Paolo VI Catechesi 40270

Mercoledì, 4 febbraio 1970

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Diletti Figli e Figlie!

Noi continuiamo a meditare sugli insegnamenti del Concilio, perché siamo convinti che questo avvenimento costituisce per il nostro tempo una «summa», un compendio ricchissimo e autorevole di dottrine e di norme per i bisogni del nostro tempo, e segna un momento caratteristico e decisivo nel corso della tradizione cattolica per i tesori di verità ch’esso ci conserva del passato e per quelli ch’esso ci apre sul cammino dell’avvenire.

E in questo breve momento di riflessione generale sopra l’orientamento morale che ci viene dal Concilio possiamo ricavare un’impressione assai feconda e istruttiva di ottimismo. Che cosa intendiamo per ottimismo? Pare a Noi che si possa intendere, innanzi tutto, il senso di bontà, di serenità, di fiducia, di speranza, di animazione, che in genere il Concilio suscita in chi ne riconosce l’ispirazione pastorale, l’intenzione consolatrice, l’apertura fiduciosa che pervadono i suoi atti ed i suoi documenti: il Concilio è una grande lezione, una benefica infusione di buona volontà. Chi lo accetta, chi lo studia, chi lo segue sente in se stesso uno stimolo a credere, a sperare, ad amare; una carica di buon volere, una spinta al rinnovamento e al progresso, un’attrattiva all’azione; diciamo pure: un carisma di vivacità cristiana.



DIDATTICA DEL VATICANO II

Perché questo ? Perché in tutto quello che il Concilio tratta ed espone, esso considera il lato positivo, il bene; lo vede e lo cerca. Esso non è cieco sugli aspetti negativi delle cose che considera sia nel grande quadro delle sorti umane, come l’oscurità delle profondità divine, la sventura che il peccato ha inflitto alla vita umana, l’insidia permanente di Satana nel gioco delle nostre vicende sociali e personali, e così via; sia nell’ambito della storia della Chiesa, circa la caducità dei suoi membri e di certe sue istituzioni; e sia nell’interno del cuore umano, dove lo sbaglio e la malizia possono portare tante rovine. Ma, mentre nel passato gli insegnamenti conciliari concludevano regolarmente nell’esposizione, nella deplorazione e nella condanna di qualche errore, con il classico anathema sit, la didattica del Vaticano II tende invece a mettere in luce ciò che conviene lodare, apprezzare, fare e sperare.

Il Concilio, dicevamo, è rivolto al bene; a quello che esiste, per riconoscerlo, per goderne in Dio e per celebrarlo, diremmo, francescanamente, evangelicamente: a quello che non esiste, per desiderarlo, per ricuperarlo se perduto, per promuoverlo se possibile. I valori positivi sono sempre presenti al suo sguardo penetrante, sempre esposti nel suo linguaggio sapiente. In ogni cosa, in ogni avvenimento il Concilio nota qualche reale o possibile riflesso della divina Bontà, ed educa e spinge i suoi alunni a scoprirlo, e a innestarvi la loro buona volontà.


LO «SPIRITO» BUONO

Noi dovremmo qui fare uno studio sulla «buona volontà», il quale ci condurrebbe a ricercarla al di sopra di noi, cioè nella benevolenza di Dio, che ci ha misteriosamente eletti come oggetto del suo amore (Cfr.
Lc 2,14 Rm 8,28), infondendo in noi la virtù soprannaturale della carità, questa capacità nuova di amare, di tendere al Bene (Cfr. S. FRANCESCO DI SALES, Teotimo, II, IX). Ma, anche limitandoci alla psicologia naturale dell’uomo, avremmo molto da riflettere sulla buona volontà, perché essa fa le spese della rettitudine morale, dell’arte pedagogica, dell’oratoria politica; vedremmo che essa dipende ancora dalla razionalità, dal concetto che ci facciamo del bene, e che perciò è sempre di primaria importanza conoscere ciò che veramente merita questo nome sovrano di bene, tanto in generale, quanto in particolare, e tanto in Sé, quanto per noi. Avremmo qui un filo per inoltrarci nella diagnosi dei fenomeni volontaristici contemporanei, i quali tanto e giustamente impressionano la pubblica opinione: la nozione del bene, motrice della volontà, conduce il gioco, che poi diventa abitudine, moda, movimento. Abbiamo bisogno di rendere chiara e attraente questa nozione, di renderla soprattutto vera ed autentica, per dare alla volontà quell’atteggiamento, che la definisce buona.

E Noi pensiamo che il corpo di dottrina offertoci dal Concilio sia tale da educarci alla buona volontà, sia per i valori, cioè i beni, ch’esso ci illustra, come la salvezza in Cristo, l’uomo, il mondo, il progresso, la libertà, la giustizia, la pace, ecc.; sia per l’attitudine che produce in noi a ravvisare e ad amare questi valori: una speranza, una vivacità, una serenità, uno «Spirito» buono.



