Paolo VI Catechesi 41172

Sabato, 4 novembre 1972: La Chiesa ha bisogno di Santi.

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Chi ha capito che cosa sia la Chiesa capisce la forza logica di questa affermazione. Noi che siamo imbevuti, noi lo pensiamo, della dottrina sulla Chiesa, a noi data dalla grande lezione del recente Concilio, dobbiamo certo ricordare come la santità sia al tempo stesso una proprietà della Chiesa, cioè un suo misterioso modo d’essere derivante dalla sua vocazione di Popolo di Dio, dall’alleanza che Dio ha istituito con quella parte di umanità da Lui eletta, favorita, santificata appunto ed amata (Cfr.
Ep 5,26-27) e chiamata Chiesa, Sposa e Corpo mistico di Cristo, inesauribile sacramento, cioè segno e strumento, di salvezza; e come la santità sia perciò anche una nota della Chiesa, vale a dire una qualità esteriore, una bellezza riconoscibile, un argomento apologetico atto a impressionare storicamente e socialmente gli uomini che lo osservano con occhio onesto e capace di ravvisare, dove sono, i valori spirituali (Cfr. Lumen Gentium LG 9, etc.).

La Chiesa, nel pensiero di Dio, è santa, cioè a lui associata, animata dal suo Spirito, rivestita d’una bellezza trascendente e derivante dall’armonia delle sue linee costitutive rispondenti al disegno divino, e perciò sacra e sempre religiosamente rivolta al culto divino e all’osservanza della divina volontà (Cfr. S. TH. II-II 81,8). È santa nella sua natura. È santa nelle verità divine a lei consegnate e da lei insegnate. È santa specialmente nei suoi sacramenti, mediante i quali santifica gli uomini. È santa nella sua liturgia e nella sua preghiera. È santa nella sua legge, cioè nella pedagogia con cui guida gli uomini a camminare sui sentieri del Vangelo e a vivere nella carità. Ma questa santità, che possiamo chiamare attiva, è intesa a produrre la santità, che possiamo chiamare derivata (se non del tutto passiva) (Cfr. DENZ-SCH. DS 2201, ss.) dei membri che compongono la Chiesa, cioè degli uomini, i quali, anche nell’ordine della grazia, restano liberi, anzi sono invitati, aiutati, impegnati a fare uso quanto mai cosciente ed assiduo della loro libertà, cioè a compiere in se stessi, il precetto sommo ed urgente dello amore di Dio e quello che vi è collegato dell’amore del prossimo, con tutti i doveri che, secondo le circostanze nelle quali uno si trova, da quelli derivano.

Alla santità costitutiva della Chiesa deve corrispondere la santità praticata dei suoi membri. Che è quanto dire: non solo la Chiesa è santa per se stessa, ma noi che le apparteniamo e la componiamo dobbiamo dimostrarla santa per noi stessi; cioè noi, individui, organi e comunità, dobbiamo essere santi. Questa necessità relativa alle persone, in fieri risulta da una necessità più profonda, in atto, relativa all’autenticità interiore: la santità, come dicevamo, propria dell’istituzione ecclesiastica. La nostra fedeltà alla Chiesa comporta anche questo piano di vita: bisogna essere santi. Il programma della vita cristiana non tollera mediocrità; è tremenda, a questo riguardo la parola dell’Apocalisse, che dice: «Io conosco le tue opere, e so che tu non sei né freddo, né fervente; . . . ma poiché sei tiepido . . . io sto per vomitarti dalla mia bocca» (Ap 3,15-16). Santi di nome erano qualificati i primi cristiani, ammessi alla comunione ecclesiale di fede e di grazia, e sapevano che come tali dovevano comportarsi. Ancor oggi nelle nuove comunità missionarie è coltivata questa mentalità, che obbliga a conformare il modo di vivere alle esigenze assunte del nuovo stile di vita, lo stile cristiano. Viene spontanea la domanda: come si può imporre un dovere così grave a gente di questo mondo, della quale conosciamo la pigrizia, anzi l’inettitudine verso i grandi ideali, verso quelli morali specialmente, che non vagano nelle speculazioni utopistiche, ma esigono applicazioni pratiche e concrete nella vita vissuta, e conosciamo parimente la fragilità nella coerenza operativa e l’illusoria felicità di assecondare le proprie passioni e gli stimoli dell’interesse e del piacere ? È esatta un’interpretazione della vita cristiana così severa? Non è la legge evangelica condiscendente con la debolezza umana? Liberatrice dai pesi del giuridismo e del moralismo? Quale lunga risposta esigerebbe una così complessa e radicale questione! Rispondiamo per ora molto sommariamente.

