Paolo VI Catechesi 29770

Mercoledì, 29 luglio 1970

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Il nostro discorso a queste Udienze generali, Noi lo ripetiamo, non è che uno spunto sopra temi che meriterebbero ben altra trattazione; ma a Noi sembra che valga, in una circostanza come questa, più l’importanza dei temi che il loro svolgimento. È un atto di fiducia, che così noi facciamo ai Nostri visitatori, alla vostra intelligenza e al vostro proposito di studio e di riflessione. Parliamo di Dio. Ogni tema su Dio - pensate: su Dio! - esige questa preventiva qualificazione, riconoscendo Noi per primi il carattere assolutamente elementare e incompleto delle Nostre parole.

Noi ci interessiamo adesso delle tentazioni più grosse e più diffuse nei riguardi del nome di Dio. L’altra volta, scegliendo fra queste tentazioni, consideravamo la prima: cioè è impossibile conoscere Dio. Ora ne ascoltiamo un’altra, all’apparenza più banale, ma non meno profonda e formidabile, che dice: è inutile occuparsi di Dio. È la tentazione che diventa facilmente operante; cioè si fa negazione, ed ha subito la sua applicazione: la rinuncia alla ricerca di Dio, l’abbandono della pratica religiosa, e l’acquisto di una certa tranquillità di coscienza, tanto in ordine alla questione speculativa circa il buon fondamento d’un nostro rapporto con Dio, quanto in ordine alle conseguenze morali che ne derivano. Inutile, si dice, porsi un problema religioso: o non ammette soluzione, o non giova affatto ch’esso ne abbia una. Si vive lo stesso; non c’è più bisogno di porsi un problema così difficile, e praticamente superfluo.

È per molti un assioma, che sa di scoperta, di liberazione: via libera; non v’è più bisogno di Dio.



VANITÀ DEL RAZIONALISMO SCIENTIFICO

La mentalità moderna, tutta imbevuta di razionalismo scientifico, soddisfatta dei risultati del campo di cognizioni, che le dànno la soddisfazione non solo di capire ciò ch’essa studia, ma di convertire il suo sapere nell’operare e nel trarre vantaggi dalle sue cognizioni, nel godere delle conquiste del proprio studio e del proprio lavoro, non chiede altro. Anzi, proclamata l’inutilità di Dio, essa afferma, si vive meglio; si guadagna tempo, si concentra l’attenzione e l’attività su cose delle quali si misura la realtà, si risolvono problemi che sembrano i soli veri e interessanti, quelli economici innanzi tutto, poi quelli sociali, quelli politici, e così via; si rompono tanti vincoli ormai superflui per l’uomo adulto e progredito, convenzionali, superstiziosi, noiosi. Sarebbero da citare certe antiche espressioni dei Salmi: non est Deus, non c’è più Dio (Cfr.
Ps 13,1 Ps 52,1).

Su questa affermazione, speculativa o empirica che sia, circa l’inutilità di Dio, e perciò della religione, della fede, dell’orazione, e alla fine del confronto della propria coscienza con una eventuale e inesorabile esigenza di legge divina, si potrebbe costruire in cento diverse figure la fisionomia tipica di moltissima gente del nostro tempo, che incontriamo nel mondo in cui viviamo, e troviamo dipinta in tante pagine della letteratura moderna; l’indifferentismo, l’agnosticismo, il pessimismo, l’irrazionalismo, l’anticlericalismo, l’ateismo, ecc., di cui è tessuta la psicologia di molti nostri contemporanei, si alimentano spesso da questa medesima radice della presunta vanità d’un concludente e proficuo problema teologico.

IL MASSIMO DOVERE

Come vedete, non è questa la posizione nostra, affatto. Noi battezzati, noi credenti, noi specialmente ministri dei misteri di Dio, non solo non ammettiamo l’opinione, e nemmeno l’ipotesi dell’inutilità del nome di Dio nel contesto della vita umana, ma affermiamo il contrario. Dio è necessario! È l’Essere necessario, l’unico necessario in Sé, e necessario per noi. È bene saldare la nostra convinzione a questo capitale principio. Ciò che più vale, ciò che più preme per noi è proprio questo realissimo, beatissimo nome di Dio.

