Paolo VI Catechesi 19870

Mercoledì, 19 agosto 1970

19870

Noi vorremmo darvi segno dell’amore pastorale, proprio del Nostro ministero, verso l’uomo del nostro tempo, l’uomo considerato secondo un tipo comune, non per abbassare il suo livello, ma per allargare il raggio del nostro interesse, cercando d’invitare la vostra attenzione sulle tentazioni convenzionali circa la fede in Dio, o, in termini più generali, circa la religione.

Una di queste tentazioni è quella che insinua nella mentalità moderna la persuasione che, tutto sommato, si può fare a meno di Dio, e si può sostituire con altri valori. Cioè, si precisa: della fede in Dio, e della pratica religiosa, che la fede richiederebbe. Non è una negazione assoluta, non è un ateismo radicale o razionale; è un disinteresse pratico, e un tentativo di fondare la vita su altre basi, che non quelle religiose tradizionali. È una conclusione, spesso, d’un ragionamento abbastanza empirico, ma complesso, che demolisce nell’interno dell’anima quel po’ di certezza, che il primo catechismo aveva infuso nell’alunno ancora fanciullo, e che, con qualche dubbio nascente da un nascente sforzo intellettuale e con qualche attraente prospettiva di affrancamento da doveri molesti, sembra svanire: com’è difficile, si dice, questo problema su Dio! com’è facile sottrarsi alle sue esigenze, sia speculative, che pratiche! com’è comodo! E per taluni la tentazione si veste delle sembianze di Minerva, la dea della sapienza pagana, che fa pensare all’abbandono della religione come a un superamento liberatore da pseudo-idee infantili (ricordate? non è Chantecler che fa sorgere il sole): l’uomo adulto non ha bisogno di questo mondo religioso, che sembra immaginario e superstizioso; egli è soddisfatto d’altri pensieri, i suoi pensieri, che sono poi i suoi interessi, i suoi impegni, i suoi amori, le sue esperienze, la sua attività quotidiana, il suo «da fare», ch’egli chiama la vita reale.

Questa è la prima forma della tentazione, che dicevamo, della sostituzione di Dio: la possiamo riferire, ricordando la parabola del seme, a quello caduto fra cespugli di spine, che crescendo soffocano il grano nascente (
Mt 13, 7, 22): le sollecitudini temporali prendono tutto il posto che nell’anima dovrebbe essere riservato ai doveri e ai diritti della religione. Questo è positivismo pratico. L’inosservanza del riposo e della preghiera dei giorni festivi dimostra quanto sia forte e prepotente questa tentazione. Oggi chi vi cede è legione, proprio quando l’importanza, sia personale che collettiva, della partecipazione festiva alla liturgia eucaristica è divenuta di più chiara evidenza, tanto per segnare sapientemente il ritmo del tempo e delle occupazioni profane, quanto per conservare allo spirito il suo respiro, il suo conforto, il suo livello, il primo.

La vita a-religiosa diventa facilmente insoddisfacente e insignificante. L’uomo intelligente si accorge di camminare all’oscuro; senza la luce della verità e della pratica religiosa la sua esperienza perde risalto e significato, la sua personalità si fa mediocre, la sua libertà cade mancipio di passioni non buone e di influssi altrui. Sente il bisogno di qualche idealità superiore, davanti e sopra di lui. Le opinioni correnti, gli aforismi retorici, le filosofie di moda offrono facilmente l’idolo da mettere al posto di Dio. Ma vogliamo riconoscere che spesso sono concezioni nobili ed alte, che sono innalzate a guida dell’uomo moderno in sostituzione della fede religiosa, come la scienza, la libertà, l’arte, il lavoro, il progresso, il dovere, l’amore . . . Altre concezioni, non meno risonanti, non sono senza ambiguo significato: la ricchezza, la potenza, la gloria, la politica, la felicità, ecc. Valori, certamente.

Ma possono essi forse assurgere a quel grado assoluto, che riconosciamo alla divinità, e che non postula d’essere giustificato in sede superiore? E sono essi, se di essi soltanto ci accontentiamo, capaci di riempire nel nostro spirito il posto di Dio? Non lasciano forse, presi da soli, un vuoto, che, a ben considerarlo, è la parte maggiore e migliore? E se restringiamo la nostra capienza a questi valori isolati, mentre essi postulano d’essere riportati a sorgente e ad ordine di più alto grado, non abbiamo noi o compresso la loro vera misura, o rimpicciolito, piuttosto che dilatato, l’ampiezza dello spirito umano, ch’è senza limiti? È questo il monito notissimo di S. Agostino (Cfr. Conf. 1, 1), che percorre, prima e dopo di lui, tutta la storia della spiritualità umana: il bisogno dell’insostituibile Iddio. Non si tratta di qualificare questo insaziabile bisogno come «angoscia metafisica», di cui non vuol sentire parlare né il materialismo moderno, né, per altre ragioni, l’idealismo immanentista; ma si tratta di riconoscere una nativa e profonda esigenza dell’anima umana, aperta sull’infinito, la quale aspira a commisurarsi e quindi ad immedesimarsi con la conoscenza e l’amore con quel Dio, di cui porta in se stessa la misteriosa impronta. La sostituzione, anche in questi casi, che riscontriamo talvolta in uomini di grande statura intellettuale e morale, è abusiva; abusiva per riguardo a Dio, che antepone al suo messaggio biblico il geloso e primo mandato: «Sono Io il Signore Dio tuo; non avrai altro idolo davanti a me» (Ex 20,2-3); e abusiva per riguardo all’uomo, che lo illude col bagliore di luci riflesse, o artificiali, privandolo della prima luce dell’abbagliante mistero di Dio.