La vita cristiana, sì, è liberatrice dal peso di norme superflue alla perfezione, che sostanzialmente consiste nella carità (Cfr. Col 3,14), e che denuncia nel farisaismo un’ipocrisia intollerabile (Cfr. Mt 23); ma non è lassista, anzi è moralmente seria e severa: si legga il discorso della montagna. Essa è tutta tendente ad una perfezione, che comincia dall’interno dell’uomo e che perciò impegna l’orientamento della libertà fino dalle sue prime radici, dal cuore (Ibid. Mt 15). Ma dobbiamo tener conto, innanzi tutto, che l’azione umana del cristiano gode di un sussidio interiore meraviglioso e incalcolabile, la grazia; non dice il Maestro per confortare i discepoli, impauriti delle esigenze della morale evangelica: «Questo è impossibile presso gli uomini, ma presso Dio ogni cosa è possibile?» (Mt 19,26). Questo è un punto capitale per il seguace di Cristo e per tutta la dottrina e la pratica della vita e della perfezione cristiana, cioè per la conquista della santità, La grazia rende lieve e soave il giogo di Cristo (Cfr. Mt 11,30). La grazia operante nello spirito umano ne moltiplica le forze, fino a rendere amabile il sacrificio di se, la povertà, la castità, l’obbedienza, la croce. E poi possiamo aggiungere che la santità a noi richiesta non è quella dei «miracoli», cioè dei fenomeni straordinari, ma quella della volontà buona e ferma che in ogni vicenda ordinaria del vivere comune cerca la dirittura logica della ricerca della volontà divina.

Ed è di questa dirittura che vorremmo parlare, contentandoci di affermare ch’essa è la «testimonianza cristiana», di cui tanto si scrive e si discorre. È di questa santità che ha bisogno oggi la Chiesa: l’apologia dei fatti, degli esempi, della virtù trasparente, alla quale anche quelli che ci circondano danno riconoscimento e lo riferiscono a Dio (Ibid. Mt 5,16). Ed è questa santità, questa integrità di carattere cristiano, che rende, anche nel nostro mondo, profano e spesso ostile e corrotto, attendibile, come oggi si dice, il messaggio della Chiesa.

Questa santità, Figli carissimi, cordialmente, caldamente, a voi raccomandiamo con la nostra Benedizione Apostolica.

Pellegrini di Salerno

E ora siamo debitori di un particolare ringraziamento ai mille pellegrini dell’arcidiocesi salernitana, e al loro benemerito Arcivescovo, Monsignor Gaetano Pollio, che qui li ha guidati. Figli carissimi! Avete voluto ricordare nella preghiera il nostro settantacinquesimo compleanno, e per questa occasione vi siete stretti attorno a noi per dirci tutto l’affetto, tutta la devozione e fedeltà che Salerno nutre per la Cattedra di Pietro. È un’eredità preziosa, questa, che avete ricevuto dai vostri padri; e infatti, la vostra storia gloriosa è là a dimostrare quali rapporti siano intercorsi col Papa di Roma e con la Sede Apostolica, dei quali può ben assurgere a simbolo la gelosa pietà e venerazione con cui custodite le spoglie mortali di San Gregorio VII, intrepido assertore della santità e della libertà della Chiesa, accolto, perseguitato ed esule, dal vostro grande Vescovo Alfano. Una catena d’oro unisce Salerno a questa Roma fatidica: e, oggi, voi ce ne date un’ulteriore conferma, luminosissima.

Il Signore vi ricompensi, e fortifichi i vostri propositi di rimanere sempre ancorati a una tradizione che tanto vi onora. Siate pertanto sempre figli esemplari della Chiesa, uniti nel vincolo della pace mediante una intensa vita liturgica, stretti come fratelli attorno all’unica mensa del Pane della Vita, coerenti nel tradurre nella vita individuale e pubblica, familiare e sociale, le forti convinzioni di una fede autentica e sincera, alimentata dalla fedeltà al Vangelo e al Magistero ecclesiastico.

Così la vostra terra, ricca di tanti doni e di tante bellezze, continuerà a fiorire di una perenne primavera cristiana, nella sanità morale dei suoi figli, e nella fecondità delle loro opere. È l’augurio che di tutto cuore vi rivolgiamo, mentre impartiamo la Nostra Apostolica Benedizione, che porterete altresì ai vostri Cari, nell’intera arcidiocesi, in modo particolare ai piccoli e agli umili; in segno della nostra viva e memore benevolenza.

Gli «Amici di Don Orione»

Quest'oggi è presente all’udienza un gruppo numeroso di fedeli, cui ci piace rivolgere un particolare ed affettuoso saluto: sono gli Amici di Don Orione, che stanno celebrando a Roma, presso il Centro della Piccola Opera della Divina Provvidenza, un convegno a carattere internazionale ed ora, accompagnati dal venerato Cardinale Giuseppe Beltrami e da Monsignor Bronislao Dabrowski, son venuti ad esprimerci il loro sincero omaggio.

Figli carissimi, vi siamo molto grati della visita per diverse ragioni : anzitutto perché questa mattina, prima di trovarvi qui, vi siete recati nella Basilica di San Pietro a pregare secondo le nostre intenzioni; poi perché considerate l’incontro con noi come la conclusione delle manifestazioni per il centenario della nascita di Don Orione; ed ancora perché il tema, che avete scelto per il vostro convegno, riguarda in qualche modo la nostra persona e il nostro ministero.

