Paolo VI Catechesi 41072

Mercoledì, 4 ottobre 1972

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Noi ripetiamo: la Chiesa, o meglio noi tutti che abbiamo la fortuna di appartenere alla Chiesa, abbiamo bisogno di accrescere la nostra fede (Cfr.
Ep 4,15): questo per vivere da credenti, da fedeli, da cristiani, coerenti al nostro battesimo, alla nostra professione cattolica, capaci di fronteggiare le negazioni e le confusioni di questo nostro tempo, che assale la nostra osservanza religiosa, fino nel suo intimo senso e nel suo naturale orientamento, con le sue certezze scientifiche e con la sua polarizzazione antropologica, cioè tutta rivolta all’uomo, orizzontale, come oggi si dice, secolarizzata e chiusa nei confini dell’esperienza vissuta e del tempo, della storia.

E ancora ci chiediamo: è possibile questa riaffermazione della nostra fede nelle condizioni in cui ci troviamo? Ecco il problema che ci deve tutti interessare, dopo avere riconosciuto la necessità della fede: la possibilità della fede.

È possibile la fede, anzi la crescita della fede? È una domanda molto grave, alla quale tutti siamo invitati a rispondere. Il che vuol dire: tutti siamo invitati a tentare una duplice indagine. Vi accenniamo appena: l’indagine circa le difficoltà a credere, oggi specialmente, e l’indagine circa la facilità a credere, che pure il nostro tempo, quasi a nostra sorpresa, parimente ci offre.

Ciascuno provi a riflettere sopra questo duplice aspetto dell’immensa questione. A titolo di stimolo alla nostra ricerca, per elementare ch’essa sia, diremo dapprima che all’atto di fede concorrono tre coefficienti: primo, l’elemento oggettivo, cioè le verità della fede, la dottrina, il «credo»; e questo coefficiente è spesso manchevole per difetto di istruzione. Le crisi di fede sono tante volte dovute all’ignoranza. Neghiamo ciò che non conosciamo. Ora questo non è serio, non è degno di persone moderne, istruite e intelligenti, specialmente in ordine alla religione, la quale, volere o no, si pone come criterio decisivo per la guida della vita e per la misura dei suoi valori. Potremo incontrare molti, moltissimi problemi, anche su questo sentiero della conoscenza religiosa; ma questo, più che arrestare il nostro studio, dovrebbe sollecitarlo a migliore approfondimento, anche per evitare che giunga a noi, come un rimprovero, l’eco della voce dell’antico apologista cristiano, Tertulliano, il quale fino alla fine del secondo secolo, scriveva circa la religione cristiana, allora ufficialmente avversata e perseguitata: ne ipnorata damnetur, non sia condannata per ignoranza (TERTULL. Apol. 1). E lo studio onesto e perseverante della dottrina della fede avrà certamente, di per sé, un primo risultato positivo, quello di mostrare all’intelligenza e allo spirito dell’uomo moderno non l’estraneità, ma l’attraente affinità delle verità della nostra religione (nonostante il mistero che le avvolge), con le aspirazioni profonde dell’uomo stesso.

Secondo: l’elemento soggettivo, l’accettazione della Parola di Dio, cioè del «credo», da parte dell’uomo, che per ciò stesso diviene credente. È questo l’aspetto specifico della fede; ed è quello oggi più compromesso e più reagente contro l’adesione autentica alla dottrina della fede. Perché? perché la mentalità contemporanea è più che mai prevenuta contro una forma di conoscenza basata sulla parola altrui e non sull’esperienza propria, effettiva o soltanto possibile che sia. L’argomento fondato sull’autorità della parola altrui, sulla testimonianza e non sulla verifica razionale, è certamente il più debole; e così dicevano, da sempre, anche i maestri della nostra scuola (Cfr. S. TH. I 1,8). Prevale oggi la conoscenza razionale e scientifica, anzi fisica e quantitativa e sperimentale, nella quale la mente umana si sente soddisfatta e anche più di quanto sia, a buon diritto, consentito di esserlo; si sente sicura per un genere di certezza connaturato alla mente umana (Cfr. P. H. SIMON, Questions aux savants, Seuil, Paris). E adagiandosi a questo livello della conoscenza, l’intelligenza umana non si accorge d’aver compiuto una grande abdicazione, quella dell’impiego della sua facoltà alla conquista della verità superiore, cioè essenziale e metafisica; livello questo, veramente umano e spirituale, dove l’incontro con Dio, sia naturalmente raggiungibile, sia, e tanto più, per via di rivelazione, può verificarsi in certa adeguata misura.

In altri termini: l’uomo moderno manca di quella sana formazione filosofica sufficiente, la quale, anche se limitata a quel grado a tutti accessibile che si chiama il senso comune, è indispensabile per accedere al colloquio col mondo religioso. La nostra mentalità, già dicevamo, non è «in fase» idonea e felice per captare le onde misteriose del linguaggio divino. Ancora una volta ricordiamo la esortazione di Pascal: dobbiamo fare lo sforzo di pensare bene. Vedremo allora che l’argomento d’autorità, sul quale si fonda la fede, trae la sua forza dalla credibilità di colui che lo impiega; nel nostro caso, Dio; e perciò diventa fortissimo anche se rimane nella sfera delle verità misteriose (Cfr. S. TH. cit. I 1,8).

