Paolo VI Catechesi 12051

Mercoledì, 12 maggio 1971

12051

Il mistero pasquale, da Noi recentemente celebrato, è estremamente importante per la concezione della nostra vita e per il suo conseguente comportamento morale. Il carattere religioso della nostra moralità risulta evidente. Se norma fondamentale della vita cristiana è quella proclamata da S. Paolo: «l’uomo giusto trae dalla fede la sua vita» (
Rm 1,17), tale norma trova la sua piena e caratteristica applicazione là dove la fede ha il suo punto focale, cioè in Cristo e nella sua risurrezione (Ibid. Rm 10,9). Ecco come la Chiesa ci ha posto sulle labbra la preghiera, che esprime questo modo logico, che unisce etica e religione: «O Dio ... concedi ai tuoi figli devoti di manifestare costantemente nella loro vita il mistero di risurrezione, che essi hanno ricevuto per fede» (Colletta del martedì di Pasqua; cfr. GUÉRANGER, Le temps pascal, 1, 33). Questo principio etico-religioso non dev’essere mai dimenticato: non possiamo costruire l’uomo buono, l’uomo vero, il cristiano insomma senza integrare i principi dell’onestà naturale con le dottrine della fede soprannaturale.


IMITAZIONE DI CRISTO

Ora il ragionamento lineare procede così. La celebrazione del mistero pasquale non solo ci ha rievocato alla memoria il fatto della morte e della risurrezione di Cristo, come a spettatori, come a contemplatori, ma ci ha fatto, in un certo modo, ancora incompleto, ma fino da ora reale, vitale e profondo, partecipare al grande avvenimento redentore, il quale sacramentalmente si è riverberato, anzi riprodotto, in noi, che siamo misticamente morti e risuscitati con Lui. Rileggiamo la nostra nuova storia: «Se dunque siete stati risuscitati con Cristo cercate le cose di lassù, dove Cristo è sedente alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Poiché siete come morti, e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio . . . Mortificate dunque le vostre membra terrene, cioè la fornicazione, l’impurità, la libidine, i cattivi desideri, ecc.» (Col 3 Col 1-5). È una storia nostra, per cui ci chiamiamo cristiani, in parte già avverata, in parte da avverarsi; la trasformazione, operata dalla grazia, comporta una propria legge morale. La partecipazione al mistero di Cristo esige e facilita la imitazione di Cristo.


IL MESSAGGIO DELLA RISURREZIONE

Concentriamo l’attenzione sopra l’aspetto caratteristico di Cristo risorto: la sua viva e reale corporeità. Il suo vero corpo, nato dalla Madonna (Cfr. Ga 4,4), ha ripreso vita; o meglio una nuova forma di vita; «nuova creatura», la dice l’Apostolo (2Co 5,17); non un corpo soggetto alle leggi biologiche ed animali, ma un corpo incorruttibile, immortale, glorioso, sorretto e governato da superiori leggi spirituali (Cfr. 1Co 15,42-44). Le apparizioni di Gesù risorto ce ne danno dimostrazione. Questa trasformazione, questa assunzione nella gloria (Cfr. 1Tm 3,16) del corpo umano del Signore non dice nulla a noi in rapporto alla iniziata assimilazione della nostra vita alla Sua?

È chiaro che la vita corporea di Cristo, anche prima della risurrezione, era santissima, immacolata, nel primigenio equilibrio di tutte le facoltà e di tutte le passioni umane (Cfr. S. TH., III 15,4); erano perfette, non corrotte, com’è nella nostra decaduta natura, figlia di Adamo (Cfr. S. TH., I 95,2 ad 2; I 97,2 I-II 25,0); ma è pur chiaro che anche il corpo di Cristo, mediante la risurrezione, fu pervaso in modo nuovo dalla sua anima e dallo Spirito Sante (1P 3,18), donde fu concepito, e da cui era guidato (Cfr. Mt 4,1); ripetiamo allora: che cosa ci offre e che cosa c’insegna questa divina allotropia, questa nuova condizione del rivivificato corpo del Signore?