Così si apre la legge costituzionale dell’universo: «Io sono il Signore Dio tuo» (Ex 20,2 Ex 20,7); e così suona la nostra sovrana preghiera: «. . . sia santificato il Tuo nome, venga il Tuo regno . . .». La lezione dominante del Vangelo, al quale è offerta la nostra esistenza, ci ammonisce sempre così: «Cercate prima il regno di Dio . .» (Mt 6,33).

Forse qualcuno obietterà: dovere, non utilità. Ma se si analizza l’intrinseca necessità di questo dovere morale, libero, sì, ma erompente dall’esigenza costituzionale del nostro essere, si vede che la prima e massima utilità coincide per noi col primo e massimo nostro dovere; e se anche per questo dovere noi dovessimo spendere ogni nostro vantaggio e la nostra stessa vita, il nostro calcolo non sarebbe sbagliato; lo dice Gesù, il Maestro, martire poi delle sue parole: «Chi ama la propria vita, la perderà; e chi disprezza la propria vita in questo mondo la custodisce per la vita eterna» (Jn 12,25). Se Dio è per noi la vera ragione per cui ci è data la vita, dedicare a Lui pensiero, cuore, azione, significa, oltre che rispondere al fine nostro essenziale, realizzare noi stessi. Così ci ricorda S. Ignazio con la prima meditazione dei suoi esercizi spirituali: homo creatus est . . . . e così ci rispondeva il bambino della nostra scuola di catechismo, scuola della somma sapienza, alla domanda: «perché Dio ti ha creato? mi ha creato per conoscerlo, per amarlo, per servirlo in questa vita; e per poi goderlo eternamente nell’altra».



LA LUCE, IL VERO BENE, L’AMORE

Ma la tentazione insisterà: cui bono? a che serve Dio nella vita nostra? Tutti i nostri giudizi sottostanno alla misura del profitto immediato e personale. Siamo antropocentrici; cioè a noi più preme il nostro io, che l’onore e il servizio di Dio; siamo utilitaristi, siamo egoisti. Più che all’essere e al dover essere noi badiamo al valore, cioè al rapporto di utilità; e ancora sulla bilancia dei valori, delle cose preziose, le nostre cose, i nostri interessi, i nostri piaceri tendono a prevalere sul sommo Bene, ma tanto per noi misterioso, tanto irriducibile alla nostra consueta esperienza, il Quale si chiama Dio. Ancora una parola di Cristo, grave e drammatica come una sentenza, ci obbliga a rivedere il gioco della nostra bilancia: «Che cosa giova infatti all’uomo, se anche guadagna il mondo intero, e poi perde l’anima sua?» (Mt 16,26). E come l’uomo può salvare l’anima sua? Ecco che la tentazione circa la inutilità di Dio svela il suo inganno: la grande, la suprema questione della nostra salvezza come la risolveremo dimenticando ciò che la fede, in Dio, in Cristo, nello Spirito Santo, c’insegna a tale riguardo? Questo indispensabile vantaggio, questa unica vera utilità solo da Dio ci può venire; da Lui che dice: «Io sono la tua salvezza» (Ps 34,3).

E quanti altri vantaggi derivano a noi, se il nome di Dio splende su la nostra vita. Il loro elenco sarebbe troppo ampio e troppo lungo, se lo volessimo appena descrivere: da quelli nel campo del pensiero : Dio è la luce. Come in quello dell’operare: Dio è il vero Bene, Dio è l’Amore; come, alla fine, si sostiene un’etica senza Dio? Ed anche un cristianesimo, tutto rivolto, in linea orizzontale, secondo l’espressione moderna, cioè senza Dio e perfino senza Cristo-Dio, rivolto verso gli altri, verso gli uomini, come si reggerà senza il flusso verticale dell’amore di Dio che discende, e risale a Dio, e non si esaurirà e forse non si pervertirà, non potendo più avere questo intimo cogente nome di Dio, e così dare autenticamente agli altri il nome di fratelli, cioè figli dello stesso Padre-Iddio?

Non releghiamo il nome di Dio fra i concetti vani e superati, inutili ormai all’uomo libero e padrone di sé, ma quanto più noi siamo affrancati dai vani pensieri e dai miti superati, sentiamo la virtù, la pienezza, la bontà di quel nome benedetto, e celebriamone la Realtà ineffabile nella fede e nell’amore.

Vi conforti a tanto la Nostra Benedizione Apostolica.