Siete amici di Don Orione, come a dire ammiratori della sua luminosa figura ed estimatori delle sue imprese apostoliche. Molti di voi l’hanno conosciuto, ed anche noi, che più volte l’abbiamo avvicinato, siamo tuttora commossi dal ricordo di quei colloqui, dai quali riportavamo l’impressione di un uomo e di un sacerdote, animato da una carica eccezionale di zelo e di dedizione per le anime. «Papa e poveri» - come dice il tema da voi studiato - sono stati un unico amore per Don Orione. Don Orione è passato, nella storia religiosa della prima metà di questo secolo, come colui che ha intuito ed espresso, in forme originali ed ardite, il rapporto Cristo-poveri, come il coerente realizzatore di questo binomio inscindibile, suscitando consensi ed energie. La sua opera, pur tanto valida dal punto di vista sociale, alla luce di questo rapporto è ancora più alta: è autentica, perché evangelica e cristiana.

Voi che guardate al suo esempio ed offrite generosamente l’aiuto perché la sua eredità sia conservata e sviluppata, meritate apprezzamento ed elogio. Per questo, al saluto aggiungiamo il conforto della Benedizione Apostolica, che estendiamo volentieri a tutti i vostri cari ed alla famiglia dei Figli della Divina Provvidenza.

Opera «Villaggi per la Gioventù»

Guidati dal venerato Vescovo di Fiesole, Monsignor Antonio Bagnoli e dal caro Prof. Giorgio La Pira, sono qui presenti oltre duecento giovani toscani, appartenenti all’Opera Villaggi per la Gioventù. La vostra presenza ci fa molto piacere; in primo luogo perché nei vostri campi-scuola vi dedicate, in fraterna e serena comunione di spirito, a fare della vita di pietà, specialmente liturgica, il punto più alto delle vostre esperienze, e a dare alla vostra personalità una profonda e completa maturazione intellettuale, morale, spirituale. Ma ci rallegriamo anche per il carattere, che avete voluto imprimere a questo pellegrinaggio romano, per ritemprare, attorno alla Tomba di Pietro e nei luoghi sacri al martirio di Paolo, la vostra fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa, la coscienza dell’impegno comunitario che tutti vi rende corresponsabili della formazione dei coetanei, il dovere della coerenza interiore e dell’aperta testimonianza di apostolato e di buon esempio.

Cresca la vostra gioia, nella conoscenza di Cristo, nel sapervi e sentirvi in Lui fratelli e amici, destinati a grandi cose: cioè a edificare il mondo di domani sulle basi di una più grande giustizia, rettitudine e lealtà, secondo le sante consegne del Vangelo. Mantenetevi sempre fedeli agli ideali che oggi vi cantano in cuore: e avrete la pace di Dio, che supera ogni intendimento (Cfr. Ph 4,7), e sarete costruttori di pace (Cfr. Mt 5,9). Con la nostra Benedizione Apostolica.

Impiegate di Roma

Abbiamo ora la gioia di rivolgerci alle rappresentanti dell’opera Impiegate di Roma, che ricordano il 50" anniversario della nascita della loro organizzazione nel centro della cattolicità.

Alla vostra Opera sono legati numerosi nostri ricordi. La incontrammo qui a Roma, durante gli anni del nostro servizio nella Segreteria di Stato; la ritrovammo a Milano, dove era sorta nel 1912, scaturita dalla vigorosa genialità apostolica del Padre Gemelli. Sappiamo che essa ha un’altra sede a Napoli, le cui rappresentanti abbiamo avuto l’occasione di accogliere, insieme a quelle di Milano e di Roma, in un incontro di alcuni anni fa.

I cinquant’anni di vita della vostra associazione qui a Roma vi hanno certamente invitato a guardare indietro, ai promotori, alle fondatrici, alle pioniere della vostra Opera provvidenziale e sempre benemerita, oggi quanto mai opportuna. Noi guardiamo con voi a questa vostra storia, già gloriosa pur se così semplice e breve; ma soprattutto vogliamo invitarvi a riflettere sulla profonda validità presente e sui possibili sviluppi futuri della vostra testimonianza, perché la vostra Opera, oltre ad avere determinati scopi di solidarietà e di assistenza, deve anche porsi nella società come particolare fatto cristiano ed ecclesiale. Voi, tra le numerosissime impiegate delle moderne metropoli, volete prendere coscienza che l’attività professionale e l’impegno temporale in un qualsiasi posto del mondo è, per il battezzato, anche vocazione cristiana, invio missionario, obbligo di testimonianza apostolica. Voi volete accentuare questo aspetto, come segno per il mondo, e in particolare per l’ambiente delle colleghe, dei datori di lavoro, e del prossimo al cui servizio siete destinate.

Dopo il Concilio, che ha risvegliato tanta ricchezza di idee sul ruolo ecclesiale di un laicato maturo e responsabile nel mondo, voi potete meglio rendervi conto che contenuti nuovi ed appassionanti si aprono al vostro lavoro, che spesso può sembrarvi monotono, meccanicizzato, impersonale. Queste grandi consapevolezze interiori debbono vivificare e valorizzare anche le azioni più indifferenti e di indole materiale, e soprattutto la convinzione di essere al proprio posto per rispondere con amore ad una vocazione, che è quella di essere il lievito, cioè di essere la Chiesa, nell’ambiente in cui siete state chiamate.

Sappiate essere attente a questi valori. Ve lo auguriamo di tutto cuore, mentre impartiamo a tutte le appartenenti all’opera, sparse per l’Italia, la nostra particolare Benedizione Apostolica.