E non ci sorprenderà quindi d’incontrare un terzo elemento, un coefficiente a noi estraneo e superiore, che interviene nel nostro spirito per abilitarlo all’atto di fede, il soffio dello Spirito di Cristo, la grazia (BENZ.-SCH. DS 1525 ss.; DS 1553-1554 ss.). La fede è un dono di Dio, è una virtù possibile all’uomo mediante un impulso soprannaturale, che non ci mancherà, se noi ci porremo in condizione di accoglierlo.

Perciò: desiderio di Dio, umiltà, preghiera, attesa fiduciosa, ed anche esperienza spirituale quale la partecipazione alla vita di fede della comunità ecclesiale, domestica o pubblica che sia, ci spianeranno le vie alla fede, e la renderanno non solo possibile, ma facile e vittoriosa.

È il nostro voto per noi tutti. Con la nostra Benedizione Apostolica.

Le Piccole Suore di Gesù

Sacerdoti di Roermond

Pellegrini Danesi

We are happy to extend our greetings to the members of the Catholic Study Circle for Animal Welfare.

In these days when the problem of the environment is such a pressing one, we hope that through your efforts you will help to make people more aware of the respect that is due to the world which God has given us as our home, and which he means us to use as a steppingstone towards himself. We pray that your pilgrimage to Rome and to Assisi will be a source of many graces.

With our Apostolic Blessing.

Veterani della Guardia Svizzera

Ein wort harzlicher Begrüßung richten Wir an die Mitglieder der «Vereinigung ehemaliger päpstlicher Schweizergardisten», die anläßlich des fünfzigjährigen Gründungsjubiläums ihrer Vereinigung zusammen mit ihren Angehörigen nach Rom wallfahrten. Wir danken Ihnen für Ihren Besuch. Ihre Gegenwart weckt in Uns angenehme Erinnerungen an die guten Dienste, die Sie Jahre hindurch dem Stellvertreter Christi geleistet haben. Möge Gott Ihr überreicher Vergelter sein! Legen Sie auch weiterhin Zeugnis ab für Christus durch Treue im Glauben und ein religiöses Leben, das Ihren Mitmenschen zum Vorbild gereicht. Dazu erteilen Wir Ihnen und allen Anwesenden von Herzen Unseren Apostolischen Segen.


Mercoledì, 11 ottobre 1972

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Carissimi figli,

Noi abbiamo nel cuore il Concilio, che al compiersi oggi del decimo anniversario dalla sua inaugurazione lo riempie dei suoi ricordi, del suo significato, del suo «tomo» cioè del volume dei suoi insegnamenti, dei suoi frutti, dei suoi problemi, delle sue speranze.

Ma non intendiamo oggi parlarvi di questo enorme tema, che non potremmo contenere nel breve consueto discorso dell’udienza Generale. Sappiamo tuttavia che la memoria del Concilio è negli animi di tutti, come avvenimento destinato a crescere d’importanza, quale fattore vivo della storia spirituale della Chiesa e del mondo, oggi e per il futuro.

Lasciamo, tuttavia, tacendo, che due soavi e piissime figure siano nei nostri spiriti emblema di questa prima scadenza commemorativa : la Madonna, celebrata allora nel culto della sua divina maternità, come lampada della candida luce evangelica di fede e d’amore, diffusa su tutta la Chiesa e sul mondo; Papa Giovanni XXIII che, con genio pastorale, volle e inaugurò il Concilio, e ora ne riempie il corso delle conseguenti vicende, sempre di sé, tutto bontà e tutto speranza.

* * *

Noi ci andiamo chiedendo di che cosa abbia oggi maggiormente bisogno la Chiesa; e rispondiamo: di fede. Cioè della adesione alla Parola di Dio, alla rivelazione divina, la quale ha in Cristo il suo punto focale, ed ha nella Chiesa la sua custodia, la sua testimonianza, la sua interpretazione.

Il discorso non sarebbe completo se noi trascurassimo di aggiungere che dalla adesione alla fede deriva un impegno morale fondamentale, un dovere generale e primario, che è la fedeltà. Non per nulla un credente si definisce un fedele. E incluso in questo termine un duplice significato: primo, di fermezza, di stabilità, di fortezza, e poi di coerenza, di sequela, di operosità; statico dunque, e dinamico.