Per i fratelli dell’America Latina

Un paterno saluto è dovuto oggi ai delegati diocesani del « Movimento Laici per l’America Latina » e ai giovani che si preparano a prestare la loro opera per alcuni anni in quel continente.

Ben volentieri abbiamo aderito al vostro desiderio, Figli carissimi, e cogliamo l’occasione di questo incontro per ringraziarvi del servizio che rendete alla Chiesa col vostro generoso impegno. Il sapervi animati da tanto zelo, ci assicura che le ansie e le sollecitudini della Chiesa per l’America Latina hanno trovato in voi eco profonda e piena rispondenza. Opera di apostolato veramente meritoria, la vostra, per la quale si applicano le parole del Concilio: «Nella Chiesa sono degni di particolare onore e raccomandazione quei laici, celibi o uniti in matrimonio, che si consacrano in perpetuo o temporaneamente al servizio delle istituzioni e delle loro opere con la propria competenza professionale. È per essa di grande gioia vedere crescere sempre più il numero dei laici che offrono il proprio servizio alle associazioni e alle opere di apostolato, sia dentro i confini della propria nazione, sia in campo internazionale» (Apostolicam actuositatem AA 22).

Noi chiediamo pertanto di gran cuore al Signore che benedica le vostre fatiche e faccia fruttificare i vostri sforzi; si tratta, infatti, di salvaguardare e incrementare un prezioso patrimonio di civiltà cristiana in quel grande continente. Possa il vostro esempio essere trascinatore. La Chiesa ha bisogno oggi di anime generose come le vostre, capaci di dimostrare che la carità cristiana non conosce barriere né di continente né di cultura né di razza, ma tutto trascende, ed ha una sola ambizione: donarsi al servizio dei fratelli più bisognosi.

Vi sostenga l’aiuto divino specialmente in quanto vi è di faticoso nel vostro nobilissimo compito; e a tal fine vi impartiamo di cuore l’Apostolica Benedizione.

We repeat in English Our greeting to the young representatives of «Gen». You have come from many different countries and in communal prayer and study you are seeking to render more efficacious your contribution to the Church and to the world. With interest We follow your efforts and with affection We accompany you as you pursue the challenges of your goals.

With particular pleasure We see present here this morning a group of Japanese youth. While we welcome you most cordially, We also take the occasion to reiterate Our profound respect for your country and its noble people. Through you We send Our greeting to your homeland and especially to all the young people in Japan.


Mercoledì, 5 agosto 1970

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Le tentazioni dell’uomo moderno nei confronti di Dio e della religione sono molte e sono gravi. Vi accenniamo appena, com’è Nostra abitudine in questi brevi momenti d’udienza generale, non tanto per rispondere dottrinalmente a queste tentazioni, quanto perché ne abbiate notizia, anche in questa sede, e sappiate difendervi, come si conviene, studiando, riflettendo purificando la vostra mentalità religiosa, se occorre, e fortificando con la preghiera e con la buona volontà la fede minacciata: ut possitis sustinere, affinché sappiate resistere (
1Co 10,13).

Fra queste tentazioni eccone una formidabile: Dio e la religione sono concetti superati. Appartengono ad altri tempi. Il nostro tempo è diventato adulto. Il pensiero moderno è progredito in misura tale da escludere ogni affermazione, che trascenda la razionalità scientifica. Dio, si dice, è trascendente; dunque è fuori della sfera degli interessi dell’uomo del nostro tempo. Appartiene al passato, non al presente, tanto meno al futuro. Il movimento della civiltà va verso una secolarizzazione crescente e totale, cioè verso l’autonomia dei valori temporali e verso la liberazione del loro asserito rapporto religioso. Avrete certamente sentito parlare di questa tendenza, che distingue dapprima le realtà terrene dal loro superiore e terminale rapporto col mondo religioso; e ciò legittimamente (Cfr. Gaudium et spes GS 36); ma poi arriva a restringere nell’ambito di queste realtà terrene tutto il sapere e tutto l’interesse dell’uomo, secolarizzando, laicizzando, desacralizzando ogni forma di vita moderna. La religione non vi avrebbe più posto, né alcuna ragione d’essere, a meno che non sia reinterpretata in senso puramente umanista, così che essa proclami che l’uomo è per l’uomo l’essere supremo (Cfr. MARX, NIETZSCHE, ecc.).


