - disse il Signore agli Apostoli prima di lasciarli - voi sarete testimoni miei . . . fino agli ultimi confini della terra» (Ac 1,8). La Chiesa è destinata a coprire la terra, è istituita per tutta l’umanità: è universale, cioè cattolica.

Bisogna riflettere bene su questa vocazione nativa della Chiesa, e ricordare come il Signore ha voluto che pensassimo a lei come ad un seme, che di natura sua deve germinare, espandersi e fruttificare; o come ad un fermento, che penetra, solleva, gonfia e infonde sapore alla massa.


PREDICARE DIFFONDERE PROCLAMARE LA DOTTRINA DI CRISTO

La Chiesa cioè è per natura sua apostolica, cioè missionaria; vogliamo dire sempre attiva e tutta impegnata nella fatica di diffondere il suo messaggio di salvezza, la sua concezione della vita e del mondo, il suo Vangelo.

Che cosa fa dunque la Chiesa? È chiaro: essa parla, essa predica, essa insinua, diffonde, proclama la dottrina di Cristo. Predica sopra i tetti, ciò che le è stato confidato all’orecchio (cfr. Mt 10,27). La Chiesa: dov’è viva, dov’è capita, dov’è fedele al mandato di Cristo, ha una prima e indispensabile attività: quella dell’annuncio della Parola divina. La fede, radice di tutto il sistema dottrinale e morale del cristianesimo, esige tale annuncio, esige la predicazione: «La fede - dice S. Paolo - deriva dall’ascoltazione, fides ex auditu» (Rm 10,17). La catechesi - una catechesi esatta, fedele, ortodossa, non arbitraria, non mutevole - è il suo primo dovere. La liturgia della parola precede quella eucaristica. La Chiesa è l’eco continua, esatta e autorevole, degli insegnamenti del Signore. La Chiesa è un apostolato, è una scuola, è una «propagazione della fede», è uno sforzo, che arriva fino all’ostinazione (ricordate gli Apostoli? «. . . Non possumus . . . non loqui», non possiamo tacere: Ac 4,20); fino al sacrificio (ricordate Stefano? E che cosa sono i martiri, se non predicatori, testimoni del Vangelo col sangue?).

Noi non finiremmo più queste semplici considerazioni, se volessimo documentare, con citazioni di testi conciliari, come e quanto la Chiesa, nel grande atto di riflessione, compiuto su se stessa nel solenne Sinodo Vaticano secondo, abbia confermato ed espresso questa sua propria missione fondamentale: essere apostolica, essere missionaria, essere diffusiva. «La Chiesa, che vive nel tempo, per sua natura è missionaria», proclama il Decreto conciliare «ad Gentes» (n. AGD 2).


IN OGNI BATTEZZATO LA DEDIZIONE AL REGNO DI DIO

E ciò che dà al recente Concilio una sua nota caratteristica, voi lo sapete, è il riconoscimento della vocazione, estesa a tutti i fedeli, dell’obbligo, anzi, che essi hanno di «diffondere e di difendere con la parola e con l’opera la fede come veri testimoni di Cristo» (Lumen Gentium LG 11). E questo riconoscimento si precisa nell’affermazione che estende ai Laici cattolici il diritto-dovere dell’apostolato (ibid. LG 33 : Apostolicam actuositatem AA 2 AA 3, etc.).

Questa meravigliosa, e, in certo senso, nuova dottrina indica ciò che fa la Chiesa: chiama gli uomini, li istruisce, li fortifica, li mobilita, li fa partecipi della sua missione salvatrice, sveglia in essi la coscienza d’un messianismo comune e promuove in ciascuno di essi la dedizione alla causa di Cristo, non per un sogno di conquista e di potenza, ma per un impegno d’amore a tutti i viventi e per la gloria del regno di Dio.

Vorremmo, a questo punto, domandare a ciascuno di voi se avete posto attenzione a questa nuova vivacità apostolica, che deve oggi invadere gli animi di coloro che si dicono cattolici, e che deve tutti abilitare a dare nuova e positiva testimonianza a Cristo. Questo dovrebbe essere il «postConcilio»; questo il rinnovamento, l’aggiornamento auspicato dal Concilio Ecumenico.