È facile derivare questo concetto di fedeltà da quello di Parola data, di Patto, di Alleanza; l’alleanza, che Dio si è degnato di stabilire con l’uomo, oltre il rapporto ontologico risultante dal fatto che l’uomo è creatura di Dio, ci riporta all’antico Testamento, al patto, al rapporto religioso offerto da Dio, rivelandosi all’uomo e provocando da lui una risposta; siamo alla fede di Abramo, sulla quale si instaura la religione soprannaturale, che si perfeziona in Cristo, il quale istituisce la nuova alleanza, il nuovo Testamento (Cfr.
Mt 26,28 1Co 11,25), fondato, non meno dell’antico, sulla fede, e consumato nell’infusione dello Spirito Santo. Nell’uno e nell’altro regime religioso, l’antico e il nuovo, entra il concetto di impegno bilaterale, da cui deriva, da parte di Dio, una fedeltà che non mai si smentisce (Cfr. Rm 11,29), mentre, da parte dell’uomo, una fedeltà che dovrebbe parimente essere irremovibile, ma spesso, pur troppo, dimostra la debolezza morale della natura di lui, vulnerata per giunta dal fallo originale. L’uomo può essere, ed è sovente inadempiente al patto, un alleato infedele, mentre per noi cristiani questa esigenza di fedeltà, com’è noto, è stata contratta col battesimo, e confermata con ogni altro incontro con Dio, specialmente con i Sacramenti. Grande avvenimento per ciascuno di noi il battesimo, che eleva il nostro piccolo essere di creature contaminate alla nuova condizione di figli di Dio, in certa misura associati alla sua stessa natura (Cfr. 2P 1,4), autorizzati perciò a chiamarlo «Padre nostro» (Mt 6,9). Dio così, finalmente, si è rivelato Amore (1Jn 4,16). E l’amore esige fedeltà. Tanto che la Chiesa, l’umanità cioè assorbita nell’economia evangelica dell’amore, instaurata da Cristo, è qualificata nella S. Scrittura la Sposa di Cristo, appunto per la fedeltà virginale e feconda, che a Lui la unisce (Cfr. Ep 5,25-27 Ap 19,7 Lumen Gentium LG 6 LG 64), e che Cristo medesimo, teste l’evangelista Giovanni, reclama con commovente insistenza: «perseverate nel mio amore» (Jn 15,4 Jn 15,5 Jn 15,6 Jn 15,7 Jn 15,9 Jn 15,10, etc.).

Ora, la fedeltà non è la virtù del nostro tempo, dove tutto è investito da un turbine di cambiamenti, che possono anche essere secondo il pensiero di Dio, il Quale chiama l’uomo allo sviluppo, al progresso, alla novità, alla perfezione, ma cambiamenti che oggi spesso sono canonizzati nella mentalità profana per se stessi, per il fatto stesso che sono cambiamenti, e sono desiderati e promossi come fossero la speranza e il successo della vita, fino ad essere considerato liberazione e vittoria il distacco radicale dalla tradizione, e metodo normale d’incremento personale e sociale la rivoluzione. Ecco perché la Chiesa, depositaria di valori eterni e sempre operanti, sente più che mai il bisogno della fedeltà a questi stessi valori, e tanto soffre per la leggerezza e per l’infedeltà di tanti suoi figli, dei prediletti specialmente, di quelli vincolati da doveri qualificati di fedeltà.

Come altra volta dicemmo, tali valori permanenti hanno funzione di radice, di sorgente, che non paralizzano l’incremento progressivo della vitalità umana, sia del singolo individuo, sia della comunità, ma lo alimentano, lo rendono possibile, lo esigono. La fedeltà è ragione di vita; non è pigrizia, non è catena che frena gli ardimenti dell’ingegno e dell’amore; ma, quando essa, come dicevamo, consiste nell’adesione al nostro credo, che mai non invecchia e non mai si esaurisce, apre loro il sentiero nell’ordine sempre positivo, forte e felice.

La fedeltà, sì, deriva dalla fede, la quale deve diventare principio operativo del cristiano. Ricordiamo la parola di S. Paolo, cardine della sua dottrina: «il giusto vive di fede» (Ga 3,11 He 10,38 Rm 1,17); badate: dice di fede non semplicemente con la fede. Cioè il giusto, il cristiano autentico, ricava dalla fede la ragione e la norma del suo vivere, e non soltanto aderendo alla fede, come semplice veste esteriore più o meno qualificativa o decorativa, della sua esistenza.

Da questa coerenza tra la fede e la vita, tra il pensiero cristiano e l’azione pratica, tra la fermezza e la fecondità dei principii desunti dal Vangelo e l’orientamento lineare della condotta, cioè dalla fedeltà cristiana, nascono tante cose buone e generose, di cui oggi ha particolarmente bisogno la Chiesa e con lei tutti i suoi figli: a cominciare dall’immunità e dalla saggezza critica verso la suggestione e la seduzione delle correnti aberranti di pensiero e di costume, oggi diffuse, cioè verso i conformismi illogici, ma utili di precari successi; e poi per arrivare alla vera libertà interiore degli uomini forti della loro coscienza e del loro carattere, non che al coraggio della testimonianza militante e missionaria, e alla costanza e al gusto della lealtà verso Cristo e verso la comunità nel generoso e sofferto adempimento delle proprie promesse all’Amore sempre urgente di Cristo (Cfr. 2Co 5,14).

Possa rinnovare in ciascuno di voi il senso di questa implacabile urgenza la nostra Benedizione Apostolica.

Pellegrini dall’Asia

We are pleased to extend a special greeting to the large number of pilgrims from Asia. We greet in a particular way our sons and daughters from Japan, Taiwan and Iran. We pray that your visit to Rome and to the Holy Land may confirm you in your faith in Christ Jesus and in your service of his brethren. We invoke upon you the peace of the Lord.