Ma oggi è di moda un’altra forma di sostituzione di Dio, di Cristo, della fede e della religione; ed è quella che ci tenta non già a ripudiare i benefici della religione stessa, di quella cristiana specialmente, quanto piuttosto ad acquisire tali benefici per l’uomo moderno, distinguendoli e separandoli dalla loro radice, cioè dal rapporto col mondo divino. Si usa dire: dalla .sorgente verticale, per assegnarne l’origine ed il termine alla linea orizzontale, non più a Dio, ma all’uomo. Nell’intento di dare al cristianesimo una formulazione gradita alla mentalità secolarizzata, laicista, ostile alla trascendenza e alla Realtà misteriosa del Dio vivente e del suo Cristo, Verbo incarnato e nostro Salvatore nello Spirito Santo, si è cercato d’interpretare il cristianesimo secondo misure puramente umane. Ricorderanno ancora molti un celebre articolo, scritto subito dopo la guerra, d’un insigne filosofo idealista: «Perché noi non possiamo non dirci cristiani», nel quale si riconosceva acutamente il merito innegabile al cristianesimo d’aver assicurato alla dottrina dello spirito valori nuovi ed inestinguibili; ma il cristianesimo autentico è assorbito e quindi sostituito dall’immanentismo idealista.

Oggi si parla di pensatori, che offrono una re-interpretazione secolare della fede cristiana, come d’un cristianesimo senza religione, nel quale Cristo fa grande figura, ma come uomo. Dio scompare. Vi si dicono anche cose belle e profonde, che fanno l’incantesimo dei cristiani del nostro tempo, dottrinalmente secolarizzati e perciò negatori della verità religiosa quale la Chiesa perennemente difende e diffonde: sono spesso pagine impressionanti, come rose ammirabili, ma recise dalla pianta; vivono in bellezza, affermando valori etici apprezzabili, ma come si spiegano staccati dalla loro vera radice e ridotti a misura puramente umana? e quanto potranno durare per salvare quell’uomo al cui livello sono fatalmente ridotti? l’espace d’un matin? (Cfr. G. DE ROSA, Civ. Catt., 1970, quad. 2877 e 2878)

Dio, Cristo, la Chiesa, non si possono impunemente sostituire. Procuriamo di superare questa tentazione, ritrovando nella nostra fede cattolica la certezza, la pienezza, la salvezza, che essa solo può dare.

Con la Nostra Benedizione Apostolica.

Una gloriosa parrocchia e alcuni pellegrinaggi

Il nostro particolare saluto va oggi con meritato titolo al pellegrinaggio dell’Arcipretura Curata di S. Egidio Abate in Latrònico, qui rappresentata da oltre cinquecento fedeli, per commemorare il quarto Centenario di fondazione della parrocchia.

Il desiderio che vi ha spinti a celebrare con questo pellegrinaggio una data così significativa, Ci dice che la fede cristiana ha radici profonde nella vostra comunità parrocchiale, e Ci dice anche il senso vivo della vostra appartenenza alla Chiesa universale, che ha nella Sede di Pietro il centro della sua unità. Qual migliore augurio allora potremmo oggi formulare per voi, se non quello di rendervi membra non soltanto coscienti ma altresì vive ed operose in seno alla Chiesa, per la sua missione, per la salvezza vostra e dei vostri fratelli, nella società in cui vi trovate? Si tratta di un dovere da cui nessun figlio della Chiesa, degno di questo nome, può in alcun modo sottrarsi. Perciò, figli carissimi, insieme al ricordo di questo incontro, conservate nel vostro cuore le parole che il Papa rivolge a ciascuno di voi: amate la Chiesa, sentite le responsabilità che avete verso di lei, siate cristiani autentici, lieti e fieri di collaborare con i vostri pastori per la diffusione del regno di Dio.

A tanto vi conforta la Nostra benedizione, che amiamo impartirvi insieme a tutta la vostra comunità parrocchiale, affinché la gioia e la pace del Signore siano sempre nei vostri cuori.

Rivolgiamo il Nostro affettuoso saluto ai chierichetti di Malta, che anche quest’anno sostituiscono quelli del Pre-Seminario S. Pio X nel servizio liturgico estivo della Basilica di S. Pietro.

Sappiamo, figli carissimi, con quanto amore, diligenza e fervore attendete al vostro nobilissimo compito. In tal modo voi contribuite non poco alla dignità e al decoro delle funzioni sacre nella Basilica vaticana. Ve ne siamo immensamente grati. Dio vi benedica e vi conservi sempre degni di questo grande onore.

A tale scopo vi impartiamo la Nostra Apostolica Benedizione, che estendiamo alle vostre famiglie e a quanti hanno provveduto alla vostra preparazione.

Our special welcome to the Ukrainian Scouts who have come from the United States. We hope that your visit is a pleasant one and that it will leave you with happy memories of Rome. When you go home We ask you to take Our greetings to your beloved families.

To the Catholic Girl Guides from Ireland goes also a special word of greeting. Your country is often in our thoughts and prayers. We assure you all of our affection in the Lord.

We are happy to have with us a group of Japanese students from Nanzan University. You and your fellow-countrymen are always most welcome. We know something of your fine University with its noble motto: “To the Dignity of Man”. We pray that your personal contribution in this regard may be great.

Ein herzliches Wort der Begrüssung gilt Unserem Mitbruder im Mischofsamt Mons. Làszlo und dem Pilgerzug der Diözese Eisenstadt.

Aus Anlass des zehnjährigen Bestehens eurer Heimatdiözese seid ihr hierher gekommen, urn am Grab des heiligen Petrus zu beten und Uns, seinen Nachfolger zu grüssen. Mit diesem Besuch bekennt ihr euren Glauben zur einen katholischen Kirche.

Haltet dieser Kirche die Treue! Setzt euch mit Hingabe und Opferwillen dafür ein, dass sie die Sendung des Herrn erfüllen kann!

Dazu euch und allen von Herzen Unser Apostolischer Segen.