Provinciali della Congregazione del Ss.mo Sacramento

Tecnici della Radio-Televisione di Danimarca



Mercoledì, 8 novembre 1972

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Si è parlato di rinnovamento della Chiesa: il Concilio ce ne ha risvegliato l’idea, ce ne ha dato la speranza, ce ne ha lasciato la consegna. Questa parola «rinnovamento» tuttora parla agli spiriti: a quelli amorosi della Chiesa per designare con un termine solo i molti bisogni della secolare istituzione, che sempre viva e coerente con la sua radice, accoglie come impulso la linfa divina dello Spirito Santo che sempre la percorre verso l’esplosione d’una nuova primavera: sì, la Chiesa ha bisogno di rinnovamento (Cfr. Optatam totius
OT 1, etc.).

Questa stessa parola non è stata da tutti sempre rettamente intesa: per alcuni è risonata condanna del passato e licenza a distaccarsene senza riguardo alla sua funzione impegnativa e vitale di veicolo dei principii essenziali, di cui vive la Chiesa, la sua fede soprattutto, la sua costituzione; ed è sembrata la parola rinnovamento autorizzare qualche costitutivo rifacimento; e vi fu chi lo concepì come distacco dalle strutture istituzionali, storiche, visibili, esteriori, per conservarne più puro e più efficiente il distillato spirituale e carismatico, dimenticando che l’anima della Chiesa senza il corpo in cui essa vive non sarebbe più né reperibile, né attiva, come ripeteva fin dal suo tempo S. Agostino; e vi fu anche chi pensò di rinnovare la Chiesa secolarizzandola, modellandola cioè, talvolta senza discernimento, nelle forme e nella mentalità su lo stampo della società profana, la quale, figlia della storia e del tempo, poteva conferire alla Chiesa il titolo ambito di moderna.

Non si fece, e ancora non si fa, abbastanza attenzione a due cose. La prima: che il rinnovamento, processo vitale e continuo in un organismo vivente come la Chiesa, non può essere una metamorfosi, una trasformazione radicale, una infedeltà agli elementi essenziali e perpetui, il cui rinnovamento non può essere che rafforzamento, non cambiamento; l’altra: che il rinnovamento auspicato è quello interiore, più che quello esteriore, come con voce sempre attuale ci ammonisce San Paolo: «rinnovatevi nello spirito della vostra mente» (Ep 4,23).

Parole dense queste, e ben più facili a pronunciarsi, che non a mettersi in pratica. Come le potremmo tradurre? Dovete rinnovare la vostra mentalità in virtù dell’ispirazione cristiana, che vi è conferita dalla grazia, dall’azione interiore dello Spirito Santo; dovete abituarvi a pensare secondo la fede; dovete modellare il vostro giudizio speculativo e pratico secondo Gesù Cristo, secondo il Vangelo, o, come si dice, secondo l’analisi cristiana. Avere una mentalità cristiana, pensare secondo la concezione che del mondo, della vita, della società, dei valori presenti e futuri ci viene dalla Parola di Dio. Non è facile; ma questo è da fare. Questo rifacimento del nostro modo globale di sentire, di conoscere, di giudicare e quindi di operare è il programma permanente del singolo cristiano fedele e della Chiesa in generale.

Si tratta di un’autoriforma continua. Ecclesia semper reformanda. Vivere nel mondo, oggi così espressivo e diffusivo, così aggressivo e tentatore, così educato al conformismo, anche quando fa della contestazione, agisce fortemente sulla nostra personalità; la norma invalsa, specialmente nelle nuove generazioni, che bisogna essere «gente del nostro tempo», ci obbliga tutti a subire le filosofie, vogliamo dire le opinioni correnti, e a regolare la nostra spiritualità interiore e la nostra condotta esteriore secondo le rotaie del secolo, cioé del mondo che prescinde da Dio e da Cristo; rotaie, che favoriscono una grande corsa, cioè una grande intensità di vita, ma che, a ben riflettere, ci privano della nostra originalità, della nostra vera ed autonoma libertà. Siamo conformisti. Anche la Chiesa ha le sue tentazioni di conformismo. Ci ammonisce S. Paolo: «Non vogliate conformarvi al secolo presente (inteso appunto come ambiente dall’atmosfera infetta da idee errate o prive di luce cristiana), ma trasformatevi col rinnovamento del vostro spirito» (Rm 12,2). Rivendicate la vostra libertà di vivere «secondo la volontà di Dio» (Ibid. Rm 12,2), secondo la carità che lo Spirito ha effuso nella vostra anima cristiana (Cfr. Rm 5,5). Qui è il caso di ricordare: «dov’è lo Spirito del Signore, ivi è la libertà» (2Co 3,17 cfr. Jn 8,36 Rm 8,2).

Rinnovarsi interiormente, quale lavoro, quale fatica! Chi è disposto a modificare la sua maniera di pensare? a purificare la cella interiore delle proprie fantasie, delle proprie ambizioni, delle proprie passioni? Eppure a questo rinnovamento interiore quante volte ci esorta il Signore! (Cfr. Mt 15,18-20) E il Concilio a tanto ci invita, singolarmente, ed invita la Chiesa tutta insieme; ed è ciò che, con l’aiuto di Dio, essa sta facendo: rinnovamento, ciò che equivale a purificazione.

