Paolo VI Catechesi 31269

Mercoledì, 3 dicembre 1969

31269
Diletti Figli e Figlie!

Noi vorremmo guardare per un momento dentro i vostri animi. Noi vi supponiamo tutti buoni e fedeli, e desiderosi d’incontrare il volto della Chiesa vera; un volto giovane e vivo, un volto bello, come un volto di sposa, la sposa di Cristo, «senza alcuna macchia, senza difetti, santa e immacolata» (cfr.
Ep 5,27), come dice San Paolo, e come il Concilio ci aveva lasciato sperare. Invece pare a Noi d’intravedere nei vostri cuori un doloroso stupore: dov’è la Chiesa, che noi amiamo, che noi desideriamo? quella d’ieri era forse migliore di quella d’oggi? e quella di domani, quale sarà? un senso di confusione sembra diffondersi anche nelle file dei migliori figli della Chiesa, talora anche fra i più studiosi e fra i più autorevoli. Si parla tanto di autenticità; ma dove la possiamo trovare, mentre tante cose caratteristiche, alcune anche essenziali, sono messe in questione? Si parla tanto di unità: e molti cercano d’andare per conto proprio. Di apostolato: e dove sono gli apostoli generosi e entusiasti, mentre le vocazioni diminuiscono, e fra il Laicato cattolico stesso si affievolisce la coesione e lo spirito di conquista? Si parla tanto di carità, e si respira in certi ambienti stessi ecclesiali un fiato critico ed amaro, che non può essere quello del vento di Pentecoste. E che dire della marea avversaria alla religione, alla Chiesa, che sale intorno a noi? Un senso d’incertezza percorre, come un brivido febbrile, il corpo ecclesiale; è mai possibile che questo paralizzi nella Chiesa cattolica il suo carisma caratteristico, quello della sicurezza e del vigore?


LA DIFFUSIONE DELLA PAROLA VERA E SANA

Carissimi Figli! quale lungo discorso meriterebbe un tema come questo, cioè sulla diagnosi spirituale, morale e psicologica del popolo cattolico in quest’ora forte e burrascosa per il mondo intero! Come già altre volte, e com’è Nostra abitudine in questo breve trattenimento settimanale, Noi vi accenniamo appena, solo perché sappiate che anche il Papa vi pensa, e che anche voi dovete pensarvi. Vi diremo innanzi tutto che non bisogna lasciarsi troppo impressionare, né tanto meno impaurire. Anche se i fenomeni preoccupanti assumono misure di gravità, bisogna pur rilevare che spesso nascono da minoranze numericamente piccole, e da fonti molto spesso punto autorevoli: i mezzi moderni di diffusione pubblicitaria invadono oggi con strepitosa facilità l’opinione pubblica, e dànno a fatti minimi effetti sproporzionati. Resta ancora un’immensa maggioranza di gente sana, buona e fedele a cui possiamo far credito; anzi a questa Noi ci rivolgiamo con la Nostra fiducia, e la invitiamo con la Nostra esortazione a rimanere salda e a farsi più cosciente ed operosa: il Popolo cristiano deve da sé immunizzarsi e affermarsi; silenziosamente, ma sicuramente. La diffusione della parola vera e sana - della predicazione sacra, della scuola fondata su principii cristiani, della stampa improntata al nome cattolico, o relativa al magistero della Chiesa - può essere l’antidoto opportuno alla vertigine delle troppe voci rumorose, che riempiono oggi le correnti della pubblica opinione.


LIMITI DELL’INCHIESTA SOCIOLOGICA

La quale tende oggi a prodursi anche con un metodo, che possiamo chiamare nuovo, quello dell’inchiesta sociologica. È di moda; e si presenta con la severità del metodo, che pare del tutto positivo e scientifico, e con l’autorità del numero; così che il risultato d’un’inchiesta tende a diventare decisivo, non solo nell’osservazione d’un fatto collettivo, ma nell’indicazione d’una norma da adeguare al risultato stesso. Il fatto diventa legge. Potrebbe essere un fatto negativo, e l’inchiesta tende egualmente a giustificarlo come normativo. Senza tener conto che l’oggetto d’un’inchiesta è, di solito, parziale e quasi isolato dal contesto sociale e morale, in cui è inserito, e che riguarda spesso l’aspetto soltanto soggettivo, cioè quello dell’interesse privato o psicologico, del fatto osservato; non quello dell’interesse generale e d’una legge da compiere. L’inchiesta allora può generare un’incertezza morale, socialmente assai pericolosa. Sarà sempre utile come analisi d’una situazione particolare; ma per noi, seguaci del regno di Dio, essa dovrà sottoporre i suoi risultati a criteri diversi e superiori, come quelli delle esigenze dottrinali della Fede e della guida pastorale sui sentieri del Vangelo.

