Paolo VI Catechesi 8770

Mercoledì, 8 luglio 1970

8770
Un altro carattere del Concilio, dopo quelli che abbiamo in precedenti udienze considerati, ha dato al Vaticano Secondo una sua nota speciale, ed è il carattere pastorale. Così lo ha voluto Papa Giovanni XXIII, il quale, fino dal suo discorso inaugurale, ha manifestato il proposito che il magistero del Concilio da lui convocato dovesse avere un’indole prevalentemente pastorale (A.A.S. 54 (1962), p. 585).

Cosi è stato. Basta ricordare che uno dei documenti conciliari, l’ultimo ed il più diffuso, è intitolato «Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo»: è la Gaudium et spes, ormai famosa. Così l’altra Costituzione principale, dogmatica questa: Lumen gentium circa la Chiesa, richiama continuamente le nozioni ed i doveri della funzione pastorale (Lumen gentium
LG 26-27); come pure la Costituzione sulla sacra Liturgia (Sacrosanctum Concilium SC 33-36 SC 43-46); come è ovvio che il contenuto del Decreto Christus Dominus, sull’ufficio dei Vescovi, riguardi principalmente il carattere pastorale della loro funzione (Christus Dominus CD 16); e parimente quello sulla formazione sacerdotale Optatam totius (Optatam totius OT 12 OT 19-20) ; quello sulle Missioni Ad gentes (Ad gentes AGD 5-6); e così via.


L'ORIGINE DI VENERANDA NOZIONE

Sebbene questo vocabolo « pastorale » sia chiarissimo per l’uso continuo che se ne fa, giova ricordarne l’origine. Deriva dal linguaggio antico e classico: Omero chiamò i re pastori di popoli; deriva specialmente dal linguaggio biblico (Cfr. Jr 31,10 Ez 34); ma prende per noi il suo tipico significato nel Vangelo, sulle labbra di Gesù, che ama definire se stesso: «Io sono il buon Pastore» (Jn 10,11 Jn 10,14 Mt 15,24 Lc 15,4-7 He 13,20 1P 2,25), e deriva dall’attribuzione della funzione pastorale, tre volte ripetuta, che Cristo risorto riferisce a Pietro, come conseguenza e come prova del suo amore per Lui (Jn 21,15-17): se mi ami, sii pastore del mio gregge.

Dunque: la pastoralità non ha importanza soltanto nel Concilio, l’ha nel Vangelo; e questa coincidenza ci dimostra ancora una volta come sul Vangelo sia ricalcato il Concilio.

Ma che cosa comporta questo concetto di pastoralità? l’analisi di esso meriterebbe una lunga meditazione. Riassumiamo. È fuori dubbio che la funzione pastorale comporta l’esercizio di un’autorità. Il Pastore è capo, è guida; è maestro, potremmo anche dire, se è vero ciò che dice Gesù, che il suo gregge ascolta e segue la sua voce di buon Pastore (Jn 10,3-4). Un’autorità, che non è conferita dal gregge; una prerogativa, una responsabilità, un’iniziativa, che lo precede: ante eas vadit (Jn 10,4), e che non si fa condurre da lui, come vorrebbe certa concezione dell’autorità. Ma subito una seconda nota, coesistente con quella dell’autorità, definisce il Pastore, nel disegno costituzionale evangelico; ed è quella del servizio. L’autorità, nel pensiero di Cristo, non è a beneficio di chi la esercita, ma a vantaggio di coloro ai quali si rivolge; non da loro, ma per loro.

Questa concezione è ciò che la giustifica (ricordiamo ancora una volta la celebre formula del Manzoni nel delineare il profilo ideale del Card. Federigo: «Non ci può essere giusta superiorità di uomo sopra gli uomini, se non in loro servizio») (MANZONI, I Promessi Sposi, c. XXII). Ne abbiamo già e spesso parlato: l’autorità è un dovere, è un peso, è un debito, è un ministero verso gli altri, per condurli alla vita, di cui Dio l’ha resa dispensatrice (Tt 1,7), ed a cui Dio vuole che essi possano giungere. È un canale; canale obbligato, necessario, ma salutare. Si chiama «cura d’anime». Questa è la funzione pastorale. E questo aspetto di «cura d’anime», nel quale si perfeziona il concetto della pastoralità, ci apre una nuova visione, ci indica una terza nota, oltre quelle dell’autorità e del servizio; la nota dell’amore: è un servizio compiuto per amore e con amore. E l’amore, se davvero è tale, porta subito alla sua espressione assoluta, il dono totale di sé, il sacrificio; proprio come Gesù ha detto ed ha fatto di Sé e propone ad esempio di chi nell’ufficio di Pastore lo seguirà: «Il buon Pastore dà la vita per il suo gregge» (Jn 11,10).