CRITERIO SICURO

Lo «Spirito» buono e il cuore del sano ottimismo, quale ci sembra trasparire dallo stile morale di tutto il Concilio. Il quale ottimismo vede innanzi tutto le cose in una luce serena (ch’è poi quella dell’economia divina nei destini umani). Il sano ottimismo perciò non è diffidente, permaloso, irritato, acido; non si diverte a mordere i difetti che facilmente si scoprono in ogni uomo, il quale più è in alto, e più li mostra; non si specializza in stroncature puramente satiriche e demolitrici; non solleva questioni per farsi bravo nel denunciarle e aggravarle e per tradurle in agitazioni fastidiose e dannose; non «si vale della libertà come velo della malizia» (come troviamo scritto nella prima lettera di S. Pietro, 2, 16); non ricava la sua forza dall’odio e dalla disperazione eretta a sistema. No; il buono ottimismo sa francamente giudicare il male (che spesso cresce proprio col progredire dello sviluppo moderno), ma «non si lascia deprimere dal male, ma cerca di superarlo col bene» (Cfr. Rm 12,21); non si specializza nel rendere insolubili i problemi per trovare pretesto ad atteggiamenti di violenza, o di rivoluzione; ma si sforza di risolverli i problemi; non gonfiando i desideri fino all’impossibile, ma con sano e sociale realismo sa anche «del poco esser contento» (MANZONI), e non disdegna lo sforzo umile, graduale e costante verso il bene cercato sia nelle piccole che nelle grandi cose; cerca insomma sempre di costruire, non di demolire; ed in ogni situazione cerca le tracce della Provvidenza, sperando e pregando.

Si può perciò ripetere a riguardo della formazione morale e spirituale, di cui il Concilio ci fa scuola, la celebre esortazione di San Paolo: «Fratelli, tutte le cose che sono vere, tutte le cose che sono degne, tutte le cose che sono giuste, tutte le cose che sono pure, tutte le cose che sono amabili, tutto quello che merita buona fama, se v’è qualche virtù e qualche cosa encomiabile, a questo pensate . . .» (Ph 4,8-9).

A Noi sembra questa citazione riferibile al Concilio, risultandone un magnifico encomio del rinnovamento morale e cristiano che andiamo cercando, un indirizzo sapiente per l’allenamento giovanile alla vita moderna, un criterio fecondo per la definizione dei rapporti di distinzione e di compenetrazione della concezione cristiana del mondo rispetto a quella secolare, una abilitazione a godere della vita presente, della sua bellezza, della sua ricchezza, della sua progressiva evoluzione senza perdere il profondo segreto della «buona volontà», che sta nella Croce di Cristo. A voi l’augurio, con la Nostra Benedizione Apostolica.



Mercoledì delle Ceneri, 11 febbraio 1970

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Diletti Figli e Figlie,

Oggi, primo giorno di Quaresima, quale rito abbiamo noi compiuto?

Un rito, che trae le sue origini dalla più lontana antichità; il Vecchio Testamento ce lo ha insegnato, le origini cristiane lo hanno praticato, la liturgia, fin dall’alto medioevo, lo ha fatto proprio, lo spirito religioso cristiano del nostro tempo lo ha conservato; è il rito della imposizione delle ceneri sul capo dei membri della comunità ecclesiale, ministri o fedeli che siano. Parla da sé: un linguaggio impressionante e esuberante di significati circa la caducità della nostra vita, come ineluttabile verità, che rovescia la nostra illusoria ed abituale opinione della sua stabilità; circa la coscienza spietatamente realistica, che dobbiamo avere della nostra miseria morale; circa il bisogno di confrontare questa inanità del nostro essere con il mistero di Dio, che in questa visione crudamente obiettiva, ma unilaterale, delle nostre condizioni fragilissime e colpevoli ci appare nella sua terribilità soverchiante ed inesorabile; circa la necessità imperiosa di vincere la disperazione, che sembrerebbe essere la fatale conclusione del nostro disastroso bilancio umano, se uno scampo non ci fosse ancora offerto; uno scampo, che intuiamo ancora vicino e provvidenziale, la penitenza. Una parola, estremamente severa, ma, in fondo, estremamente confortante, una parola di Gesù batte oggi alla porta della nostra coscienza; ed è questa: «Se non farete penitenza, voi perirete tutti» (
Lc 13,5).



L'EPOCA DEL BENESSERE

Quale serie di pensieri inusitati per la nostra generazione, che si qualifica l’età del benessere! Faremo cosa buona a riflettere su questa definizione della vita moderna, che sembra racchiudere la sintesi della saggezza pratica e che guida la filosofia popolare e la politica sociale del nostro tempo: il benessere, cioè l’uomo soddisfatto non solo in tutti i suoi bisogni fondamentali, ma gratificato altresì di quegli agi, di quelle comodità, di quei divertimenti, di quegli svaghi, di quei piaceri, che vorrebbero rendere felice la vita. Questa sembra la concezione ideale della civiltà, questo lo scopo del progresso, questo il fine a cui tutti aspirano: il benessere, la felicità presente; uno stato dal quale la povertà, il dolore, la fatica, l’obbedienza, la rinuncia, l’abnegazione, e finalmente la penitenza siano assenti. Stare bene, avere mezzi, essere liberi, godere la vita . . . . ecco ciò che oramai tutti cercano, e in crescente misura tutti ottengono. Come mai la Chiesa viene ancora a parlarci di penitenza?

Il quadro si fa largo, e la scena interessante. Sarà da meditare. Innanzi tutto per discolpare la Chiesa, anzi Cristo, dall’accusa di rendere triste la nostra esistenza, e di farle mancare ciò di cui ha bisogno, mettendo pure nel bisogno umano ogni sano progresso. La Chiesa non solo non si opporrà al benessere legittimo e moderno, ma lo favorirà. Tuttavia essa tradirebbe la sua missione, ch’è rivolta al vero bene dell’uomo, se lo lasciasse nell’illusione che il benessere basta a renderlo felice; e che la felicità, se pur è raggiungibile, del benessere è sufficiente al destino al quale è rivolta la vita dell’uomo, e che questa non comporta ben altre esigenze che quelle che il benessere culturale ed economico moderno può soddisfare. Non ne daremo adesso la prova, che sarebbe facile e lunga: tutti sappiamo come l’edonismo conduce l’uomo a fermarsi entro i confini di se stesso, a non superarsi, come sarebbe suo radicale destino, e perciò ad accrescere senza fine i suoi desideri, anzi a soddisfarli a livelli gradualmente inferiori alla propria statura razionale, eretta verso la misteriosa trascendenza religiosa; a cercarne l’insaziabile compimento nelle degradanti passioni, nello smarrimento dei fini superiori, nel vizio e nell’angoscia.