Questo ci fa riflettere se i malanni, dei quali soffre oggi nel suo interno la Chiesa, non siano principalmente dovuti alla contestazione, tacita o palese, della sua autorità, cioè della fiducia, dell’unità, dell’armonia, della compagine nella verità e nella carità, secondo la quale Cristo l’ha concepita e istituita, e la tradizione per noi l’ha sviluppata e trasmessa.


SICUREZZA, UNITÀ, ARMONIA

E allora Noi vorremmo che la vostra venuta, pia e fiduciosa, alla tomba dell’Apostolo, su cui il Signore ha fondato la sua Chiesa, premiasse i vostri passi con la visione, sì, ideale e celeste della Chiesa, della Chiesa una e santa, cattolica ed apostolica, e con la visione altresì terrestre della Chiesa reale, umana e sempre imperfetta, ma tesa, oggi specialmente, in un mirabile sforzo, doloroso e gioioso insieme, d’adeguarsi al pensiero di Cristo irradiandone la Parola e la luce e facendo propri tutti i doni, tutti i bisogni, tutti i dolori del ‘mondo presente. Pietro non cambia; e ciò vi possa dare il conforto del quale i vostri cuori hanno ora segreta necessità, quello della sicurezza; e Pietro è sempre vivo; vivo di quel Cristo che passa dall’avvento di Betlemme all’avvento dell’ultimo giorno nei secoli, nella storia nostra, sempre eguale e crescente appunto come un albero vivo, che dal piccolo seme germoglia ad ogni stagione nuova vegetazione. È un antico maestro (quello che ci ha dato la formula dottrinale della tradizione ecclesiastica autentica, formula, fatta propria dal Concilio Vaticano I [cfr. DENZINGER DS 3020 ], la quale dice: «Nella Chiesa cattolica si deve essere assai premurosi a conservare ciò che dappertutto, ciò che sempre, ciò che da tutti è stato creduto»), è S. Vincenzo Lirinese un Padre della Chiesa, un dotto monaco del quinto secolo, che ci offre altresì la formula dell’incremento dottrinale del cristianesimo: «. . . la dottrina della religione cristiana, egli insegna . . . . con gli anni si consolidi, col tempo si sviluppi, con l'età s’innalzi . . hoc idem floreat et maturescat,... proficiat et perficiatur» (Commonitorium, P.L. 50, 668). È la formula che non ammette i cambiamenti sostanziali, ma spiega gli sviluppi vitali della dottrina e della norma ecclesiastica; è la formula che il Newman farà propria e che lo condurrà alla Chiesa romana. La potremo meditare anche noi per comprendere certe importanti novità nella Chiesa d’oggi, le quali escludono ogni flessione dalla sua incorrotta ortodossia, e ne documentano la perenne e fiorente vitalità.

Con la Nostra Benedizione Apostolica.

* * *

We wish you a warm welcome, Our brothers in Christ. We are indeed glad to have the pleasure of receiving you. Among the blessings that flowed from the recent Vatican Council must certainly be reckoned the new relationships between our communities. And how significant an event it was in the history of those relationships when We had the happines of receiving a visit from the Archbishop of Canterbury!

The Anglican Centre in Rome, which is under your Committee’s guidance, is an institute on which We look with sincere pleasure. It serves to forge closer relations and ties of friendship between our Churches. Its programme of furthering study cannot fail to give rise to a rich harvest of benefits for religious piety, for ecclesiastical culture, and for the cause so close to Our heart and to everyone’s heart: the restoration of unity.

Union will have to be advanced by truth, by love and by prayer. And your Centre is certainly fostering these spiritual forces, just as We Ourself are endeavouring to foster them.