IL PROGRESSO E LA STORIA

Come vedete, l’obiezione è sovversiva rispetto alla nostra fede, ed è in questi anni assai forte e diffusa, giungendo perfino nel campo teologico, con qualche intenzione non sempre eversiva anche in quello cattolico.

Qual è la sua forza motrice? Essa sembra doversi identificare nel movimento, nell’evoluzione, nel cambiamento delle idee risultante dal progresso, dalla mutazione della vita moderna in confronto con quella dei tempi precedenti. Noi siamo soliti a chiamare storia questo flusso di avvenimenti e di costumi, quando esso si riferisce alla vita dell’uomo. La storia sarebbe la causa fatale della dissoluzione dell’idea religiosa. Il senso di questo processo delle cose e degli uomini nel tempo ci tenta a classificare come antiquata, come oggi insostenibile, come abusivamente superstite la religione, e come mitico, cioè immaginario e irreale, lo stesso nome di Dio. Un uomo religioso sarebbe un reazionario, un ingenuo fuori moda, un essere infelice, non ancora emancipato dai ceppi di una mentalità superata.

Superfluo che noi vi ricordiamo quale potere suggestivo abbia oggi questa tentazione. I fatti lo dicono, i libro lo documentano. I giovani specialmente subiscono il fascino di questa forma di ateismo per l’aspetto di attualità, che lo riveste, di spregiudicatezza, ch’esso autorizza e fomenta, di evidenza elementare, che sembra suffragarlo. Questo genere di ateismo sarebbe un segno di progresso mentale, causa ed effetto del progresso scientifico, tecnico, sociale, culturale. La storia, cioè l’evoluzione, è il segreto di questa metamorfosi del mondo moderno. Su l’ateismo si potrebbero fare dissertazioni senza fine, specialmente nel campo speculativo; esiste nella letteratura cattolica una ricca produzione di opere di studio e di divulgazione, che faremo bene a conoscere e a valorizzare. Ma noi ci limitiamo ora a considerare l’aspetto tentatore della negazione di Dio e dei nostri rapporti con Lui, causato dal così detto «nostro tempo».



LE MODE DEL PENSIERO

Vorremmo invitarvi ad esaminare questa espressione. Essa farebbe torto alla vostra intelligenza, se da sé bastasse a formare in voi una certezza, specialmente in questione di tanta importanza. Può, al più, fondare una presunzione di verità, quella dell’opinione pubblica, o quella di correnti filosofiche di pensiero, che si suppongono valide. Ma di per sé l’attualità di una dottrina non basta a darle titolo di credibilità. Chi si lascia condurre dalla moda del pensiero, dall’opinione di massa, spesso non si accorge della propria attitudine servile: si esalta nelle parole, nelle idee altrui, nelle opinioni comode, nella rinuncia ad uno sforzo mentale proprio, nel godimento d’essersi affrancato dalla mentalità del proprio ambiente, spesso non privo di sapienza e di esperienza, e di lasciarsi portare dalle idee trionfanti: e si crede libero! E non si avvede d’un’altra debolezza: che le idee trionfanti nel tempo, col tempo possono mutare, e mutano di fatto; egli si espone perciò a smentite e a delusioni di domani; sorriderà forse allora di se stesso, o forse meglio rimpiangerà d’aver abbandonato il timone della propria personalità a mani e a cervelli altrui, d’essere un uomo mancato, d’aver camminato al buio.

ATTUALITÀ DELLA FEDE

Riflettano le persone intelligenti. Riflettano i giovani. Riflettano i lavoratori. Tutti dobbiamo riflettere. Oggi specialmente, quando l’idea di «progresso», di autosufficienza umana, subisce una crisi paurosa, e trova proprio nei suoi fedeli operatori i contestatori più neri e più disperati.

Che se altri fossero i motivi della ripugnanza al Dio della fede vogliamo parimente riflettere: l’analisi seria e paziente di questi motivi ne mostrerà alla fine la fallacia; e, non senza un immancabile aiuto di quel Dio che mettiamo in causa (Cfr. S. IREN., Ad. Haer. IV, 5, 1: «non possiamo senza Dio conoscere Dio»), troveremo ch’Egli non è il fantasma che l’uomo ignorante o emotivo s’è creato da sé; troveremo, come dice il Concilio, in una mirabile pagina, «che il riconoscimento di Dio non si oppone in alcun modo alla dignità dell’uomo» e che, proprio in conformità alla tensione dell’uomo moderno a cercare nel tempo avvenire la pienezza della vita, «la speranza escatologica non diminuisce l’importanza degli impegni terreni, ma anzi, offre nuovi motivi a sostegno del compimento di essi» (Gaudium et spes GS 21).