Sacerdoti novelli del Collegio Germanico-Ungarico

Den anwesenden Neupriestern des Germanikums mit ihren Angehörigen gilt Unser besonderer Gruß! Von Herzen beglückwünschen Wir jeden einzelnen von Ihnen, liebe Freunde, zur Erreichung des hohen und heiligen Zieles. Möge die Christusliebe, die heute an Ihrem Weihe- und Primiztag Ihre jugendlichen Herzen erfüllt, Sie mehr und mehr umgestalten, daß Sie während Ihres ganzen künftigen Priesterlebens stets «Lehrer und Verkünder» der geoffenbarten Wahrheit und «Ausspender Seiner Geheimnisse» seien (Cfr. Presbyterorum Ordinis PO 9 1Co 4,1) sowie leuchtendes Vorbild der Ihnen anvertrauten Gläubigen! Ihren lieben Eltern aber sagen Wir im Namen Jesu Christi ein Wort der Anerkennung und des Dankes, daß sie in hochherziger Weise ihren Sohn für den ausschließlichen Dienst des Altares dem Herrn opferten.

Herzlich willkommen heißen Wir auch die vielen Pilger aus Eichstätt, die mit ihrem hochwürdigsten Herrn Bischof an dieser Audienz teilnehmen. Liebe Söhne und Töchter! Ihr seid die Kirche des heiligen Willibald, Eures großen himmlischen Patrons, der vor Jahrhunderten als erster Bischof Euren Vorfahren die Frohbotschaft Christi brachte. Stehet darum immer treu zum Glauben Eurer Väter! Der Schutz und Segen Gottes werden Euch immer begleiten.

Ein Wort herzlicher Begrüßung endlich dem großen Pilgerzug, Papst und Kirche, mit dem «Sankt Nikolaus-Schifferverband». Liebe Pilger! Ihr kennt alle den Text des bekannten tiefsinnigen Liedes: «Wir sind nur Gast auf Erden und wandern ohne Ruh». Als fahrende Schiffer seid Ihr immer unterwegs von Ort zu Ort, von Stadt zu Stadt. Bei all Euren Arbeiten habet darum immer unser aller gemeinsames letztes Ziel vor Augen und richtet danach Euer berufliches Leben aus: unsere ewige Heimat bei Gott!

Aus der Fülle des Herzens erteilen Wir allen Anwesenden Unseren Apostolischen Segen.


Mercoledì, 18 ottobre 1972

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Questo incontro con voi, carissimi figli, ci offre ancora una volta l’occasione di aprire l’animo nostro sopra i bisogni della Chiesa. Di quale altro pensiero può essere pieno il cuore del Papa se non di quello relativo ai bisogni della nostra santa Chiesa? Due ordini di motivi ci spingono a questa insistente e prevalente considerazione: il primo è d’ordine teologico, e riguarda il fine per cui la Chiesa è stata istituita; l’altro è di ordine sociologico-storico, e risulta dalla visione sulla condizione religiosa e morale del nostro tempo; entrambi denunciano questo fondamentale bisogno, quello della diffusione della fede.

Ascoltiamo il Concilio. «Questo è il fine della Chiesa: con la diffusione del regno di Cristo su tutta la terra a gloria di Dio Padre, rendere partecipi tutti gli uomini della salvezza operata dalla redenzione, e per mezzo di essi ordinare effettivamente il mondo intero a Cristo. Tutta l’attività del Corpo mistico ordinata a questo fine si chiama "apostolato", che la Chiesa esercita mediante tutti i suoi membri, naturalmente in modi diversi; la vocazione cristiana infatti è per natura sua anche vocazione all’apostolato» (Apostolicam Actuositatem
AA 2).

Sì, l’apostolato è uno dei bisogni essenziali e primari della Chiesa; ma oggi più che mai. Prima di tutto perché è sempre stato così. Le parole conclusive del Vangelo non cessano di risuonare nel corso dei secoli a quanti hanno la fortuna, come cristiani, di accoglierne l’eco tuttora squillante ed imperativo: «andate e ammaestrate tutte le genti . . .» (Mt 28,19). In secondo luogo perché lo sviluppo storico dell’umanità dimostra con evidenza drammatica a chi lo sa cogliere il travaglio dello spirito umano impegnato, fino al fanatismo talvolta, a spegnere ogni senso religioso (siamo nell’epoca del secolarismo e dell’ateismo, antireligioso e anticristiano, ed anticlericale), e subito tormentato dalla carenza e dalla fame, che si producono nel medesimo spirito umano, del cibo che solo lo fa vivere in pienezza, la fede nella Parola di Dio (Cfr. Mt 3,4). Diciamo semplicemente: oggi più che mai, e proprio in funzione del suo progresso, l’uomo, lo sappia o no, ha fame di Cristo. E allora ci domandiamo: chi può e come portare all’uomo del nostro tempo il contatto vitale con Cristo?