COSCIENZA DELLA NOSTRA DIGNITÀ

La Chiesa, i suoi figli fedeli lo sanno: la risurrezione del Signore, ripercossa in noi dalla celebrazione del mistero pasquale, ci offre e ci insegna, anzi ci chiede, una nuova concezione, una nuova elevazione, una nuova santificazione della nostra corporeità. In altri termini, quelli comuni: una nuova purezza. Sì, la Pasqua dev’essere per noi un nuovo senso della dignità di questa nostra carne, tanto sensibile e fragile. Essa è opera di Dio. Essa è tempio dello Spirito Santo (1Co 5,19). La mentalità corrente vede sempre nella norma cristiana un deprezzamento del corpo umano, quasi non fosse altro che fonte di tentazioni e di peccati; di fame, di dolori, di malattie e infine di mortalità. Ed è vero; ma questa mentalità non vede che un aspetto della realtà corporea dell’uomo, dalla quale appunto scaturisce un dualismo nella nostra complicata psicologia, un dualismo pericoloso e spesso peccaminoso. Nessuno come S. Paolo, l’araldo della libertà del cristiano (Cfr. Ga 4,31), ha insistito su questo drammatico punto della vita dell’uomo: «La carne ha desideri contrari allo spirito; e lo spirito li ha contrari alla carne» (Ga 5,17 cfr. ss.; Rm 8,1; ecc.); siamo dentro noi stessi posseduti da una permanente tentazione; abbiamo continuamente bisogno di rifarci alla coscienza della nostra dignità di esseri elevati alla conversazione e alla comunione con Dio; bisogno quindi di dominio dell’uomo spirituale sull’uomo animale (1Co 2,13); abbiamo sempre bisogno di implorare dal Padre, che ci preservi dalla tentazione, e che ci dia la forza e il gaudio della nostra trasfigurazione cristiana. A Cristo risorto dobbiamo ancorare la nostra purificazione fisica e spirituale, la nostra intransigente, ma umana moralità: di mente, di cuore, di costume. Anche la nostra corporeità è in Lui redenta e resa degna del più alto rispetto e della cura più sollecita.


LA NOSTRA VOCAZIONE CRISTIANA

Ancora una volta, Figli e cristiani tutti, apriamo la coscienza all’aggressività del malcostume, che ci circonda, che vorrebbe persuaderci non esservi alcun male nella licenziosità, che oggi tutto pervade, l’abito, il libro, lo spettacolo, l’educazione, il costume. E riflettiamo sempre alla nostra vocazione cristiana, che soggiogando la carne allo spirito, prepara anche per le nostre corporee membra caduche, sofferenti e mortali l’ottima sorte, quella d’essere al migliore servizio di questa nostra vita temporale, e di essere poi destinata alla pienezza della vita celeste.

Così c’insegna il mistero pasquale. Con la Nostra Benedizione Apostolica.




Pellegrinaggio dell’arcidiocesi di Vercelli

Diamo un particolare benvenuto al Pellegrinaggio dell’Arcidiocesi di Vercelli, guidato dall’Arcivescovo da Noi stimato e venerato, Monsignor Albino Mensa, e accompagnato da cospicue rappresentanze del Clero e del Laicato, non che onorato dalla partecipazione del prof. Antonino Villa, Presidente dell’Amministrazione Provinciale e del signor Carlo Boggio, Sindaco della città. Ci rallegriamo vivamente del motivo e del significato, che riveste questo Pellegrinaggio, con il quale la insigne e vetusta Chiesa di Vercelli ricorda e celebra il centenario della morte del suo primo Vescovo S. Eusebio, sardo d’origine, membro del Clero Romano, prima d’essere eletto alla sede di Vercelli. S. Eusebio (da non confondersi con altri personaggi dello stesso nome) è una figura di grande rilievo nella tormentata storia della Chiesa del quarto secolo per la fermezza della fede contro l’eresia ariana, affrontando l’esilio, dopo l’infausto così detto Concilio di Milano del 355, insieme a Dionisio, Vescovo di Milano e a Lucifero, Vescovo di Cagliari. Il suo nome è legato, col titolo di martire, cioè di testimonio, a questa vicenda; e per questa ragione è maestro anche alla nostra generazione del saper professare la fede con fermezza e coerenza. Sappiamo con soddisfazione che proprio questo aspetto della vita di S. Eusebio offrirà il tema della celebrazione centenaria del Santo; ed auguriamo ad essa felice ed esemplare successo. Eusebio ha anche altri titoli alla nostra memoria ed alla nostra venerazione, tra i quali quello d’aver congiunto per primo in Occidente la vita monastica e la vita pastorale: «monasterii continentia et disciplina Ecclesiae», dice a sua lode S. Ambrogio (Ep 63 PL Ep 16,234); cioè la vita comune ed ascetica del Clero, con l’esercizio del ministero (come, ad esempio, farà non molto dopo S. Agostino). Anche sotto questo aspetto la rievocazione della figura di S. Eusebio è di buon auspicio per l’edificazione della vita sacerdotale e religiosa dei nostri giorni.