Mercoledì, 26 agosto 1970

26870
Parliamo ancora di Dio, con la semplicità dovuta a questo colloquio; e ci domandiamo: non sarebbe il caso di metterci, o di rimetterci alla sua ricerca? alla ricerca di Dio?

Noi lo dobbiamo per questo primo motivo: perché noi crediamo in Dio. Basta forse questa fondamentale affermazione: «Io credo in Dio» per placare il nostro spirito, e per non occuparci più della grande verità-chiave di tutto il nostro pensiero, di tutta la nostra vita? Basta questo atto supremo della nostra ragione questo atto iniziale della nostra religione per ritenerci esonerati dalle conseguenze che esso comporta, e prima fra tutte quella di metterci coscientemente alla ricerca approfondita e quindi alla presenza di questa suprema Realtà, ch’è Dio? «alla presenza», qui, equivale avvertire, in qualche modo, la sua Infinità, la sua Totalità, la sua Alterità, la sua trascendenza e la sua immanenza, il suo mistero, il suo Essere assoluto e necessario, la sua Vita personalissima e beatissima? cioè sperimentare la tensione, in cui questo atto di ragione e di fede ci pone, la tensione, l’ansia, la gioia di proclamare, di celebrare, di adorare Lui, nostro Principio, Lui, nostro Fine; una tensione che ci attrae, perché Lui è, per Chi Lui è, e che insieme tenta di distrarci e tirarci via, per la nostra sproporzione incalcolabile, e per la nostra inguaribile indegnità? (Cfr.
Lc 5,8 Gn 18,27) e che faremo quando sapremo che dobbiamo chiamare Dio nostro Padre, la Bontà somma, in Sé e per noi? potremo mai essere inerti e tiepidi, o non sentiremo il dovere di cercarlo, di cercarlo con quell’impegno, che si chiama amore? L’amore è «studio», l’amore è ricerca. La Bibbia è piena di questo imperativo invito: «Cercate il Signore e la sua potenza, cercate sempre la sua faccia» (1 Par. 16, 11).

E dobbiamo cercare Iddio anche per un altro motivo: perché oggi gli uomini tendono a non cercarlo più. Tutto si cerca; ma non Dio. Anzi si nota quasi il proposito di escluderlo, di cancellare il suo nome e la sua memoria da ogni manifestazione della vita, dal pensiero, dalla scienza, dall’attività, dalla società; tutto dev’essere laicizzato, non solo per assegnare al sapere e all’azione dell’uomo il campo loro proprio, governato da loro specifici principii, ma per rivendicare all’uomo un’autonomia assoluta, una sufficienza paga dei soli limiti umani, e fiera d’una libertà resa cieca d’ogni principio obbligante, orientatore. Tutto si cerca, ma non Dio, Dio è morto, si dice; non ce ne occupiamo più! Ma Dio non è morto; è perduto; perduto per tanti uomini del nostro tempo. Non varrebbe la pena di cercarlo?

Tutto si cerca: le cose nuove e le cose vecchie; le cose difficili e le cose inutili; le cose buone e quelle cattive, tutto. La ricerca, si può dire, definisce la vita moderna. Perché non cercare Dio? Non è Egli un «Valore», che merita la nostra ricerca? Non è forse una Realtà, che esige una conoscenza migliore di quella puramente nominale di uso corrente? migliore di quella superstiziosa e fantastica di certe forme religiose, che appunto dobbiamo o respingere perché false, o purificare perché imperfette? migliore di quella che pensa d’essere già abbastanza informata, e dimentica che Dio è ineffabile, che Dio è mistero? e che conoscere Dio è per noi ragione di vita, di vita eterna? (Cfr. Jn 17,3) Non è forse Dio un «problema», se piace chiamarlo così, che c’interessa da vicino? il nostro pensiero? la nostra coscienza? il nostro destino? E se fosse inevitabile, un giorno, un nostro personale incontro con Lui? Ancora: e se Egli fosse nascosto, per un interessantissimo gioco a noi decisivo, proprio perché noi lo abbiamo a cercare? (Cfr. Is Is 45 Is Is 19) Anzi, sentite: se fosse Lui, Dio, Dio stesso, in cerca di noi? non è questo il misterioso e sovrano disegno della storia della nostra salvezza? quaerens me sedisti lassus. (Cfr. Dei Verbum DV 2).

Dobbiamo tutti rimetterci alla ricerca di Dio.

Questione immensa. Come fare? da quale punto partire? Per fortuna, in questa spirituale impresa, non siamo soli. Una letteratura vastissima e secolare ci precede: leggete, ad esempio, i Soliloqui di S. Agostino, o l’Itinerario della mente a Dio di S. Bonaventura. Una bibliografia moderna, a tutti i livelli, è a nostra disposizione: sappiate scegliere. Opere di teologia, fiorente di sicura dottrina e di contemporanea esperienza, sono aperte davanti ai volonterosi, e offrono validi aiuti.

Ma perché ciascuno non potrebbe osare qualche passo anche da sé? Ciascuno, ad esempio, può osservare la realtà del fenomeno areligioso, o antireligioso del nostro mondo; lo può rilevare nell’ambiente in cui vive, nella società che ci circonda, nelle forme di attività, a cui partecipa; e può domandarsi quali siano le cause della decadenza religiosa dei nostri tempi: perché Dio è assente? Perché la fede subisce un’eclissi?

Basterà il porsi simile domanda per accorgersi che la risposta riguarda generalmente la condizione esistenziale delle persone osservate; la causa non tocca di solito la fede in se stessa, ma lo stato d’animo, la mentalità, la formazione ambientale della vita dell’uomo. L’uomo è cambiato, non il rapporto religioso, non la religione nel suo contenuto; l’occhio umano oggi non vede, anche se la luce è quella di prima. Cioè le condizioni soggettive non sono più favorevoli al pensiero di Dio, alla fede, alla preghiera.