GLI INEFFABILI VINCOLI DI CRISTO

Qui vi è compresa una duplice somma di requisiti pastorali; una somma soggettiva di virtù proprie di chi esercita la cura d’anime; e quante sono! La premura (ricordiamo la sollicitudo di San Paolo) (2Co 11,28), il disinteresse, l’umiltà, la tenerezza (cfr. ancora San Paolo nel commovente discorso ai Cristiani di Mileto) (Ac 20,19); e poi la somma oggettiva delle esigenze dell’arte pastorale, cioè lo studio e l’esperienza di quanto interessa la cura d’anime, fino a classificare la funzione pastorale fra le scienze derivate dalla teologia; la teologia pastorale, nei cui tesori la psicologia (si veda, ad esempio, il libro terzo della famosa Regala pastoralis di San Gregorio Magno), e la sociologia, oggi tanto in voga, figurano con legittima dignità. Donde si conclude che la pastoralità non vuol dire empirismo e bonarietà nei rapporti comunitari, né tanto meno esclusione dal ricorso a principi dottrinali indispensabili per l’energia e la fecondità stessa dell’apostolato pastorale; ma significa piuttosto applicazione concreta, esistenziale delle verità teologiche e dei carismi spirituali all’apostolato, a quell’apostolato che arriva alle singole anime e alla comunità delle persone, e che, dicevamo, si chiama cura di anime.

Tutto questo riguarda, voi ci direte, la gerarchia, il sacerdozio ministeriale, i Pastori, che nel Popolo di Dio sono investiti della specifica funzione di procurare ai Fedeli i doni della parola, della grazia, della carità comunitaria. È vero. Ed è questa la nostra responsabilità, piena e diretta, tanto più impegnativa quanto più prossimo è il grado che ci unisce alla Persona di Cristo e alla sua missione della salvezza.

Ma ricordate che il Concilio ha richiamato in onore di memoria e di esercizio anche il Sacerdozio comune dei Fedeli (Lumen gentium LG 10-11), Sacerdozio regale, come proprio San Pietro lo chiama (1P 2,5-9); ha svegliato in ogni cristiano il senso della sua responsabilità nel grande quadro della salvezza (Cfr. Lumen gentium LG 30-34); ogni Fedele dev’essere missionario (Cfr. Ad gentes AGD 36); anzi ha riconosciuto che certe forme di apostolato non possono essere esercitate propriamente che dai Laici (Lumen gentium LG 31 Gaudium et spes), dedicando all’apostolato dei Laici un intero Decreto (Apostolicam actuositatem). Si direbbe che il Concilio ha fatto propria la parola biblica: (Il Signore) «diede comandamenti a ciascuno a riguardo del suo prossimo (Si 17,12). Ha voluto creare un’atmosfera di pastoralità collettiva e scambievole; ha voluto stringere i vincoli operativi della carità che tutti ci unisce in Cristo; ha voluto ridare alla Chiesa, nelle sue moderne strutture, l’entusiasmo, la solidarietà, la sollecitudine della primitiva comunità cristiana (Cfr. Ac 4,32 ss.).

Operazione-cuore, potremmo dire in linguaggio pubblicitario, ha voluto essere il Concilio mettendo in tanta evidenza il suo carattere pastorale. Operazione nostra, dica ciascuno di noi. Con la Nostra Benedizione Apostolica.



Il XXV de «La vie catholique»


Nuovi assistenti ecclesiastici delle ACLI

Una particolare parola di saluto vogliamo rivolgere al gruppo dei nuovi Assistenti Ecclesiastici delle ACLI, convenuti a Roma per frequentare un corso di preparazione presso l’apposita «Scuola Nazionale».

Sappiamo che lo scopo di questi corsi - che lodevolmente si ripetono oramai da quindici anni - è di preparare i Sacerdoti, nuovi Assistenti, alla missione di apostolato nel mondo del lavoro: ci compiacciamo per la rinnovata realizzazione di tale provvida iniziativa, promossa dall’Ufficio Nazionale Assistenti ACLI.

Il vostro compito, cari Sacerdoti, è delicato e importante: voi siete il segno visibile del legame, sempre crescente e solido, tra Chiesa e mondo del lavoro: voi testimoniate la sollecitudine della Chiesa per tutte le classi lavoratrici, operaie e contadine.