INDISPENSABILE LA PURIFICAZIONE

La Chiesa non rinuncia a imputare all’uomo che cerca soltanto se stesso la sua fallacia, la sua bassezza, la sua necessità di purificazione e di elevazione. Questo è il primo capitolo della penitenza: il risveglio della coscienza; come si legge nella parabola del figliuol prodigo: in se reversus, ritornato in sé (Lc 15,17). Poi viene quello delle scelte: l’uomo è un essere assai complicato; non può esplicarsi senza scegliere un piano libero e logico insieme, quello della ragione, della verità. E ciò comporta abnegazione e sforzo; l’abstine et sustine, della saggezza stoica: occorre un dominio di sé, una gerarchia di operazioni, una moderazione di alcuni atti, e una promozione di altri, cioè occorre seguire un disegno, una legge, un modello di uomo vero e completo, che noi sappiamo essere Cristo, il vero Figlio dell’uomo, il Quale nella sua immensa stima per l’uomo, e nel suo immenso amore, ci dirà due cose: che nell’uomo vi è un disordine mortale, il peccato, e che solo Lui, Cristo, vale a ripararlo. E allora la rispondenza dell’uomo, edotto da questa indiscutibile diagnosi, si porrà in un atteggiamento, qualificato da un corrispondente duplice sentimento, di intrinseco dolore e di implorante amore. Tutto questo è la penitenza.

Comprendiamo come essa entri necessariamente nella psicologia, nella coscienza, nella verità dell’uomo; e quanto più egli è in grado di comprendere il dramma che lo riguarda, tanto più apprezzerà questa redentrice sapienza.

Vediamo, figli carissimi, di farla nostra, specialmente in questo tempus acceptabile, in questo periodo propizio, ch’è la Quaresima; e sperimenteremo ch’essa non dà né tristezza, né minorazione di vita; ma ci guida alla speranza e alla gioia della Pasqua di risurrezione.



VALORE DEI PATTI LATERANENSI

Prima di concludere con la consueta benedizione queste poche parole, ci sembra opportuno aggiungerne un’altra, circa tema ben diverso, ma sempre collegato al bene spirituale di quanti ci ascoltano.

Noi infatti non potremmo dimenticare, oggi, 11 febbraio, una data che, se ha particolare significato per l’Italia e per la Chiesa di Dio che vive entro i suoi confini, ne ha uno di non minore importanza per questa Sede Apostolica, e quindi per l’intera grande famiglia cattolica sparsa in tutto il mondo: vogliamo dire la ricorrenza dell’anniversario della Conciliazione fra lo Stato Italiano e la Santa Sede, ossia dei Patti Lateranensi.

Essi - maturati i tempi che spiriti sinceri e generosi avevano previsti e preparati - misero fine, ormai sono 41 anni, al prolungato e dannoso conflitto che aveva contrapposto al Papa il Paese dove il Successore di Pietro, primo Vescovo di Roma, ha per disposizione della Provvidenza la sua residenza e dove si trova l’insieme degli organi che sono a lui necessari per poter esercitare adeguatamente la sua funzione di Vicario di Cristo al servizio della Chiesa universale.

E vi misero fine grazie, da una parte, alle rinunzie che la Santa Sede ha fatto dei suoi diritti su quelli che erano stati per secoli «gli Stati Pontifici», accontentandosi di quel minimo territorio che è sufficiente per dimostrare e umanamente garantire la sua sovranità e la sua indipendenza di fronte a qualsiasi potere statale; grazie, dall’altra, al solenne riconoscimento, nelle forme internazionalmente valide, di questa sovranità e di questa indipendenza da parte dell’Italia, ma grazie ancora, non meno, alla situazione fatta, mediante il Concordato, alla Chiesa ed ai cattolici nello Stato Italiano, in confronto a quella - insufficiente ed insicura - di prima.

La concordia così ristabilita - come più volte la Sede Apostolica ha riconosciuto - è stata fertile di buoni ed utili frutti per la Chiesa e per lo Stato, nella garantita possibilità di un’armonia di rapporti che non confonde e non subordina l’uno all’altro i rispettivi poteri, ma sottolinea e esalta l’indipendenza e la sovranità di ciascuno di essi nel proprio ordine.

Noi non possiamo se non augurare vivamente, alla Santa Sede e all’Italia, che simile equilibrio non conosca scosse, ancor meno ferite o rotture.

Senza difficoltà Noi abbiamo acceduto alla proposta di una revisione bilaterale, compiuta cioè con comune lavoro e di comune accordo, di quelle norme del Concordato che apparissero non più in armonia con la nuova situazione. Vogliamo sinceramente sperare, e di tutto cuore auspichiamo - per amore della pace, per l’onore stesso dell’Italia e per il maggior bene di tutto il Popolo Italiano - che sia evitato qualsiasi passo, che con decisione unilaterale venisse a vulnerare ciò che fu di comune intesa solennemente stabilito.

Pensiamo in particolare, voi l’avete ben compreso, al punto tanto sostanziale del matrimonio cristiano, che il Concordato ha voluto circondare di stabili garanzie, e che il Nostro grande Predecessore di v. m. Pio XI considerava fra i risultati più preziosi della raggiunta Conciliazione.

E con questi voti diamo a voi ed a coloro che li vorranno condividere la Nostra Apostolica Benedizione.



