Paolo VI Catechesi 12039

Mercoledì, 12 marzo 1969

12039
Diletti Figli e Figlie!

Nella riflessione postuma, che dobbiamo fare sugli insegnamenti morali del Concilio, un tema ritorna alla Nostra mente, come uno dei più insistenti nei testi conciliari, e uno dei più importanti per la riconquista perenne che la Chiesa deve fare della propria autenticità, della propria coerenza, della propria fedeltà all’intenzione originaria e generatrice di Cristo a suo riguardo, ed è quella del servizio.

L’economia della salvezza si presenta e si svolge in un disegno di servizio, che dà un’impronta caratteristica a tutto il Vangelo e a ciò che lo segue, cioè il cristianesimo, cioè la Chiesa. Se la rottura del rapporto vivificante fra Dio e l’umanità avvenne per colpa d’un atto di ribellione da parte dell’uomo, avido d’una sua fatale indipendenza, al grido: «Io non servirò» (
Jr 2,20), la riparazione non poteva avvenire che mediante un atteggiamento contrario, quello assunto da Gesù, il Salvatore, al quale, nella lettera agli Ebrei (He 10,5-7, ss.), sono attribuite queste parole: «Entrando nel mondo egli disse: . . . ecco io vengo - giacché di me si parla nel rotolo del libro - per compiere, o Dio, la tua volontà . . .» (cfr. Ps 39,8-9). Gesù vorrà così accentuare la restaurazione dell’ordine, che riflette il pensiero divino circa il destino umano collegato al dominio amoroso di Dio, da apparire come servo: «formam servi accipiens» (Ph 2 Ph 7), dirà S. Paolo: assumendo l’aspetto di servo, che «umiliò se stesso, fatto obbediente fino alla morte, anzi alla morte di croce» (ib., 8). E se l’obbedienza è la virtù del servo, così appunto la professò il Signore: «Non la mia volontà, ma la tua volontà (o Padre), sia fatta» (Lc 22,42); e così consumò il sacrificio terribile e orrendo della Croce.



I PRECETTI DEL VANGELO

Del servizio, si ricorderà, Cristo aveva parlato per definire il programma della sua venuta fra gli uomini: «Il Figlio dell’uomo (così Gesù parlava di Sé) non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita come redenzione di molti (Mc 10,45); e ne aveva fatto precetto ai suoi apostoli, quasi per definire il carattere e la funzione della potestà loro conferita, e in genere dell’autorità dell’uomo sopra i suoi simili: «. . . il più grande fra voi sia come il più piccolo; e chi governa sia come colui che serve» (Lc 22,26). Potremmo moltiplicare le citazioni, che si collegano con gli insegnamenti evangelici dell’umiltà, dell’obbedienza, della povertà, della carità.

E sebbene Noi abbiamo altra volta parlato di questo tema del servizio della «diaconia» (cfr. Lumen Gentium LG 24), vi accenniamo nuovamente per l’importanza che il Concilio vi ha dato in molti suoi documenti; è un tema ricorrente in essi, e occorre che noi vi ripensiamo. Vi ripensiamo! Vi è proprio questa espressione, che pare carica di un profondo senso psicologico e di un proposito di evangelico rinnovamento, in una pagina della costituzione dogmatica sulla Chiesa, dove precisamente si dice: «La Chiesa ripensa . . .»! (Lumen Gentium LG 42). E quasi sapendo come questa idea di servizio incontri istintivo ostacolo nella mentalità moderna, che esalta la personalità, l’autonomia, la libertà, la spontanea e indocile coscienza dell’uomo, e trovi inciampo in tradizioni vetuste che hanno rivestito di mondano prestigio e di esteriore onore, e talora di ambizione, d’egoismo e di fasto l’esercizio dell’autorità, il Concilio ripete ad ogni passo il suo richiamo all’idea di servizio, specialmente come giustificazione della funzione pastorale (Lumen Gentium LG 27 LG 31), come principio di formazione sacerdotale (Optatam totius OT 4), come esigenza del ministero presbiterale (Presb. Ord., n. ), come scopo dell’attività missionaria (Ad gentes AGD 3), come disponibilità qualificante la presenza della Chiesa nel mondo (Gaudium et spes GS 3 GS 11); e così via.