Accordingly, We wish the Centre every success in its aims of deepening mutual acquaintance, promoting sincere friendships, and encouraging trustful recourse to Him whose prayer was “That they may be one”. To the Centre and to you yourselves We extend Our most cordial good wishes.

* * *

Múltiples y gozosos sentimientos brotan al dirigirnos a vosotras, Religiosas de la Compañía de Santa Teresa de Jesús: de profunda complacencia por vuestros ideales de vida consagrada a la oración, al sacrificio, a la formación de la juventud, que os hacen hijas beneméritas y predilectas de la Iglesia; de grata felicitación por vuestras obras y por el fervor misionero que hoy, en la fiesta de San Francisco Javier, ratificáis. Estos sentimientos los convertimos en plegaria para que seáis siempre generosas, fieles, perseverantes, como Santa Teresa y vuestro Fundador os enseñaron, como el Concilio lo quiere, como Nos esperamos. A ello os alienta Nuestra amplia Bendición para vosotros y todo el Instituto.



Mercoledì, 10 dicembre 1969

10129
Diletti Figli e Figlie!

Abbiamo commentato, nel giorno della festa dell’Immacolata, il centenario dell’apertura del Concilio Vaticano primo, che Pio IX, dopo qualche anno di riflessione e di preparazione, aveva indetto ufficialmente con la Bolla «Aeterni Patris» del 29 giugno 1868. Il Concilio ebbe breve storia, perché, dopo Sédan e dopo l’annessione di Roma all’Italia (9 ottobre 1870), Pio IX lo sospese e lo prorogò «sine die» (20 ottobre 1870); ma fu una storia, come sapete, molto movimentata per le grandi discussioni, che ne caratterizzarono lo svolgimento, e molto importante sia per il fatto della sua convocazione: da tre secoli, dopo il Concilio di Trento (1545-1563), non s’era più riunito un Concilio ecumenico; e sia soprattutto per le dottrine, che nel Vaticano primo furono trattate e furono definite dogmaticamente, cioè con atti solenni e straordinari del magistero ecclesiastico, e dichiarate così quali verità di fede della Chiesa.

Merita tale avvenimento d’essere commemorato? Certamente, come fatto storico. Ma lo merita ancor più per la sua attualità, cioè per l’importanza che il Concilio Vaticano primo conserva nel tempo nostro, non solo per la connessione, ch’esso ha col Concilio Vaticano secondo, come tutti sanno, ma altresì per gli insegnamenti da quello allora proclamati, i quali hanno anche lai nostri giorni un grande ed operante rilievo. Questo vorremmo ricordarvi quest’oggi, senza alcuna pretesa accademica: l’attualità del Concilio Vaticano primo.


I DOGMI

Attuale, perché? Per le sue dottrine. Ora bisogna ricordare che i dogmi della Chiesa possono essere attuali sotto un duplice aspetto: sotto un aspetto relativo al loro contenuto di verità rivelata, in quanto cioè sono definizioni autorevoli di un insegnamento divino contenuto nella Sacra Scrittura, o derivato a noi dalla predicazione apostolica, per via di Tradizione (cfr. Dei Verbum
DV 8,9); sono la fede pensata, vissuta, celebrata dalla Chiesa, come Popolo di Dio animato dallo Spirito Santo e ammaestrato da una testimonianza autorizzata e qualificata, il Papa e i Vescovi con lui; e sotto questo aspetto i dogmi della Chiesa sono sempre attuali, cioè sono sempre veri di quella verità divina e soprannaturale, alla quale essi si riferiscono. La verità divina non cambia; perciò i dogmi della fede sono sempre attuali, sono sempre veri.

Ma essi possono essere attuali anche sotto un altro aspetto, quello contingente, relativo al tempo e alle condizioni storiche, che ne provocarono la definizione, che prestarono alla definizione stessa il linguaggio e che ne giustificarono l’opportunità. Questo aspetto può venir meno col cambiamento delle condizioni storiche e culturali, alle quali i dogmi, nel momento preciso della loro formulazione, portavano lume di verità e rimedio canonico d’autorità. Perciò possono essere classificati secondo il processo storico, che li portò alla coscienza soggettiva della Chiesa, e che li chiama cronologicamente antichi o moderni secondo questo rapporto antico o moderno, cioè attuale con la vita temporale della Chiesa.