OLTRE OGNI STANCHEZZA IL VIGORE DI ANIME GENEROSE

A questo riguardo voi osserverete due fenomeni diversi e divergenti. Quello di figli della Chiesa, che si direbbero stanchi d’essere cattolici, e che profittano di questo periodo di revisione e di assestamento della vita pratica della Chiesa per mettere tutto in discussione, per instaurare una critica sistematica ed eversiva della disciplina ecclesiastica, per cercare la via più facile al cristianesimo; un cristianesimo svigorito dell’esperienza e dello sviluppo della sua tradizione; un cristianesimo conformista allo spirito delle altrui opinioni e ai costumi del mondo; un cristianesimo non impegnativo, non dogmatico, non «clericale», come dicono. Può mai logicamente derivarsi dal Concilio una simile stanchezza d’essere cattolici?

L’altro fenomeno invece è la scoperta d’essere cattolici, e la gioia d’esserlo, e con la gioia il vigore operativo nuovo, che mette in tanti cuori desideri, speranze, propositi, audacie di nuova attività apostolica. Il Concilio ha sollevato una generazione di spiriti vigilanti, che hanno udito la voce chiamante e implorante della Chiesa a maggiore sforzo d’apostolato; che si sono affrancati dal gregarismo, dalla passività, dall’acquiescenza che fa spiritualmente schiava tanta gente del nostro mondo odierno; e che si sono imposti qualche sacrificio - per alcuni, un grande sacrificio - per essere disponibili alla buona operosità della Chiesa. Non hanno temuto alcuni di offrire a Cristo la loro vita (il fenomeno delle .vocazioni adulte è eloquente e magnifico); altri, anche Laici - marito e moglie, talvolta -, sono partiti per i Paesi di missione; altri, già fissi al loro posto di lavoro, hanno deciso per un rinnovamento spirituale profondo e per un’attività più generosa ed ecclesiale; hanno «scelto la santità». E la santità, com’è noto, oggi comporta la carità dell’apostolato.

Figli e Figlie, che Ci ascoltate: siete voi fra questi?

Noi lo speriamo, Noi lo auguriamo con la Nostra Benedizione Apostolica.

Commosso incontro con i grandi sofferenti

Per l'udienza generale di mercoledì 27 luglio, tra i gruppi annunciati era quello di alcuni ciechi-sordomuti, di recente associati in un Sodalizio di alta e cristiana fraternità, sorto nella Diocesi dei Marsi, e denominato la «Lega del filo d’oro». Ne fanno parte, oltre coloro che sono colpiti dalla tremenda sventura di aver perduto la vista, l’udito e la favella, anche altri non vedenti che assumono l’ufficio di essere essi stessi i più vicini consolatori dei più provati fratelli. La Lega ha avuto l’approvazione e riceve l’incoraggiamento e l’appoggio del Vescovo diocesano, S. E. Monsignor Domenico Valerii.

Con atto di squisita bontà, il Santo Padre dispone che il gruppo, anziché essere accolto con gli altri pellegrinaggi nella grande aula delle udienze, salga al palazzo pontificio: ed ivi, nella sala detta dello Svizzero, avviene l’incontro del Padre di tutte le anime con questi carissimi fedeli.

La «Lega del filo d’oro», cioè della regale carità di Cristo, è sorta lo scorso anno, per iniziativa della Signorina Sabina Santilli, di San Benedetto dei Marsi, colpita ella stessa, nella fanciullezza, dalla triplice infermità, e applicatasi da vari anni, con grande fede ed encomiabile serenità, ad una tenace opera di quotidiana fatica, riuscendo ad intendere ed anche ad esprimersi. Un gruppo di assistenti si dedica con generosa premura a rendere possibile la comunicazione degli infelici col mondo esterno: e tra i mezzi più efficaci è il metodo Malossi, la segnalazione, cioè, delle varie lettere dell’alfabeto sulle falangi delle dita di una mano.

Alla udienza partecipano rappresentanti delle due sezioni - maschile e femminile - del Sodalizio, le quali, in periodi distinti, trascorrono qualche settimana dei mesi estivi presso il santuario della Madonna dell’Oriente - nelle vicinanze di Tagliacozzo - officiato dai Religiosi Frati Minori, che fraternamente coadiuvano il Rev.do Don Dino Marabini, il sacerdote assistente, istruttore e direttore spirituale dei due gruppi.

Don Marabini presenta al Santo Padre gli inconsueti pellegrini, dando notizie su quanto viene compiuto per alleviare l’indicibile pena. La stessa Sig.na Santilli pronuncia, assai distintamente, alcune frasi di filiale e riconoscente omaggio a nome di tutti.

Paolo VI subito ringrazia, con paterne commosse ed affettuose parole, i dilettissimi figli per la visita. Assicura che Egli pregherà per loro, invocando a vantaggio di ognuno le più ampie consolazioni divine, e chiede, a sua volta, il valido aiuto delle loro orazioni.