ATTEGGIAMENTI DELL'UOMO MODERNO

Ora, quando parliamo di servizio, Ci sembra notare una duplice reazione nel Nostro uditorio, la prima piuttosto negativa, per quanto tale criterio informatore dell’educazione umana e cristiana lo può riguardare. Lo dicevamo testé: l’uomo moderno non vuol sentirsi servitore di nessuna autorità e di nessuna legge; l’istinto sviluppatissimo in lui di libertà lo inclina al capriccio, alla licenza e perfino all’anarchia; e in seno alla Chiesa stessa l’idea di servizio, e perciò d’obbedienza incontra molte contestazioni, anche nei Seminari (cfr. nella riv. Seminarium, ottobre-dicembre 1968, il bell’articolo del Card. Garrone, p. 553 ss.). Sarà bene invece ricordare che questa idea di servizio è costituzionale per lo spirito d’ogni cristiano, e tanto più per il cristiano chiamato all’esercizio di una qualsiasi funzione: di esempio, di carità, d’apostolato, di collaborazione, di responsabilità; e ciò specialmente nell’ambito ecclesiale, in cui la solidarietà, la sussidiarietà, l’unità, l’amore hanno esigenze di stimolante continuità; non dimentichiamo l’esortazione dell’Apostolo: «Portate i pesi gli uni degli altri, così adempierete la legge di Cristo» (Ga 6,2). La seconda reazione, che forse non si esprime, ma nasce nel subcosciente, è forse di soddisfazione, perché si pensa che l’ammonimento del servizio si riferisce più direttamente all’autorità, la mortifica nelle sue ambizioni e nei suoi arbitrii, e la mette a livello inferiore di coloro verso i quali è esercitata.


POTESTÀ E RESPONSABILITÀ

È vero. Accettiamo questo riferimento dell’idea di servizio alla autorità, o meglio all’esercizio, alla funzione, allo scopo dell’autorità. Diciamo pure: della gerarchia. Non che questa derivi la sua potestà, com’è nei regimi democratici, dalla comunità e sia verso di essa responsabile della propria ragion d’essere; ma è certo che «l’ufficio gerarchico esiste per la comunità e non viceversa» (LOHRER), e che la potestà nella Chiesa, secondo la famosa formola agostiniana, non è tanto per sovrastare, quanto per giovare; non per il proprio prestigio, ma per l’altrui utilità: «. . . ut nos vobis non tam praeesse, quam prodesse delectet» (Serm. 340: PL 38, 1484; cfr. CONGAR, L’Episcopat et l’Eglise univevselle , pp. 67-99). La funzione gerarchica è servizio. È questo un pensiero che cerchiamo Noi stessi d’avere sempre presente al Nostro spirito; ne sentiamo l’enorme peso; e ne proviamo insieme l’immensa energia. Perché quella potestà, che Ci rende a tutti debitori (cfr. Rm 1,14) e di tutti servitori, grava come incomportabile responsabilità sulle Nostre deboli spalle; e in duplice senso, verso Cristo, dal quale tutto riceviamo e al Quale tutto dobbiamo, e verso il Popolo di Dio, di cui Egli, il Signore, Ci ha fatto Pastore, in sua vece, con tutte le tremende e sublimi conseguenze che tale titolo comporta; ma nello stesso tempo questo stesso titolo è una professione, anzi una sorgente di carità. L’autorità, nella Chiesa, è L servizio di carità, è esercizio d’amore (cfr. Ga 5,13); e l’amore è forza di Dio, che abilita a cose superiori, sovrumane, se occorre.

E così, Figli carissimi, abbiamo un desiderio da manifestarvi: che vogliate pregare per Noi, affinché possiamo essere veramente fedeli nel servizio, che Ci è affidato: verso Cristo, dicevamo, e verso di voi e verso la Chiesa (cfr. He 13,17). Bene sappiamo che il Nostro servizio (cfr. 1P 5,3), esige che conformiamo la Nostra vita a modello di perfezione cristiana (cfr. 1P 5,3) esige che configuriamo anche l’aspetto esteriore del Nostro ufficio apostolico secondo uno stile di evidente autenticità. E per questo, come Ci giova l’esempio dei Santi, dei Nostri Confratelli e dei buoni fedeli, così Ci aiuti la vostra affezione, la vostra orazione. Vi ricambiamo di cuore con la Nostra Apostolica Benedizione.


MISSIONARI COMBONIANI IN PARTENZA PER L’AFRICA

Il Concilio Vaticano II è veramente una grazia straordinaria che lo Spirito Santo ha voluto fare alla Sua Chiesa, in questo secolo, così aperto e vivo, ma anche così tormentato, nel quale gli uomini tutti attendono con ansia, che talvolta rasenta l’angoscia, la soluzione di tanti problemi, non solo tecnici ed economici, ma specialmente interiori, che investono la persona umana alla radice stessa del suo essere, nel senso della propria vita e della propria destinazione totale.

Al dono dello Spirito deve però venire incontro la nostra generosa risposta. Il Concilio è ora nelle nostre mani. Per questo Noi plaudiamo di vero cuore alle iniziative del Centro di Spiritualità Postconciliare, e facciamo voti che sappia dare a quanti vi partecipano anzitutto una diretta, seria e penetrante conoscenza dei documenti conciliari, ad evitare interpretazioni dilettantistiche e superficiali, e li aiuti poi nella personale attuazione di quelle impegnative esigenze, affinché diventino vita nostra nell’ambito della Comunità Ecclesiale.