Ora a Noi pare che gli insegnamenti del Concilio Vaticano primo conservano non solo l’attualità perenne della loro verità oggettiva, ma conservano altresì l’attualità contingente della loro opportunità relativa al tempo nostro. Potrebbe qualcuno pensare che il Concilio Vaticano secondo abbia confinato nella storia passata, negli archivi dell’erudizione ecclesiastica, il Vaticano primo; e che quel Concilio di Pio IX non abbia più nulla da dire, in tema d’attualità soggettiva, d’opportunità contingente alla nostra sensibilità spirituale e alla nostra maturità culturale. Invece non è così.

Non è così, perché come è stato spiegato, i due Concili Vaticani, primo e secondo, sono complementari. Il primo doveva essere completato; è stato bruscamente interrotto; e si pone logicamente e storicamente alla base del secondo; i richiami, con cui questo secondo si collega al primo, lo dimostrano chiaramente. Perciò, se è attuale il secondo, come infatti lo è, attuale è e dev’essere parimente il primo, anche se l’uno differisca non poco dall’altro per tanti motivi.

E non è così (cioè non è tramontata l’attualità del Concilio Vaticano primo) per un’altra più forte ragione; per la ragione cioè che le verità affermate da quel primo Concilio Vaticano sono presentissime alla nostra moderna mentalità, sia pure per essere impugnate, discusse, sperimentate, professate in piena coscienza ai giorni nostri.

Quali sono queste verità, ereditate dal Vaticano primo? Noi ora semplifichiamo assai, come lo esige la semplicità popolare di questo familiare discorso: le verità sono tre (o riguardano tre ordini di scienza religiosa). La prima verità riguarda la fede, la «problematica» della fede. Tema vastissimo, tema delicatissimo, tema attualissimo. Possiamo dire: tema decisivo non meno per i figli del secolo ventesimo, che per quelli del decimonono. È il tema trattato e definito dalla Costituzione, che, com’è costume nei documenti pontifici, prende nome dalle parole con le quali comincia: «Dei Filius», votata all’unanimità dai 667 membri del Concilio Vaticano primo, presenti alla terza sessione pubblica il 24 aprile 1870, nella Basilica di S. Pietro (cfr. AUBERT, Le Pontificat de Pie IX, p. 337; Dict. Th. C., XV-II, 2555 ss). Come lo ha ricordato il Card. Parente nel suo discorso commemorativo, in questa Costituzione: «si conferma la dottrina tradizionale su Dio Uno e Trino, sulla libera creazione dal nulla, sulla Provvidenza che opera nel mondo. Si riafferma il valore soprannaturale della rivelazione come Parola di Dio contenuta nella Bibbia e nella Tradizione.


LA FEDE

«Si difende la razionalità e la soprannaturalità della fede, come ragionevole adesione a Dio e alla sua Parola, sotto l’impulso della grazia.

«Finalmente si definisce la superiorità della rivelazione e della fede sulla ragione e sulle sue capacità, dichiarando però che nessun contrasto può esserci tra verità di fede e verità di ragione, essendo Dio la fonte dell’una e dell’altra . . .

«La Costituzione Dei Filius definisce che la ragione, con le sue sole forze, può raggiungere la conoscenza certa del Creatore attraverso le creature.

«La Chiesa difende così, nel secolo del razionalismo, il valore della ragione».

Come vedete sono tutte questioni tuttora vivissime. Esse ci invitano a una profonda riflessione sulle crisi religiose dei nostri giorni, dentro e fuori della Chiesa: la questione della Fede è alla loro base e incalza tutto l’ordinamento ecclesiastico per un verso, e tutta la mentalità filosofica e spirituale del mondo moderno per l’altro verso. Nella grande tempesta, tavola di salvezza è la parola del Concilio Vaticano I.