E questo perché? Oh, la difficile questione! Ma una risposta sommaria la possiamo dare: per i cambiamenti della vita moderna; e ciò che ci stupisce è notare che questi cambiamenti sono in generale quelli che possiamo chiamare progresso, sia riguardo alla cultura della gente, sia riguardo allo sviluppo della società. L’uomo adulto, si dice, non ha più bisogno di Dio. La religione sarebbe un fenomeno infantile. Come mai questo risultato religiosamente negativo, derivante dalla evoluzione positiva dell’uomo moderno? Indichiamo, solo per avviare, non per risolvere, questa diagnosi, due fattori: l’uso dell’intelligenza, e la polarizzazione della volontà: l’intelligenza s’è appassionata al sapere scientifico, cioè quello soggetto all’esperienza razionale; e in ciò tutto bene, se questa educazione mentale non si fosse fermata a questo grado di conoscenza e non avesse rifiutato di salire più su, dalla conoscenza fenomenica, sensibile e calcolabile delle cose alla conoscenza dell’essere delle cose, a quella che chiamiamo metafisica, e che è la base per accedere alla sfera religiosa.

La volontà poi è stata rivolta massimamente ai problemi pratici ed economici; la sfera, che chiamiamo terrena, e che quando è cercata dall’uomo con interesse prevalente, o esclusivo, gli impedisce l’accesso alla sfera dei beni superiori, che chiamiamo celesti. È questo duplice contenimento dell’uomo, che lo ha staccato dalla pur naturale tendenza alla levitazione religiosa. Il problema non tocca la realtà delle cose e dell’uomo, non è ontologico, ma si fa psicologico e pedagogico. Come si può ricercare Dio in queste condizioni. Sarebbe temerario rispondere in parole, così brevi e fuggevoli come queste, a problema di tanta ampiezza e complessità. Ma indichiamo una via, non unica, né risolutiva, ma indicativa e iniziale: cominciamo a suscitare (ecco l’apostolato odierno) il desiderio dell’uomo vero e completo, dell’umanesimo pieno e autentico; questo contiene un connaturale superamento della statura unidimensionale, cioè materialista e positivista, dell’uomo, e risuscita in lui un vigiliare senso di Dio, un interesse, una speranza, che davvero, se il Maestro viene incontro, risolve non solo in ricerca, ma in iniziale conquista divina, l’avventura esistenziale dell’uomo moderno. E sarà bellissimo. E come suscitare? con l’amore, con la carità. La carità è metodo, è propedeutica alla verità. Troppo lungo spiegare. Pensateci e pregate. Con la Nostra Benedizione Apostolica

Le scienze dell’educazione

Siamo lieti ora di rivolgere il Nostro saluto alle allieve dell’Istituto Internazionale di Scienze dell’Educazione, con sede a Castelgandolfo, le quali anche quest’anno sono venute a porgerci la testimonianza del loro affetto e della loro devozione.

Vi ringraziamo di cuore, figlie carissime, di questa vostra delicata attenzione. Il vedere voi, qui presenti, e nello stesso tempo pensare al gran numero di ex-allieve del vostro Istituto che in tante parti del mondo svolgono alti compiti educativi, e talora in posti di grande responsabilità, ci riempie l’animo di profonda gratitudine al Signore, nonché di stima e di augurio per quanto il vostro Istituto ha fatto e fa per l’applicazione degli insegnamenti della Chiesa nel campo dell’educazione e per una «presenza pubblica, costante ed universale del pensiero cristiano in tutto lo sforzo dedicato a promuovere la cultura superiore» (Gravissimum educationis GE 10).

Su tutte voi discenda sempre più abbondante l’effusione dello Spirito del Signore; e in pegno dei suoi doni vi impartiamo la Nostra Apostolica Benedizione.


Mercoledì, 2 settembre 1970

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Noi insistiamo sul tema della ricerca di Dio. Non è per evadere ai problemi gravi e incalzanti del momento storico presente, ai quali la nostra attenzione è parimente e assiduamente rivolta, in altra sede e in altro modo; ma perché pensiamo che la questione della nostra mentalità circa la religione è sempre prioritaria, non solo in se stessa, per le realtà somme a cui si riferisce: Dio e l’uomo, ma altresì per le conseguenze teoriche e pratiche, che dipendono da questa prima questione: essa è il punto di sospensione di tutto il sistema ideologico umano; e siccome oggi negarla è di moda, trascurarla è abitudine, ignorarla (con tanto accanito odierno secolarismo) è quasi d’obbligo, quasi difesa d’una conquistata emancipazione, noi crediamo doveroso e interessante farne parola, ancora, ancora una volta: dobbiamo ricercare Dio. È strana pretesa di tanta gente sentenziare su questo nome sommo e misterioso di Dio, come se ne conoscessero il vero significato - vuoto, falso, dubbio, immenso, impreteribile, che sia - senza mai averlo onestamente cercato, coscienziosamente studiato: qual è la scienza, di cui oseremmo parlare, senza prima averla studiata, o almeno ammessa sulla parola di una testimonianza competente?

La ricerca di Dio! La nostra intenzione sarebbe apostolica; cioè vorrebbe riferirsi alle condizioni spirituali dell’opinione pubblica, al modo comune di pensare della gente, degli uomini d’oggi; ma ci vediamo obbligati, per rigore di metodo, di sostare su gli aspetti personali che la ricerca di Dio presenta, non certo per farne qui un’esposizione accurata, ma solo per indicarne alcuni, a scopo di stimolo a qualche utile riflessione.

Domandiamoci dunque : come si cerca Dio? La domanda dà le vertigini. Ma facciamo subito uno sforzo per metterci calmi, cioè per disporre il nostro spirito all’impiego ordinato ed efficiente delle proprie facoltà, per sperimentare la loro capacità a questo atto estremamente impegnativo della ricerca di Dio.