LA NECESSARIA COOPERAZIONE EUROPEA

L‘Europa, unita nella comunanza degli ideali, nell’affratellamento delle nazioni - pur tanto differenziate da un cospicuo patrimonio di cultura e di civiltà - nell’apporto delle forze del lavoro, nel miglioramento del livello di vita dei suoi abitanti, è realtà magnifica, che merita tutto l’appoggio delle forze migliori, e che da parte della Chiesa, nell’opera dei Nostri immediati Predecessori come di Noi stessi, ha trovato e troverà continuo incoraggiamento.

La dignità e il merito di una impresa tanto alta e nobile, come questa, debbono far superare ogni difficoltà, che la sua effettuazione potesse far incontrare. La mèta è tanto alta, che vale la pena affrontare fatiche, e pagare di persona. La vostra presenza, qui, Ci dice che la cosa non solo non è impossibile, ma può diventare consolante realtà, pur nel campo di una singola realizzazione.



PELLEGRINAGGIO ECUMENICO DIRETTO IN TERRA SANTA

It is a both a pleasure and an honour for Us to receive this most distinguished ecumenical group from the United Kingdom and from Ireland. We greet Our Venerable Brothers, the Catholic Bishops, the high ecclesiastical authorities of other Churches, and all of you who are united in fostering unity among Christians.

Co-operation in a brotherly spirit is the method proposed by the Second Vatican Council to attain this lofty purpose, and We rejoice to see that collaboration manifested today in your presence, and in the fraternal and friendly relations uniting you. Prayer, word and action are all means of co-operation, «tending toward that fulness, with which Our Lord wants His Body to be endowed in the course of time» (Unitatis redintegratio, N. 4).

We therefore invoke the guidance and illumination of the Holy Spirit upon all your activities; and upon your persons, your families and loved ones, and the souls entrusted to your ministry, We call down in abundance the richest graces and favours of Almighty God.



L’«ACTION CATHOLIQUE OUVRIÈRE» DI FRANCIA ...



Mercoledì, 19 marzo 1969

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Vi daremo, alla fine, una notizia, intorno alla quale si sono già concentrate molte curiosità e accumulate diverse ipotesi e non poche attese. La notizia è questa.

Siamo stati vivamente e ripetutamente invitati da numerosi Vescovi e Fedeli di fare una visita in Africa, e precisamente in Uganda, dove fervono i lavori per il nuovo Santuario e dove è eretto un altare in onore dei Martiri africani, che Noi abbiamo avuto la felice ventura di canonizzare. Si desidera che la cerimonia della consacrazione di questo altare sia da Noi presieduta, e celebrata insieme con altri Vescovi africani, e alla presenza di quei Fedeli, di cui Ci è nota la commovente rispondenza alla vocazione cristiana.

Ebbene, Noi abbiamo accettato l’invito. Si tratterà, anche questa volta, d’un viaggio veloce; e sarà, a Dio piacendo, nella seconda metà del prossimo mese di luglio; Ci recheremo a Kampala, capitale dell’Uganda, col beneplacito di quelle Autorità civili e con la previsione, per Noi desideratissima, d’incontrarvi parecchi Vescovi del continente africano, già colà convocati per una loro riunione.

Avremo nel cuore i destini spirituali e civili di tutta l’Africa; avremo nella preghiera e nell’ansia del Nostro spirito la pace di quei Popoli, di quello specialmente, a Noi già noto e tanto caro, della Nigeria tuttora straziata dalle dolorose vicende a tutti note.

AssisteteCi, Figli carissimi, con i vostri voti; e pregate con Noi, affinché questo nuovo viaggio porti con sé i doni della Fede, della pace e del vero benessere per tutta quella Terra, che Noi fin d’ora salutiamo e benediciamo.



Mercoledì, 26 marzo 1969

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Diletti Figli e Figlie!

Dopo il Concilio, noi andiamo cercando nei suoi insegnamenti le linee direttive del rinnovamento della vita cristiana. Alcune di queste linee, e sono le principali, riguardano la dottrina, altre, che ora vogliamo sommariamente rintracciare in questi nostri familiari colloqui delle udienze settimanali, riguardano l’azione, la vita pratica, la formazione morale ed ascetica del seguace di Cristo.