Qui si pone, come la scoperta d’una chiave esplicativa del disegno divino circa la salvezza del mondo, la necessità del mezzo umano fra Dio, fra Cristo, fra il Vangelo e l’uomo da salvare. La grande economia religiosa della salvezza suppone ed esige una rete intermediaria, un ministero, una trasmissione organizzata e autorizzata di uomo ad uomo. Il «Kerygma», cioè il messaggio evangelico, esige un messaggero, esige un apostolo, cioè un inviato, un missionario. La comunicazione di Dio all’uomo può essere diretta; lo Spirito di Dio può effondersi senza alcun tramite; ma non è questo il modo ordinario scelto da Dio per rivelare il regno soprannaturale ch’Egli apre, come un convito (Cfr. Lc 14,16 Mt 22,2) ai singoli uomini e all’intera umanità. Il fatto religioso rimane, sì, nella sua essenza, un fatto interiore e personale; ma di solito ha bisogno d’essere provocato da uno stimolo esterno; anzi, per il fatto religioso soprannaturale, ch’è quello più vero e reale, si richiede un servizio qualificato, un annuncio autentico, un magistero autorizzato (Cfr. Rm 10,14 ss.). La fede non nasce da sé; essa è frutto d’una trasmissione, d’un apostolato.

Ed eccoci allora alla ricerca dell’apostolato. È su questo tema che si svolge la storia della vita pubblica di Gesù. Egli sceglie fra i suoi discepoli alcuni nominatamente, che poi chiamerà apostoli (Lc 6,13), e manderà in giro ad annunciare il regno di Dio (Cfr. Mt 10). La missione diventerà specifica e permanente; diventerà pastorale e gerarchica (Cfr. Jn 21,15 ss.). Così nasce e così si struttura ancor oggi la Chiesa. Anzi la Chiesa stessa, nel suo insieme, è apostolica, è missionaria; è lo strumento, è il veicolo, l’organo storico e sociale, sacramento, cioè segno e causa, della duplice unione soprannaturale dell’uomo con Dio e degli uomini fra loro (Lumen Gentium LG 1).

Facciamo attenzione. L’applicazione del termine «apostolato» si è venuta dilatando ed estendendo fino a coprire tutta l’area della Chiesa: se essa, proprio per la sua stessa esistenza, è apostolica, tutti i suoi membri sono apostoli. Non certo per l’investitura che conferisce doveri, funzioni, poteri e carismi speciali al sacerdozio, ma per via di comunione e di partecipazione, ogni cristiano è apostolo, cioè è diffusore della fede, per diritto e per dovere, se non di fatto. Del resto è facile capire questa esigenza religiosa, che trascende i limiti personali, con una similitudine, che potremmo attingere dalla liturgia: accendete un lume; la sua luce si effonde per virtù stessa dell’accensione. Così il cristiano; è un uomo in cui è stata accesa la fede; se egli è credente, egli è perciò stesso un diffusore della sua propria luce, della sua propria fede. Lo sarà per il fatto che egli appartiene e si dimostra membro della comunione cristiana, e poi della comunità dei fedeli, della Chiesa. Appartenere alla Chiesa, con aperta semplicità, con certo coraggio, se occorre, è già un valido apostolato.

E poi, se l’esempio d’una coerente vita cristiana conferma la qualifica di credente e di fedele, l’esercizio dell’apostolato cresce d’efficacia e di merito.

Ed ora, eccoci ad un gradino superiore, al quale la coscienza della Chiesa odierna, specialmente dopo il Concilio, è pervenuta: ogni cattolico deve essere apostolo in maniera attiva, ed anche, se possibile e sempre liberamente, in forma associata.

Tutti ricordate che il Concilio ha dedicato alcuni dei suoi più caratteristici documenti all’apostolato accessibile, anzi raccomandato a tutti, ai ministri della Chiesa, ai consacrati, ai laici (Cfr. Apostolicam Actuositatem; Ad gentes; Unitatis redintegratio; Inter mirifica, ecc.). Questa è la lezione di rinnovamento che dobbiamo tutti ascoltare.

Un cristiano, se davvero cattolico, dev’essere oggi un apostolo: con la preghiera, con l’esempio, con l’oblazione, con la sofferenza, con l’attività, con la disciplina, con l’organizzazione. Uno stato di tensione nello sforzo diffuso della fede è il dovere di quest’ora, critica e decisiva, grande e propizia, d’ogni membro del Corpo mistico di Cristo. Perché invece tanta atonia? tanta diminuzione di vocazioni? tanta dispersione di forze in attività particolari ed effimere? tanta supina acquiescenza alla moda della contestazione? tanto interesse al capriccio delle divisioni e delle rivalità anche fra molti che operano in istituzioni ispirate da sentimenti cristiani? Tanta apologia d’un pluralismo, che va oltre la legittima libertà promossa dalla stessa unica fede, e alimenta la critica, il dubbio, la disobbedienza? Non sia questo il nostro atteggiamento.

La prossima giornata delle Missioni sia perciò a tutti, e tanto più, un richiamo al dovere della cooperazione filiale e fraterna per la diffusione della fede, nella concordia, nel sacrificio, nell’affascinante visione escatologica del regno di Dio.

Con la nostra Benedizione Apostolica.

