Paolo VI Catechesi 10670

Mercoledì, 10 giugno 1970

10670
L’Istituto di sociologia pastorale

Siamo lietissimi di dedicare stamane un saluto di particolare affetto al gruppo di Sacerdoti che frequentano qui in Roma l’Istituto di Sociologia Pastorale. E lo facciamo di gran cuore, perché questo incontro col Vicario di Cristo coincide con il primo decennio di attività dell’Istituto stesso.

Grazie, figli carissimi, di questo vostro delicato pensiero. Ne profittiamo non soltanto per dire a voi la nostra parola di stima e di compiacimento, ma altresì per rivolgere il Nostro plauso più sincero ai promotori di una Istituzione che ha già reso segnalati servizi alla Chiesa, specialmente nei Paesi in via di sviluppo. Sappiamo, infatti, che il vostro Istituto lavora nel silenzio operoso, nella dedizione generosa, per offrire un solido orientamento sociale e pastorale a quei sacerdoti - specialmente latino-americani, africani e asiatici - che non hanno possibilità di frequentare corsi accademici di scienze sociali. Opera quindi altamente benemerita, quando si pensi al contributo che possono dare all’avvenire della Chiesa nei suddetti Paesi, sacerdoti più preparati a diffondere una sana mentalità sociale cristiana, a promuovere un ordinato sviluppo sociale, a difendere i propri fedeli dalle insidie della propaganda materialista.

Per questo motivo Noi formuliamo volentieri i migliori voti per la prosperità del vostro Istituto, e mentre invochiamo su di esso le più elette grazie del Signore, a voi tutti con effusione di cuore impartiamo l’Apostolica Benedizione.

La collaborazione missionaria dei laici

Salutiamo e ringraziamo pubblicamente i proprietari, i dirigenti e le maestranze del Maglificio Sacor, di Cassano Murge, per la loro presenza e per l’atto che hanno voluto compiere in occasione del 50° anniversario del Nostro sacerdozio: il finanziamento di un laboratorio di cucito presso le missioni Comboniane, in Uganda. Vi accogliamo con grande compiacimento, come già nell’udienza del 1965, quando, alla vigilia del Nostro viaggio in India, ci avete portato tremila magliette per i piccoli dell’India; così ci avete accompagnati spiritualmente a Bogotà con una generosa offerta per le necessità di qualche famiglia colombiana; e ora, ricordando il Nostro pellegrinaggio in terra d’Africa, dello scorso anno, rinnovate la fragranza di quei gesti esemplari. Il vostro impegno, ispirandosi agli insegnamenti conciliari sulla collaborazione missionaria che deve animare i laici (Cfr. Ad gentes
AGD 41) e alle pressanti esortazioni della Nostra Enciclica Populorum progressio (Cfr. Populorum progressio PP 75), dice chiaramente quale amore alla Chiesa, quale sensibilità per le esigenze dei fratelli, quale fedeltà alla Sede di Pietro vi ispirino e sorreggano nel vostro lavoro. È il Sacro Cuore di Cristo, al cui titolo fa riferimento la vostra volonterosa industria, a istillarvi questi nobilissimi sentimenti. Continuate a coltivarli con generosità e compiacenza, e non vi mancheranno mai le benedizioni del Cielo, delle quali la Nostra vuol essere pegno e auspicio, e conferma di grande, sincera benevolenza.

Pellegrini sloveni

Un cordiale saluto vogliamo rivolgere ai pellegrini sloveni della parrocchia di Ilirska Bistrika, della Amministrazione Apostolica di Koper, ed al loro Arciprete.

Mentre desideriamo esprimere, carissimi figli, il Nostro compiacimento e la Nostra letizia nel vedervi e sentirvi presenti in questa Basilica, per manifestare la vostra fedeltà alla Cattedra di Pietro, facciamo voti the possiate dare, sempre e dovunque, una costante testimonianza di vita cristiana, generosa e cosciente.

Come segno della Nostra benevolenza, vi impartiamo l’Apostolica Benedizione, the estendiamo alle vostre famiglie e a tutte le persone the vi sono care.

Gruppi di lingua inglese

We extend a warm welcome to the Reverend Trevor Shepherd and to the group of pilgrims from New Zealand. Thanking you for your gracious visit we ask you to convey our respectful greetings to your Churches and local congregations. “Grace to you and peace from God our Father and the Lord Jesus Christ” (1Co 1,3).

From the United States We are happy to have with Us this morning the Rector and students of the General Theological Seminary. It is with deep pleasure that we greet our Anglican brethren; we extend to you the respectful welcome of the Church of Rome.

We greet with equally deferential regard the members of the English Language International Theological Seminar. We present to you our best wishes for your summer studies on theological developments. “The Lord be with you all” (1Th 3,16).

Special greetings to our dear sons and daughters from India. It is always a pleasure to receive visitors from your noble nation. This morning once again it is Our intention to reiterate Our affection for you all. Through you We greet your families and your dear country.