RICERCA DI INDIRIZZO SPIRITUALE FORMATIVO

Ora noi ci domandiamo quale sia l’indirizzo spirituale, cioè formativo, interiore, che con più facile evidenza possiamo derivare dai documenti conciliari. Potremmo osservare che il Concilio suppone già in atto l’opera della Chiesa circa la formazione dei suoi membri alla scuola di Cristo (Lumen Gentium
LG 10), circa la comune vocazione alla santità (Lumen Gentium ), circa la perfezione da praticare da parte dei Vescovi (Christus Dominus CD 15) e da cercare da parte dei Religiosi, dando alla vita spirituale il primato che le spetta (Perfectae caritatis PC 5, 6, 7); ma non svolge espressamente un suo insegnamento sulla interiorità della religione cattolica. Volendo anzi rilevare complessivamente gli aspetti caratteristici del Concilio circa la spiritualità ch’esso intende promuovere potremmo notare come la sua attenzione sia rivolta non tanto alla formazione religiosa personale e interiore del credente, quanto piuttosto a quella del corpo sociale della Chiesa, e ciò seguendo una triplice linea direttiva: quella liturgica, quella comunitaria, quella sociale. L’anima singola è principalmente considerata nella sua partecipazione alla Liturgia, che è l’azione sacra per eccellenza, pubblica ed ufficiale della Chiesa, e «nessun’altra azione della Chiesa, allo stesso titolo e allo stesso grado, ne eguaglia l’efficacia» (Sacrosanctum Concilium SC 7), donde il primato della preghiera liturgica; è considerata altresì nel suo inserimento nel Popolo di Dio, nella comunità riunita nella stessa fede e nella medesima carità, perché, dice il Concilio, che «Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame fra loro, ma volle costituire di essi un Popolo; che Lo riconoscesse nella verità e fedelmente lo servisse» (Lumen Gentium LG 9 cfr. BOSSUET, Lettre IVème à une demoiselle Metz, sur le mystère de l’unité de l'Eglise 1662 OEuvres, XI, 114 ss.); primato dell’unità salvifica (cfr. S. CIPRIANO, ep. 69,6 PL 3,1142); è considerata infine nella sua adesione alla missione che la Chiesa svolge in mezzo alla società in cui essa vive a contatto col mondo per esservi sacramento di salvezza e annunciatrice del Vangelo: primato dell’azione apostolica (cfr. Gaudium et Spes GS 93).


LA VITA INTERIORE

Si parla, sì, nei documenti conciliari della persona umana e della personalità cristiana (p. es. Gaudium et Spes GS 41), della coscienza individuale (ib., nn. GS 16), della libertà, ecc.: cioè si parla dell’essenza dell’uomo, della sua dignità e dei suoi diritti; ma sembra a chi non ponga mente all’insieme della dottrina conciliare che il grande tema della vita interiore, della religione personale, dell’adorazione, della meditazione, della contemplazione (cfr. tuttavia Perfectae caritatis PC 5 PC 7 Gaudium et Spes GS 56 GS 57) sia lasciato allo studio e alla pratica della tradizionale e privata iniziativa ecclesiale; donde qualche lamento che la pietà personale esca dal Concilio meno confortata, e che si possa notare in alcuni ambienti e in alcuni momenti un certo decadimento della religiosità interiore nel santuario delle singole anime.

Cospira poi a questo decadimento la diffusione di alcune forme di attività pastorale, per sé legittime, anzi lodevoli, ma che possono indurre, se isolate dal contesto propriamente religioso della fede e della grazia, alla prevalenza dello studio della vita religiosa e morale nei suoi aspetti statistici, sociologici, culturali, ed anche artistici e folcloristici, esteriori cioè e parziali; e cospira non meno, se una vigilanza di ortodossia dottrinale si addormenta, alla diffusione pericolosa, per non dir altro, di certe correnti di pensiero secolarizzato che considerano e ammettono solo un cristianesimo, così detto «orizzontale», filantropico e umanista, prescindendo dal suo essenziale contenuto «verticale», teologico, dogmatico e sostanzialmente religioso.

Noi dovremo perciò fare due cose: dovremo dapprima meglio studiare gli insegnamenti conciliari; e dovremo poi integrarli alla luce di quel patrimonio dottrinale, essenzialmente religioso, mistico, ascetico e morale, che il Concilio non ha per nulla ripudiato, sì bene ha voluto confermare, ampliandolo in un quadro più vasto e più organico, ed ha raccomandato di conservare e di «aggiornare». Tali insegnamenti conciliari infatti contengono alcuni richiami all’importanza di alcuni elementi religiosi, i quali non possono assumere il loro autentico e operante valore, se non nell’interiorità personale dell’uomo. Accenniamo a due fra questi richiami: allo studio della Sacra Scrittura (cfr. Dei Verbum DV 7,25 DV 8, ss.) e al culto dello Spirito Santo. Quanto la Sacra Scrittura debba interessare la vita personale del cristiano è noto a tutti coloro che avvertono l’onore e lo sviluppo dato alla «Liturgia della parola» (cfr. Sacr. Conc. nn. SC 33-35): una celebre citazione di San Girolamo è ricordata a questo proposito (Dei Verbum DV 25): «L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo» (Comm. in Is., Prol.; PL 24, 17); e tutta la Costituzione dogmatica Dei Verbum fa l’apologia della S. Scrittura, come regola suprema della fede (n. 21 ), alla quale «è necessario che i fedeli abbiano largo accesso» (n. 22). Ora, si sa che l’intelligenza e l’assimilazione della Parola di Dio, espressa nella S. Scrittura, esige un atteggiamento religioso personale, nel silenzio interiore, nella meditazione, nell’accoglimento del magistero della Chiesa, nell’esperienza segreta della sua luce e della sua forza spirituale, senza il quale il seme della Parola di Dio resta infecondo e crea per chi l’ascoltò, senza farla propria, una responsabilità e non una salvezza.