PRIMATO E INFALLIBILITÀ

Le altre due verità, sancite da quel Concilio, riguardano il Papato, al quale, auspice il Vangelo, la parola dei Padri e dei Maestri, la storia della Chiesa, sono riconosciute due somme prerogative, una relativa al governo della Chiesa: il primato pontificio; l’altra relativa al magistero della Chiesa: l’infallibilità pontificia. La definizione di questi due dogmi si ebbe con la promulgazione della Costituzione Pastor Aeternus il 18 luglio 1870 presenti 535 Padri, che l’approvarono all’unanimità, 83 assenti, dopo lunghe, fiere e agitate discussioni (cfr. U. BETTI, La Costituzione dogmatica «Pastor Aeternus», Roma 1961). È una pagina drammatica della vita della Chiesa, ma non per questo meno chiara e definitiva. Non è Nostro intento parlarne. Solo vogliamo qui far notare come i due dogmi che il Vaticano I assicura al patrimonio della fede della Chiesa rivestono anch’essi una superlativa attualità, perché l’uno, quello del primato, si riferisce all’unità della Chiesa, a quell’unità, di cui il Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, non è soltanto il vertice e l’espressione, «il centro personificato di questa unità» come già diceva Giovanni Adamo Moehler (Die Einheit in der Kirche, par. 67, Tubinga 1825), ma altresì «principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione», come afferma il Concilio Vaticano II (Lumen Gentium LG 18), facendo propria la dottrina del Vaticano I (cfr. DS 3050, ss.). La grande, la sofferta, l’attuale questione della ricomposizione di tutti i Cristiani nell’unità voluta da Cristo (Jn 17) non può prescindere da questa verità dello stesso Vaticano I. Lo dichiara il secondo : «Tutti gli uomini sono chiamati a questa cattolica unità del Popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale . . .» (Lumen gentium LG 13).

L’altro, quello dell’infallibilità, analogamente, tocca un punto decisivo della vita dell’a Chiesa, di tutti i Cristiani e del mondo, quello della Verità rivelata. Tutti, oggi più che mai, vi siamo interessati. Voglia Cristo illuminarci a tale riguardo, mostrandoci come tale dogma, ben compreso nei limiti precisi e nei suoi termini consolanti, non è uno scoglio, contro il quale si urta dentro e fuori della Chiesa il pensiero moderno, ma il faro benefico che lo orienta alla sua irrinunciabile conquista: la Verità della salvezza. O Figli carissimi, non badate all’uomo che vi parla, ma al povero e umile Vicario di Cristo, che vi benedice.


SALUTO A RELIGIOSI, RELIGIOSE E PROFESSIONISTI (in francese)


Bienvenidos, Médicos Argentinos de la Universidad National de Córdoba. Vuestra devota visita, que agradecemos vivamente, Nos brinda la oportunidad de formularos un deseo, compartido por vosotros: proyectad siempre, en el ejercicio de vuestra delicada profesión, los principios cristianos de dignidad moral, de comprensión humana, de ayuda social, que dan a vuestras fatiga el mérito de actos superiores a la materia y dejan, en vuestros asistidos, huellas de respeto, de serenidad y de consuelo. Así lo sea, con Nuestra cordial benedición para vosotros, vuestros familiares y amigos.






Mercoledì, 17 dicembre 1969

17129

Diletti Figli e Figlie!

Viene spontaneo alle nostre labbra, in questa prossimità del santo Natale, l’augurio che gli è proprio: buon Natale!

Sì, visitatori carissimi, buon Natale a tutti ed Ia ciascuno di voi! Quanti pensieri, quanti ricordi, quante emozioni, quanti desideri, quante speranze questa santa e dolce festa mette nel cuore! Noi pregheremo per voi affinché questa prossima ricorrenza non passi come un giorno comune, ma sia piena per voi di quelle spirituali percezioni che fanno gustare le realtà profonde della fede e della vita. Della fede e della vita.

E verso questi obiettivi, che altro non sono se non le realtà in cui siamo immersi, noi invitiamo la vostra attenzione ad essere particolarmente vigilante nella prossima fausta occasione; cioè confermiamo l’augurio con un’esortazione: fate bene il Natale!

La prima condizione per fare bene il Natale è quella di conservargli la sua autenticità religiosa. Non stiamo ora a parlarvi del pericolo che il vero significato del Natale sia soffocato dalle manifestazioni esteriori e profane, alle quali la festa presta occasione, prendendo il sopravvento e trasformandone il carattere sacro; ciascuno sa come questa vanificazione del Natale può avvenire, anche partendo da forme innocenti e simpatiche di folclore, o di lieto costume domestico, o popolare; il presepio stesso può diventare spettacolo impegnato in finalità estetiche o fantasiose più che nel richiamo alla rappresentazione dell’umile e sublime fatto della nascita del Salvatore. Anche questa cornice festiva e artistica può avere la sua poetica e pratica utilità. Ma non fermiamoci alla cornice; guardiamo il quadro; e nel quadro vediamo il mistero.