I lavoratori cristiani hanno bisogno del vostro aiuto, della vostra presenza sacerdotale, affinché la loro azione si animi di quei valori morali e religiosi di cui, come Sacerdoti, siete portatori, e diventi testimonianza cristiana di fronte a tutto il mondo del lavoro.

La vostra missione, quindi, ha un ambito ben preciso, che si riferisce ai settori morale, spirituale e religioso delle Associazioni di lavoratori, nelle quali i vostri Vescovi vi hanno dato incarico di operare. La vostra azione dovrà essere rispettosa di quelle responsabilità che sono proprie del laicato, e dei lavoratori in particolare, di fronte agli impegni temporali; ma la vostra presenza dovrà tendere a dare ai lavoratori stessi sostegno spirituale e morale, garanzia dottrinale di fedeltà all’insegnamento della Chiesa, cura religiosa.

In tal modo, i Sacerdoti Assistenti aiuteranno le ACLI a continuare ad essere fedeli alla loro ispirazione cristiana ed alle loro finalità originarie, per adempiere efficacemente il ruolo di forza di animazione cristiana del mondo del lavoro.

Con questi sentimenti, voti e speranze, vi diamo la Nostra Apostolica Benedizione.

Artigiani Cristiani

Un paterno saluto rivolgiamo ora ai rappresentanti dell’Associazione Cristiana Artigiani Italiani convenuti a Roma per studiare gli attuali problemi della loro categoria.

La Nostra parola, figli carissimi, vuol essere di sincero compiacimento e di incoraggiamento per l’azione che la vostra Associazione svolge in questo importante settore dell’artigianato italiano. Azione che merita tutta la nostra stima, perché, oltre a mantenere viva e fiorente una nobilissima tradizione italiana, favorisce l’elevazione artistica dei prodotti artigiani destinati al culto sacro e alla devozione personale. È quindi un grande servizio che voi rendete sia alla religione che all’arte, tanto più degno di apprezzamento in quanto - come voi stessi ci avete annunziato - il vostro impegno intende adeguarsi alle prospettive aperte dal rinnovamento liturgico post-conciliare.

È chiaro che la produzione dell’artigianato sacro, rivolta a servire il culto e a fondere insieme bellezza e fede, per essere valida richiede non solo abilità artistica, ma altresì squisita sensibilità religiosa, dalla quale l’artigiano e l’artista sappiano trarre ispirazione per nuove e convenienti forme espressive. Perciò Noi formuliamo l’augurio che un profondo e sincero spirito cristiano abbia sempre a guidare e ad elevare tutte le vostre attività, come è tradizione della vostra benemerita organizzazione.

Intanto Noi vi accompagniamo con la Nostra preghiera e di gran cuore vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Pellegrini litùani

With pleasure and joy We see present here this morning a group of our Lithuanian sons and daughters. We know that you have gathered from many parts of the world and we welcome you with all our heart.

It was just yesterday that We personally blessed your chapel in this Basilica and offered Mass there. On that occasion We did not fail to commend to the protection of our Mother of Mercy your dear country and its people.

In Our prayerful remembrance our thoughts turned back to your past. We thought of the vicissitudes and glories of your history and gave thanks to God for the fidelity of your people to the Church and to this Apostolic See. We prayed for all of you, especially for the youth of today who are the hope of tomorrow.

Once again this morning We wish to show Our special affection for you. Through you We send our greeting into your churches and homes, and to your families wherever they may be. Always close to you in suffering and in joy, We renew our prayer for you to remain ever faithful and confident. With the Apostle Peter we would charge you to “set your hope fully upon the grace that is coming to you at the revelation of Jesus Christ” (1P 1,13).

Most cordially We impart to your beloved clergy, religious and faithful Our special Apostolic Blessing.

We are happy to greet also in English the many students here this morning. Our brief word to you is one that the Council spoke to youth: “We exhort you to open your hearts to the dimensions of the world, to heed the appeals of your brothers, to place your youthful energies at their service”. On this occasion We assure you again: “The Church looks to you with confidence and love”.

A group of eminent Chinese Catholics from Thailand and Malaysia is, We know, present at this audience. We extend to you a special greeting, and we bless you with the prayer that you may receive the grace and strength to live according to the Good News which you have welcomed. Bring Our blessing with you to your dear ones and to all the communities from which you come.