LO SPIRITO SANTO E LA GRAZIA

Circa lo Spirito Santo, quale ci è annunciato ed esaltato da tutto il Concilio, lungo sarebbe il discorso. Non dovremmo trascurare di rettificare certe opinioni che alcuni si fanno sopra la sua azione carismatica, quasi che in questa ciascuno potesse arrogarsi di essere favorito per sottrarsi all’obbedienza della autorità gerarchica, quasi che ci si possa appellare ad una Chiesa carismatica in opposizione ad una Chiesa istituzionale e giuridica (cfr. Enc. Mystici Corporis, 1943, n. 62, ss.); e quasi che i carismi dello Spirito Santo, quando sono autentici (cfr. 1Th 5,19-22 1Tm 1,18), non siano favori concessi in utilità dalla comunità ecclesiale per l’edificazione del corpo mistico di Cristo (1P 4,10), e non siano di preferenza accordati a chi in essa ha funzioni direttive speciali (cfr. 1Co 12,28), e soggetti all’autorità della gerarchia (cfr. Lumen Gentium LG 7 e Ap. actuos AA 3). Ma resta per chi vuole vivere con la Chiesa e della Chiesa il grande mistero della sua animazione per virtù dello Spirito Santo; animazione che il Concilio ha enormemente magnificato, e che obbliga noi a valutarlo là dov’esso è presente ed operante, nella preghiera, nella meditazione, nella considerazione della presenza di Cristo in noi (cfr. Ep 3,17), nell’apprezzamento supremo della carità, il grande e primo carisma (1Co 12,3 1Co 1), nella gelosa custodia dello stato di grazia. La grazia è la comunione della vita divina in noi: perché se ne parla ora così poco? Perché tanti non sembrano farne caso, più solleciti ad ingannare se stessi sulla liceità d’ogni proibita esperienza e a cancellare in se stessi il senso del peccato, che non a difendere nella propria coscienza la testimonianza interiore del Paraclito (Jn 15,26)?

A questa spiritualità vi esortiamo, Figli carissimi; non è spiritualità puramente soggettiva, non è preclusiva della sensibilità degli altrui bisogni, non è inibizione alla vita culturale e esteriore in tutte le sue esigenze; è la spiritualità dell’,4more, ch’è Dio, a cui Cristo ci ha iniziati, e che lo Spirito Santo riempie con i suoi sette doni della maturità cristiana. Noi vogliamo invocarli su di voi con la Nostra Benedizione Apostolica.


L’«ECOLE FRANÇAISE DE ROME» ...




Mercoledì, 2 aprile 1969

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Diletti Figli e Figlie!

Giorni di riposo, giorni di svago, giorni di festa sono questi per voi, cari nostri visitatori, che venite a Roma durante la Settimana Santa, profittando, la maggior parte di voi, della vacanza scolastica o professionale, che l’annuale ricorrenza pasquale vi concede. Ma se voi desiderate, come lo dimostra la vostra presenza a questa Udienza, partecipare in qualche modo allo stato d’animo della Chiesa durante la Settimana Santa, che precede la celebrazione del massimo avvenimento della storia e dei destini umani, cioè la risurrezione del Signore Gesù, voi trovate la Chiesa non in festa, ma tutta assorta in una grave e dolorosa meditazione, quella della Passione di Cristo, delle sue ineffabili sofferenze, della sua Croce, della sua morte. Meditazione penosissima, perché obbliga il nostro pensiero a considerare in Cristo, il primogenito dell’umanità (cfr.
Rm 8,29 Col 1,15), i misteri più oscuri e più ripugnanti, e tuttavia realissimi, quelli del dolore, del peccato, della morte, non solo riferiti a Gesù e alla tragedia inconcepibile della fine della sua vita nell’economia temporale presente, ma a considerarli altresì riferiti a noi, a ciascuno di noi, in un. rapporto così diretto e così inevitabile da riflettere, anzi da rinnovare misticamente in noi quel dramma sconfinato, fino a farcelo capire, per quanto a noi possibile, come il sacrificio per eccellenza, il sacrificio dell’Agnello di Dio, il sacrificio dell’incomparabile, oceanico amore di Cristo per noi, e insieme come la fonte beatissima della nostra fortuna, cioè della nostra Redenzione.



RIVIVERE LA PASSIONE DEL SIGNORE

Figli carissimi, capiteci (cfr. 2Co 7,2). La Chiesa, in questa misteriosa liturgia, è presa da immensa pena. Ricorda, ripete nei suoi riti, rivive nei suoi sentimenti la Passione di Cristo. Essa stessa ne prende coscienza, ne soffre, ne piange. Non disturbate il suo lutto, non distraete il suo pensiero, non irridete al suo rimorso, non crediate follia la sua angoscia. Anche voi circondate del vostro silenzio il grido del suo dolore; compiangetela; onoratela della partecipazione al suo altissimo e spirituale cordoglio.

A questo invito, che ogni fedele sente risuonare nel suo cuore in questo momento grande ed amaro, «dies magna et amara valde» (Resp. 3 ad 1 noct. in Sabbato Sancto), come singhiozza con lirica emozione la liturgia, possiamo aggiungere due considerazioni.