Rileggiamo una pagina del P. De Lubac: «Si respinge Dio come colui che limita l’uomo, e non si vede che per rapporto con Dio l’uomo ha in sé “qualche infinità”. Si respinge Dio come quegli che soggioga l’uomo, e non si vede che è per rapporto con Dio che l’uomo sfugge a ogni servitù, in particolare a quella della storia e della società . . .» (DE LUBAC, Sur les chemins de Dieu, p. 268).

Dio non è sorpassato. E nemmeno l’idea di Dio, nella pienezza del suo Essere, nel mistero della sua esistenza, nella meraviglia della sua rivelazione, è sorpassata. Solo bisogna rigenerarla nei nostri spiriti, che l’hanno deformata, profanata, rimpicciolita, espulsa e dimenticata; rigenerarla nella ricerca, nella fede cristiana, nella carità ambivalente: verso di Lui e verso i fratelli, per riscoprirla l’attualità per eccellenza, la luce del tempo, la promessa dell’eternità.

Il suo nome è «Sempre».

Diciamo anche con il cantore biblico: «Benedirò il Signore in ogni tempo, e sempre avrò sulle mie labbra la sua lode» (Ps 33,2).

Con la Nostra Apostolica Benedizione.



I corsi estivi dell’Università Cattolica del S. Cuore

Quest’oggi abbiamo il conforto di salutare i partecipanti ai «Corsi estivi di lingua e cultura italiana per stranieri» organizzati dall’Università Cattolica del S. Cuore presso la sua Facoltà di Medicina in Roma.

Vi siamo grati, giovani carissimi, di questa visita e dei sentimenti di deferenza che l’hanno suggerita. Diamo a tutti di gran cuore il nostro benvenuto.

Abbiamo già avuto occasione di manifestare l’alta considerazione in cui noi teniamo i Corsi che voi frequentate e la loro finalità. Essi tendono, è vero, a diffondere la lingua e la cultura italiana fra persone di Paesi e Continenti diversi, ma nello stesso tempo moltiplicano una rete concreta di relazioni, di incontri, di scambi di idee, che sono di fondamentale importanza per lo sviluppo fra i popoli di un clima di mutua comprensione, di rispetto e di collaborazione fraterna.

Ecco perché noi guardiamo con simpatia e con fiducia ai vostri «Corsi». Servizi di questo genere costituiscono una delle forme più efficaci per promuovere la causa del progresso, della fratellanza e della pace.

Che Dio, adunque, renda feconde le vostre giornate di studio. Noi glielo chiediamo di tutto cuore, mentre invochiamo su voi, come pure i vostri dirigenti e insegnanti, l’abbondanza delle celesti benedizioni.

Gli itinerari romani

Desideriamo anche rivolgere il Nostro saluto al gruppo dei giovani partecipanti al «Nono Corso Internazionale Itinerari Romani», organizzato dal Centro Internazionale della Gioventù Lavoratrice.

Sappiamo, carissimi figli, che siete venuti, da varie parti d’Italia ed anche dall’estero, nella città di Roma, per studiarne la storia secolare, che ha dato tanto contributo alla civiltà, e per visitarne le vestigia sacre alla pietà cristiana, che ricordano ancora ai contemporanei la fede e la fortezza di innumerevoli santi e martiri.

Auspichiamo di cuore che la contemplazione di tante bellezze d’arte e di tanti insigni monumenti rappresenti per voi non solo una meritata pausa dopo i mesi di studio, ma anche un arricchimento culturale ed un valido impulso ad una testimonianza di vita cristiana sempre più generosa e cosciente.

Con questi voti, volentieri vi impartiamo l’Apostolica Benedizione, the estendiamo ai vostri familiari e a tutte le persone the vi sono care.

La «Croix-d’or» (in francese)

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We wish to speak a particular word of welcome to the young people from Sweden, members of a Lutheran Parish Choir in Stockholm. We hope that your stay in Rome is a happy one and that its memories remain with you for a long time to come. We wish you grace and peace in the Lord.