To all of you Our Apostolic Blessing.

«Camerata Bariloche» di Argentina

Una mención especial de bienvenida y reconocimiento para vosotros, amadísimos hijos de la Argentina, miembros de la agrupación musical «Camerata Bariloche».

Deseamos ardientemente que la belleza de vuestras interpretaciones musicales sean siempre, para vosotros y para vuestros oyentes, ocasión preciosa de elevación espiritual hacia Aquel que es Autor de toda belleza. Os felicitamos y nos auguramos de corazón que continuéis desarrollando la noble tarea de promoción de jóvenes a quienes el Señor ha dotado para dedicarse al arte de la música.

Nuestra Bendición para vosotros, para la benemérita Fundación Bariloche, para vuestras familias.



Mercoledì, 17 giugno 1970

17670

Nella nostra ricerca delle idee principali del Concilio, ricorrenti nelle dottrine dei suoi documenti, e informatrici dello stile ecclesiale, che tutto lo penetra, una troviamo, sulla quale non possiamo non fermare la nostra attenzione; ed è l’idea di servizio.

Non è certo un’idea nuova nella concezione religiosa, intesa come un ordine stabilito da Dio, nel quale ordine ogni creatura, anche l’uomo, creatura libera, si trova implicata e subordinata. Il timore di Dio, essenza del senso religioso naturale, è definito «principio della sapienza» (
Ps 110,10 Si 1,16); è il principio logico e ontologico della filosofia biblica, e proclama al tempo stesso il dominio assoluto di Dio creatore e la dipendenza, sia pure libera, ma moralmente necessaria, dell’uomo. Il dovere fondamentale di adorazione (latria) si evolve in quello di servizio (diaconia). Nell’ambito religioso della rivelazione, questo concetto di servizio assume figura particolare nella seconda parte del libro di Isaia, nel quale la figura misteriosa del «servitore del Signore» si presta a diverse interpretazioni, tra le quali prevale chiaramente quella del Messia redentore (Cfr. Is Is 42,1 ss.; Is 49,3-6 Is 52,13-15 Is 53).

Gesù, come tutti sanno, sebbene Figlio di Dio, volle assumere natura di schiavo, facendosi simile all’uomo, «umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte di croce» (Cfr. Ph 2,6-8). Tutto il Vangelo si svolge in uno spirito di sudditanza alla volontà del Padre, e in uno spirito di servizio al bene altrui; questo spirito informa tutta la missione di Cristo, il Quale dice apertamente di se stesso che «il Figlio dell’uomo - cioè Gesù, il Messia - non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita in redenzione di molti» (Mt 20,28). E tutti sappiamo come Gesù ha fatto del suo esempio una legge ai suoi discepoli; vale la pena di citare il testo di questa grande lezione riformatrice e costituzionale per la Chiesa: «I re delle nazioni le dominano, e quelli che hanno autorità su di esse sono chiamati benefattori. Non sia però così fra voi; anzi il più grande fra voi sia come il più piccolo; e chi governa sia come colui che serve . . . Io sto in mezzo a voi come uno che serve» (Lc 22,26-27).



POTESTÀ E MINISTERO

Questo insegnamento del Signore è stato espressamente e intenzionalmente assunto dal Concilio, e riferito in modo esplicito e diretto all’autorità che governa il Popolo di Dio, riprendendo un tema che pervade tutta la tradizione ecclesiastica, e che identifica la potestà col ministero (Cfr. CONGAR, Pour une Eglise servante et pauvre, p. 15 e n. 2). Sant’Agostino ci offre al riguardo le formole più incisive, e con lui San Gregorio Magno (Cfr. ID., L’Episcopat et l’Eglise universelle, p. 26 ss.; 101-132). E ministero vuol dire servizio, servizio per amore, per altrui utilità, con sacrificio di sé. L’affermazione del Concilio su questo punto (Cfr. Lumen gentium LG 32) è molto importante ed è destinata a rettificare e ad autenticare l’esercizio dell’autorità nella Chiesa, a riportarne le forme alle sue genuine espressioni pastorali, a rivelare il titolo fondamentale della potestà gerarchica nella Chiesa, l’amore, a rivendicarne, nell’umiltà e nella dedizione, la dignità e la necessità. È un’affermazione che, prima d’ogni altro, riguarda l’ufficio a noi commesso nella Chiesa universale; e noi preghiamo Cristo Signore, come ci raccomandiamo alla pietà dei nostri fratelli e dei nostri figli, per potervi dare fedele ed esemplare osservanza, quale si conviene a chi fa proprio il titolo di «servo dei servi di Dio». Questo tema del servizio come ragion d’essere dell’autorità nella Chiesa si presta a molte considerazioni, sia per chi vuole rintracciare nelle pagine del Nuovo Testamento l’eco alla parola magistrale di Gesù; ovvero per chi lo cerca nella documentazione patristica, o teologica (Cfr. ad es. Summ. Theol., II-II 88,12); oppure per chi rintraccia nella lunga storia della Chiesa la congiunzione della potestà pastorale con l’autorità civile con le relative complicazioni e alterazioni del concetto evangelico dell’ufficio gerarchico; o anche, come oggi si sta facendo, per chi va cercando le forme e lo stile con cui la Chiesa deve esercitare la sua autorità gerarchica: l’idea del servizio rimane il parametro di confronto e di perfezionamento canonico del potere conferito da Cristo ai suoi Apostoli e ai loro successori per la guida del Popolo di Dio.