La prima, com’è nostra abitudine in questi familiari incontri settimanali, ci riporta agli insegnamenti del Concilio. È stato giustamente notato come dal Concilio si è diffusa nella Chiesa e nel mondo un’onda di serenità e di ottimismo; un cristianesimo confortante e positivo, potremmo dire; un cristianesimo amico della vita, degli uomini, degli stessi valori terrestri, della nostra società, della nostra storia. Potremmo quasi vedere nel Concilio un’intenzione di rendere accettabile ed amabile il cristianesimo, un cristianesimo indulgente ed aperto, spoglio d’ogni rigorismo medievale e di ogni interpretazione pessimistica sugli uomini, sui loro costumi, sulle loro mutazioni e sulle loro esigenze. Questo è vero. Ma facciamo attenzione. Il Concilio non ha dimenticato che la Croce sta al centro del cristianesimo. Anch’esso ha avuto una rigorosa fedeltà alla parola di San Paolo: «Che non sia resa vana la Croce di Cristo»: «ut non evacuetur crux Christi» (1Co 1,17); anch’esso, come l’Apostolo, ha detto a se stesso: «Non giudicai di sapere qualche cosa fra voi, se non Gesù Cristo, e questo crocifisso» (1Co 2,2). Potremmo ricordare come le grandi linee teologiche, mistiche ed ascetiche della associazione dei fedeli alla Passione del Signore percorrano le pagine dei documenti conciliari (si vedano, ad esempio, quelli della grande Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium LG 7 LG 8 LG 11 LG 34 LG 49 . . .). basti questa citazione: «Come Cristo ha compiuto l’opera della redenzione nella povertà e nella persecuzione, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa per comunicare agli uomini i frutti della salvezza . ..» (LG 8).


DOLORE E SANTIFICAZIONE

E qui si presenta al nostro spirito una seconda considerazione che deriva dalla prima, cioé dal rapporto che intercede fra Cristo paziente e la sua Chiesa, fra il Capo ed il Corpo mistico, fra il Vangelo della Passione del Signore e la storia dolorosa della Chiesa. La Passione del Signore, diciamo brevissimamente, si riverbera nella Chiesa non solo per la testimonianza ch’essa con la sua predicazione e la sua dottrina le dà; non solo per l’imitazione che l’esempio eroico e magnanimo di Cristo riflette sui cristiani e li induce a seguirlo (cfr. ABELARDO); non solo per la comunicazione sacramentale, che applica ad ogni fedele l’assimilazione mistica alla morte e alla risurrezione del Signore (cfr. Rm 6,3); ma in certo modo si rinnova, si riproduce, si ripete; e non tanto in ogni singolo seguace di Cristo (cfr. Col 1,24, «Io vado completando - scrive San Paolo - nella mia carne ciò che manca alle sofferenze di Cristo»), ma nella Chiesa intera, considerata quale comunità, quale complesso delle membra di Cristo, quale vita di lui prolungata nella storia; e perciò si perpetua.

Si perpetua, e dura ancora. E in questa ricorrenza pasquale la Chiesa, più che in ogni altro momento, prende coscienza dei propri dolori, li assapora, li patisce, li accetta umilmente, e cerca di santificarli, e di estrarne il documento della sua identità a Cristo Signore e Maestro, del suo amore desideroso di fondere le proprie pene con quelle del Crocifisso (cfr. il tema ricorrente dello Stabat Mater), e di convértire le proprie umiliazioni e le proprie sconfitte in meriti di penitenza, di purificazione, di redenzione. Di maggiore virtù, di maggiore coraggio, di maggiore speranza.



OGGI LA CHIESA SOFFRE

È così? Soffre oggi la Chiesa? Figli, Figli carissimi! Sì, oggi la Chiesa è alla prova di grandi sofferenze! Ma come? Dopo il Concilio? Sì, dopo il Concilio! Il Signore ci sperimenta. Soffre la Chiesa, voi lo sapete, della opprimente mancanza di legittima libertà in tanti Paesi del mondo. Soffre per l’abbandono di tanti cattolici della fedeltà, che la tradizione secolare le meriterebbe, e lo sforzo pastorale, pieno di comprensione e di amore, le dovrebbe ottenere. Soffre soprattutto per l’insorgenza inquieta, critica, indocile e demolitrice di tanti suoi figli, i prediletti - sacerdoti, maestri, laici, dedicati al servizio e alla testimonianza di Cristo vivente nella Chiesa viva -, contro la sua intima e indispensabile comunione, contro la sua istituzionale esistenza, contro la sua norma canonica, la sua tradizione, la sua interiore coesione; contro la sua autorità, insostituibile principio di verità, di unità, di carità; contro le sue stesse esigenze di santità e di sacrificio (cfr. BOYER, La décomposition du catholicisme, 1968); soffre per la defezione e per lo scandalo di certi ecclesiastici e religiosi, che crocifiggono oggi la Chiesa.