Dio non è evidente. Se credessimo che lo fosse per noi, con l’uso superficiale e intuitivo delle nostre facoltà conoscitive, ci illuderemmo, Questo spiega perché molti, moltissimi non credono in Lui. Le condizioni mentali dell’uomo moderno non sono abitualmente predisposte né ad una cosciente ricerca, né a quella conoscenza di Dio, ch’è a noi possibile. Abbiamo troppi elementi sensibili, figurativi, immaginativi, fantastici, rappresentativi nel nostro cervello per superare questa sfera di esperienza facile, piacevole, farraginosa e per cercare al di là e al di sopra di essa. Quando facciamo questo tentativo di chiederci la ragione, il significato, il valore di questa multiforme e comoda esperienza, siamo subito sopraffatti da una babele di idee e di nomi; la razionalità filosofica è così ricca e così confusa, che per molti oggi si contenta di ordinare storicamente le espressioni del pensiero umano, di collegarle, al più, con un filo di processo mentale; la storia del pensiero supplisce alla valutazione razionale e reale del pensiero stesso. E se poi invece impegniamo il pensiero nella esplorazione di ciò che chiamiamo reale, ci fermiamo, con senso giustificato di successo, alla razionalità scientifica: la scienza ci dà un duplice dominio, quello d’una conoscenza sicura delle cose, e quello del loro uso pratico, tecnico, economico: grande conquista, ma non sufficiente all’insaziabile aspirazione della ragione, la quale vuole sapere di più: non le basta sapere come sono le cose, vorrebbe sapere il loro perché. E allora arriviamo a questa prima conclusione, a cui, pensiamo, nessuno dovrebbe opporsi: diamo alla ragione la sua linea, il suo movimento naturale, la sua forza, la sua sanità, la sua funzione piena e superiore; ed essa ci porterà a quella conoscenza riflessa di Dio, della quale parla S. Paolo: dalle cose visibili si può avere una certa, ma sicura conoscenza dell’invisibile Iddio (
Rm 1,20); come ce ne dà conferma il Concilio Vaticano I, che rivendica appunto alla ragione umana la capacità di conoscere qualche cosa di Dio mediante la conoscenza delle cose create (DENZ.-SCH., DS 3004).

In altri termini: bisogna usare bene della ragione, bisogna restituirle un funzionamento logico davvero normale ed efficace, bisogna restituirle fiducia. Non dobbiamo abusare capricciosamente di questo dono, di questo occhio fatto per conquistare la verità. La ragione ha una funzione insostituibile nella religione. Essa vi ha un posto d’onore, un impiego di alto grado. Come uomini, dobbiamo esserne fieri; come religiosi, guardinghi e umili: la ragione è uno strumento preziosissimo e delicato, ma valido e potente, sempre progrediente. Dice bene il P. De Lubac: «Che l’uomo, dunque, abbia l’audacia della propria ragione! . . . Quali si siano i meandri percorsi dal suo pensiero, sappia egli alla fine risalire alla Sorgente, sappia raggiungere il punto focale!» (Sur les chemins de Dieu, p. 15).

Dove arriverà la nostra ricerca, condotta con la pura ragione naturale? Arriverà sì, ad una altissima quota, oltre la linea dell’agnosticismo; ma il traguardo sarà piuttosto un desiderio, che un soddisfacimento. Il suo sforzo sarà piuttosto un tentativo, che una conquista. Si tradurrà in un’espressione ben nota nelle scuole di religione: intellectus quaerens fidem, l’intelletto cerca la fede, cioè una conoscenza, che gli sia concessa per rivelazione. Entriamo nell’ordine gratuito del soprannaturale. «Se Dio non si fa maestro, nessuno può conoscere Dio . . . Era impossibile senza Dio imparare Dio; mediante il suo Verbo Egli insegna agli uomini a conoscere Dio», così S. Ireneo († 200) (Adv. Haer., IV, 6, 4; 5, 1; PG 7, 988), ricordando le parole di Cristo: «Nessuno conosce il Padre se non il Figlio, e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo» (Mt 11,27); «Dio nessuno lo vide mai; il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, Egli lo manifesterà» (Jn 1,18). S. Tommaso apre la sua Somma Teologica affermando ch’«era necessario per la salvezza umana una certa dottrina secondo una rivelazione divina oltre le scienze naturali esplorate dalla ragione umana». Cristo è il Maestro, il rivelatore, la luce: «Se rimarrete nella mia parola, Egli disse, sarete veramente miei discepoli, e conoscerete la verità; e la verità vi libererà» (Jn 8,31-32).

Di qui la fede, e di qui un successivo ripensamento, un atto riflesso della ragione sopra questa nuova e superiore scienza di Dio; ecco la teologia: fides quaerens intellectum, secondo la celebre espressione di S. Anselmo d’Aosta, Arcivescovo di Canterbury († 1109). La fede ha bisogno del servizio della ragione; essa non la soffoca, come spesso si dice; non la sostituisce (Cfr. DENZ-SCH., DS 2751 DS 2756 DS 2813); ma la associa all’accettazione della Parola di Dio, la innalza e la impegna alla più ardua ed esaltante fatica: ascoltare, per quanto è possibile, capire, esplorare ed esprimere la rivelazione, come lume, come principio logico e dialettico della più profonda e più vitale razionalità: credo ut intelligam. L’intelligenza è assunta al suo supremo cimento, agevolata dal concorso di tutto l’uomo, delle sue virtù morali che rendono possibile passare dalla fase speculativa del pensiero a quella vitale; fare della verità divina un principio di vita umano-divina. Non intratur in veritatem, nisi per caritatem, non si entra nella verità se non con la carità, scrive S. Agostino (Contra Faustum, 41, 32, 18; PL 42, 507).