Attività missionarie dell’«Antonianum»

Salutiamo commossi i Religiosi e le Religiose, che stanno frequentando, a Roma, un «Corso di aggiornamento per Missionari», ad essi riservato, per avere una visione approfondita degli odierni problemi della dottrina e della vita della Chiesa. Venuti da lontani Paesi dei vari continenti, nei quali alcuni di voi hanno trascorso già più di venticinque anni, avete rinunziato ad un periodo di ben meritato riposo per arricchire il bagaglio delle vostre conoscenze bibliche, teologiche, liturgiche, pastorali, ecc., affinché il vostro ministero sia nutrito di solida e sana dottrina, e possa così rispondere sempre meglio alle esigenze della cura delle anime, nelle varie situazioni in cui vi trovate. E qui, negli incontri fraterni, nel comunicarvi le vostre esperienze, e soprattutto durante le pause di preghiera delle vostre giornate romane, così dense, voi ritemprate lo spirito alla donazione totale di voi stessi, che un giorno vi ha fatto lasciare la famiglia, i confratelli e le consorelle, la patria natia per rispondere alla grande e impegnativa vocazione missionaria, confidando unicamente nella grazia del Signore, e con una carica stupenda di generosità, di entusiasmo, di spirito di sacrificio, compiuto in «perfetta letizia».

Che quell’impulso giovanile sia tuttora presente e operante ce lo dice il vostro desiderio concreto di aggiornamento. Ci compiacciamo pertanto con voi, carissimi sacerdoti, ottime suore, che date alla cristianità un esempio tanto edificante di fedeltà al Vangelo, di coerenza assoluta tra le convinzioni interiori e le realizzazioni esterne, tra le parole e i fatti. Grazie, fratelli e sorelle nostre in Cristo, per questa lezione che date ai cristiani di oggi. Siamo nella imminenza della Giornata Missionaria Mondiale, e perciò ci piace vedere in voi la conferma e la garanzia che la vocazione missionaria della Chiesa continua ad essere una realtà magnifica, che scalda i cuori dei suoi figli più generosi, e che il suo slancio missionario è una fiamma sempre viva e bruciante.

Il Signore vi sostenga nelle vostre fatiche apostoliche, vi incoraggi, vi consoli, dia alle vostre parole e alle vostre azioni l’efficacia invincibile dello Spirito Santo, che arriva fino in fondo ai cuori: così noi lo preghiamo per voi, e vi assicuriamo di esservi sempre vicini al nostro affetto e con la nostra benedizione. E con voi benediciamo il Pontificio Ateneo «Antonianum», che, in collaborazione con le Famiglie Religiose dei frati Minori, dei Cappuccini e dei Missionari Comboniani, ha organizzato questo Corso, così rispondente alle direttive del Concilio Vaticano II circa la piena e continua formazione spirituale e morale, intellettuale e pastorale dei missionari (Cfr. Ad gentes AGD 25 AGD 26). Tale iniziativa, che è alla sua prima esperienza, trova tutto il nostro appoggio, e facciamo voti affinché possa svilupparsi sempre più, con frutti lietissimi, in Nomine Domini.

Imprenditori di Anversa

Pellegrinaggio di Boston

We extend a special welcome to our venerable brother, Archbishop Humberto Medeiros, and to the group of pilgrims from the Church in Boston. We realize that this is the first archdiocesan pilgrimage in many years and we are all the more pleased because of this. We know the great traditions of your beloved Archdiocese and we greet you with deep affection in Christ Jesus. To all of you grate and peace in abundante.

Ufficiali tedeschi e pellegrini di Münster

Ein wort besonderer Begrüßung richten wir an die Teilnehmer des Rom-Seminars des Führungs-Gremiums der kirchlichen Laienarbeit im Rahmen der militärischen Belange.

Sehr geehrte Herren! Das Zweite Vatikanische Konzil hat in einem eigenen Dekret eindringlich betont: Das Apostolat der Laien, das in der christlichen Berufung selbst seinen Ursprung hat, darf in der Kirche niemals fehlen. In der verantwortüngsvollen Stellung, die Sie als Offiziere in Ihrer Heimat einnehmen, muß es darum für Sie als überzeugte Katholiken stetes Bestreben sein die Menschen, die Ihrer Führung anvertraut sind, nicht allein durch Ihr Wort, sondern noch vielmehr durch das Zeugnis ihres christlichen Lebens zum Glauben und zu Gott hinzuführen. Denn das ist der Weg, den Christus uns allen aufzeigt mit den Worten: «So lasset euer Licht leuchten vor den Menschen, damit sie eure guten Werke sehen und den Vater preisen, der im Himmel ist» (Mt 5,16).

Herzlich willkommen heißen wir auch den anwesenden Pilgerzug aus der Diözese Münster. Liebe Söhne und Töchter! Ihr kommt aus dem katholischen Münsterland, das so reich ist an wertvollen Zeugnissen christlicher Kultur der vergangenen Jahrhunderte. Hütet und pflegt in Dankbarkeit dieses heilige Erbe! Die Erfahrung der Jahrhunderte lehrt uns, daß die Ehrfurcht vor Gott und seinen Geboten dem einzelnen wie dem gesamten Volk zum Heil gewesen ist und sie zu wahrem Reichtum führte. Laßt euch in keiner Weise verwirren oder gar ablenken durch gegenteilige Stimmen, sondern bleibt bei aller Bejahung des menschlichen Fortschrittes immer auf dem geraden und erfolgversprechenden Weg eures katholischen Glaubens.