I Centri per assistere le vocazioni ecclesiastiche

Porgiamo il Nostro saluto con effusione di cuore al gruppo di Sacerdoti, così meritevoli della Nostra stima, convenuti a Roma per un Congresso promosso dal Centro Nazionale Vocazioni. Diletti Sacerdoti, vorremmo intrattenerci a lungo con voi per dirvi tutta la trepidazione con cui Noi seguiamo il vostro silenzioso e tanto proficuo lavoro. Il vostro incontro persegue lo scopo di promuovere ovunque in Italia la istituzione di Centri Regionali per le Vocazioni.

Ciò è testimonianza eloquente del responsabile impegno con cui oggi in Italia si guarda al problema delle vocazioni. Problema che è certamente di sempre nella Chiesa, ma oggi e più sentito e urgente che mai, e pertanto richiede di coalizzare le forze, di mettere in comune le varie esperienze e di seguire piani ben precisi in questo delicato settore della pastorale.

Riconosciamo le molteplici e gravi difficoltà del vostro compito. Da una parte vi è la necessità di rimanere fedeli a una concezione del sacerdozio visto in tutta la sua luce religiosa e soprannaturale; dall’altra vi è una società che va sempre più perdendo il senso del sacro e con le sue attrattive potentemente distoglie i giovani del nostro tempo dall’ascoltare la voce del Signore, che li chiama al suo servizio.

Per questo motivo Noi ci rallegriamo vivamente di questi vostri incontri che vanno costruendo con molta pazienza le strutture adeguate per la soluzione dei suddetti problemi. Formare le strutture, tuttavia, non basta. Ancor più occorrono sforzi per animarle; sarebbero infatti perfettamente inutili, se non si riuscisse a imprimere in esse uno spirito capace di far vibrare di entusiasmo i cuori giovanili per gli ideali sublimi del sacerdozio cattolico.

Coraggio, adunque, diletti figli, e perseverate nelle vostre fatiche così benemerite per l’avvenire della Chiesa in Italia. Noi intanto vi esprimiamo la Nostra più sincera riconoscenza e vi accompagniamo con la propiziatrice Apostolica Benedizione.

Pellegrinaggio di Cave

Il nostro saluto si rivolge ora con paterno compiacimento ai pellegrini di Cave, guidati dal caro e zelante Monsignor Pietro Severi, in occasione del restauro della sacra Immagine della Vergine Santissima, venerata nel locale Santuario della Madonna del Campo.

Grazie, figlioli, della vostra visita! Grazie della gioia che ci procurate col vostro affetto, con la vostra pietà e soprattutto con la vostra testimonianza di fede viva e sincera. L’odierno incontro con voi ci reca la consolazione di sentire vibrare da vicino la devozione profonda della vostra gente verso la Celeste Patrona; devozione di cui date ora eloquente prova, chiedendo che la ripristinata effigie sia benedetta da Noi prima di essere collocata nel suo Santuario. Aderiamo volentieri al vostro filiale desiderio, e pregheremo per voi, affinché possiate camminare sempre sulle vie delle belle tradizioni del vostro paese, e dall’amore alla Vergine Santissima sappiate attingere continuamente luce e conforto per rimanere sempre più saldi in quella fede che tanto vi onora.

A tal fine impartiamo con paterno affetto a voi e a tutti i vostri cari la Nostra Apostolica Benedizione.

L’istituto «San Paolo» di Torre Gaia

E ora un saluto alle cinquecento alunne dell’Istituto «San Paolo», di Torre Gaia, in Roma, venute a questa Udienza insieme con le Suore Angeliche, che dirigono la loro scuola, e con i familiari.

Vi ringraziamo, care alunne, perché ci portate in dono i paramenti sacri, che avete voluto far preparare, con i vostri sacrifici, perché siano avviati alle missioni; e ringraziamo con voi le vostre ottime Suore, per aver raccolto nei vari Istituti delle loro Case anelli d’oro da destinare ai fratelli della Nigeria, provati dalla fame e dalla sofferenza. Codesta testimonianza di carità operosa e fattiva ci dimostra, più e meglio di ogni parola, quale risonanza susciti nei vostri cuori la parola del Salvatore Gesù, che tutti invita a cooperare per la diffusione del Regno di Dio e a dare il superfluo per le necessità dei poveri.

Beati voi, che avete corrisposto tanto generosamente alla sua voce. Vi additiamo ad esempio, invochiamo su di voi le ricompense del Cielo, e tutti di gran cuore benediciamo.


Mercoledì, 25 febbraio 1970

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Diletti Figli e Figlie!

Siamo in Quaresima, cioè nel periodo preparatorio alla Pasqua. E la preparazione pasquale si può descrivere in due capitoli, uno di ascetica, l’altro di mistica; vogliamo dire di penitenza e di preghiera; cioè di astinenza dapprima, e non solo dai cibi, secondo la disciplina, oggi tanto mitigata fino quasi alla sua abolizione, del digiuno, ma soprattutto da tutto quanto ci porta lontano da Dio, il peccato e le sue vie tentatrici, e ci rende meno padroni di noi stessi, meno liberi, meno personali e meno cristiani; e poi d’intensità spirituale, cioè di nutrimento della Parola di Dio, di riflessione e di orazione. La Chiesa ancora ritiene, col Vangelo alla mano, che per questi sentieri si va incontro a Cristo e ci si dispone, anche in quest’anno di grazia, a ben celebrare il Mistero pasquale, e che con questi esercizi morali e spirituali si forma il cristiano. È una scuola austera e fervorosa la sua; tende a formare uomini nei quali la vita religiosa e la vita morale sono strettamente collegate, e scambievolmente collaboranti, uomini molto vigilanti sia sopra di sé, sia sulla qualità delle impressioni esteriori, uomini capaci d’imporre a se stessi certe norme e certe rinunce ad esperienze, le quali sembrano, a prima vista, molto interessanti e facenti parte del programma di una esistenza piena e moderna, e disposti nello stesso tempo a qualificarsi con un tacito, ma forte impero della propria volontà nella pratica, libera e impegnativa, di date virtù che Cristo, con la parola e con l’esempio, ci insegnò.