Le affettuose espressioni del Papa, immediatamente comunicate agli intervenuti, suscitano in tutti la più viva riconoscenza. Una voce, interprete degli unanimi sentimenti, dice con fervido slancio: Grazie dal profondo del cuore, Santità.

L’Augusto Pontefice ammette poi al bacio della mano i singoli intervenuti - oltre sessanta, e di ogni età, dagli adolescenti agli anziani (tra questi un maestro di musica che, già cieco, da oltre cinquant’anni ha perso l’udito) - e dona a ciascuno una medaglia ricordo della memorabile udienza, interessandosi delle varie provenienze, nonché delle attività svolte dai non vedenti in molteplici mansioni.

Al termine dell’udienza, un gentile epilogo. Il gruppo delle non vedenti esegue, a tre voci, un delicato canto: «La tua Chiesa, che fondasti . . .», con speciale invocazione a Gesù, Pastore eterno delle anime, perché moltiplichi grazie ed energie per il Capo visibile della Chiesa.

Dopo aver impartito la Benedizione Apostolica, il Santo Padre vuole ancora una volta salutare amabilmente il gruppo, ringraziando ed elogiando il Sacerdote direttore, i Religiosi e tutti gli altri assistenti per la loro altissima opera di splendente carità.




Mercoledì, 3 agosto 1966 - UN INCONTRO DI PROFONDA COMMOZIONE

30866

Diletti Figli e Figlie!

Voi sapete che in questo periodo post-conciliare riserviamo questa breve conversazione a qualche modesta considerazione sulla Chiesa, cercando così di suggerire semplici e buoni pensieri spirituali a ricordo dell’udienza generale settimanale.


Ebbene, mercoledì scorso, dopo tale Udienza, nella quale abbiamo detto qualche parola sulla Chiesa militante, abbiamo ricevuto in un’altra Udienza successiva un gruppo di umili visitatori, che Ci hanno profondamente commossi; erano ciechi, ed erano sordomuti, pietosamente assistiti e guidati da buone persone dal cuore d’oro; questi poveri visitatori Ci hanno fatto subito pensare: e questi non sono la Chiesa? L’aspetto della loro infelicissima condizione era soffuso di serenità, un po’ trepidante in quel momento per sapersi essi alla presenza del Papa, ma confidente altresì, come si trattasse d’un incontro con un’antica conoscenza, con un Padre, ch’essi parevano indovinare avere per loro, anzi dovere a loro una particolare preferenza. Poveri figli! Quale pietà! Quanta affettuosa compassione hanno suscitato nel Nostro spirito! Ad un certo punto da alcuni di essi, i ciechi, si levò un filo di voce, un timido canto, fattosi subito più sicuro e gioioso. Quei poverini non piangevano, non gridavano; cantavano. Noi avevamo il cuore pieno di tenerezza e di ammirazione. Come avremmo voluto consolare, risanare quelle misere creature condannate a perenne, dolorosa esistenza! E ritornò nel Nostro animo la domanda: non sono forse anch’essi la Chiesa, figli della Chiesa, simboli della Chiesa, questi sofferenti, così provati dalla sventura, così sorretti dalla fede, così assistiti dalla carità, così consolati dalla pietà?

LA CHIESA DELLE BEATITUDINI EVANGELICHE

Oh, sì! Essi e tanti altri come loro ci offrono la visione della Chiesa sofferente, che possiamo ben dire la vera Chiesa delle beatitudini evangeliche, la vera Chiesa della realtà vissuta, la Chiesa paziente nel dramma della storia, la Chiesa anelante e piangente alla vita promessa a coloro che avranno portato con Cristo la sua Croce.

Noi pensiamo che sia opportuno e doveroso riflettere sul rapporto tra la Chiesa di Cristo e l’umanità sofferente. L’idea di Chiesa è di natura sua associata a quella d’una fortuna, d’una felicità, d’un regno pieno di luce e di vita, così che facilmente dimentichiamo che la beatitudine ch’essa annuncia, promette e realizza è, per il momento, cioè durante la nostra vita terrena, essenzialmente spirituale e non mai totale; è la beatitudine della coscienza e della speranza, che solo oltre il nostro pellegrinaggio nel tempo avrà la sua pienezza. Le beatitudini del Vangelo proiettano nel futuro l’adempimento delle loro promesse. «Spe enim salvi fatti sumus»: siamo infatti, dice S. Paolo, salvati nella speranza (
Rm 8,24); e S. Pietro scrive: «Dio . . . ci ha rigenerati in una speranza viva» (1P 1,3).