Ma non vorremmo, dovendo finire qui il nostro piccolo discorso, che rimanesse in voi l’impressione puramente negativa del rinnovamento di cui ha bisogno la Chiesa. Vi è tutta una visione positiva che meriterebbe la nostra attenzione, quella ad esempio, che risulta dall’educazione del cristiano moderno (qui ci sembra collocata questa qualificazione) a scorgere il bene, dovunque sia, purché sia bene davvero secondo il giudizio cristiano. È questo nuovo ed aperto atteggiamento verso i valori naturali, terreni, storici, scientifici . . . . uno degli aspetti caratteristici del Concilio. Lo dobbiamo in buona parte al cuore umano, sereno, buono di Papa Giovanni. L’ecumenismo si è risvegliato così; come il rispetto verso le religioni non cristiane, verso gli stessi nostri avversari, verso i valori dell’attività umana, ecc. (Cfr. Gaudium et Spes GS 34). Saper ravvisare in ogni uomo un’immagine di Cristo, un fratello da rispettare, da servire e da amare non è forse un criterio fondamentale e formidabile per il rinnovamento, di cui la Chiesa ed il mondo hanno bisogno? E vedere un segreto di bontà divina in ogni dolore, un coefficiente di progresso personale o collettivo in ogni avvenimento (Cfr. Rm 8,20) non equivale forse ad aprire una fonte prodigiosa di ottimismo, e perciò di rinnovamento per il vecchio e stanco e deluso cuore dell’uomo? E poi l’aver riacceso la speranza escatologica nel pensiero odierno di noi mortali non è forse infondere un senso, un impulso di novità nel tempo presente e futuro?

Ecce nova facio omnia, ecco, Io faccio nuova ogni cosa! (Ap 21,5 cfr. 2Co 5,17) Parola del Signore. Bisogno della Chiesa. Impegno di tutti noi!

Con la nostra Benedizione Apostolica.



Pellegrini di Ferrara e Comacchio

Sono presenti oggi i pellegrini dell’arcidiocesi di Ferrara e della diocesi di Comacchio, insieme col loro Vescovo, il venerato e caro Monsignor Natale Mosconi, il quale ogni anno guida a Roma un gruppo dei suoi figli spirituali, per ravvivare e fortificare in essi i vincoli di fede e di devozione con la Cattedra di Pietro. Ci fa tanto piacere cotesto atto, che è un gesto di pietà, un simbolo di unità, un programma di cattolicità; e mentre ve ne ringraziamo di cuore, formiamo voti che la sosta riflessiva e orante, presso i trofei di Pietro e di Paolo, e le memorie degli altri Apostoli, dei Martiri, e dei Santi, che questa Roma impreziosirono della loro testimonianza e da Roma trassero altresì impulso per grandi aspirazioni, sia anche per voi feconda di generosi propositi: quelli di far sempre onore al nome cristiano, di portare alto nella famiglia, nella professione, nel lavoro, l’impegno di fedeltà a Cristo e al suo Vangelo. A tanto vi incoraggia la nostra benedizione.

Gruppi degli Stati Uniti

We are pleased to welcome the School Sisters of Notre Dame who are in Rome for their General Chapter. We are especially happy to note that this year your Congregation is celebrating one hundred and twenty-five years of service in America and twentyfive years of service in Japan. We pray that these anniversaries and your present Chapter will be occasions of special grace from the Lord. With courageous faith and with generous love you have dedicated your lives to him and to his brothers and sisters throughout the world. May he grant you abundant joy and peace, and may you always be aware of his great love for you.

We are happy to greet members of the Catholic Daughters of America from the State of Maryland. We know of your many good works on behalf of the missions, vocations, the poor and the sick. We hope that you will always be aware of the unique contribution which you, as women, can make to your communities. For women are capable of an especially profound compassion. May God grant that this compassion of yours, through the power of its warm and peaceful love, will become more and more an effective force in the world of today.

We also extend our cordial greetings to the cast of "Disney on Parade". We are glad that you have wanted to visit us during your stay in Rome. Through your work you are able to bring joy to many, and this certainly must be a source of satisfaction for you. We assure you of our prayers to Almighty God that he may grant you and your families his precious gifts of peace and happiness always.

We wish to say a word of warm welcome also to a group of persons who have left Uganda under special circumstances. Your visit gives us the opportunity to assure you of our prayers as you prepare to face the challenges of living in a new environment. We invoke upon you abundant divine blessings of courage, of patience, of perseverance and of faith, so that you may meet these challenges with noble spirits and determined wills.

With our Apostolic Blessing.


Mercoledì, 15 novembre 1972

15112
Quali sono oggi i bisogni maggiori della Chiesa?

Non vi stupisca come semplicista, o addirittura come superstiziosa e irreale la nostra risposta: uno dei bisogni maggiori è la difesa da quel male, che chiamiamo il Demonio.

Prima di chiarire il nostro pensiero invitiamo il vostro ad aprirsi alla luce della fede sulla visione della vita umana, visione che da questo osservatorio spazia immensamente e penetra in singolari profondità. E, per verità, il quadro che siamo invitati a contemplare con globale realismo è molto bello. È il quadro della creazione, l’opera di Dio, che Dio stesso, come specchio esteriore della sua sapienza e della sua potenza, ammirò nella sua sostanziale bellezza (Cfr.
Gn 1,10, etc.).