Von Herzen erteilen wir allen Anwesenden unseren Apostolischen Segen.

Opera «Educazione e Riposo»

Nuestra afectuosa bienvenida al grupo de quinientos obreros españoles, cuya visita agradecemos de corazón.

Esta peregrinación a la Ciudad Eterna debe afianzaros, amadísimos hijos en vuestros sentimientos cristianos, que han de ser la inspiración de vuestra vida familiar, de vuestra actividad laboral y de ese empeño común para lograr un mundo más justo, libre y fraterno, que corresponda a las legítimas aspiraciones de los trabajadores.

Como Vicario de Aquél que quiso ser obrero igual que vosotros, nos sentimos muy cerca de todos los trabajadores españoles, a los cuales, junto con vosotros y vuestras familias, impartimos de corazón una especial Bendición Apostólica.


Mercoledì, 25 ottobre 1972

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Di che cosa ha bisogno la Chiesa?

Ce lo siamo domandato altre volte; e sarà questa una domanda alla quale non potremo mai rispondere in modo esauriente. Di tante, di troppe cose la Chiesa ha bisogno. Semplifichiamo il metodo della nostra inchiesta, interrogandoci sul fuori e sul dentro. La Chiesa vive nel mondo; ogni contatto ch’essa ha col mondo, cioè fuori di sé, denuncia un bisogno, anzi molti e immensi bisogni; oggi, date le condizioni della società moderna, condizioni nuove, condizioni mutevoli, condizioni difficili, i bisogni della Chiesa sono senza numero e senza misura; vi è da rimanere quasi scoraggiati: come portare il messaggio del regno di Dio ad un mondo come il nostro, gonfio e straripante delle sue positive, gigantesche, stupende e talvolta orribili realtà? se non fosse il comando del Signore e la fiducia nella sua parola e nella sua assistenza, sembrerebbe folle e vinto in partenza il nostro modestissimo e ingenuo tentativo di avvicinare, di convincere, di vincere il mondo contemporaneo. Lo sapeva anche Lui, il Signore, quando diceva ai primi discepoli, mandati ad annunciare il regno: «Andate: ecco che Io vi mando, come agnelli in mezzo ai lupi . . .» (
Lc 10,3). Ma in altra occasione, all’ultima sera della sua vita nel tempo, Egli concluse: «Nel mondo voi avrete tribolazioni; ma abbiate fiducia; Io ho vinto il mondo!» (Jn 16,33). Così che la missione della Chiesa non è disperata. Tanto è vero che il Concilio a questo confronto fra Chiesa e mondo ha dedicato la sua celebre ed amplissima Costituzione Gaudium et Spes, nella quale potremo trovare sapienti e numerose indicazioni circa i bisogni della Chiesa fuori dei propri confini.

E dentro? Il nostro discorso non va oltre un’indagine elementare e quasi intuitiva. Il primo bisogno, abbiamo detto altra volta, è la fede, con tutto quello che la fede porta con sé. Faremo bene a ripensarci. Ci accorgeremo che nella Chiesa, forse come non mai, s’è fatto sentire il bisogno di definire se stessa, d’avere una più chiara coscienza di sé. Che cosa è la Chiesa? Già questo sforzo di racchiudere in una formula comprensiva l’immensa, misteriosa realtà, che è la Chiesa, ci aveva offerto molti titoli sempre validi e splendidi, tra cui fra tutti già magistralmente illustrato dall’Enciclica Mystici Corporis, di Papa Pio XII, assurge quello di Corpo mistico di Cristo, cioè quello di umanità incorporata a Cristo mediante una comunicazione vitale unificante e compaginante con Lui e fra noi; risultò il grande titolo di «Popolo di Dio», che, con una ghirlanda d’altri titoli bellissimi, riempie di sé la Costituzione conciliare Lumen Gentium (Cfr. Lumen Gentium LG 6 ss.). Questo significa che la Chiesa aveva bisogno d’una scienza di sé, approfondita e riducibile ad un concetto sintetico, che dando l’idea, anzi l’immagine, come comunione, ovile, edificio, ecc., aiutasse la comprensione del disegno di Dio circa la salvezza dell’umanità stessa.

Basta dunque così? o qualche altro bisogno per la vita interiore della Chiesa dobbiamo noi avvertire? Non basta mai. Quando si tratta di cose nelle quali entra il pensiero, la presenza, l’azione di Dio la nostra intelligenza non è mai del tutto soddisfatta; vuole sapere di più. Non vi è sempre bisogno di nuovi dogmi; vi è bisogno di contemplarne la verità, di estrarne la fecondità, di applicarne l’autorità.