ACCOGLIENZA PREFERENZIALE AL DOLORE

Il che vuol dire che la Chiesa, cioè la religione cristiana, non è una società d’assicurazione contro i mali della vita presente; anzi, se bene si osserva, è una società dove le sofferenze umane trovano una accoglienza preferenziale. La Chiesa, si, è tutta rivolta ad alleviare i mali dell’uomo, il peccato per primo, il dolore, la miseria, la morte. Essa è pietosa verso ogni deficienza umana; e proprio per questo corre fra la Chiesa e l’uomo che soffre una profonda simpatia. Nessuna filantropia può, in linea di principio e spesso in linea d’esperienza vissuta, gareggiare nella sollecitudine verso i bisogni dell’uomo con la carità, la quale a tutti i motivi del naturale interessamento aggiunge la soprannaturale valutazione della dignità di ogni essere umano, riconosciuto figlio di Dio e fratello in Cristo; e fa inoltre sentire l’urgenza del sommo precetto evangelico, quello di amare chi è più piccolo, più solo, più bisognoso, più sofferente.

Chi sa ben valutare questo rapporto può comprendere la tendenza della Chiesa a chinarsi amorosamente verso i poveri e gli infelici; anzi, a fare di essi i suoi figli prediletti, e a dare a se stessa il titolo umile e glorioso di Chiesa dei Poveri, non che a proporsi come programma la povertà. La prima beatitudine del discorso della montagna risuona sempre nel cuore della Chiesa. Ne abbiamo ascoltato l’eco diventare più forte e avvincente durante il Concilio (cfr. Decr. Christus Dominus CD 13 e Presbyt. Ordinis PO 6).

PIÙ INTENSO AMORE PER LA MADRE SOFFERENTE

E chi considera attentamente tale rapporto tra Chiesa e sofferenza umana, potrà altresì qualche cosa comprendere del mistero di avversità, che la Chiesa medesima incontra e subisce. La passione del Signore, Capo della Chiesa, continua nelle sue membra, nel suo mistico corpo, la Chiesa (cfr. Col 1,24). Voi lo sapete, questa è la storia della Chiesa; e non soltanto storia passata, ma in non poche regioni del mondo storia presente. «Come Cristo - dice il Concilio - ha compiuto la redenzione nella povertà e nella persecuzione, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza» (Lumen Gentium LG 8); e cita S. Agostino: la Chiesa «prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio: inter persecutiones mundi et consolationes Dei peregrinando procurrit Ecclesia» (De civ. Dei, 18, 51, 2; P.L. 41, 614).

Sì, Figli carissimi, bisogna rendersi conto che noi apparteniamo non ad una Chiesa trionfante, ma ad una Chiesa militante, contrastata e sofferente. Vorremo noi amarla meno la Chiesa per questo? Non vorremo noi partecipare alla sua povertà e alla sua passione? Dimenticheremo noi che la Chiesa, anche nella sua sofferenza, e proprio per questa stessa sofferenza, sperimenta insieme le «consolationes Dei», e «sovrabbonda di gaudio in ogni tribolazione» sua? (2Co 7,4). Non la ameremo noi forse di più la nostra Madre, la santa Chiesa, proprio perché sofferente? È l’invito che a voi tutti facciamo con la Nostra Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 10 agosto 1966

10866
Diletti Figli e Figlie!

Quando noi Ci vediamo circondati, come in questo momento, di tanti volti sconosciuti; quando pensiamo che molte delle persone presenti Ci incontrano per la prima volta, e non conoscono di questa Sede centrale della Chiesa se non la scena di questa Udienza; e quando ricordiamo come sia facile per un visitatore passeggero, per un turista frettoloso, per un osservatore superficiale giudicare secondo dei particolari curiosi, spesso insignificanti, tutto il mondo ecclesiastico, la sua storia, la sua missione, la sua moralità, la sua religione, sorge nel Nostro animo il dubbio circa il carattere buono, edificante, felice dell’impressione, che questo incontro lascerà negli animi dei Nostri visitatori.

Quale immagine, quale concetto della Chiesa e del Papa riporteranno essi a ricordo di questo momento? Quale giudizio, quale atteggiamento sia spirituale che pratico verso Roma cattolica? Se poi pensiamo che il volto storico, l’aspetto umano, la faccia esteriore della Chiesa romana lasciano vedere tanti difetti, tante incoerenze, tante debolezze, Ci domandiamo: sarà cresciuta, o piuttosto diminuita in queste persone la stima e la simpatia per la Chiesa stessa; sarà fortificata, ovvero scossa la loro fede? E se riflettiamo alle molte critiche, ai molti sospetti, ai molti pregiudizi, che la mentalità moderna, non esclusa spesso quella dei buoni e dei saggi, riserva al Nostro ufficio apostolico e alla Chiesa, Ci domandiamo se la Nostra accoglienza così semplice e così breve a quanti qua accorrono sia più idonea a svegliare in essi sentimenti di sfavore e di noia, che di simpatia e di adesione.