We extend a special greeting to the representatives of the Firestone Tire and Rubber Company. While We are happy to welcome you to his audience We are also pleased to express Our appreciation for the worthy social and educational activities of your firm. We know that religious institutions are among those that have benefited from your help. We wish you great success in contributing to the advance of social justice and to the development of mankind.

We bid a warm welcome to the group of Catholics and Protestants from Scandinavia who have come to Rome on pilgrimage together. May your visit be a help to greater progress towards the unity desired by Christ. We promise you our prayers for yourselves and your families, and for fruitful results from your pilgrimage.


Mercoledì, 15 luglio 1970

15770
Abbiamo parlato tante volte, in queste Udienze generali, del Concilio, sempre in termini elementari per adeguarci alla natura di questi incontri brevi e familiari, e ci accorgiamo che molto, per non dire tutto, resterebbe da dire. Avremo sempre modo, a Dio piacendo, di ritornare a questa grande scuola per trarne insegnamenti antichi e nuovi, e specialmente per avere lumi direttivi all’opera di «aggiornamento» (secondo la celebre parola del nostro venerato predecessore Papa Giovanni XXIII, nel suo discorso di apertura del Concilio ecumenico), cioè all’opera di adattamento della vita e della esposizione della dottrina della Chiesa, sempre salva l’integrità della sua essenza e della sua fede, alle esigenze della sua missione apostolica, secondo le vicende della storia e le condizioni dell’umanità, a cui tale missione si rivolge.

Ma siamo tutti desiderosi di spostare lo sguardo dal Concilio al Post-Concilio, cioè ai risultati che da esso sono stati generati, alle conseguenze che ne sono derivate, all’accoglienza che la Chiesa ed il mondo hanno fatto agli avvenimenti e agli insegnamenti conciliari. Il Concilio, come episodio storico, è già di ieri; il nostro temperamento moderno ci porta a guardare al presente, anzi all’avvenire. Il Post-Concilio assume ora grande interesse. Quali effetti ha prodotto il Concilio? quali altri può e deve produrre? Tutti siamo convinti che cinque anni dalla conclusione del Concilio non bastano per dare su di esso e sulla sua importanza, sulla sua efficacia un giudizio esatto e definitivo; e siamo tuttavia tutti parimenti convinti che il Concilio non si può dire concluso allo scadere della sua durata, come succede di tanti avvenimenti che il tempo, passando, seppellisce e consente che solo gli studiosi delle cose morte ne conservino viva la memoria. È il Concilio un avvenimento che dura, non solo nella memoria, ma nella vita della Chiesa, e che è destinato a durare, dentro e fuori di lei, per lungo tempo ancora.



TENSIONI, NOVITÀ, TRASFORMAZIONI

Questo primo aspetto del Post-Concilio meriterebbe lunga considerazione, non foss’altro per determinare se l’eredità del Concilio è semplicemente una permanenza, o se è anche un processo in via di sviluppo; per stabilire cioè quali insegnamenti esso ci ha lasciati da ritenere stabili e fissi, come in genere succedeva dopo gli antichi Concili conclusi con delle definizioni dogmatiche, ancora oggi e per sempre valide nel patrimonio della fede; e quali altri esso ci ha annunciati da svolgere e da sperimentare in una successiva fecondità, come è da supporre che principalmente lo siano quelli del Vaticano secondo, qualificato piuttosto come Concilio pastorale, cioè rivolto all’azione. Esame questo importante e difficile, che non senza l’assistenza del magistero ecclesiastico può essere via via compiuto.

Un secondo aspetto, che impegna oggi l’attenzione di tutti, è lo stato presente della Chiesa, posto a confronto con quello anteriore al Concilio; e siccome lo stato presente della Chiesa si può dire caratterizzato da tante agitazioni, tensioni, novità, trasformazioni, discussioni, eccetera, subito i pareri si dividono: chi rimpiange la supposta tranquillità di ieri, e chi gode finalmente dei mutamenti in corso; chi parla di disintegrazione della Chiesa e chi sogna il sorgere d’una nuova Chiesa; chi trova che le novità siano troppe e troppo rapide, e quasi sovversive della tradizione e dell’identità della Chiesa autentica; e chi invece accusa lento e pigro e forse reazionario lo svolgimento delle riforme già compiute o iniziate; chi vorrebbe ricostituire la Chiesa secondo la sua figura primitiva, contestando la legittimità del suo logico sviluppo storico; e chi vorrebbe invece sospingere questo sviluppo nelle forme profane della vita corrente fino a dissacrare e a secolarizzare la Chiesa, disgregandone le strutture a vantaggio d’una semplice, gratuita e inconsistente vitalità carismatica; e così via. L’ora presente è ora di tempesta e di transizione. Il Concilio non ci ha dato, per adesso, in molti settori, la tranquillità desiderata; ma piuttosto ha suscitato turbamenti e problemi, certamente non vani all’incremento del regno di Dio nella Chiesa e nelle singole anime; ma è bene ricordare: questo è un momento di prova. Chi è forte nella fede e nella carità può godere di questo cimento (Cfr. S. TH.
II-II 123,8).