Vedete, Figli carissimi, come la ricerca di Dio si fa ampia e meravigliosa, e come essa non trascina i nostri passi in speculazioni vane ed astruse, ma interpreta, esercita e magnifica le più profonde e più autentiche aspirazioni del nostro spirito. E nessuno vi è escluso. I piccoli sono in prima fila a questa scuola di Dio (Cfr. Mt 11 Mt 25). Con la Nostra Apostolica Benedizione.

Con vivo piacere accogliamo stamane anche un gruppo di studentesse universitarie, proveniente da varie Nazioni, attualmente ospiti in Roma della Fondazione RUI. Con animo grato salutiamo queste Nostre figlie carissime, e cogliamo l’occasione per attestare loro il Nostro affetto e la Nostra stima.

Sappiamo che la vostra permanenza in Roma ha come scopo la frequenza di corsi sull’arte italiana attraverso i secoli, con particolare riferimento a quei valori umani e spirituali che l’arte italiana ha saputo così bene sintetizzare. Vi esprimiamo il Nostro compiacimento, e insieme vi auguriamo di sapere valorizzare questa vostra preziosa esperienza non soltanto per la vostra cultura, ma anche per una vostra più completa formazione spirituale.

A tale scopo impartiamo di cuore la Nostra propiziatrice Apostolica Benedizione, che estendiamo a tutti i vostri cari.

We are happy to welcome a group o visitors from Japan, pupils of the Institute of the Sisters of Saint Dominic in Tokyo. Me hope that they will take home happy memories of their visit. We pray for them, and extend to them, their loved ones and their teachers, Our very best wishes.

Un saludo de bienvenida y de gratitud por su deferente visita al grupo de jóvenes venezolanas.

Amadísimas hijas : Deseamos ardientemente que este vuestro encuentro con el Vicario de Cristo os haga sentir con mayor intensidad la dimensión católica y misionera de la Iglesia. Aprovechad todas las gratias del Señor para que vuestra vida sea fecunda en frutos del espíritu. Vuestras familias, el mundo, la Iglesia cuenta con vuestros ideales siempre jóvenes y renovadores, con vuestra fe fuerte y decidida, con vuestro corazón entregado, caritativo. Nuestra Bendición para vosotras, para vuestros seres queridos y para Venezuela entera.



Mercoledì, 9 settembre 1970

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Cercare Dio, noi diciamo, è dovere. Dovere che rimane, anzi emerge per noi moderni, che siamo pieni, fino a sembrare sazi, di tanta scienza, di tanta cultura; e proprio per questo abbiamo maggiore bisogno e maggiore obbligo di cercare la ragione superiore e prima di tutte le cose che conosciamo, pena non capire più il senso profondo di esse, e naufragare nel dubbio e infine nella disperazione, o condannare il nostro pensiero ad un qualunquismo mediocre e convenzionale. Rimane ed emerge questo assillante dovere, anche perché oggi è trascurato e negato, e la fame di Dio, una fame non forse riconosciuta, ma invadente a suo malgrado nello spirito umano, proteso a saziarsi di surrogati, nobili talvolta, ignobili spesso, così che «dopo il pasto ha più fame che pria» (DANTE, Inf. 1, 99).

Cercare, cercare sempre. Ma una domanda qui si impone spontanea: e quando trovarlo, Iddio? lo possiamo anche trovare? Noi moderni? e come? e se lo troviamo, che cosa succede? siamo paghi o delusi? felici o infelici?

Ecco dunque un’altra questione, che fa parte della grande discussione religiosa di tutti i tempi, e del nostro non meno. Lo possiamo trovare Dio, e in quale modo? ovvero la nostra ricerca è senza fine e senza risultato? Facciamo attenzione: la nostra ricerca dev’essere senza fine, in questa vita, pellegrinante verso il traguardo dell’incontro finale, pieno ed eterno con Dio, quando «lo vedremo come Egli è» (
1Jn 3,2), «faccia a faccia» (1Co 13,12). Ma non senza risultato fin da questa vita, la quale, rispetto alla conoscenza e al possesso di Dio, si svolge nell’oscurità, come in una notte, in una vigilia, non senza stelle, non senza il lumen Christi della veglia pasquale. Cioè noi in qualche modo, in qualche misura, possiamo trovare Dio fino da questa presente condizione della nostra esistenza. Ricordiamolo bene: noi possiamo trovare Dio. Noi lo abbiamo in certi dati modi già trovato.

Già trovato: come? Qui si ripresentano le celebri parole di Pascal: «Tu non mi cercheresti se tu già non mi possedessi» (Le mystère de Jésus, in fine). Cercare è già trovare, è già avere, se davvero non possiamo conoscere Dio senza di Lui, senza un suo lume, naturale o soprannaturale (Cfr. Rm 1,11), interiore o esteriore che sia (S. TH., In Ep. ad Rom. 1, 6), Dio è già presente in colui e per colui che lo cerca. Se comprendiamo questo, noi possiamo già navigare nell’oceano della preghiera: «Dio, Dio mio, io veglio e fino dall’alba io anelo a Te» (Ps 61,1).

Ma ciò non basta. Noi vogliamo qualche cosa di più. Trovare che cosa significa? Significa sapere con certezza, conoscere come conosciamo le cose di questo mondo, con evidenza, con concretezza. Possiamo trovare Dio così? Oh! com’è complesso il mondo della nostra conoscenza! Noi dobbiamo essere compresi della impossibilità di trovare Dio come si trova una qualsiasi altra cosa: non sarebbe più Dio l’oggetto della nostra ricerca, se Egli fosse reperibile nella concretezza con cui noi conosciamo le cose; non sarebbe più Dio, diciamo, sarebbe una cosa: « Nessun nome si adatta convenientemente a Dio », dice S. Tommaso, secondo il nostro modo di concepire le cose esistenti (Cfr. S. TH., Contra Cent. SCG 1,30). Noi dobbiamo renderci conto della drammatica ambiguità dei nomi che attribuiamo a Dio: per un verso li possiamo affermare, per esempio: Dio è buono, Dio è vivo, Dio è Padre, per la bontà, la vitalità, la paternità, che Gli sono proprie; ma dobbiamo al tempo stesso negare ch’egli sia buono, vivo, padre allo stesso modo degli esseri di cui abbiamo conoscenza ordinaria, e che qualifichiamo con questi termini (Ibid.; De Potentia, 7, 2, ad I et II).