Sapreste descrivere il tipo umano risultante da questa scuola? Se a ciò vi provate, fate un’esperienza ideale preziosa: voi vedete delinearsi non una figura uniforme e impersonale, ma una moltitudine di figure quante sono le persone applicate a questa scuola evangelica, caratterizzate, sì, dalle linee maestre, che configurano seguaci di Cristo, ma nello stesso tempo modellate ciascuna con tratti propri, singolari, in certo senso, unici: sono le figure dei santi, cioè dei cristiani veri e perfetti, nelle quali dominano due indispensabili fattori, uno efficiente, la grazia, un altro cooperante, la volontà. Questo secondo fattore, la volontà, è a noi più noto e sperimentabile del primo, la grazia, così siamo praticamente indotti a definire i perfetti, i santi, dall’impiego da loro fatto della volontà, cioè dalle virtù, che vogliamo riscontrare in loro ad un grado superiore, perfino eroico. Risulta da questa sommaria antropologia, cioè da questo metro con cui misuriamo la vera statura dell’uomo, che noi, alunni o maestri della Chiesa, vogliamo definire l’uomo buono dalla sua fortezza morale. La Chiesa non vuole allevare uomini meschini e mediocri; tende ad educarli forti. Vuole in essi virtù virili (Cfr. Santa Caterina da Siena). Vuole in essi, come dice Sant’Agostino, una «libertà liberata» (Retract. 1, 15; PL 1, 609), cioè affrancata dalle suggestioni interiori ed esteriori.

Ora sorge una domanda: questa figura ideale del cristiano come uomo forte è ancora adatta per il nostro tempo? Non è figura d’altri tempi? Il dubbio si fa insistente quando si appella al Concilio: non ha il Concilio alleggerito la vita cristiana da molti pesi, sovrapposti da una concezione ascetica, monastica, medievale del cristianesimo? Non dice il Concilio che «dalla santità è promosso, anche nella società terrena, un tenore di vita più umano»? (Lumen gentium
LG 40) Non ha il Concilio fatto l’apologia della persona e della sua libertà?

Ecco un problema interessantissimo, che Noi proponiamo alla vostra riflessione. E cioè: l’uso della libertà personale, che la maturità dell’uomo moderno e la pedagogia stessa della Chiesa non solo riconoscono, ma raccomandano alla formazione e all’affermazione della persona umana, abolisce l’antica disciplina della penitenza, dell’astinenza, dell’ascetica, cioè dell’agonismo morale, per lasciare alla nostra generazione una spontaneità d’azione, che la solleva da ogni vincolo normativo non strettamente necessario alla ordinata convivenza, che l’autorizza a godere pienamente d’ogni suo istinto vitale, ed a concedersi, almeno a scopo d’esperienza e di conoscenza, il godimento di ciò che finora era proibito e giudicato peccaminoso? Applicate questa interrogazione, a titolo di esempio, a due espressioni dell’autoformazione moderna: la disobbedienza, cioè il rifiuto dell’autorità, qualunque sia, e quanto più alta più contestata, e l’erotismo, cioè l’accettazione anzi la ricerca delle cento forme della sensualità esibizionistica e qualificata come naturalezza, come giovinezza, come arte, come bellezza, come liberazione. Vedrete come queste vie conducano lontano dalla concezione cristiana della vita, e non abbiano, come polo orientatore, la Croce.

Il risultato di questa indagine, per semplice che sia, è sconfortante. Noi, figli del nostro tempo, seguendo questo ordine o disordine di pensieri, non camminiamo sulla buona strada. Noi cerchiamo abitualmente ciò che ci è utile, ciò che ci è comodo, ciò che ci è piacevole. Abbiamo, a questo riguardo, anche nel nostro campo religioso ed ecclesiale, molte pretese e molte indulgenze. Vogliamo togliere dal nostro programma di vita la rinuncia e lo sforzo, la Croce. Vogliamo tutto conoscere e purtroppo spesso tutto provare. Il mondo, che, sotto la grande qualifica di umanità, dobbiamo tanto compatire ed amare, non ci fa più paura quando si presenta sotto il suo aspetto, non meno reale del primo, di amoralità, o di regola teorico-pratica per godere la vita. Non ascoltiamo più la voce indignata di Cristo, che esorcizza questo nostro mondo gaudente e disponibile alla viltà morale: «O generazione incredula e perversa, fino a quando sarò Io con voi? Fino a quando Io vi sopporterò?» (Mt 17,16 Mt 11,16 etc.).

Se non che, Figli carissimi, non dobbiamo chiudere questo rapido bilancio circa gli orientamenti morali del nostro tempo, senza notare alcune tendenze positive, che, volenti o no, vengono a suffragare l’antica sapienza ascetica della Chiesa, e che possiamo accogliere dalle provenienze più varie. Non profittava San Paolo dello spirito agonistico, proprio del soldato (Cfr. Ep 6,11-13), o proprio dello sportivo (Cfr. 1Co 9,24-27), per educare i nuovi cristiani all’esercizio energico ed ascetico della volontà, ormai sollecitata e sorretta dalla grazia? (Cfr. Rm 12,2 1P 5,10) In alcune forme e in alcuni profondi motivi della contestazione attuale non si nasconde forse un rifiuto all’edonismo convenzionale, alla mediocrità borghese, al conformismo imbelle nell’aspirazione a uno stile più semplice e severo, e più personale della propria condotta? E non bussano alle nostre coscienze alcune austere pretese giovanili, come la sincerità nella parola e nella vita, come la povertà, come liberazione dall’incubo dell’idolatria economica e come tentativo coraggioso della imitazione di Cristo?