IL MISTERO DI BETLEMME

Procuriamo di vedere, di contemplare il quadro, cioè la scena di Betlemme, in trasparenza. Questo momento di attenzione è del tutto conforme allo stile mentale del nostro tempo, avido di sapere il significato reale dei fatti e delle cose, di conoscere la realtà d’un avvenimento tanto importante e centrale, qual è la nascita di Colui, che si chiama Salvatore. Gesù vuol dire Salvatore; Cristo vuol dire Messia, cioè Colui nel quale si incentrano e si compiono i disegni divini relativi ai destini dell’umanità. Lo sguardo contemplativo diventa teologico, diventa teleologico (cioè rivelatore della Verità divina e delle finalità, degli scopi di ciò che facciamo oggetto di contemplazione). Dobbiamo allora considerare il Natale come un’apparizione. È una rivelazione. Quale apparizione? Ce lo dice San Paolo: «Apparve la bontà e l’amore di Dio Salvatore nostro verso gli uomini» (
Tt 3,4). È il segreto di Dio, che s’è svelato in Gesù Cristo: Dio è bontà, Dio è Amore. Comprendiamo come San Francesco andasse in estasi davanti al Presepio; e come noi stessi possiamo sentirci trasformati davanti ad una scoperta, che ci folgora di meraviglia e di commozione: noi siamo amati, amati da Dio! Comprendiamo Pascal: «Gioia, gioia, gioia: pianti di gioia!». Perché «il Verbo di Dio s’è fatto uomo ed è venuto ad abitare fra noi» (Jn 1,14). Questo è il Natale! Il Natale della Fede.

ONDA RIGENERATRICE

Compreso questo, possiamo comprendere qualche cosa di molto bello anche circa l’altro aspetto: il Natale della vita. Della nostra vita. La nascita verginale di Cristo nel mondo diffonde in tutta l’umanità un’onda rigeneratrice: tutta la vita umana è tocca da questa presenza, anche sul piano naturale. Un tale Fratello illumina divinamente il volto d’ogni mortale: ogni uomo riflette la faccia di Cristo. La generazione umana è sublimata alla dignità di veicolo d’una vita chiamata a diventare umanità di Cristo. La Famiglia trova nel Natale la propria festa. Se la Famiglia poi è cristiana, è un fiume di grazia, di letizia, di pace, che la invade. Sì, fate festa, fate festa, Famiglie cristiane, nel giorno in cui Gesù Cristo è venuto ad abitare in una Famiglia umana; a formare un focolare, a santificarlo di Sé. Esaltate nella coscienza del suo essere, della sua funzione, del suo destino il concetto della Famiglia, comunità di amore, ministra della virtù creatrice di Dio, segno ed effusione della carità, con cui Cristo amò ed ama l’umanità redenta, la Chiesa.

Noi ripeteremo ciò che altra volta scrivemmo, quando eravamo addetti alla cura pastorale della Chiesa Ambrosiana, circa la Famiglia (1960). Oggi il discorso ritorna opportuno. Il Natale ce lo consente.

Il sogno e l’impegno della Chiesa è sempre quello di aspirare ad un’umanità nuova, restituita al suo disegno primigenio, guidata verso uno sviluppo ordinato ed armonico, che celebri la vita nella sua progressiva ascensione e la educhi alla sua vocazione soprannaturale, e che sia così modellata sul suo archetipo, Cristo Signore, da risolvere in Lui i suoi problemi, in Lui valorizzare i suoi sforzi ed i suoi dolori, ed in Lui finalmente trovare la sua pienezza e la sua felicità. Non è un sogno veramente: è un programma che la caducità umana rallenta e sconvolge, ma che la missione della Chiesa continuamente, e perciò anche in quest’ora critica della storia, fiduciosamente riprende.