L'AUTORITÀ DELLA GERARCHIA

Ma Noi qui ci limitiamo ad alcune rapide e semplici osservazioni. Il fatto che Gesù Cristo ha voluto che la sua Chiesa fosse governata in spirito di servizio non vuol dire che la Chiesa non debba avere una potestà di governo gerarchico: le chiavi conferite a Pietro dicono qualche cosa, dicono assai; come la parola di Gesù che trasferisce agli Apostoli la sua divina autorità, quasi identificandosi con loro: «Chi ascolta voi, ascolta me; e chi disprezza voi, disprezza me» (Lc 10,16), c’insegna di quale potere, pastorale sempre, e destinato al bene della Chiesa, ma forte ed efficace, siano rivestiti coloro che rappresentano Cristo, non per elezione dalla base, o per incarico della comunità, ma per trasmissione apostolica, mediante il sacramento dell’ordine sacro; e ci spiega come l’apostolo Paolo, il quale aveva ben chiara coscienza d’essere al servizio di tutti: debitor sum (Rm 1,14), non tema di minacciare i Corinti riottosi di ritornare da loro, se occorresse, in virga (1Co 4,21), col bastone del castigo; ed anche di tradere . . . Satanae, cioè di scomunicare, di consegnare a Satana l’incestuoso infelice.

Un’altra osservazione: tutto «l’ordinamento ecclesiale è inteso esattamente solo se concepito come ordinamento di servizio. Per comprendere esattamente il compito ministeriale della gerarchia ecclesiastica è necessario inserirlo nel problema più ampio della funzione di servizio, che spetta a tutti i membri della Chiesa . . . Il servizio ecclesiale è compito proprio di tutti i membri della Chiesa» (LÖHRER, La gerarchia al servizio del popolo cristiano, nel vol.: La Chiesa del Vaticano II, p. 699).



DUPLICE COMPITO ECCLESIALE

E questo vale per ogni singolo fedele, ma ancor più per tutto il corpo ecclesiale; la Chiesa intera è al servizio dell’umanità; è questa l’idea centrale, della Costituzione pastorale Gaudium et spes (Cfr. Gaudium et spes GS 3 GS 11 GS 42 GS 89, etc.). È fuori dubbio che, se la Chiesa sarà imbevuta di questa coscienza del servizio di salvezza, ch’essa deve al mondo, essa sarà più premurosa e gelosa d’essere unita, d’essere santa, d’essere disinteressata, d’essere missionaria, d’essere comprensiva dei bisogni del nostro tempo; e diventerà più sollecita nella fedeltà al duplice compito che, a tal fine, le è assegnato: mantenere intatta la fede, cioè il patrimonio di verità e di grazia, che Cristo le consegnò; e rendersi progressivamente capace di comunicare agli uomini il suo messaggio ed il suo carisma di salvezza. Così che l’idea di servizio, lungi dall’incombere sulla Chiesa come un peso opprimente e paralizzante, l’abilita a rinnovarsi nella sua autentica vocazione interiore e ad effondersi in apostolato sempre nuovo, sempre geniale, sempre generoso. È la forza rigeneratrice del dovere; è l’energia espansiva dell’amore.

Resterebbe da spiegare come questa idea di servizio si possa accordare con quella della libertà, di cui il Concilio ci ha pure lasciato indimenticabili insegnamenti. Ma Noi opiniamo che ciascuno possa da sé scoprire il nesso armonico fra queste due idee conciliari, solo che siano comprese nel loro giusto significato. Lo auspichiamo, con la Nostra Apostolica Benedizione.



La «Mariapoli» di Rocca di Papa

Con vivo piacere accogliamo stamane anche un gruppo di cristiani separati, provenienti da vari Paesi d’Europa e del Libano, attualmente ospiti del « Centro Mariapoli » di Rocca di Papa per una settimana di incontri col Centro del Movimento dei Focolari. Salutiamo affettuosamente questi nostri fratelli, e cogliamo l’occasione per attestare loro la nostra simpatia e la nostra stima.

Sappiamo che lo scopo di questi vostri fraterni incontri è il desiderio di giungere ad una più approfondita reciproca conoscenza, fondata sull’amore di Cristo. In tal modo voi portate il vostro volenteroso contributo nel campo dell’azione ecumenica, tanto sentita e tanto necessaria oggi. Vi esprimiamo pertanto la Nostra viva gratitudine; e mentre formuliamo voti per il costante sviluppo di così provvide iniziative, vi incoraggiamo a proseguire con l’assicurazione della Nostra benevolenza e soprattutto della Nostra preghiera, con la quale invochiamo su di voi le più elette grazie del Signore.