Poi è molto interessante il quadro della storia drammatica della umanità, dalla quale storia emerge quella della redenzione, quella di Cristo, della nostra salvezza, con i suoi stupendi tesori di rivelazione, di profezia, di santità, di vita elevata a livello soprannaturale, di promesse eterne (Cfr. Ep 1,10). A saperlo guardare questo quadro non si può non rimanere incantati (Cfr. S. AUG. Soliloqui): tutto ha un senso, tutto ha un fine, tutto ha un ordine, e tutto lascia intravedere una Presenza-Trascendenza, un Pensiero, una Vita, e finalmente un Amore, così che l’universo, per ciò che è e per ciò che non è, si presenta a noi come una preparazione entusiasmante e inebriante a qualche cosa di ancor più bello ed ancor più perfetto (Cfr. 1Co 2,9 1Co 13,12 Rm 8,19-23). La visione cristiana del cosmo e della vita è pertanto trionfalmente ottimista; e questa visione giustifica la nostra gioia e la nostra riconoscenza di vivere per cui celebrando la gloria di Dio noi cantiamo la nostra felicità (Cfr. il Gloria della Messa).


L’INSEGNAMENTO BIBLICO

Ma è completa questa visione? è esatta? Nulla ci importano le deficienze che sono nel mondo? le disfunzioni delle cose rispetto alla nostra esistenza? il dolore, la morte? la cattiveria, la crudeltà, il peccato, in una parola, il male? e non vediamo quanto male è nel mondo? specialmente, quanto male morale, cioè simultaneamente, sebbene diversamente, contro l’uomo e contro Dio? Non è forse questo un triste spettacolo, un inesplicabile mistero? E non siamo noi, proprio noi cultori del Verbo i cantori del Bene, noi credenti, i più sensibili, i più turbati dall’osservazione e dall’esperienza del male? Lo troviamo nel regno della natura, dove tante sue manifestazioni sembrano a noi denunciare un disordine. Poi lo troviamo nell’ambito umano, dove incontriamo la debolezza, la fragilità, il dolore, la morte, e qualche cosa di peggio; una duplice legge contrastante, una che vorrebbe il bene, l’altra invece rivolta al male, tormento che S. Paolo mette in umiliante evidenza per dimostrare la necessità e la fortuna d’una grazia salvatrice, della salute cioè portata da Cristo (Cfr. Rm 7); già il poeta pagano aveva denunciato questo conflitto interiore nel cuore stesso dell’uomo: video meliora proboque, deteriora sequor (OVIDIO, Met. 7, 19). Troviamo il peccato, perversione della libertà umana, e causa profonda della morte, perché distacco da Dio fonte della vita (Rm 5,12), e poi, a sua volta, occasione ed effetto d’un intervento in noi e nel nostro mondo d’un agente oscuro e nemico, il Demonio. Il male non è più soltanto una deficienza, ma un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa.

Esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerla esistente; ovvero chi ne fa un principio a sé stante, non avente essa pure, come ogni creatura, origine da Dio; oppure la spiega come una pseudo-realtà, una personificazione concettuale e fantastica delle cause ignote dei nostri malanni. Il problema del male, visto nella sua complessità, e nella sua assurdità rispetto alla nostra unilaterale razionalità, diventa ossessionante. Esso costituisce la più forte difficoltà per la nostra intelligenza religiosa del cosmo. Non per nulla ne soffrì per anni S. Agostino: Quaerebam unde malum, et non erat exitus, io cercavo donde provenisse il male, e non trovavo spiegazione (S. Aug. Confess. VII, 5, 7, 11, etc.; PL, 32, 736, 739).

Ed ecco allora l’importanza che assume l’avvertenza del male per la nostra corretta concezione cristiana del mondo, della vita, della salvezza. Prima nello svolgimento della storia evangelica al principio della sua vita pubblica: chi non ricorda la pagina densissima di significati della triplice tentazione di Cristo? Poi nei tanti episodi evangelici, nei quali il Demonio incrocia i passi del Signore e figura nei suoi insegnamenti? (P. es. Mt 12,43) E come non ricordare che Cristo, tre volte riferendosi al Demonio, come a suo avversario, lo qualifica «principe di questo mondo»? (Jn 12,31 Jn 14,30 Jn 16,11) E l’incombenza di questa nefasta presenza è segnalata in moltissimi passi del nuovo Testamento. S. Paolo lo chiama il «dio di questo mondo» (2Co 4,4), e ci mette sull’avviso sopra la lotta al buio, che noi cristiani dobbiamo sostenere non con un solo Demonio, ma con una sua paurosa pluralità: «Rivestitevi, dice l’Apostolo, dell’armatura di Dio per poter affrontare le insidie del diavolo, poiché la nostra lotta non è (soltanto) col sangue e con la carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori delle tenebre, contro gli spiriti maligni dell’aria» (Ep 6,11-12).