È NECESSARIO VIGILARE

Non diciamo di più. Le riviste e le librerie sono inondate di pubblicazioni circa la fase feconda e critica della Chiesa nella stagione storica Post-conciliare. Occorre vigilare. Lo Spirito di scienza, di consiglio, di intelletto e di sapienza è oggi da invocare con particolare fervore. Fermenti nuovi si agitano d’intorno a noi; sono buoni, o nocivi? Tentazioni nuove e doveri nuovi balzano davanti a noi. Ripetiamo le esortazioni di San Paolo: «Sempre siate lieti. E pregate senza smettere mai. In ogni cosa rendete grazie (a Dio); perché questa è la volontà di Dio, a voi manifestata in Gesù Cristo. Non spegnete lo spirito. Le profezie non le trascurate. Tutto esaminate; ritenete ciò ch’è buono. Da ogni specie di male astenetevi» (1 Thess. 1Th 5,16-22).

Aggiungeremo semplicemente la raccomandazione ad una triplice fedeltà. Fedeltà al Concilio: procuriamo di conoscere meglio, di studiare, di esplorare, di penetrare i suoi magnifici e ricchissimi insegnamenti. Forse la loro stessa abbondanza, la loro densità, la loro autorità ha scoraggiato molti dalla lettura e dalla meditazione di così alta e impegnativa dottrina. Molti, che parlano del Concilio, non ne conoscono i meravigliosi e poderosi documenti. Alcuni, a cui preme più la contestazione e il cambiamento precipitoso e sovversivo, osano insinuare che il Concilio è ormai superato; serve, essi osano pensare, solo per demolire, non per costruire. Invece chi vuol vedere nel Concilio l’opera dello Spirito Santo e degli organi responsabili della Chiesa (ricordiamo la qualificazione teologica del primo Concilio, quello di Gerusalemme: Visum est Spiritui Sancta et nobis, è parso allo Spirito Santo e a noi . . . . ) (Ac 15,28) prenderà in mano con assiduità e riverenza il «tomo» del recente Concilio, e procurerà di farne alimento e legge per la propria anima e per la propria comunità.

Seconda fedeltà. Fedeltà alla Chiesa. Capirla bisogna, amarla, servirla, promuoverla. Sia perché segno e perché strumento di salvezza. Sia perché oggetto dell’amore immolato di Cristo: Egli dilexit Ecclesiam et se ipsum tradidit pro ea, amò la Chiesa e diede se stesso per lei (Ep 5,25). E sia perché noi siamo la Chiesa, quel corpo mistico di Cristo, nel quale siamo vitalmente inseriti, e nel quale avremo noi stessi la nostra eterna fortuna. Questa fedeltà alla Chiesa, voi lo sapete, è oggi da molti tradita, discussa, interpretata a modo proprio, minimizzata; cioè né compresa nel suo profondo e autentico significato, né professata con l’ossequio e la generosità che, non per nostra mortificazione, ma per nostro esperimento e nostro onore, essa si merita.

E finalmente: fedeltà a Cristo. Tutto è qui. Non vi ripeteremo soltanto le parole di Simone Pietro, del quale siamo miseri, ma veri successori, e sulla tomba del quale ora qui ci troviamo: «Signore, a chi andremo noi? Tu solo hai parole di vita eterna» (Jn 6,69).

Fedeltà a Cristo. Questo deve essere il Post-Concilio, Fratelli e Figli carissimi. Con la Nostra Apostolica Benedizione.

Pellegrini armeni ed insegnanti cattolici (in francese)


A word of greeting to the group of young ladies from the Philippines, working in Holland, who have come to visit us. We welcome you gladly, as We prepare for Our journey to your native land. We are happy to use this occasion to bless not only and your work, but also all your dear ones, whether in Holland or in the Philippines.

Nos complacemos en dedicar un saludo particular de bienvenida y felicitación a vosotras, amadísimas jóvenes mexicanas, que habéis querido visitarnos para celebrar así vuestro quince cumpleaños.