We are very happy to extend a special greeting to our Anglican brethren from England and Australia. We welcome you most cordially and hope that your visit in Rome is a pleasant one. We wish to make our own the greeting of Saint Paul: “The grate of our Lord Jesus Christ be with your spirit, brethren” (Ga 6,18).

Ein Wort herzlicher Begrüssung richten Wir noch an die ökumenische Gruppe von Studenten der Universität Oslo. Sehr geehrte Herren! Die katholischen und evangelischen Christen begegnen sich in ihrem gemeinsamen Glauben an den Gottmenschen Jesus Christus. Mögen Sie durch Ihre Studien als Historiker in diesem Glauben stets wachsen und in einem wahrhaft christlichen Leben ihn immer fruchtbarer werden lassen!


Mercoledì, 24 giugno 1970

24670

Il nostro studio su lo spirito del Concilio, quello spirito che deve formare in noi una nuova ed autentica mentalità cristiana e deve esprimersi in un nuovo stile di vita ecclesiale, ci porta facilmente al tema della povertà.

Se ne è parlato molto. Aprì il discorso il Nostro venerato Predecessore Papa Giovanni XXIII con il radiomessaggio ai cattolici di tutto il mondo, un mese prima del Concilio, accennando, fino d’allora, ai problemi che la Chiesa trova davanti a sé, dentro e fuori dell’ambito suo, e affermando che «la Chiesa si presenta qual è, e vuole essere, come la Chiesa di tutti e particolarmente la Chiesa dei Poveri» (A.A.S. 54 (1962), p. 682). Questa parola ebbe un’eco immensa. Era essa stessa eco d’una parola biblica, venuta da lontano, dal Profeta Isaia (Cfr.
Is 58,6 Is 61,1 ss.) e fatta propria da Gesù, nella sinagoga di Nazareth: «Io sono mandato per annunciare ai Poveri la buona novella» (Cfr. Lc 4,18). Tutti sappiamo quale importanza abbia in tutto il Vangelo il tema della povertà: a cominciare dal sermone delle beatitudini, nel quale i «Poveri di spirito» hanno il primo posto, non solo nel sermone, ma nel Regno dei cieli, per continuare nelle pagine dove gli umili, i piccoli, i sofferenti, i bisognosi sono magnificati come i cittadini preferiti del medesimo regno dei cieli (Mt 18,3) e come i rappresentanti viventi di Cristo stesso (Mt 25,40). L’esempio poi, e soprattutto, di Cristo è la grande apologia della povertà evangelica (Cfr. 2Co 8,9 S. AUG., Sermo 2Co 14 PL 2Co 38,115). Sappiamo; e faremo bene a ricordarlo, proprio in omaggio a quella autenticità cristiana, che, auspice il Concilio, conforme aI genio spirituale del nostro tempo, noi tutti andiamo cercando.



PRINCIPIO TEOLOGICO E MORALE

Il tema è molto vasto; e Noi non pretendiamo affatto darvi qui svolgimento; solo lo ricordiamo, per la sua importanza teologica: la povertà evangelica comporta infatti una rettifica del nostro rapporto religioso, con Dio e con Cristo, a causa dell’esigenza primaria che questo rapporto afferma dei beni dello spirito nella classifica dei valori degni d’essere prefissi alla nostra esistenza, alla nostra ricerca e al nostro amore: «Cercate come prima cosa il regno di Dio» (Mt 6,33); e che svaluta - ecco la povertà! - nella graduatoria di stima verso i beni temporali, la ricchezza, la felicità presente, al confronto con il sommo Bene, che è Dio, e con il suo possesso, che è la nostra eterna felicità. L’umiltà dello spirito (S. AUG., Enarr. in Ps 73 PL Ps 36,175) e la temperanza, e sovente il distacco, sia nel possesso, che nell’uso dei beni economici, costituiscono i due caratteri della povertà, che il Maestro divino ci ha insegnata con la sua dottrina e ancor più, come dicevamo, col suo esempio: Egli si è rivelato, socialmente, nella povertà.

Come subito si vede, questo principio teologico, su cui si fonda la povertà cristiana, diventa un principio morale, informatore dell’ascetica cristiana: la povertà, vista nell’uomo, è, più che un dato di fatto, il risultato volontario d’una preferenza d’amore, scelta per Cristo e per il suo regno, con rinuncia, ch’è una liberazione, alla cupidigia della ricchezza, la quale comporta una serie di cure temporali e di vincoli terreni, occupando con prepotenza grande spazio nel cuore. Ricordiamo l’episodio evangelico del giovane ricco, il quale, posto nell’alternativa della sequela di Cristo, e dell’abbandono delle proprie ricchezze, preferisce queste a quella, mentre il Signore «lo guarda e lo ama» (Mc 10,21), e lo vede andarsene tristemente.