Questo è il punto più difficile, ma anche più fecondo del nostro itinerario alla scoperta di Dio. Meriterebbe lungo discorso sulla conoscenza così detta analogica, cioè vera, ma non identica, che noi possiamo avere di Dio (Cfr. S. TH., I 13,1); così sul modo di affermare la divina realtà negando i limiti, nei quali ogni nostro concetto si esprime (Dio non è finito, Dio non è corporeo, Dio non è mortale, ecc.: è la così detta via remotionis, un’affermazione cioè include la realtà da noi concepibile e ne esclude i confini in modo da noi inconcepibile); così pure la via excellentiae, il modo di attribuire in misura sublime a Dio le realtà positive da noi conosciute: Dio è sapiente, cioè infinitamente sapiente; Dio è buono, cioè infinitamente buono, ecc. . . . Per ciò quando pretendiamo di trovare Dio, ce lo vediamo quasi sfuggire nel suo cielo profondo d’infinito mistero proprio quando speravamo d’averlo raggiunto: Egli rimane assolutamente trascendente, ineffabile, misterioso. Non sarebbe il vero Dio, quello che speriamo trovare, se così non fosse. Noi possiamo riconoscere che Egli esiste e quali attributi convengono alla sua sovrana esistenza; non possiamo conoscere adeguatamente nulla di Lui. E avviene così che la nostra ricerca non sarà in riposo; è una corsa che non finisce mai durante questa vita.

E allora? siamo sconfitti nella nostra ricerca? non lo troveremo mai?

No, rimane ancora molto da dire. Vi è un altro grado di ricerca e di conquista di Dio; è più che la conoscenza razionale, è l’esperienza spirituale. L’esperienza mistica, l’esperienza vitale. Anche questa ha una sua scala, che parte da quei segni della presenza e dell’azione divina, che chiamiamo miracoli. Strana cosa: di nessun fatto è così curioso il nostro mondo incredulo quanto del miracolo; soltanto lo esige vero, reale. Ma se tale si presenta, la folla accorre. Sono i miracoli che hanno attirato l’interesse, la fiducia e poi la fede della gente nella scena del Vangelo verso Gesù. Un desiderio di miracolo è in fondo ad ogni anima; i critici moderni sono in guardia per contestarne la veridicità, la realtà; ma di fatto ne hanno paura, che è quasi un presagio; le persone profane ne sono invece le più avide e le più curiose; i fedeli, sì, sarebbero felici di vedere un miracolo, ma sanno che questa è una forma eccezionale e rarissima, di cui il Signore si serve per venire a nostro contatto (Cfr. ZSOLT ARADI, I miracoli, Vita e Pensiero, 1961). Il Signore ci vuole normalmente condurre a sé non per via di queste esperienze meravigliose, ma sensibili, ma per altre vie, spirituali e morali, quella della fede, quella dell’amore, quella dell’esempio dei Santi da cui traspare un rapporto con Dio, quella della voce autorizzata della Chiesa.

Però dobbiamo registrare una forma, meno rara forse di quanto si potrebbe credere, un altro gradino verso il contatto mistico con Dio: è quello della grazia gelosamente custodita nell’anima; è la manifestazione interiore di Gesù, promessa a colui che veramente lo ama; Egli ha detto: «Manifesterò me stesso a lui» (Jn 14,21). È quel «lume dei cuori», che fa della fede una luce, una sicurezza; è l’ispirazione dello Spirito Santo, la guida che Dio, nell’economia della grazia, esercita sulle anime fedeli, specialmente su quelle votate al silenzio interiore, all’orazione, alla contemplazione. Si tratta d’un dono, o d’un frutto dello Spirito (Cfr. Ga 5,22 Ep 5,9), d’un carisma che effonde nel cuore un’attrattiva inconfondibile verso l’Essere Vivente e Presente di Dio. Su questo piano dell’incontro mistico con Dio si svolge una vegetazione spirituale rara, ma molto varia e molto ricca, il cui fiore più bello e caratteristico è la conoscenza per via d’amore. Noi decreteremo tra poco il titolo di Dottore della santa Chiesa a due Sante, Teresa d’Avila e Caterina da Siena, che hanno raggiunto, sofferto e goduto tale conoscenza mistica e ne hanno lasciato alla Chiesa e all’umanità mirabili documenti.

Così molti altri Santi; ricordate, ad esempio, la visione di Stefano (Ac 7,55), di S. Pietro in Joppe (Ac 10,11), di S. Paolo rapito fino al terzo cielo (2Co 12,4), di S. Giovanni a Patos (Apoc., passim.), di S. Agostino ad Ostia, ecc. La fenomenologia della vita mistica, tanto sotto l’aspetto psicologico (Cfr. PLOTINO, sec. III), quanto sotto l’aspetto teologico (Cfr. DIONIGI, detto l’Areopagita, sec. v), è ricchissima, e forma un ramo speciale della teologia e dell’agiografia. Ma sembra riguardare una categoria singolare di persone religiose privilegiate.

Sì, ma ciò basta a provare che trovare Dio è possibile. E potremmo venire ai tempi nostri e scendere in mezzo agli uomini contemporanei per avere testimonianze letterarie (Cfr. BERNANOS), filosofiche (BERGSON, MARITAIN) e vissute (Cfr. MERTON; A. FKOSSARD: Dieu existe, je l’ai rencontré, Fayard, 1969), che ce ne danno conferma. Quanto a noi, se vogliamo davvero trovare con le nostre umili forze, ci ricorderemo della parola di Gesù all’apostolo Filippo: «Chi vede me, vede anche il Padre» (Jn 14,9). Con la Nostra Apostolica Benedizione.