Special greetings go to Our dear Chinese friends from Hong Kong. It is a pleasure to welcome you to Castelgandolfo and to assure you of our esteem. Our affection accompanies you as you return to your homes.

Once again We are happy to have present with us friends from Japan. This week we receive most cordially the Japanese Group of Italian Arts Seminar. We extend our best wishes for your travels and for your work and send Our greetings to your families and loved ones.

To all the University Students present here this morning goes the expression of our most cordial sentiments. We know how great is your energy and enthusiasm and we are convinced that you can contribute much to the building of a better world. You have Our prayers and best wishes for your future. Your brothers and sisters need your service. Be strong; be faithful to your task.

Unser herzlicher Gruss gilt such den Mitgliedern und Wohltätern des «Kreises Junger Missionare» aus Ingolstadt. Mit ihrem Gründer Pater Leeb weilen sie zu ihrer ersten gemeinsamen Pilgerfahrt in Rom.

Liebe Freunde, das Ziel eurer Bewegung ist die Förderung von Priesterberufen. Damit habt ihr euch ein Anliegen unseres Herrn zu eigen gemacht, von dem such das Konzil ausdrücklich spricht. Wir ermuntern euch, auf eurem Weg der Hingabe und des Opfers mutig voranzuschreiten.

Dazu erteilen Wir euch und allen anwesenden Pilgern von Herzen den Apostolischen Segen.

Mercoledì, 12 agosto 1970

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La religione? La religione deve essere rinnovata. Questa è la persuasione di tutti coloro che oggi ancora si occupano di religione, siano essi fuori della sua espressione concreta: una fede, un’osservanza, una comunità; o siano invece all’interno d’una professione, o di una discussione religiosa. Tutto sta a vedere che cosa s’intenda per rinnovamento. Bisogna rinnovare la propria coscienza religiosa. Questa è piuttosto una questione, che un’obiezione: ma è questione polimorfa, polivalente; cioè si presenta sotto aspetti molto diversi, con principi, metodi di studio, conclusioni differenti e facilmente opposti fra loro. Il rinnovamento religioso può essere concepito come un processo continuo di perfezionamento, ovvero come un processo sbrigativo di dissoluzione, oppure come un tentativo di interpretazione nuova, secondo dati criteri.



TEMA DI SPECIALE ATTUALITÀ

Il tema è attuale. Tutti abbiamo accolto la parola prestigiosa di «aggiornamento», come un programma; programma del Concilio e del Post-Concilio; programma personale e comunitario. Segno evidente che proprio nel cuore della ortodossia deve agire, come un fermento vitale (Cfr.
Mt 13,33), l’impulso della vita nuova, il respiro animatore della coscienza, la tensione morale, l’espressione attuale e, come l’amore, sempre originale. La religione è vita, e, come la nostra vita biologica, dev’essere soggettivamente in un continuo ricambio, in una continua purificazione, in un continuo accrescimento. Tutta la disciplina dello spirito ce lo ricorda; S. Paolo non cessa di ripeterlo: «l’uomo interiore si rinnovella di giorno in giorno» (2Co 4,16); «spogliatevi dell’uomo vecchio, il quale per le passioni ingannatrici si corrompe; e rinnovatevi nello spirito della vostra mentalità; e rivestitevi dell’uomo nuovo» (Ep 4,22-23); anzi «procuriamo di crescere per ogni verso in Lui (Cristo)» (Ep 4,15), sempre «progredendo nella scienza di Dio» (Col 1,10), eccetera.

RINNOVAMENTO INTERIORE

Questa incessante esortazione significa molte cose, che ci offrono la visione genuina del fatto religioso: significa che esso nasce da piccoli inizi e che deve svilupparsi (ricordate le parabole del seme?) (Lc 8,5 Lc 8,11; ecc.); significa che anch’esso è soggetto a decadenza e perversione (ricordate la polemica di Cristo con i Farisei?) (Mt 23,14 ss.); significa che è spesso bisognoso di riforma, e sempre di perfezionamento, e che solo nella vita futura raggiungerà la sua pienezza. Tutto questo è noto ai discepoli della Parola divina, e della scuola della liturgia e della vita ecclesiale. Perciò volentieri accettiamo «l’aggiornamento», e cerchiamo d’interpretarne il significato e di accoglierne le conseguenze rinnovatrici. Prima nell’interno delle anime (Ep 4,23); e poi, se occorre, nelle leggi esteriori.