Ma il Concilio ci ha richiamato, ancor più che alla virtù personale della povertà, alla ricerca e alla pratica d’un’altra povertà, quella ecclesiale, quella che dev’essere praticata dalla Chiesa in quanto tale, come collettività riunita nel nome di Cristo.

Vi è in una pagina del Concilio una parola grande a questo proposito; la citiamo anche tra le molte altre, che incontriamo su questo tema nei documenti conciliari; essa dice: «Lo spirito di povertà e di amore è infatti la gloria e la testimonianza della Chiesa di Cristo» (Gaudium et spes GS 88). Essa è una parola luminosa e vigorosa, che esce da una coscienza ecclesiale in pieno risveglio, avida di verità e di autenticità, e desiderosa di affrancarsi da costumanze storiche, che ora si dimostrassero difformi dal suo genio evangelico e dalla sua missione apostolica. Un esame critico, storico e morale, s’impone per dare alla Chiesa il suo volto genuino e moderno, in cui la presente generazione desidera riconoscere quello di Cristo.

Chi ha parlato a questo proposito si è particolarmente soffermato sopra questa funzione della povertà ecclesiale, quella cioè di documentare la giusta visibilità della Chiesa (Cfr. CONGAR, Pour une Eglise servante et pauvre, p. 107). Così parlò specialmente il Card. Lercaro, alla fine della prima sessione del Concilio (6 dicembre 1962), insistendo su l’«aspetto», che la Chiesa oggi deve mostrare, agli uomini del nostro tempo in modo particolare, l’aspetto col quale si è rivelato il mistero di Cristo: l’aspetto morale della povertà, e l’aspetto sociologico della sua estrazione preferenziale fra i Poveri.



ESPERIENZE STORICHE

Tutti vediamo quale forza riformatrice abbia l’esaltazione di questo principio: la Chiesa dev’essere povera; non solo; la Chiesa deve apparire povera. Forse non tutti vedono quali giustificazioni possono darsi di aspetti diversi assunti storicamente dalla Chiesa nel corso della sua vita secolare e al contatto con particolari condizioni della civiltà; quando, ad esempio, l’aspetto della Chiesa apparve come quello d’una grande proprietaria terriera, essendo lei impegnata a rieducare le popolazioni al lavoro dei campi; ovvero come quello d’un potere civile, quando sfasciatosi questo, occorreva chi lo esercitasse con umana autorità; ovvero quando per esprimere il suo carattere sacro e il suo genio spirituale ornò di magnifici templi e di ricche vesti il suo culto; o per esercitare il suo ministero assicurò pane e decoro ai suoi ministri; o per dare impulso all’istruzione o all’assistenza del popolo fondò scuole e aperse ospedali; o ancora per immedesimarsi nella cultura di dati momenti storici parlò sovranamente il linguaggio dell’arte (Cfr. ad es. G. KURTH, Les origines de la civilisation moderne).


I MEZZI ECONOMICI E I FINI

Come si potrebbe, proprio ad onore dell’economia di povertà della Chiesa, facilmente dimostrare che le favolose ricchezze, che di tanto in tanto certa pubblica opinione le attribuisce, siano di ben diversa misura, spesso insufficienti ai bisogni modesti e legittimi della vita ordinaria, sia di tanti ecclesiastici e religiosi, sia di istituzioni benefiche e pastorali. Ma non vogliamo ora fare questa apologia. Accettiamo piuttosto l’istanza che gli uomini d’oggi, specialmente quelli che guardano la Chiesa dal di fuori, fanno affinché la Chiesa si manifesti quale dev’essere, non certo una potenza economica, non rivestita di apparenze agiate, non dedita a speculazioni finanziarie, non insensibile ai bisogni delle persone, delle categorie, delle nazioni nell’indigenza. Né vogliamo ora esplorare questo campo immenso del costume ecclesiale. Vi accenniamo appena, affinché sappiate che noi lo abbiamo presente e che già vi stiamo lavorando con graduali, ma non timide riforme. Noi notiamo con vigile attenzione come in un periodo come il nostro, tutto assorbito nella conquista, nel possesso, nel godimento dei beni economici, si avverta nella opinione pubblica, dentro e fuori della Chiesa, il desiderio, quasi il bisogno, di vedere la povertà del Vangelo e la si voglia ravvisare maggiormente là dove il Vangelo è predicato, è rappresentato; diciamo pure: nella Chiesa ufficiale, nella nostra stessa Sede Apostolica.