Este gesto filial nos da ocasión para animaros paternalmente en vuestros sentimientos cristianos, vividos con la característica generosidad y entusiasmo de la juventud que, sin ceder a actitudes negativas, abre el alma a los más altos ideales espirituales y comprende la belleza de servir a los demás.

En prenda de abundantes gracias divinas, impartimos de corazón a vosotras, a vuestros familiares presentes y ausentes, a todos los jóvenes y a los amadísimos hijos de vuestro noble País una especial Bendición Apostólica.




Mercoledì, 22 luglio 1970

22770
Parliamo un momento di Dio. O meglio, parliamo di noi stessi di fronte alla grande questione di Dio. Noi vi invitiamo a questo atto fondamentale per il nostro pensiero, e di conseguenza per la nostra vita morale, per la nostra vita vissuta. È una questione permanente, di tutti i tempi, di tutti gli uomini; ma oggi per tutti è più urgente. Ciascuno s’interroghi: che cosa penso io di Dio? La risposta può essere molteplice; e la possiamo classificare in tre categorie di uomini del nostro tempo: la categoria di quelli che aderiscono alla religione, e accettano senza discutere, e forse senza riflettere, senza avvertire le vertigini, l’ebbrezza, la felicità d’un tale nome, senza approfondire quel senso vago, ma sempre profondo, che quel nome misterioso e potente produce, o dovrebbe produrre nel nostro spirito; ovvero la categoria di quelli che dubitano, di quelli per cui il nome di Dio è avvolto in una nebbia di incertezza, di dubbi, di insoddisfazione; e perciò preferiscono o non pensarvi più, o non aderirvi più, abbandonandosi ad uno scetticismo pratico, pseudo superiore, comodo apparentemente ed elegante, di moda specialmente nella gioventù che si avvia a studi scientifici, nei quali la certezza razionale diventa unico metro di verità; oppure la categoria dei negatori del nome, dell’idea, della realtà di Dio, sia con atteggiamento di semplice, ma cosciente rifiuto, e sono gli atei; sia con atteggiamento di ribellione, e sono gli antiteisti, i nemici dichiarati, nella teoria e nella pratica, di Dio.


LA RAGIONE E LA FEDE

Se cerchiamo un comune denominatore di queste sommarie categorie, possiamo forse identificarlo in una diversa e più o meno convinta sfiducia: l’impossibilità di conoscere Dio. Qualcuno è arrivato al punto di proclamare «la morte di Dio»; e forse, in alcuni, senza cattiva intenzione, perché questa negazione, dall’accento blasfemo e sacrilego, voleva riferirsi ai concetti falsi, incompleti, insostenibili di Dio, cioè agli idoli che tanto spesso gli uomini, in mentalità arretrate ed empiriche, in civiltà che chiamiamo pagane, in periodi storici di superstizioni superate, in espressioni filosofiche inaccettabili, propongono alla propria religiosità, o alla propria mentalità. In altri, questa divorante tentazione di sfiducia nella possibilità di conoscere Dio voleva essere un riconoscimento purtroppo agnostico della sua ineffabilità, della assoluta, e quindi irraggiungibile, sua trascendenza, della sua incomprensibilità; voleva essere quasi un atto di umiltà davanti al mistero infinito dell’Essere divino.

Ma più spesso, oggi, il modo di pensare non filosofico, ma esclusivamente scientifico, non rende facile all’uomo uscire dalla sfera sperimentale, e salire alla sfera della razionalità metafisica, e lo arresta alla conoscenza delle realtà che sembrano sole positive e utili a scopi tecnici, sociali, temporali; la mente umana si rassegna, anzi si compiace di ammettere questa impossibilità della conquista d’una vera conoscenza di Dio.

Avete mai fatto dell’alpinismo? Quattro giovanotti sono una sera intorno al fuoco, in un paese di montagna, e parlano delle cime dei monti che circondano il paesaggio. Naturalmente si pone l’audace progetto di una scalata; una scalata nuova, non mai da altri tentata, audacissima, e perciò attraentissima. Uno dice: si deve potere; l’altro aggiunge: certamente, si può; il terzo soggiunge: sì, ma occorre osservare alcune condizioni; il quarto domanda: quali? E la discussione procede, e termina in una comune risoluzione: la sfida alla vetta. L’alpinismo è fatto così. E così anche la teologia, la religione, la conquista della conoscenza di Dio.