Ma questo rinnovamento non è senza pericolo. Anzi non è senza pericoli. Il primo pericolo è quello del cambiamento, voluto per se stesso, o in ossequio al trasformismo del mondo moderno. Del cambiamento incoerente con la tradizione irrinunciabile della Chiesa. La Chiesa è la continuità di Cristo nel tempo. Noi non possiamo staccarci da essa, come un ramo, che vuole esplodere nei nuovi fiori della primavera, non può staccarsi dalla pianta, dalla radice, donde trae la sua vitalità. Questo è uno dei punti capitali della storia contemporanea del cristianesimo: è un punto decisivo: o dell’adesione fedele e feconda con la tradizione autentica e autorevole della Chiesa, ovvero del taglio mortale da esso. Il contatto normale con Cristo non può avvenire per chi voglia rifarsi a lui secondo vie di propria elezione, creando un vuoto dottrinale e storico fra la Chiesa presente e l’annuncio primitivo del Vangelo. «Lo Spirito soffia dove vuole» (Jn 3,8); sì l’ha detto il Signore; ma il Signore ne ha lui stesso istituito un veicolo conduttore: « ricevete lo Spirito Santo », ha pur detto il Signore risorto ai suoi discepoli, «i peccati di coloro a cui li avrete rimessi, saranno perdonati, e quelli di coloro a cui li avrete ritenuti, saranno ritenuti» (Jn 20,23). Cristo, certamente, rimane l’unica sorgente, l’unica «vera vite»; ma la sua linfa giunge a noi attraverso i tralci vitali germinati da quella (Cfr. Jn 15,1 ss.; Lc 10,16).



CONTINUITÀ DI SVILUPPO

La Chiesa non è un diaframma divisorio, che interpone una distanza, un impedimento dogmatico e legale fra Cristo e il suo seguace del secolo ventesimo; è il canale, è il tramite, è lo sviluppo normale che unisce; è la garanzia dell’autenticità, dell’immediatezza della presenza di Cristo fra noi. «Sono con voi . . .», ha detto Cristo congedandosi dagli Undici e aprendo davanti ad essi la successione dei tempi, «fino alla consumazione del secolo» (Mt 28,20).

Non si può ideare un cristianesimo nuovo per rinnovare il cristianesimo; bisogna essergli tenacemente fedeli. E questa stabilità nell’essere, con questa sua continuità nel movimento e nello sviluppo, questa coerenza esistenziale, propria d’ogni essere vivente, non si può qualificare reazionaria, oscurantista, arcaica, sclerotica, borghese, clericale, o con altro titolo dispregiativo, come pur troppo certa moderna letteratura la definisce, per la fobia di tutto ciò che è del passato, o per la diffidenza di tutto ciò che il magistero della Chiesa fa oggetto di fede; la verità è così: rimane; la Realtà divina, che in essa si contiene, non si può modellare a piacimento, s’impone. Questo è il mistero: chi ha la fortuna di entrarvi mediante la fede e la carità, ne gode indicibilmente; ha qualche ineffabile esperienza della effusione dello Spirito Santo.

Chiederà qualcuno: ma allora non v’è più nulla da rinnovare? L’immobilismo diventa legge. No: la verità rimane, ma esigente: bisogna conoscerla, bisogna studiarla, bisogna purificarla nelle sue espressioni umane: quale rinnovamento tutto questo comporta!

La verità rimane, ma è feconda: nessuno può mai dire d’averla tutta compresa e definita nelle formule che pure nel loro significato restano intangibili; essa può presentare aspetti ancora meritevoli di ricerca; essa proietta luce su campi diversi, che interessano il progresso della nostra dottrina; la verità rimane, ma ha bisogno di divulgazione, di traduzione, di formulazione relativa alla capacità comprensiva dei suoi alunni, e questi sono gli uomini di diversa età, di diversa cultura, di diversa civiltà. La religione ammette perciò perfezionamento, incremento, approfondimento, una scienza sempre tesa nella sublime fatica d’una qualche migliore comprensione, o d’una qualche più felice formulazione.