Siamo consapevoli di questa esigenza, interna ed esterna, del nostro ministero; e, con la grazia del Signore, come già molte cose sono state compiute in ordine alle rinunce temporali e alle riforme dello stile ecclesiale, così proseguiremo, col rispetto dovuto a legittime situazioni di fatto, ma con la fiducia d’essere compresi e aiutati dal popolo fedele, nel nostro sforzo di superare situazioni non conformi allo spirito e al bene della Chiesa autentica. La necessità dei «mezzi» economici e materiali, con le conseguenze ch’essa comporta: di cercarli, di richiederli, di amministrarli, non soverchi mai il concetto dei «fini», a cui essi devono servire e di cui deve sentire il freno del limite, la generosità dell’impiego, la spiritualità del significato.

E alla scuola del divino Maestro ricorderemo tutti di amare simultaneamente la povertà ed i Poveri; la prima per farne austera norma di vita cristiana, i secondi per farne oggetto di particolare interesse, siano essi persone, classi, nazioni bisognose di amore e di aiuto. Anche di questo ci ha parlato il Concilio. Abbiamo cercato e cercheremo di ascoltarne la voce.

Ma il discorso su la Chiesa dei Poveri dovrà continuare; per noi e per voi tutti, con la grazia del Signore. E con la Nostra Apostolica Benedizione.



Cappellani dell’ONARMO

Dobbiamo una parola di beneaugurante saluto e di paterno incoraggiamento ai numerosi Sacerdoti, partecipanti alla VI1 settimana di studio sulla pastorale nel mondo del lavoro, promossa dall’ONARMO.

Bravi e generosi Cappellani del lavoro! Voi portate nel compimento del mandato, affidatovi dai rispettivi Vescovi, la testimonianza vissuta dell’interesse sincero che la Chiesa nutre per le categorie lavoratrici.

Continuate con fermezza e fiducia, pur in mezzo alle immancabili difficoltà, a compiere il vostro zelante ministero, dedicando ad esso . le cure più vigili e generose, e promuovendone un sempre più efficiente inserimento organico nei programmi pastorali della Comunità ecclesiale.

L’approfondimento del tema proposto alla vostra riflessione in questa settimana di studio: «l’apostolato sacerdotale nel mondo del lavoro, nel quadro della pastorale d’insieme della Chiesa locale», come apre vaste prospettive di coordinata attività, così possa stimolare il vostro impegno a seguire fedelmente l’orientamento e le direttive dei Sacri Pastori, con rispettoso amore, con devota obbedienza e con volonterosa collaborazione.

Noi auguriamo alla vostra fatica il più fruttuoso e consolante successo, vi accompagniamo con le Nostre preghiere e di cuore vi benediciamo.

Sacerdoti di varie diocesi

Salutiamo ora i vari gruppi di sacerdoti provenienti dalle diocesi di Genova, di Milano, di Bologna, di Tortona, di Trento.

Diletti figli sacerdoti! Sappiamo che alcuni di voi sono sacerdoti novelli, altri celebrano il decennale della loro ordinazione, altri ancora il 25°: sono circostanze, queste, piene di significato, che invitano ognuno di noi a riflettere sulla grandezza della vostra dignità di «ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio» (1Co 4,1), e sulle responsabilità che ne conseguono. Sappiamo anche che avete voluto celebrare queste date vicini al Vicario di Cristo, animati dal comune intento di protestargli la vostra filiale devozione. Vi ringraziamo di cuore per il delicato pensiero, che conferma in noi la convinzione che il Signore vi guarda con specialissimo amore. Vi diremo adunque: siate fedeli alla chiamata del Signore, siate generosi, siate fiduciosi nel vostro sacerdozio, senza mai assimilarvi al mondo, ma al mondo dedicando il vostro servizio pastorale, senza indulgere al suo spirito, ma sempre mantenendo intatta la vostra personalità e individualità sacerdotale e lasciandovi sempre dirigere, come figli di Dio, dallo Spirito di Dio: «Quicumque enim Spiritu Dei aguntur, ii sunt filii Dei» (Rm 8,14).

Noi vi saremo vicini con la Nostra preghiera, e mentre vi ringraziamo del dono che avete fatto di voi stessi alla Chiesa, vi impartiamo di cuore 1’Apostolica Benedizione.

Delegati del «Secours Catholique»

... in francese

Il Nostro paterno saluto si rivolge anche ai ricoverati di un benemerito Ospedale Provinciale dell’Aquila, accompagnati dal Comm. Pasquale Santucci, Presidente della Amministrazione Provinciale, dai dirigenti, dai medici e dal personale di assistenza.

Vogliamo augurarvi, carissimi figli, che possiate presto ritornare, ristabiliti e rinfrancati nel corpo e nello spirito, alla serenità delle vostre famiglie. A questo fine invochiamo sulle vostre persone, sui vostri cari, e su quanti hanno cura di voi, copiosi favori celesti, in pegno dei quali impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Vogliamo anche indirizzare una parola di saluto e di augurio ai dirigenti e ai giovani atleti del «XII Torneo di Calcio Industria e Sport», organizzato dalla Società Ottico-Meccanica Italiana.