SOTTO LO SGUARDO DI DIO

In pratica vorremmo rivolgere alle famiglie cristiane una parola di ammonimento e di conforto: riprendano esse coscienza della loro dignità e della loro missione, s’impegnino risolutamente alla professione delle virtù specifiche che caratterizzano la società domestica, ritrovino nelle purificate sorgenti dell’amore cristiano la loro forza e la loro felicità, non temano di servire quelle leggi della vita, che le rendano ministre della perdurante opera creatrice di Dio, sappiano adattare onestamente alle nuove esigenze moderne le abitudini delle loro case, comprendano quale funzione rigeneratrice esse abbiano nella vita civile, e sentano come nella Chiesa esse possano occupare un posto di ammirabile bellezza.

Questo invito si rivolge specialmente ai giovani che pensano alla famiglia come allo stato di vita loro destinato. Vorremmo che il concetto della famiglia prendesse nel loro animo splendore ideale; vorremmo che alla realizzazione di questo ideale portassero limpida e piena la loro forza d’amore; vorremmo che sentissero la vocazione che si nasconde e si pronuncia nell’attrattiva alla fondazione di una famiglia; vorremmo che non impuri pensieri e scorretti costumi devastassero la vigilia del loro matrimonio; vorremmo che non calcoli egoistici ed edonistici intristissero i disegni del futuro focolare; vorremmo che la scienza del vero amore loro derivasse da Cristo, che dà la sua vita per la Chiesa sua sposa, destinata ad estendersi a tutta l’umanità; e che la grazia del sacramento zampillasse, come inesausta fontana, in ogni giorno della loro vita coniugale. Un tipo di famiglia nuovo noi ci attendiamo dalia generazione giovanile, a cui le tremende esperienze della storia presente devono avere insegnato che solo un cristianesimo autentico e forte possiede la formula della vera vita.

Buon Natale, così! Con la nostra Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 31 dicembre 1969

31129
Diletti Figli e Figlie!

Siamo all'ultimo giorno dell’anno; e la riflessione si porta istintivamente e fortemente su questa parola notissima e indefinibile, ch’è il tempo, con la banale e tanto misteriosa osservazione che il tempo passa. E l’aspetto originale di questa osservazione è questo: che noi stiamo continuamente misurando questo fatto relativo alla mobilità e alla contigenza delle cose, con i nostri orologi, con i nostri calendari, con i nostri calcoli cronometrici e astronomici esattissimi, e non poniamo mente abbastanza all’inesorabilità, indipendente dal nostro volere e dal nostro potere, del fenomeno cronologico. «Vássene il tempo, e l’uomo non se n’avvede» (DANTE, Purg. 4, 9); e quando si pone avvertenza a questa legge cosmica e storica subentra nell’animo il senso pauroso della sua irreversibilità; cioè il tempo non torna mai più indietro; «pensa che questo dì mai non raggiorna»! (ancora DANTE, Purg. 12, 84).

L’INFLUSSO DELLA PROVVIDENZA

Questa meditazione, sì, è conturbante se si pone mente alla sua oscurità e alla sua fatalità, riferite alla nostra vita personale, al nostro destino, alla nostra sorte, che nel tempo trova la sua fortuna e la sua rovina (cfr. MACHIAVELLI, c. VII, circa il suo Principe, che a tutto aveva pensato, fuorché al caso ch’egli doveva inaspettatamente morire). È un tema di pensiero senza fine; filosofi e letterati vi hanno speso occhi abbagliati e non mai stanchi.

E noi cristiani? Anche noi faremo bene a porvi grande attenzione, perché è tema che investe essenzialmente il nostro essere fragile ed effimero, e che ci obbliga a rivedere la scala dei valori, quali siano i veri, quelli meritevoli di annettervi il cuore, e quali no. Ricordiamo il Vangelo, dove Gesù, presentando il profilo dell’uomo ricco e pago delle sue sostanze, insinua la terribile frase: «Stolto, questa notte ti sarà tolta la vita; e le cose che hai accumulate di chi saranno?» (
Lc 12,20). Cioè la considerazione della precarietà della vita, del dominio di Saturno che divora i suoi figli, può essere fonte di orientamenti morali decisivi, sia in senso edonistico (cfr. il «carpe diem!» di Orazio), sia in senso spiritualista (pensiamo ancora alla parola di Cristo: «Camminate, finché avete la luce . . .»: Jn 12,35). Ma sono pensieri che difficilmente trovano posto nel trepido momento in cui si bada alla fine dell’anno civile e si inaugura la prima pagina del nuovo calendario: un’ora di festa spensierata prevale.