Carissimi Figli, non rifiutateci la vostra solidarietà spirituale e la vostra preghiera. Non lasciatevi prendere dalla paura, dallo scoraggiamento, dallo scetticismo, né tanto meno dal mimetismo, che oggi, mediante la suggestione dei mezzi d’informazione sociale, fa strage fra tanti spiriti deboli e impressionabili, e alcune volte anche fra spiriti forti e giovani. Ma soffrite ed amate con la Chiesa. Con la Chiesa operate e sperate. E a tanto vi conforti la nostra Benedizione Apostolica, con migliore e gioioso augurio pasquale.


INCONTRI UNIVERSITARI E STUDENTESCHI (in francese)



Mercoledì, 9 aprile 1969

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Diletti Figli e Figlie!

Di che cosa possiamo Noi parlarvi in questi giorni successivi alla grande celebrazione della Risurrezione di Gesù Cristo se non del «mistero pasquale»? Oh! non intendiamo avventurarCi nella delicata ed erudita discussione, che in questi ultimi decenni ha impegnato lo studio dei dotti sul tema del mistero cristiano, sulle relazioni asserite, negate e precisate fra il mistero cristiano e i misteri pagani; Ci basta rimetterci alla conclusione, ormai acquisita dagli studiosi, esegeti, storici, filosofi, circa l’originalità biblica di questa parola e del suo significato cristiano, cultuale e teologico, anche se nella letteratura cristiana dei primi secoli, essa fu usata con riferimento puramente letterario e analogico al linguaggio ellenistico corrente (cfr. BOUYER, Le mystère pascale, p. 453 ss.; La vie de la liturgie, p. 115 ss.).

Vi parliamo del mistero pasquale nei termini elementari e familiari di questo Nostro consueto colloquio ai Nostri visitatori dell’udienza generale settimanale; innanzi tutto perché questa volta essa cade nell’ottava di Pasqua; e poi perché questa locuzione «mistero pasquale» è diventata di uso corrente; il Concilio l’ha messa in onore, e la ripete sovente nei suoi documenti, specialmente nella Costituzione sulla Sacra Liturgia (cfr. Sacrosanctum Concilium
SC 5 SC 6 SC 61 SC 106).

Che cosa s’intende per mistero? Bisogna aver presente il duplice significato scritturale di questa parola. Il primo significato è quello del nostro linguaggio usuale; ed è quello di cosa occulta, di verità nascosta.


DISEGNO DIVINO IN AZIONE

«A voi è concesso, dice una volta il Maestro, conoscere il mistero del regno di Dio» (Mc 4,11); e San Paolo parlerà del «mistero di Cristo, il quale non era noto in altre età ai figli degli uomini» (Ep 3,5 Col Ep 1,26). Il mistero, in questo senso, è l’oggetto d’una rivelazione, la quale svela un segreto .di Dio ai «santi», cioè ai suoi fedeli, ai quali Egli ha voluto «far conoscere quale sia la gloria di questo mistero fra le genti, che è,Cristo fra voi, la speranza di gloria» (Col 1,27). Ed ecco che appare l’altro significato della parola mistero nel linguaggio scritturale e cristiano; ed è quello che più importa considerare. Mistero è il disegno divino in azione, è l’economia del Vangelo, nascosta in Dio da secoli e, a un dato momento, resa palese ed operante in Cristo (cfr. Ep 1,9 Ep 3,9). È l’opera nuova e divina che si compie, in questa terra, nel tempo, per i credenti; è la realtà prodigiosa del rapporto vitale ristabilito, in un ordine trascendente quello naturale, fra Dio e l’umanità, mediante Cristo, nell’Amore divino vivente, ch’è lo Spirito Santo.


SINTESI STORICA E SINTESI BIBLICA

Perché questa strabiliante novità, questo mistero, si associa abitualmente all’aggettivo di «pasquale»? Perché il mistero della salvezza si è realizzato mediante la morte e la risurrezione di Cristo, mediante la Croce, e si perpetua mediante il sacrificio eucaristico: eucaristia, passione, risurrezione sono la Pasqua salvatrice compiuta da Gesù: «Cristo immolato è la nostra Pasqua» (1Co 5,7), il nostro liberatore, il nostro salvatore. Il mistero pasquale altro non è che la redenzione: «temporalis dispensatio divinae providentiae pro salute generis humani» , la storia cioè della salvezza (cfr. S. AGOSTINO, De vera rel. VII, 13; PL 34, 128; cfr. VAGAGGINI, Il senso teologico della liturgia, p. 672 ss.), che ha il suo punto focale nella morte e nella glorificazione di Cristo. Il segreto di questo mistero è il Verbo di Dio fatto uomo e, per amore dell’uomo, morto e risorto.