È vero, Figli carissimi, che le vostre acclamazioni e i segni di affetto e di devozione, con cui voi Ci festeggiate, Ci assicurano della bontà delle vostre intenzioni e della fedeltà dei vostri animi.

Ma Noi non vogliamo tralasciare di ragionare un istante sull’ipotesi che la vostra impressione di questa Udienza, e, in genere, dell’esperienza che voi potete avere della vita della Chiesa, sia negativa. Non può capitare a tutti di avere impressioni infelici sulla Chiesa?

Che cosa dunque vi diremo? Noi abbiamo passato in rivista, in alcune Udienze precedenti, i nomi gloriosi che qualificano la Chiesa: regno di Dio e città di Dio, casa di Dio, ovile e gregge di Cristo, Sposa di Cristo, e così via; come pure abbiamo nominato alcuni degli aspetti con cui si presenta l’attività della Chiesa: Chiesa orante, Chiesa missionaria e militante, Chiesa povera e sofferente, ecc. Vi diremo ora che vi è un altro aspetto della Chiesa in questo mondo, quello della Chiesa umile; della Chiesa, che conosce i propri limiti umani, i propri falli, il proprio bisogno della misericordia di Dio e del perdono degli uomini. Sì, vi è anche una Chiesa penitente, che predica e pratica la penitenza; che non nasconde le proprie mancanze, ma le deplora; che si confonde volentieri con l’umanità peccatrice per trarre dal senso della comune miseria più forte il dolore del peccato, più implorante l’invocazione della divina pietà, e più umile la fiducia della sperata salvezza. Chiesa umile, non solo nelle file del popolo fedele, ma altresì, e soprattutto, nei gradi più alti della gerarchia, che nella coscienza e nell’esercizio delle sue potestà, generatrici e moderatrici del Popolo di Dio, sa di doverle adoperare per l’edificazione e per il servizio delle anime; e ciò fino al grado primo, quello di Pietro, quello che definisce se stesso «Servo dei servi di Dio», e che sente, più d’ogni altro, la sproporzione fra la missione ricevuta da Cristo e la debolezza e l’indegnità propria, sempre ricordando l’esclamazione dell’Apostolo pescatore: «Exi a me, quia homo peccator sum, Domine: Allontanati da me, Signore, perché io sono uomo peccatore» (
Lc 5,8).

E qui un fatto singolare e stupendo si presenta, quello della santità e dell’indefettibilità della Chiesa e della rappresentanza di Cristo in essa, anche quando gli uomini di Chiesa sono personalmente manchevoli. La Chiesa di Pietro gode d’un’assistenza di Cristo e d’una presenza dello Spirito Santo, che non consentono la prevalenza delle forze del male (cfr. Mt 16,18); e la Chiesa intera non cessa d’essere amata da Cristo anche nei più gravi momenti della sua umana fragilità, e di possedere nell’esercizio delle sue funzioni pastorali una santità strumentale, sempre capace di generare santità e salvezza «per l’edificazione del Corpo di Cristo» (Ep 4,12).

Questa osservazione, che Ci condurrebbe allo studio delicato dell’azione del Signore nella sua Chiesa, Ci autorizza a fare a voi, diletti Figli e Figlie, una duplice raccomandazione. Procurate di conoscere bene la Chiesa, di conoscerla meglio; ecco la prima raccomandazione. Non vi contentate di impressioni superficiali, non giudicate la Chiesa soltanto dalla faccia umana e dalla veste esteriore, ch’essa presenta; conoscetela nella varietà, nella ricchezza, nella profondità dei suoi molteplici aspetti, nel mistero umano-divino del suo essere interiore, nella santità e nella necessità della sua missione salvatrice.

Ed in secondo luogo: i difetti, i mali della Chiesa, se pur li incontrate, non spengano, ma ancor più accendano il vostro amore per essa. Ripeteremo le parole di Gesù: «Beato chi non si sarà scandalizzato in me» (Mt 11,6), ma avrà dato alla Chiesa fedeltà, testimonianza, servizio tanto maggiori quanto più grandi sono i bisogni ch’essa manifesta. Con la Nostra Apostolica Benedizione.




Paolo VI Catechesi 13766