E che si tratti non d’un solo Demonio, ma di molti, diversi passi evangelici ce lo indicano (Lc 11,21 Mc 5,9); ma uno è principale: Satana, che vuol dire l’avversario, il nemico; e con lui molti, tutti creature di Dio, ma decadute, perché ribelli e dannate (Cfr. DENZ.-SCH. DS 800-428); tutte un mondo misterioso, sconvolto da un dramma infelicissimo, di cui conosciamo ben poco.


IL NEMICO OCCULTO CHE SEMINA ERRORI

Conosciamo tuttavia molte cose di questo mondo diabolico, che riguardano la nostra vita e tutta la storia umana. Il Demonio è all’origine della prima disgrazia dell’umanità; egli fu il tentatore subdolo e fatale del primo peccato, il peccato originale (Gn 3 Sg 1,24). Da quella caduta di Adamo il Demonio acquistò un certo impero su l’uomo, da cui solo la Redenzione di Cristo ci può liberare. È storia che dura tuttora: ricordiamo gli esorcismi del battesimo ed i frequenti riferimenti della sacra Scrittura e della liturgia all’aggressiva e alla opprimente «potestà delle tenebre» (Cfr. Lc 22,53 Col 1,13). È il nemico numero uno, è il tentatore per eccellenza. Sappiamo così che questo Essere oscuro e conturbante esiste davvero, e che con proditoria astuzia agisce ancora; è il nemico occulto che semina errori e sventure nella storia umana. Da ricordare la rivelatrice parabola evangelica del buon grano e della zizzania, sintesi e spiegazione dell’illogicità che sembra presiedere alle nostre contrastanti vicende: inimicus homo hoc fecit (Mt 13,28). È «l’omicida fin d a principio . . . e padre della menzogna», come lo definisce Cristo (Cfr. Jn 8,44-45); è l’insidiatore sofistico dell’equilibrio morale dell’uomo. È lui il perfido ed astuto incantatore, che in noi sa insinuarsi, per via dei sensi, della fantasia, della concupiscenza, della logica utopistica, o di disordinati contatti sociali nel gioco del nostro operare, per introdurvi deviazioni, altrettanto nocive quanto all’apparenza conformi alle nostre strutture fisiche o psichiche, o alle nostre istintive, profonde aspirazioni.

Sarebbe questo sul Demonio e sull’influsso, ch’egli può esercitare sulle singole persone, come su comunità, su intere società, o su avvenimenti, un capitolo molto importante della dottrina cattolica da ristudiare, mentre oggi poco lo è. Si pensa da alcuni di trovare negli studi psicanalitici e psichiatrici o in esperienze spiritiche, oggi purtroppo tanto diffuse in alcuni Paesi, un sufficiente compenso. Si teme di ricadere in vecchie teorie manichee, o in paurose divagazioni fantastiche e superstiziose. Oggi si preferisce mostrarsi forti e spregiudicati, atteggiarsi a positivisti, salvo poi prestar fede a tante gratuite ubbie magiche o popolari, o peggio aprire la propria anima - la propria anima battezzata, visitata tante volte dalla presenza eucaristica e abitata dallo Spirito Santo! - alle esperienze licenziose dei sensi, a quelle deleterie degli stupefacenti, come pure alle seduzioni ideologiche degli errori di moda, fessure queste attraverso le quali il Maligno può facilmente penetrare ed alterare l’umana mentalità. Non è detto che ogni peccato sia direttamente dovuto ad azione diabolica (Cfr. S. TH. I 104,3); ma è pur vero che chi non vigila con certo rigore morale sopra se stesso (Cfr. Mt 12,45 Ep 6,11) si espone all’influsso del mysterium iniquitatis, a cui San Paolo si riferisce (2Th 2,3-12), e che rende problematica l’alternativa della nostra salvezza.

La nostra dottrina si fa incerta, oscurata com’è dalle tenebre stesse che circondano il Demonio. Ma la nostra curiosità, eccitata dalla certezza della sua esistenza molteplice, diventa legittima con due domande. Vi sono segni, e quali, della presenza dell’azione diabolica? e quali sono i mezzi di difesa contro così insidioso pericolo?


PRESENZA DELL'AZIONE DEL MALIGNO

La risposta alla prima domanda impone molta cautela, anche se i segni del Maligno sembrano talora farsi evidenti (Cfr. TERTULL. Apol. 23). Potremo supporre la sua sinistra azione là dove la negazione di Dio si fa radicale, sottile ed assurda, dove la menzogna si afferma ipocrita e potente, contro la verità evidente, dove l’amore è spento da un egoismo freddo e crudele, dove il nome di Cristo è impugnato con odio cosciente e ribelle (Cfr. 1Co 16,22 1Co 12,3), dove lo spirito del Vangelo è mistificato e smentito, dove la disperazione si afferma come l’ultima parola, ecc. Ma è diagnosi troppo ampia e difficile, che noi non osiamo ora approfondire e autenticare, non però priva per tutti di drammatico interesse, a cui anche la letteratura moderna ha dedicato pagine famose (Cfr. ad es. le opere di Bernanos, studiate da CH. MOELLER, Littér. du XXe siècle , I, p. 1P 397 ss.; P. MACCHI, Il volto del male in Bernanos; cfr. poi Satan, Etudes Carmélitaines, Desclée de Br. 1948). Il problema del male rimane uno dei più grandi e permanenti problemi per lo spirito umano, anche dopo la vittoriosa risposta che vi dà Gesù Cristo. «Noi sappiamo, scrive l’Evangelista S. Giovanni, che siamo (nati) da Dio, e che tutto il mondo è posto sotto il maligno» (1Jn 5,19).