Vi sono fenomeni positivi anche nelle abitudini decadenti del nostro secolo, come vi sono programmi massimalisti di perfezione cristiana anche nei testi conciliari (Cfr. Lumen gentium LG 40), nei quali molti, superficiali e miopi, ovvero pigri e fiacchi, hanno voluto cercare un’indulgente amnistia alla concezione edonistica e naturalistica della condotta moderna. Il nostro tempo ha bisogno di cristiani forti; la Chiesa, oggi tanto moderata nelle sue esigenze pratiche ed ascetiche, ha bisogno di figli coraggiosi, educati alla scuola del Vangelo; e perciò il suo invito alla mortificazione della carne e alla penitenza dello spirito è quanto mai d’attualità. Vi aiuti il Signore a meditarlo e ad assecondarlo, con la Nostra Benedizione Apostolica.

L’Unione Cattolica Infermieri

Un particolare saluto intendiamo rivolgere al gruppo dei Consulenti Ecclesiastici della Unione Cattolica Infermieri convenuti a Roma per il loro settimo Congresso Nazionale.

La Nostra parola, diletti figli, vuol essere di sincero compiacimento per l’opera altamente benemerita da voi svolta, che Noi seguiamo con grande conforto del Nostro animo. I risultati veramente consolanti conseguiti dalla vostra associazione confermano quanto sia preziosa la testimonianza cristiana dei vostri iscritti nell’ambiente ospedaliero, e quanto sia degno di stima e di lode l’impegno vostro per la loro formazione religiosa e morale. Vi esprimiamo la Nostra viva gratitudine; e mentre formuliamo voti per il costante sviluppo delle vostre iniziative apostoliche, vi incoraggiamo a proseguire con l’assicurazione della Nostra benevolenza, con l’aiuto della Nostra preghiera e col pegno della Nostra Apostolica Benedizione.

«Animatori postconciliari»

Rivolgiamo ora una parola di vivo elogio e incoraggiamento ai partecipanti ai corsi per «Animatori postconciliari», che si svolgono al Centro di Spiritualità postconciliare presso il Movimento per un Mondo Migliore, e con essi salutiamo il Rev.do Padre Riccardo Lombardi, il quale li ha accompagnati a questa udienza. Siamo assai lieti che gruppi così numerosi e, soprattutto, così qualificati come il vostro, diletti figli, sappiano dedicarsi con un impegno rigoroso allo studio approfondito dei grandi temi del Concilio Vaticano II. Così facendo, voi dimostrate assai bene di aver capito i «segni dei tempi» e di volervi ad essi adeguare. Il Concilio è stato una grande grazia per la Chiesa di oggi, lo Spirito Santo ha lasciato un’orma profonda della sua onnipotente sapienza nelle mirabili sintesi dottrinali e pastorali delle varie Costituzioni e Decreti.

Come una sorgente di acqua pura a cui attingere freschezza rigeneratrice, quei documenti del Magistero ecclesiastico devono alimentare il pensiero e l’azione dei credenti, e aspettano perciò di essere sempre meglio conosciuti, applicati, vissuti. Occorre stare al Concilio perché i frutti da esso auspicati possano, diciamo così, esplodere in tutto il loro rigoglio. L’ora presente della Chiesa lo richiede. Beati coloro che, come voi, hanno compreso questa necessità, e si preparano a essere, nelle rispettive Nazioni, un fermento apostolico santificatore, e rinnovatore. A tanto vi conforti la Nostra preghiera, e la Benedizione che di cuore impartiamo a voi e ai benemeriti maestri del Centro.

Funzionari e dipendenti del Banco di Napoli

E ora un cordialissimo saluto ai seicentocinquanta Funzionari, Impiegati e Subalterni della Direzione Generale del Banco di Napoli, che, lasciando il quotidiano lavoro, sono venuti con i loro Dirigenti dalla diletta città partenopea unicamente per partecipare a questa Udienza. Cotesto pellegrinaggio, che si concluderà già stasera col ritorno alle vostre case, è di per sé un esemplare atto di fede, di testimonianza, di amore alla Chiesa: e ci dice con quali sentimenti voi vogliate distinguervi nella vostra vita familiare e professionale. Ve ne ringraziamo, e vi diciamo tutta la Nostra ammirazione, incoraggiandovi a continuare sempre con questa coerenza e generosità nell’adempimento dei vostri doveri di cristiani e di cittadini. Portate il Nostro saluto ai colleghi che, per inderogabili esigenze di lavoro, non hanno potuto associarsi a voi, portatelo soprattutto ai vostri familiari, specie ai vostri bambini. Su tutti il Signore effonda grazie copiose di buona volontà, di pace, di letizia, delle quali vuol essere pegno la Nostra Apostolica Benedizione.




Mercoledì, 4 marzo 1970

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Diletti Figli e Figlie!

Il periodo quaresimale, nel quale ci troviamo, e possiamo allargare la nostra prospettiva dicendo: il periodo postconciliare, nel quale parimente ci troviamo, ci propongono una revisione del nostro modo di vivere, la quale pone molte e non facili questioni alla nostra coscienza. La riforma promossa dalla Chiesa in questo nostro tempo, il così detto «aggiornamento», non riguarda soltanto le «strutture», le modalità esteriori della organizzazione ecclesiale, come si è soliti a pensare, riguarda la nostra vita personale, riguarda la linea ideale che dobbiamo imprimere alla nostra condotta, riguarda i criteri direttivi del nostro senso morale.