Dopo il Concilio la Chiesa ha bisogno di vita interiore. La ricchezza degli insegnamenti, che esso ha aperto ai fedeli, ha certamente aperto al pensiero, alla cultura, alla preghiera una vena fluente di vitalità spirituale; e questa dobbiamo tutti coltivare e intensificare. Due fenomeni tuttavia hanno prevalso, se non nella misura, nella pubblicità: quello centrifugo, della vita esteriore, quello così detto della linea orizzontale, umanitaria, ottimo, ma incompleto e reticente nella dottrina e tendente ad esaurire i motivi della propria energia venendo meno quelli della propria spiritualità; e quello della contestazione interna, dell’inquietudine egoista, velata di certo legittimo pluralismo e rivolta alla corrosione interiore dell’unità ecclesiale in omaggio alla liberazione tendenziale da ogni autorità e quindi da ogni obbedienza. Non sarà una pretesa sufficienza carismatica, che conserverà un’autentica animazione dello Spirito Santo a queste correnti spiritualiste, nelle quali spesso è pur troppo facile scorgere l’infiltrazione di mentalità dissidenti o profane.

Altro è il bisogno della Chiesa. Se la Chiesa ha avuto la grazia di scoprire qualche cosa di più del proprio mistero, questo essa deve fissare con lo sguardo del pensiero e del cuore. Ci esorta, come fosse maestro dei nostri giorni, ancora S. Agostino. Egli dice: «Noi abbiamo lo Spirito Santo se amiamo la Chiesa; amiamo poi se siamo innestati nella sua compagine e nella sua carità» (S. AUG. In Io. Tract. 32, 8; PL 35, 1645-1646). Ed eccoci allora sopra il sentiero centrale delle vie della fede e della vita interiore; il sentiero, che dal Vangelo arriva alla spiritualità degli ultimi secoli scorsi, la quale è come. sorpresa e incantata da una scoperta della pienezza della nostra religione. Non è veramente una scoperta, perché fino dalle pagine dell’Antico Testamento ce ne era stata annunciata la meravigliosa verità (Cfr. Jn 31,3); ma qui diventa un punto focale, che chi ha sorte di coglierlo nella sua luce misteriosa non può non subirne l’incanto. Si tratta dell’amore che Dio per primo ha avuto per noi (1Jn 4,10), e che ha riversato sopra di noi in misura infinita, per via di un tragico dramma d’amore, la Croce, fino a giungere a stabilire dentro di ciascuno di noi e di tutta la sua Chiesa una dimora ineffabile. Noi siamo amati, smisuratamente amati. L’economia della grazia, quella di cui la Chiesa è sacramento, cioè segno e strumento, porta a questa rivelazione, a questa religione, a questa comunione: Dio è carità (Ibid. 1Jn 4,16). Di questo ha bisogno la Chiesa: di capire sempre meglio ch’essa è amata; è sotto il cono di luce e di fuoco d’un Amore infinitamente personale ed effusivo. Ineffabile discorso, che qui terminiamo, soddisfatti se esso nel suo sbalorditivo enunciato riesce a proseguire dentro ciascuno di voi e strapparvi dal cuore l’unica risposta conveniente, una libera scintilla, che può diventare incendio: credidimus caritati, abbiamo creduto alla carità (1Jn 4,16). Di questo oggi più che mai ha bisogno, quasi risultato e compenso al suo ministero, la Chiesa.

Vi aiuti ad iniziarvi verso questa vetta la nostra Benedizione Apostolica.

Missionari in partenza per l’Asia e l’Africa

Siamo lietissimi di rivolgere stamane un saluto di particolare affetto al gruppo di missionari che partecipano in questi giorni al Corso per Missionari Diocesani in partenza per l’Africa e l’Asia. Profittiamo volentieri di questa circostanza non soltanto per dire a voi, figli carissimi, la nostra parola di stima e di compiacimento, ma altresì per indirizzare il nostro plauso più sincero ai promotori di questa iniziativa, destinata a rendere segnalati servizi sia alle Chiese in terra di missione, sia alle vostre diocesi di origine. Il vostro esempio ci dice come in seno alle diocesi d’Italia si affermi sempre più la coscienza della natura essenzialmente missionaria della Chiesa e dei doveri che ne conseguono. Qual migliore augurio, allora, noi potremmo formulare per una vigorosa ripresa della vita religiosa in Italia, se non quello di un rinvigorimento di questo spirito missionario in ogni diocesi? È una legge del cristianesimo che esso si rinnova e si rinvigorisce non quando si chiude egoisticamente in se stesso, ma quando si dà e si spende per gli altri, quando, cioè, diviene missionario. Perciò carissimi missionari, insieme al ricordo di questo incontro, conservate nel vostro animo le parole che il Papa rivolge oggi a ciascuno di voi: abbiate sempre vivo il senso della vostra appartenenza alla Chiesa universale, sentite la responsabilità che avete verso di lei, e siate sempre lieti e fieri di potere collaborare in maniera così piena e generosa alla realizzazione della vocazione missionaria della Chiesa.

A tanto vi conforta la nostra Benedizione Apostolica che amiamo impartire a ciascuno di voi, affinché la gioia e la pace del Signore vi accompagni sempre e dovunque nel vostro lavoro missionario.

Aviatori del servizio «Recherche et Secours»

Sezione di Ente Culturale Internazionale





Sabato, 4 novembre 1972: La Chiesa ha bisogno di Santi.


Paolo VI Catechesi 41072