L’attività sportiva, alla quale dedicate con impegno il vostro tempo libero, sia per voi, carissimi figli, autentica palestra di sano e generoso agonismo, e di fraterna lealtà: giovi pertanto alla vostra formazione umana, al perfezionamento morale e all’equilibrio del vostro spirito (Cfr. Gaudium et spes GS 61).

Con questi voti, volentieri impartiamo a voi, ai vostri dirigenti e a tutte le persone care 1’Apostolica Benedizione.

Ein Wort herzlicher Begrüssung richten Wir noch an die Teilnehmer eines Schulungskurses vom «Internationalen Zentrum Pius des Zwölften» in Rocca di Papa. In lobenswerter Weise bemühen Sie sich, die wertvollen Anregungen, die das Konzil gab, in der Heiligung Ihres christlichen Alltags zu verwirklichen. Setzen Sie sich auch in Zukunft mit Nachdruck dafür ein, dass die Konzilsdokumente, diese unerschöpfliche Quelle tiefer religiöser Gedanken, aufmerksam gelesen und ihr Inhalt immer mehr bekannt werde.


Mercoledì, 1° luglio 1970

10770


Ancora sul Concilio! Avrete notato che dopo il Concilio si parla molto frequentemente della Sacra Scrittura. I riferimenti alla Sacra Scrittura ricorrono dappertutto nei documenti conciliari, specialmente nella Costituzione sulla sacra Liturgia (Cfr. Sacrosanctum Concilium
SC 23 SC 33 SC 35 SC 51); in quella sulla Chiesa (Cfr. Lumen gentium LG 6 LG 15 LG 24); nel Decreto sull’Ecumenismo (Unitatis redintegratio UR 21); non finiremmo più se volessimo farne l’elenco. Ma un documento importantissimo vi è stato intenzionalmente dedicato, ed è la Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione, che, dalle parole con cui comincia, s’intitola Dei Verbum. Questo è uno dei più gravi documenti del Concilio; e con quelli sulla Chiesa (Lumen gentium) e sui rapporti fra Chiesa e mondo (Gaudium et spes ) si può dire fondamentale; esso caratterizza il processo dottrinale della Chiesa dal Concilio Tridentino in poi; puntualizza le questioni bibliche più gravi sorte in questi ultimi tempi; stabilisce la funzione della Sacra Scrittura rispetto alla Rivelazione, cioè di raccogliere per iscritto la Parola di Dio (Cfr. Dei Verbum DV 7) e precisa la sua relazione con la Tradizione (Ibid., DV 8-9), ed enuncia il suo rapporto con il magistero delle Chiesa (Ibid., DV 10), e cioè con la norma della fede (Ibid., DV 5).

È stato notato che in questo documento ecclesiastico ufficiale è accolta per la prima volta, in linguaggio esplicito, la «economia della salvezza», e con essa l’affermazione sullo sviluppo dottrinale (Cfr. B. D. DUPUY, OP., La Rév. div., 1, 15 ss.); come pure molte novità disciplinari vi sono inserite, che modificano quelle del Concilio Tridentino (Cfr. DENZ.-SCH., DS 1853-1854) e quelle di Papa Clemente XI, dopo la controversia relativa alle dottrine gianseniste di Pascasio Quesnel (Cfr. DENZ.-SCH., DS 2479-2485); e che auspicano la preparazione di traduzione e di edizioni della Sacra Scrittura, eseguite col consenso dell’autorità della Chiesa, fatte in collaborazione con i Fratelli separati (Dei Verbum DV 2 DV 2,25).


IL VATICANO II E LE ENCICLICHE DEI PAPI

Molte questioni relative alle dottrine e agli studi circa la Bibbia sono trattate nei primi cinque capitoli della Costituzione, la quale perciò si iscrive nella serie dei grandi documenti pontifici, che in quest’ultimo secolo specialmente sono stati emanati su materia di così capitale interesse (come l’Enciclica Providentissimus Deus, 1893, di Papa Leone XIII; la Spiritus Paraclitus, 1920, di Papa Benedetto XV; la Divino afflante Spiritu, 1943, di Papa Pio XII; ecc.); ma a noi basta un richiamo, un semplice richiamo, sul capitolo sesto di questa Costituzione conciliare, il quale ci parla della «S. Scrittura nella vita della Chiesa», e riguarda perciò direttamente tutto il Popolo cristiano.

Che cosa ci dice questo capitolo?

Ci dice innanzi tutto quanto la Chiesa abbia avuto in venerazione i Libri scritturali «come regola suprema della fede» (Cfr. Ibid., 21), insieme con la sacra Tradizione. Forse un’intenzione apologetica non è estranea a questa affermazione, la quale difende la Chiesa cattolica, con la storia e con la letteratura sacra alla mano, di aver meno stimato ed amato la Sacra Scrittura che non i Protestanti del sec. XVI, i quali la ritenevano come l’unica norma della fede: «sola S. Scriptura», isolandola dalla Chiesa e dalla Tradizione originaria, non che dall’interpretazione data dalla tradizione successiva, salvo poi concedere praticamente ad ogni lettore della Bibbia di ricavarne un senso di suo gradimento, secondo una pretesa illuminazione dello Spirito Santo, a danno perciò sia del contenuto, che dell’unità della fede. La Sacra Scrittura per la Chiesa è Parola di Dio, da Lui ispirata e perciò, nel significato autentico suo proprio, garantita da divina in erranza (Cfr. Dei Verbum DV 1).