L’aggiornamento dei missionari

Ed ora un affettuoso saluto ai Missionari italiani di diversi Istituti Religiosi convenuti a Roma per partecipare al IX Corso di aggiornamento per Missionari in temporaneo rimpatrio.

Il vostro desiderio, figli carissimi, di chiedere la Nostra Benedizione prima di partire in terra di missione, già ci manifesta lo spirito che anima la vostra partecipazione a questo Corso di aggiornamento.

A Nostra volta esprimiamo la più viva compiacenza al Pontificio Istituto Missioni Estere che ha organizzato per voi un così provvido incontro. Conosciamo la vastità e la gravità dei compiti che oggi vi attendono, e che, se richiedono da voi di avere sempre presente il fine specifico dell’attività missionaria, che è l’evangelizzazione (Cfr. Ad gentes AGD 6), non per questo vi consentono di trascurare i problemi umani dei popoli a cui portate la Fede. Di qui la necessità di una revisione di metodi, di opere, di organizzazione nel lavoro missionario che comporta certamente nuove responsabilità e nuove difficoltà, ma apre anche orizzonti nuovi per l’avvenire delle Missioni cattoliche nel mondo.

Noi vi auguriamo che dal Corso che state seguendo, possiate attingere un valido aiuto per adeguarvi al momento storico che la Chiesa missionaria sta attraversando. A tale scopo impartiamo la Nostra Apostolica Benedizione a voi tutti qui presenti e alle vostre Famiglie religiose.

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Un particular saludo de bienvenida os queremos dirigir a vosotros, amadísimos niños y niñas de varios Países, que por vuestra bondad habéis merecido el premio de la Ilamada «Operación Plus Ultra».

Seguid siendo siempre buenos de verdad. Sabéis la predilección que Cristo, vuestro modelo y amigo, tuvo por vosotros, y eso debe animaros a vosotros y a todos los niños a hacer de la bondad el lema de vuestra vida, para edificar un mundo nuevo, en el cual el amor sincero y la generosa comprensión abran nuevos horizontes de serenidad y de fraternidad.

En prueba de nuestro paternal afecto, os otorgamos de corazón a vosotros y a todos los niños de vuestros Países, así corno a vuestros familiares y a los promotores de estas iniciativas de superación, Nuestra especial Bendición Apostólica.

A vosotros, amadísimos hijos e hijas de la «Federación Católica de Padres de Familia de la Diocesis de Vitoria», Nos complacemos en expresaros Nuestra particular gratitud por vuestra visita.

Recibid Nuestra palabra de estímulo, y llevadla en Nuestro nombre a todos los miembros de vuestra Asociación, para que intensifiquéis cada día con mayor entusiasmo vuestro apostolado en favor de la santificación del matrimonio y del santuario doméstico.

A vosotros y a vuestro Consiliario, a los miles de familias de vuestra Federación, a todos los hogares de Vitoria y a todos nuestros hijos de esa amadísima Diócesis, impartimos de corazón, en prueba de paternal afecto, una especial Bendicion Apostolica.

Le religiose e gli studi biblici

Ed ora un saluto particolare alle 300 Religiose, di diverse Congregazioni, che partecipano, a Roma, alla seconda Settimana Biblica Nazionale, promossa dall’Associazione Biblica Italiana. Ci compiacciamo con questa benemerita istituzione che moltiplica e diffonde le sue iniziative con ammirevole zelo; e ci rallegriamo con voi, carissime Suore, che approfondite in questi giorni i capitali temi biblici dell’Esodo e dell’Apocalisse. La vostra è stata una consolante risposta al desiderio del Concilio Vaticano II, che nel Decreto sul rinnovamento della vita religiosa vi ha raccomandato «in primo luogo» di aver «quotidianamente fra le mani la Sacra Scrittura, per imparare dalla lettura e dalla meditazione dei Libri Sacri “la sovreminenze scienza di Gesù Cristo” (Ph 3,8)» (Cfr. Perfectae caritatis PC 6). La formazione alla solida pietà eucaristica e liturgica, l’innervatura spirituale, la visione della storia nell’abbraccio di Dio che salva, e anche l’orientamento psicologico e culturale attingono alla Bibbia il loro alimento primo e insostituibile; formuliamo perciò voti che queste giornate romane siano per voi uno strumento di primo piano per familiarizzarvi sempre di più con i Libri Sacri, e the sempre più numerose siano le Religiose che, nel silenzio del cuore e nelle pause della loro vita spesa nella preghiera e nella carità, sappiano attingere a piene mani ai tesori della Rivelazione. Con la Nostra Benedizione Apostolica.

Gruppo di intellettuali buddisti del Giappone

Dear friends from Japan,

We bid you a warm welcome, you whom We truly consider our friends. Some of you, just over two years ago, have already paid us the honour of a visit. We are happy to see you back with other venerable leaders of religious life in your country.

On the occasion of the great Exposition at Osaka, which gave the world the opportunity to acquaint itself with Japan’s achievements, Our special representative, Cardinal Marella, was able to visit some of the famous shrines of your land, and to bear Our greetings to several of your religious leaders. It gives Us much pleasure to express Our good wishes personally to each of you today.

Men of good will, such as you are, must feel strongly called to join in the endeavour to secure peace and development, in freedom, justice and respect for human dignity, for all your brothers throughout the world. We count on your valiant contribution towards this noble work, which the Almighty will assuredly bless. Upon you yourselves and upon all who look to you for guidance We invoke today his gracious favour.


Mercoledì, 16 settembre 1970


Paolo VI Catechesi 19870