Noi, figli della Chiesa, affermiamo: è possibile conoscere Dio. Per due vie maestre: la ragione e la fede. La sola ragione è forse una via valida per arrivare alla conoscenza di Dio? Valida, sì, anche se non del tutto sufficiente. Valida, purché ne siano rispettate le esigenze costitutive; cioè basta impiegarla come si deve. Questa è la prima condizione. E queste esigenze non sono poi così ardue da superare le forze normali del pensiero; esse non sono difformi da quelle del «senso comune» (Cfr. GARRIGOU-LAGRANGE, Le sens commun.).

E si può anche osservare, di passaggio, che non è solo la scienza su Dio, la teodicea, a fare ricorso alle medesime esigenze della ragione, ma anche le scienze sperimentali e positive, le quali parimente in tanto sono intellegibili e autorevoli in quanto impiegano anch’esse, secondo la natura dei loro studi, i medesimi principi razionali, come la ragion d’essere, la finalità, la causalità, ecc.

Noi, figli della Chiesa, spesso accusati di oscurantismo, siamo invece ottimisti circa la capacità del pensiero umano a risolvere, in certa misura, s’intende, il suo massimo problema, quello della verità, e della Verità suprema, che è Dio. Se non bastasse la testimonianza della sapienza dei secoli e dei grandi pensatori, quella della Sacra Scrittura, e quella della nostra coscienza e della nostra esperienza, noi possiamo essere grati al Concilio Vaticano I d’aver difeso la ragione umana e di averci dato, a questo proposito, un insegnamento sicuro, pieno di chiarezza, di conforto di nobiltà (Cfr. DENZ.-SCH.
DS 3016).



IL CREATORE E LE CREATURE

Ma bisogna fare attenzione ad una distinzione fondamentale in questa questione della conoscibilità di Dio. Un conto è affermare che Dio esiste, e un altro è dire Chi Egli sia. L’esistenza di Dio la possiamo conoscere con certezza, la natura invece di Dio ci è misteriosa, e ciò che noi possiamo intravedere di Lui è per via di analogia, per via di negazione, per via di esaltazione di ciò che noi conosciamo delle cose che non sono Dio: il loro essere limitato ci serve per intuire qualche cosa di ciò che può essere detto delle sue perfezioni infinite; ed il magistero della Chiesa ci ammonisce che «fra il Creatore e la creatura non si può notare tanto somiglianza, quanto sia piuttosto da notare la dissomiglianza». Così il Concilio Lateranense IV (DENZ-SCH., DS 806-532). Dio rimane mistero.

Ma un mistero positivo, che attrae dalle nostre incipienti nozioni a sempre successive e interminabili investigazioni e scoperte. La nostra conoscenza di Dio è una finestra su la luce del cielo, un cielo infinito. Ma esigenza intrinseca del pensiero, principio assoluto dell’essere: Egli è. «Io sono, Egli si definisce, Colui che sono» (Ex 3,14).

Che se alla testimonianza della ragione noi uniremo quella della fede, la nostra conoscenza di Dio diventerà meravigliosa. «Nessuno, dice il Vangelo, ha mai visto Dio, ma il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, Egli ce lo ha manifestato» (Jn 1,18). E avremo per specchio di Dio Padre il volto stesso di Cristo, Figlio di Dio e figlio dell’uomo: «Chi vede me, Egli ci dirà, vede il Padre» (Jn 14,9); Cristo, ancor più che Maestro, è immagine; ce lo annuncia San Paolo: «Egli è l’immagine del Dio invisibile» (Col 1,15). Così che per conoscere Dio abbiamo una Via, in cui tutte le altre - se pur altre vi sono - confluiscono, tutte si collaudano, si rettificano e si convalidano: Egli è la Via, la Verità e la Vita (Jn 14,6).


«EGLI È VICINO»

Noi dobbiamo superare la tentazione, tanto forte ai nostri giorni, di ritenere impossibile una conoscenza di Dio, adeguata alla nostra maturità culturale, e rispondente ai nostri bisogni esistenziali e ai nostri doveri spirituali. Sarebbe pigrizia, sarebbe viltà, sarebbe cecità. Dobbiamo invece cercare. Cercare nel libro della creazione (Rm 1,20); cercare nello studio della Parola di Dio; cercare alla scuola della Chiesa, Madre e Maestra; cercare nella profondità della propria coscienza . . . Cercare Dio, cercarlo sempre. Sappiate: Egli è vicino (Cfr. Is Is 55,6).