Ricordiamo fra le innumerevoli testimonianze della stima professata dalla Chiesa verso la Sacra Scrittura, quella famosa di S. Girolamo: Ignoratio . . . Scripturarum ignoratio Christi est (Comm. in Is., Prol.; PL 24, 17).


UN NUOVO CAMPO APERTO AI CERCATORI DI DIO

Che cosa riconosce la Chiesa nella Sacra Scrittura? Riconosce la immutabilità della sua dottrina (Cfr. Jn 10,35; dice Gesù: «La Scrittura non può essere annullata»); riconosce la validità e l’autenticità permanente della Parola di Dio, in essa contenuta; riconosce un’inesauribile fecondità spirituale; riconosce un valore profetico, che può investire con il soffio dello Spirito Santo ogni situazione umana, storica e sociologica che sia; riconosce la fonte della predicazione e della catechesi ecclesiale; e specialmente riconosce un alimento spirituale.

Rileggiamo almeno un periodo di questo luminoso insegnamento. «È necessario che la predicazione ecclesiastica, come la stessa religione cristiana, sia nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura. Nei Libri Santi infatti il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli e discorre con essi; nella Parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa saldezza nella fede, cibo dell’anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale. Perciò si deve riferire per eccellenza alla S. Scrittura ciò che è stato detto: «viva ed efficace è la parola di Dio» (He 4,12), «che può edificare e dare a voi l’eredità fra i suoi santi» (Ac 20,32 1Th 2,13).

Il concetto di alimento dell’anima ricorre altre due volte nella Dei Verbum, sempre riferendosi alle parole celebri dell’«Imitazione di Cristo» (1. IV, 11), che accosta il cibo della Parola di Dio al cibo dell’Eucaristia: «La Chiesa ha sempre venerato le Divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra Liturgia, di nutrirsi del Pane della vita dalla mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli» (Dei Verbum DV 21 cfr. DV 26).

Perciò, se vogliamo essere discepoli attenti e osservanti del Concilio dobbiamo tutti dare nuova e grande importanza alla S. Scrittura; alla sua ascoltazione, soprattutto, ora che la riforma liturgica ha dato tanto posto e tanto onore alla Parola di Dio. Ascoltare non basta, bisogna meditare, cioè assimilare. Perciò è necessaria la lettura della S. Scrittura; è necessario lo studio. Qui troveremo tante difficoltà, ma per chi studia pregando («orent ut intelligant», preghino per capire, esorta S. Agostino (S. AUG., De Doctr. christ. 3, 56; PL 34, 89), e cercando la guida dei bravi esegeti, guidati dalla Chiesa), le difficoltà diventeranno stimolo a migliore intelligenza e alla fine a più intima unione con la Parola di Dio (P. MARTINI , La Cost. Dogm. sulla Divina Riv ., pp. 417-465, Elle Di Ci, Torino, Leuman).

Ecco un nuovo campo aperto ai cercatori di Dio, ai figli fedeli della Chiesa del Concilio. Vi esortiamo ad entrarvi, con la Nostra Benedizione Apostolica.

Provvide iniziative

Un cordialissimo saluto rivolgiamo all’ottimo Monsignor Giovanni Carroll Abbing, il quale ci conduce i giovani ospiti della sua «Città dei Ragazzi», venuti per esprimerci con un dono gentile, da essi stessi preparato, il loro augurio per le nostre recenti ricorrenze giubilari. E un grazie sincero anche alle giovanette delle «Opere Romane delle Suore Calasanziane», qui accompagnate, per la stessa intenzione e con un loro omaggio, dalle buone Religiose. Ci commuove la vostra presenza, e ricambiamo il vostro pensiero col dirvi che vi seguiamo, e non solo da oggi, con paterno affetto, incoraggiamo tutte le grandi e provvide iniziative, che si sono intraprese per la vostra completa e armoniosa formazione umana e cristiana, e ci aspettiamo tanto da voi, per il domani: dalla vostra generosità, dal vostro impegno, dalla vostra maturità, rafforzata attraverso le prove, e favorita da un metodo pedagogico, che ha dato splendidi frutti.

Il Signore vi faccia crescere buoni e leali, puri e gentili, forti e fervorosi, per essere di onore alla Chiesa e di aiuto alla società; e assecondi con la sua grazia quanti vi dedicano la loro sollecitudine, unicamente desiderosi del vostro bene. Tutti benediciamo di cuore.


Mercoledì, 8 luglio 1970


Paolo VI Catechesi 10670