Come dobbiamo vivere? Così come viene, senza pensarci? Dobbiamo essere passivi e conformisti rispetto all’ambiente, al tempo, al costume, alla moda, alle leggi, alle necessità, in cui praticamente ci troviamo, ovvero dobbiamo in qualche modo reagire, cioè agire con criterio proprio, con una certa libertà, almeno di giudizio e, dove è possibile, di scelta? Dobbiamo accontentarci d’essere impersonali e mediocri, e fors’anche difettosi, disonesti e cattivi, ovvero dobbiamo imporre a noi stessi una regola, una legge? Dobbiamo esigere da noi stessi uno stile di vita, una disciplina morale, una perfezione, ovvero possiamo vivere senza scrupoli, come ci torna più facile e più piacevole? E se l’amore è la qualifica più essenziale della vita morale, come lo dobbiamo intendere, quale affermazione di egoismo, o quale professione di altruismo?



DISCIPLINA MORALE

Tante domande, che ciascuno deve porre a se stesso, e che: anche se nascondono problemi speculativi delicatissimi e difficilissimi, trovano in pratica facile risposta, specialmente per noi che abbiamo un Maestro di vita, quale è Cristo, il Quale, appunto nel suo Vangelo, c’insegna con la parola e con l’esempio come dobbiamo vivere, e con il sussidio interiore del suo Spirito, la grazia, e quello esteriore della sua comunità, la Chiesa, ci rende possibile compiere ciò che Egli ci prescrive.

E nessuno si illuda. Cristo è esigente. La via di Cristo è la via stretta (Cfr.
Mt 7,14). Per essere degni di Lui, bisogna portare la croce (Cfr. Mt 10,38). Non basta essere religiosi, bisogna effettivamente essere seguaci della divina volontà (Mt 7,21). E il Concilio dirà che, se abbiamo coscienza di quanto il battesimo opera nel nostro essere umano rigenerato, dobbiamo sentirci obbligati a vivere come figli di Dio, secondo l’esigenza di perfezione e di santità, che appunto deriva dalla nostra elevazione all’ordine soprannaturale (Lumen gentium LG 40).

LEGGE NATURALE

Ma nessuno si spaventi. Perché la perfezione alla quale siamo chiamati dalla nostra elezione cristiana non complica e non aggrava la vita, anche se ci domanderà l’osservanza di molte norme pratiche, atte piuttosto ad aiutare che non a rendere più difficile la nostra fedeltà. La perfezione cristiana esige innanzi tutto da noi la ricerca dei principi fondamentali del nostro essere umano. Il nostro dovere cerca di adeguarsi al nostro essere. Dobbiamo essere ciò che siamo. È questo il criterio della legge naturale, sulla quale oggi tanto si discute, ma che la semplice ragione rivendica nelle sue esigenze fondamentali, risultanti dalla vita stessa, interpretate dal buon senso, dalla ragione comune (Cfr. Gaudium et spes GS 36). È la legge che portiamo in noi stessi, in quanto uomini: non scripta, sed nata lex (CICERONE); la legge che San Paolo riconosce anche nei popoli ai quali non fu annunciata la legge mosaica (Cfr. Rm 2,14), e che il Vangelo ha assorbito, convalidato e perfezionato (Cfr. B. SCHÜLLER, La théologie morale, etc. in Nouv. Revue Théol., mai 1966, p. 449 ss.).

Del resto, tutti abbiamo sufficiente cognizione di questa legge, che troviamo enunciata nei suoi massimi precetti nel Decalogo. E l’ossequio a questa legge ci fa uomini e cristiani. Ci difende dall’accusa, che spesso la letteratura fa alle persone devote, d’essere cioè scrupolose nell’osservanza di regole pie e minuziose, e di non esserlo altrettanto nell’intransigente fedeltà alle norme basilari dell’onestà umana, come la sincerità, il rispetto alla vita o alla parola data, la correttezza amministrativa, la coerenza del costume con la professione cristiana, e così via. È questa rettitudine che conferisce interiormente e socialmente dignità all’uomo; è questa coerenza fra il pensiero e la vita che costruisce un metro comune di moralità fra il fedele ed il non cristiano; è questa professione di giustizia razionale, che sostiene il sistema legislativo della società civile, e che offre motivo di progresso alla giustizia sociale. Anche le ribelli contestazioni dei nostri giorni si appellano, in fondo, alla necessità di una razionalità normativa più progredita e più conforme ai nuovi bisogni d’una società in evoluzione. Nello smarrimento odierno della nozione di bene e di male, di lecito ed illecito, di giusto e d’ingiusto, e nella demoralizzante diffusione della delinquenza e del mal costume, noi faremo bene a conservare e ad approfondire questo senso della legge naturale, cioè della giustizia, dell’onestà, del bene, quale la retta ragione non cessa d’ispirare nell’interno della coscienza.



UNA VITA NUOVA

Ma non ci potremo fermare qui.

Dovremo entrare nella visione realista della fede, che ci dimostra la inettitudine fatale dell’uomo ad essere buono e giusto con le sole sue forze. Questa inettitudine, prima ancora che il nostro catechismo ce la dichiari, grande parte della letteratura moderna e dello spettacolo narrativo oggi ce la documentano disperatamente; il pessimismo dominante nell’arte imbevuta di psicologia moderna dice, ancor più di quanto non lo saprebbe fare il maestro di religione, come l’uomo è malato nelle viscere profonde della sua esistenza, come indarno egli sogna e lotta per raggiungere la felicità e la pienezza dell’essere suo, come inesorabilmente tradisce la sua insufficienza morale e la sua interiore corruzione, e come si senta condannato allo scetticismo, alla disperazione, al nulla.