A voi la Nostra esortatrice Benedizione.



La «Casa Divin Maestro»

Un paterno saluto rivolgiamo ora al folto gruppo di laici professionisti, convenuti ad Ariccia presso la « Casa Divin Maestro » per una settimana di studio, a conclusione del corso annuale di teologia per corrispondenza, promosso dal Centro «Ut unum sint».

Ecco un’iniziativa che raccoglie la Nostra aperta lode e il Nostro vivissimo incoraggiamento, diretta com’è a promuovere lo studio approfondito della nostra religione in mezzo a un ceto di persone così qualificate e volenterose. Vi esprimiamo tutta la Nostra gratitudine, Figli carissimi, per il grande conforto che ci procurate col vostro impegno e con la vostra presenza. Dal vostro studio avrete senza dubbio compreso che la fede cristiana non mortifica affatto l’intelligenza, ma, al contrario, le apre orizzonti nuovi e le dona la chiave per rispondere alle ragioni più profonde della nostra esistenza. Ciò, tuttavia, non rimanga in voi circoscritto nella sfera della conoscenza, ma alimenti il vostro spirito e penetri il vostro modo di pensare e di agire, aiutandovi a diventare cristiani maturi, autentici, coerenti. Vi diremo di più: sappiate donare agli altri le ricchezze che avete scoperto, diventando apostoli, secondo il dovere che il Concilio ha tratteggiato per tutti i laici cristiani, affinché vivano la propria vocazione configurati a Cristo, a servizio dei propri fratelli. È in questo senso che Noi formuliamo l’augurio per il pieno successo del vostro Corso e impartiamo a tutti la propiziatrice Apostolica Benedizione.

«Generazione Nuova»

Dalla vicina Rocca di Papa, ove partecipano al loro annuale congresso, sono venute a questa Udienza le cinquecento dirigenti del movimento «Gen» femminile, appartenenti a vari Paesi di Europa, dell’Asia e dell’America. È veramente la vostra una presenza che dice chiaramente come il movimento si sia ormai diffuso tra la gioventù di tutti i continenti, grazie allo slancio che ne anima la spiritualità comunitaria, all’entusiasmo che sa suscitare, al servizio per la Chiesa e per il mondo che alimenta nei suoi appartenenti.

«Gen» significa generazione nuova, non è vero? Ci pare che questa parola faccia eco fedele alle consegne che il Concilio Vaticano II ha dato ai giovani, chiamandoli a impegnarsi in tutti i settori della vita della Chiesa e del mondo in collaborazione con la Gerarchia; questa parola sembra a Noi la risposta alle parole rivolte dai Padri Conciliari ai giovani:

«La Chiesa vi guarda con fiducia e con amore . . . Essa possiede ciò che fa la forza e la bellezza dei giovani: la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi con generosità, di rinnovarsi e ripartire per nuove conquiste. Guardatela e troverete in lei il volto di Cristo, il vero eroe, umile e saggio, il profeta della verità e dell’amore, il compagno ed amico dei giovani».

Carissime dirigenti! Sappiate accendere nel cuore delle altre giovani questo amore gioioso a Cristo e alla Chiesa, fate capire che solo nel cristianesimo vissuto con coerenza e fedeltà, come sanno fare i giovani, sta la salvezza della società e il pieno sviluppo della propria personalità, non destinata a ripiegarsi su se stessa, ma a pensare e a donarsi agli altri. Generazione nuova per una umanità nuova! È questo il Nostro augurio, che accompagniamo con l’Apostolica Benedizione.

Pellegrini di Barcellona

Un especial saludo a los peregrinos de Barcelona; a vosotros, amadísimos hijos, que formáis parte de la Obra «Orientación Católica Profesional del Dependiente». Habéis querido visitarnos al cumplirse el veinticinco aniversario de la fundacion de tan benemérita institución.

La promoción que procuráis a los trabajadores de la Industria y del Comercio goza de la estima y confianza del pueblo. Vuestros servicios se extienden a millares de personas por medio de comedores, cooperativas, escuelas, patronatos y publicaciones. Con paterno afecto os felicitamos por tanto bien realizado y os alentamos a continuar el camino en la fidelidad a la dottrina social de la Iglesia y con alto sentido de caridad y de justicia.

A vosotros y a vuestras familias, a todos los demás Asociados y beneficiarios de vuestras actividades, a Barcelona entera, va Nuestra especial Bendición Apostólica.

Mercoledì, 29 luglio 1970


Paolo VI Catechesi 8770