Un pluralismo, allora? Sì, un pluralismo, che tenga conto delle raccomandazioni del Concilio (Cfr. A.A.S. 54 (1962), pp. 790, 792) e purché riferito ai modi, con cui le verità della fede sono enunciate, non al contenuto, come affermò con tanta forza e con tanta chiarezza il nostro venerato Predecessore Papa Giovanni XXIII, nel celebre discorso d’apertura del Concilio (Optatam totius OT 16 Gravissimum educationis GE 7,10), riferendosi tacitamente, ma evidentemente, alla classica formula del «Commonitorium» di S. Vincenzo di Lérins (†450): le verità della fede possono essere espresse in modo diverso, purché «con lo stesso significato» (Cfr. DENZ-SCH., DS 2802). Il pluralismo non deve generare dubbi, equivoci o contraddizioni; non deve legittimare un soggettivismo di opinioni in materia dogmatica, che comprometterebbe l’identità e quindi l’unità della fede: progredire, sì, arricchire la cultura, favorire la ricerca; demolire, no.



IL CAMMINO DELLA CHIESA

Dovremmo dire di tante altre cose in tema di rinnovamento religioso, sul progresso teologico, ad esempio, sulle relazioni fra la dottrina religiosa e l’ambiente, sia storico, che culturale (tema oggi molto sentito e molto delicato), sugli insegnamenti morali della Chiesa e i costumi mutevoli degli uomini; ecc. Ma sia sufficiente l’accenno ora fatto a questo grande tema del rinnovamento religioso, affinché anch’esso sia oggetto di qualche vostra stimolante riflessione, e faccia a voi apprezzare lo sforzo che la Chiesa in questi anni sta facendo, con sofferta fedeltà e con pastorale bontà, per dare alla fede la sua gelosa custodia e la sua amorosa apertura. Ed anche affinché ai maestri della fede, Vescovi, Teologi, Catechisti, non manchi la vostra adesione e la vostra riconoscenza.

Con la Nostra Benedizione Apostolica.



Le Apostole del Sacro Cuore

Diamo ora un caloroso ed affettuoso saluto al gruppo delle Apostole del Sacro Cuore, così meritevoli della nostra stima e riconoscenza per l’impegno con cui si dedicano a promuovere e a sostenere le vocazioni sacerdotali e missionarie.

La vostra missione, figlie carissime, è una missione di alto valore: delicata, ma feconda; faticosa, ma provvidenziale, perché va incontro a uno dei problemi più urgenti della Chiesa di oggi. Dinanzi all’immensità del compito che rappresenta il mondo moderno da evangelizzare, ci si domanda con angoscia dove e come trovare abbastanza sacerdoti e religiosi per far fronte alle necessità. Talvolta sembra che la gioventù di oggi non sia più in grado di intendere la voce di Dio che chiama, che non abbia più il senso dei grandi ideali e l’attrattiva di un’esistenza che si consacra a Cristo e assume nella Chiesa e nel mondo significato e forza di redenzione.

Figlie carissime, i frutti consolanti raccolti dal vostro Istituto in questi cinquant’anni del suo silenzioso apostolato, sono una smentita a questi timori. Noi ve ne siamo sinceramente grati. Continuate, adunque, coraggiosamente su questa strada; allargate la rete delle vostre iniziative apostoliche; moltiplicate i vostri contatti con le anime giovanili; ma soprattutto mantenetevi sempre in stretta comunione col Padrone della messe per mezzo della preghiera.

A tanto vi conforti l’abbondante effusione del Divino Spirito, che invochiamo per tutte voi; e in pegno dei suoi doni vi impartiamo di cuore la propiziatrice Apostolica Benedizione.

We have again this Wednesday the pleasure of receiving a group from Japan. While We welcome you to Castelgandolfo, We express to you Our joy at having you in Our midst. We hope that your travels will prove beneficial to your future and leave you with happy memories. TO your families and homeland goes Our affectionate greeting.

Un saludo especial de bienvenida al grupo de jóvenes mejicanas que, al cumplir sus quinte años, han querido regalarnos con su deferente visíta.

Deseamos, amadísimas hijas, que este encuentro contribuya a vuestro embellecimiento espiritual. Que vuestra alegría y entusiasmo juveniles, adornados con la gracia divina, os mantengan siempre fieles y unidas en vuestros generosos ideales, prontas a dar un testimonio de vida cristiana, cada vez más consciente, y a colaborar ejemplarmente en la construcción de un mundo mejor.

Nuestra Bendición Apostólica para vosotras, para vuestras familias y para todo México.

Mercoledì, 19 agosto 1970


Paolo VI Catechesi 29770