Il mistero pasquale ha perciò valore di sintesi: sintesi storica, perché in esso si concentra tutto lo svolgimento degli avvenimenti umani e delle sorti dell’umanità; sintesi biblica, la chiave di tutta la Bibbia (ORIGENE); sintesi cristologica e soteriologica, dove tutto il Vangelo si concentra nell’«ora» attesa da Gesù (cfr. Jn 12,23 Jn 13,1 Jn 17,1 Lc 22,15 ecc); sintesi religiosa, perché è per il sacrificio di Cristo e per la sua risurrezione che siamo stati riconciliati con Dio e giustificati (Rm 5,10 Rm 4,25); sintesi cultuale e liturgica, perché, nella celebrazione del mistero pasquale, sopravvive nella nuova realtà ciò ch’era simbolo e profezia della Pasqua ebraica (cfr. DUCHESNE, Origines . . . , 248), e si attualizza il dramma redentore di Cristo, ancorato alla celebrazione della cena pasquale trasformata in sacramento sacrificale, espressamente destinato a perpetuare la memoria di Gesù, per suo esplicito mandato (Lc 22,19 1Co 11,24-25) e con esplicito riferimento alla sua morte redentrice.


COMUNIONE CON CRISTO

Deriviamo da questi rapidissimi accenni una prima conclusione, che la nuova formazione liturgica ci rende ovvia: il primato cioè della Pasqua nel nostro calendario cultuale e spirituale. Dobbiamo rimettere la Pasqua, i suoi sacramenti ed i suoi riti, più chiaramente al primo posto della nostra valutazione religiosa, come quella che è al centro del disegno divino della nostra salvezza: i due principali sacramenti, dai quali la riceviamo, il Battesimo e l’Eucaristia, sono con più chiara evidenza derivati dal mistero pasquale: «Il Battesimo, scrive S. Tommaso, riferendosi a San Paolo (Rm 6,3), è il sacramento della morte e della passione di Cristo, in quanto l’uomo è rigenerato in Cristo per virtù della sua passione;... l’Eucaristia è il sacramento della passione di Cristo, in quanto l’uomo è integrato nell’unione a Cristo sofferente . . . Come il Battesimo si chiama il sacramento della fede, su la quale si fonda la vita spirituale, così l’Eucaristia si chiama il sacramento della carità, ch’è il vincolo della perfezione» (Col 3,14 S. Th. III 73,3). «Fino al secolo IV, scrive lo Jungmann (Trad. lit., 342), la Pasqua era la festa per eccellenza, l’unica festa, che fosse celebrata da tutta la cristianità. Ogni domenica era considerata come una replica della festa pasquale».

E qui si offre un’altra conclusione, più profonda, che ci fa penetrare nell’intima realtà teologica e ontologica del mistero pasquale: la celebrazione di questo mistero non è una semplice commemorazione; per i cristiani credenti, purificati dai loro falli e viventi nella grazia dello Spirito Santo, è una reviviscenza della morte e della risurrezione del Signore, è una attualizzazione, sempre nuova, dell’unico dramma redentore, è una realtà permanente, estemporanea, alla quale ci è dato effettivamente, sebbene sacramentalmente, partecipare; perché partecipare al mistero pasquale altro non è che mettersi in comunione reale con Lui, con Lui morire, con Lui risorgere. Vi è chi ha parlato di «contemporaneità di Cristo» (KIERKEGAARD; cfr. FABRO, Diario, III, 499). È ciò che il Concilio ci ha raccomandato di ricordare, con la celebrazione della Sacra Liturgia: «I misteri della Redenzione . . . in modo tale da renderli come presenti a tutti i tempi» (Sacrosancturn Concilium n. SC 102). Ed è ciò che Noi raccomanderemo a voi: d’aver presente, d’avere in onore, d’avere vivente nella vostra autenticità cristiana il mistero della nostra salvezza, il mistero pasquale. Con la Nostra Benedizione Apostolica.


CONFEDERAZIONE MISSIONARIA DI STUDENTI SPAGNUOLI

Jóvenes españoles de la Confederación Misional

de Estudiantes, bienvenidos seáis

Os agradecemos esta visita que Nos trae todo el entusiasmo del mundo juvenil, de ideales grandes y nobles, como el de la expansión misionera de la Iglesia; y que nos manifiesta cuánto sois capaces de hacer, cuando ponéis vuestro ardor al servicio de las Obras Misionales Pontificias en este movimiento.

Esta visita evoca en Nos las gestas misioneras de vuestra nación, que ha dado tantos misioneros dignos de ser seguidos en su generoso ofrecimiento para la predicación del reino de Dios en el mundo. Gracias por vuestras ofrendas espirituales y por todos los dones que deseáis entregarnos.

¿Estáis dispuestos a poner aún vuestra formación, vuestras energías, vuestras personas, vuestras vidas, al servicio de la causa misionera?

Sí, jóvenes amadísimos, tened un corazón grande, universal, solidario con vuestros hermanos más pobres. La Iglesia os comprende y os estima y, por eso, espera y confía siempre en vosotros.

Como testimonio de benevolencia, os damos muy de corazón la Bendición Apostólica que hacemos extensiva a vuestra asociación, a vuestros directores, a vuestros familiares y a España entera.



MILITARI DEL BELGIO





Paolo VI Catechesi 12039