LA DIFESA DEL CRISTIANO

All’altra domanda: quale difesa, quale rimedio opporre alla azione del Demonio? la risposta è più facile a formularsi, anche se rimane difficile ad attuarsi. Potremmo dire: tutto ciò che ci difende dal peccato ci ripara per ciò stesso dall’invisibile nemico. La grazia è la difesa decisiva. L’innocenza assume un aspetto di fortezza. E poi ciascuno ricorda quanto la pedagogia apostolica abbia simboleggiato nell’armatura d’un soldato le virtù che possono rendere invulnerabile il cristiano (Cfr. Rm 13,1-2 Ep 6,11 Ep 6,14 Ep 6,17 1Th 5,8). Il cristiano dev’essere militante; dev’essere vigilante e forte (1P 5,8); e deve talvolta ricorrere a qualche esercizio ascetico speciale per allontanare certe incursioni diaboliche; Gesù lo insegna indicando il rimedio «nella preghiera e nel digiuno» (Mc 9,29). E l’Apostolo suggerisce la linea maestra da tenere: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci nel bene il male» (Rm 12,21 Mt 13,29).

Con la consapevolezza perciò delle presenti avversità in cui oggi le anime, la Chiesa, il mondo si trovano noi cercheremo di dare senso ed efficacia alla consueta invocazione della nostra principale orazione: «Padre nostro, . . . liberaci dal male!».

A tanto giovi anche la nostra Apostolica Benedizione.

Lettori e sostenitori del settimanale «La Voce»

Siamo lieti di salutare un folto pellegrinaggio, proveniente da diverse diocesi italiane, guidato da alcuni venerati Vescovi, organizzato per testimoniare al Papa la volontà di uno speciale impegno per l’incremento e la diffusione della buona stampa.

Diamo con gioia il nostro benvenuto a questi fratelli e figli, promotori e sostenitori dei mezzi di comunicazione cattolici, veicoli imprescindibili di formazione e di apostolato; tra questi, in particolare, i rappresentanti del settimanale La Voce che celebra il suo ventennale. Desideriamo incoraggiarvi caldamente a proseguire con tenacia nello sforzo di produrre e diffondere una stampa sana, sicura, che tenda ad arricchire l’uomo nei suoi valori spirituali profondi, siano essi culturali, o sociali, o religiosi; una stampa che sappia informare senza ingannare, distendere senza degradare, orientare senza violentare. La comunità cristiana ha bisogno di avere e di conservare strumenti propri nel settore della stampa: a livello nazionale prima di tutto; poi a livello diocesano.

Noi guardiamo con gioia, diletti figli, alla vostra opera in questo campo. Cercate di partecipare anche agli altri le vostre convinzioni, e di stimolare i cristiani a sostenere la buona stampa; in famiglia, in parrocchia, nell’ambiente di lavoro. È uno strumento che può avere un influsso incalcolabile, la stampa: può rovinare l’uomo, fino a distruggere in lui ogni tensione ai valori più nobili; ma può anche aiutarlo a salvarsi, a scoprire meglio la sua vocazione, a realizzare le proprie aspirazioni, fino a guidarlo all’incontro e al dialogo con Dio. Ambito immenso quello dell’apostolato dei mezzi di comunicazione sociale. Tutti possiamo prendervi parte. Rientra nelle esigenze del contributo che ogni cristiano deve dare alla costruzione di una società più umana, più fraterna, più pulita. Vi auguriamo di comprenderlo sempre meglio, e auguriamo che, per mezzo di voi, possano comprenderlo anche tanti altri fratelli.

Augurio che ci piace suggellare con una particolare Benedizione Apostolica.

Scuola professionale infermiere

Rivolgiamo ora ben volentieri una parola di vivo compiacimento al gruppo della Scuola Convitto Professionale Infermiere, dell’Ospedale Civile di Rieti, diretta e sostenuta dalle benemerite Religiose Figlie di San Camillo. Sappiamo che gli ottimi medici dell’Ospedale seguono con dedizione la Scuola; essa mira a dare alle giovani Infermiere una qualificata formazione professionale, che si vuole congiunta ad una profonda visione cristiana dei problemi, posti, talora anche in forma drammatica, dalla cura degli ammalati; ed ha preparato un bel numero di alunne, tra cui sono qui presenti le infermiere e caposala neodiplomate. Onore, dunque, e incoraggiamento a quanti provvedono un ausilio sociale di primo ordine alla cara terra reatina; e lode a voi, alunne, per il dono missionario che ci avete portato, e soprattutto per lo spirito con cui vi disponete all’esercizio della vostra missione: consideratela sempre così, come un alto servizio in favore dei fratelli, ricco di profondo contenuto umano, a cui l’amore di Cristo deve conferire il suo pieno valore. A voi e alle vostre famiglie la nostra Benedizione, che estendiamo al vostro venerato Vescovo e alle altre autorità religiose e civili, presenti a questo incontro.


Mercoledì, 22 novembre 1972


Paolo VI Catechesi 41172