Per noi è chiaro. Abbiamo bisogno d’essere salvati. Abbiamo bisogno di Cristo. Abbiamo bisogno di Uno che assuma sopra di Sé tutto il nostro peccato e lo espii per noi. Abbiamo bisogno d’un Salvatore che dia per noi la sua vita, e che subito risorga per la nostra giustificazione (Cfr. Rm 4,25), cioè per renderci capaci di vivere una vita nuova, la vita soprannaturale, la vita pasquale.

È per questa vita redenta che la Chiesa è istituita; ed anche quest’anno ella ci chiama, ci raccoglie e ci prepara all’annuncio, che è suo: quello della resurrezione di Cristo e nostra.

Preparatevi tutti, con la Nostra Apostolica Benedizione.

Il Movimento dei Focolari

Siamo lieti di accogliere con un particolare benvenuto il gruppo dei sacerdoti, aderenti al Movimento dei Focolari, venuti da varie Nazioni europee per frequentare un corso di formazione presso il Centro Mariapoli di Rocca di Papa.

Sappiamo bene che un alto anelito di perfezione sacerdotale - che vuol essere completa in tutte le sue componenti umane e soprannaturali - vi spinge a prepararvi sempre meglio alle responsabilità, gravi, certo, ma esaltanti, della vostra vocazione, che tende «all’opera del ministero, all’edificazione del Corpo di Cristo» (Ep 4,12).

Continuate in questa ricerca di approfondimento teologico, in questo lavorio di interiore affinamento, in questo sforzo di continua ascesa, a cui vi chiama la grazia che vi è stata data mediante l’imposizione delle mani (Cfr. 2Tm 1,6); lo sappiate essere davvero il sale della terra, la luce del mondo (Cfr. Mt 5, 13, 14), affinché il vostro lavoro sia fecondo, e susciti una accensione sempre più vivida di santità in mezzo al clero e al popolo cristiano. A tanto vi conforta la Nostra Benedizione, che estendiamo ai vostri cari e alle anime a voi affidate.

Delegazione di Carmelitani Scalzi

Siamo ora debitori di un particolare saluto al venerato Preposito Generale dei Carmelitani Scalzi, e ai Segretari Provinciali delle Missioni di quella Famiglia religiosa, i quali stanno studiando, qui a Roma, come dare pratica applicazione ai Decreti Conciliari e alle successive Istruzioni, affinché l’Ordine incrementi sempre di più il suo spirito missionario. Lo scopo del vostro Congresso, diletti figli, si inquadra in quel nobile sforzo di rinnovamento, che il Concilio Vaticano II ha suscitato nella Chiesa, come una grande fiamma di luce e di fervore. Ci fa tanto piacere vedere come lo spirito ardentemente missionario di Santa Teresa d’Avila e di San Giovanni della Croce, di cui siete i figli spirituali, trovi in voi rispondenze tanto generose, e così consone con le odierne esigenze di adeguamento all’accresciuto respiro dell’azione apostolica nel mondo. Sappiate che codesta vostra testimonianza di amore a Cristo e alla Chiesa tanto ci conforta e ci allieta: ditelo ai vostri confratelli, che sanno così bene unire alla contemplazione delle cose celesti e all’ascesa del Monte santo di Dio l’ansia inesausta per la salvezza delle anime; ripetete loro, tornando alle vostre Province, che il Papa li ama, li incoraggia, li benedice con grandissimo affetto.

Capitolo Generale delle «Figlie della Misericordia»

Ci è grato, inoltre, rivolgere il Nostro affettuoso saluto alle religiose dell’Istituto « Figlie della Misericordia del Terzo Ordine Francescano », che hanno concluso da poco il loro Capitolo Generale Straordinario.

Come più volte avemmo occasione di rilevare nelle Udienze ai Capitolari delle varie famiglie religiose, il lavoro a cui avete atteso, dilette figlie, merita tutto il Nostro compiacimento. Esso è indice dello sforzo sincero, con cui anche la vostra Congregazione, così giovane e pur tanto promettente, intende operare l’opportuno rinnovamento delle proprie strutture e della propria disciplina per adeguarle alle odierne esigenze della Chiesa. Le opere di misericordia a servizio degli orfani, della gioventù abbandonata e dei sofferenti di ogni genere, forma la qualifica che distingue il vostro apostolato. Mantenetevi generosamente fedeli, come sempre, a questa vostra nobilissima consegna; e il Nostro auspicio è che la vostra presenza nel mondo possa proclamare con la eloquenza dei fatti agli uomini di oggi, così esigenti di testimonianze concrete, che «chi ama Iddio, ama anche il proprio fratello» (Jn 4,20-21).

Con questo voto e in pegno della Nostra benevolenza benediciamo di cuore voi tutte e l’intera vostra Congregazione.

Istituto «Fratelli del Sacro Cuore» (in francese)

Istruttori nella Compagnia di Gesù

We cannot fail to extend a special word of greeting to the Select group of the Society of Jesus present here today. Together with the Assistants General and the Regional Assistants we greet the Masters of Tertians who have come from all over the world to study questions relative to the Third Year of spiritual formation of the priests of the Society. The great service which the Church has received over the centuries from this illustrious company is well known to all. Can it not be considered that a great part of that zeal and effectiveness is due to the personal holiness fostered in the Society’s members by the institution of tertianship so wisely provided by Saint Ignatius?

May the blessing which We bestow on you be a pledge that, as in the past, the Society of Jesus may always contribute to bringing salvation and happiness to mankind: for the greater glory of God.


Mercoledì, 11 marzo 1970


Paolo VI Catechesi 40270