Un pensiero buono e pio invece per l’ultimo giorno di dicembre è quello del ringraziamento: si canta il Te Deum; e ricordando le vicende dei dodici mesi trascorsi, ci si accorge che «tutto è grazia», che tutto è stato penetrato e diretto da un influsso misterioso e benefico, quello della Provvidenza divina, che, guidando, o permettendo, rivolge a bene ogni nostra cosa (cfr. Rm 8,28): e questa è una delle osservazioni più belle e più sapienti, che noi possiamo fare oggi sul tempo passato, e che ci fa incontrare a questo traguardo la Paternità ineffabile di Dio, donde viene, per cui si svolge, e dove va il nostro pellegrinaggio nel tempo. Questo è cristiano.

GUARDARE AVANTI

E se vogliamo completare a questo riguardo l’effusione dei nostri sentimenti cristiani dobbiamo fare un altro passo. Non basta guardare indietro; dobbiamo guardare avanti. E non solo con i programmi preventivi per l’anno nuovo, e non certo con oroscopi fantastici sull’avvenire; ma piuttosto con lo sguardo al disegno essenziale della nostra vita proiettata nel futuro, sia temporale, sia eterno, quale la nostra fede ci annuncia, anche se, durante questa vita mortale, solo «in aenigmate» , come dice San Paolo (1Co 13,12), nella penombra. È questa un’esigenza fondamentale della nostra fede: il pensiero della vita futura non ci deve mai abbandonare. Esso penetra il messaggio evangelico. La visione, così detta, escatologica, cioè delle ultime realtà, è sempre presente nell’insegnamento di Gesù, tanto da costituire un elemento essenziale e terminale del suo messaggio della salvezza.

Ed è visione troppo spesso dimenticata, anche dalla mentalità di tanti che si professano cristiani. L’attualità ci assorbe. Il presente sembra solo valere, sia come tempo, sia come quadro della vita che nel tempo si svolge; è una delle conseguenze della secolarizzazione, dell’orizzontalismo, dell’attualismo, dell’incredulità. Qui bisogna ben fare attenzione: anche il cristiano vive nel tempo; e del tempo, con tutti i suoi doveri e valori, egli deve fare grande calcolo, anzi più degli altri: è nel tempo che si compie l’esperimento, l’esame, per la sorte del suo futuro ed eterno destino, ed è nel tempo che si deve edificare la città terrena, sviluppata, giusta ed umana, nel suo progresso e nella sua storia, impegnandovi l’attività dei credenti, cittadini della terra; ma è altresì nel tempo che si annuncia e s’inizia il regno di Dio, che avrà oltre il tempo la sua pienezza. Occorre aver sempre presente allo spirito questa bivalenza del tempo per il cristiano: è dono presente, è promessa per il futuro; e l’attenzione a questa promessa fa sì che il dono presente non è svalutato; si bene è intensamente impiegato e saggiamente goduto (cfr. Gaudium et spes GS 39-40).

LA CHIESA PELLEGRINA

Una qualifica è ora in uso nel nostro linguaggio spirituale, la quale torna a proposito per questa esortazione di fine d’anno; la qualifica che raffigura tutti come «Chiesa pellegrina». È stupenda. È vera. Il Concilio la adopera molto spesso nei suoi documenti; e in una delle sue pagine più ispirate, piena di riferimenti scritturali, ci parla appunto della Chiesa pellegrina sulla terra, nel mondo e nel tempo, ma nell’instancabile tensione della manifestazione finale dei figli di Dio (Lumen Gentium LG 48-49).

Questa valutazione del tempo e questa visione dei cristiani viandanti verso una meta, che lo trascende e che si realizza oltre quel terribile confine, ch’è per noi la morte temporale, siano davanti alla nostra coscienza continuamente, ci ammoniscano a purificare con salutari ricordi la vita passata, e ad accogliere, come un dono dall’alto e come all’alto un invito, il tempo che viene, il quale ancora è concesso al nostro transito nella fugace scena del mondo (1Co 7,31).

Buon anno dunque nel Signore, con la Nostra Benedizione.






Paolo VI Catechesi 31269