Missionari in partenza per l’Evangelizzazione

Un saluto particolare, ora, ai quaranta missionari che stanno partecipando ad un corso di aggiornamento. Sappiamo che appartenete a varie Famiglie Religiose, tanto benemerite delle Missioni : ad esse va il Nostro pensiero riconoscente per l’opera che svolgono nel mondo per l’annuncio del Vangelo e per la promozione umana; e a voi il Nostro compiacimento per l’assillo che vi ha mossi a studiare insieme i vostri problemi, sottoponendovi a un nuovo sforzo per rendervi sempre più adatti al formidabile mandato che avete ricevuto, realizzando una forma di collaborazione tra i vari Istituti, che il Vaticano II ha auspicato per la sempre migliore organizzazione dell’attività missionaria (Ad gentes AGD 33). Siamo certi che l’approfondimento dei principi e dei metodi del lavoro missionario, secondo il chiaro e profondo insegnamento conciliare, tornerà assai utile a voi e alle vostre comunità lontane, che attendono il vostro ritorno. Siate in mezzo ad esse il profumo di Cristo, il prolungamento di Cristo; annunciate con vigore e senza stancarvi mai la sua parola che salva, siate portatori del suo amore e della sua pace: e la sua grazia non vi farà sentire mai soli. Il Papa vi segue e prega per voi, e benedice, con voi, tutti i vostri confratelli, e le vostre care Missioni, nel nome del Signore.

Magistero «Maria SS.ma Assunta»

Tra i gruppi che partecipano a questo incontro spirituale, siamo lieti di salutare in particolar modo le circa seicento studentesse dell’Istituto Universitario Pareggiato di Magistero «Maria SS.ma Assunta» di Roma, e, con esse, le Missionarie della Scuola che al detto Istituto dedicano la loro intelligente ed assidua opera.

Vogliamo qui rinnovare un meritato riconoscimento a codesta Istituzione, compiacendoci vivamente per lo zelo, il prestigio e il profitto che accompagnano lo svolgimento della sua missione formativa e culturale, a vantaggio di numerose alunne, Religiose e Laiche, provenienti da molti Paesi. E vogliamo esprimere la speranza e l’augurio che così provvida attività, confortata dai favori celesti e compiuta con alto senso di responsabilità, sempre meglio corrisponda alle attese della Chiesa e sia adeguata ai bisogni dei tempi.

Ringraziamo voi, Alunne carissime, per la visita che con pensiero di devozione filiale avete voluto farci, al termine dell’anno accademico. Motivo di grande soddisfazione ci offre l’impegno esemplare che voi ponete negli studi superiori e nella vostra formazione, desiderose come siete di prepararvi degnamente per il proficuo esercizio della missione educativa, tanto delicata ed importante, a cui intendete consacrarvi. L’epoca Post-conciliare, nella quale passa in tutta la Chiesa una fiamma di maggiore fervore, di più intensa consapevolezza dei propri doveri e responsabilità, esige anime preparate, sensibili, pronte alla generosità e all’apostolato. Sia vostro proposito e sia vostro onore appartenere a questa schiera di anime, lieta fioritura di una novella primavera nella Chiesa.

Il Signore vi benedica, unitamente alle Missionarie della Scuola ed a quanti operano nel benemerito Istituto da voi frequentato: è questa la Nostra fervente preghiera, che avvaloriamo con una speciale Benedizione, in auspicio dei più eletti doni celesti.

L’Istituto «Regina Mundi»

Un cordiale saluto rivolgiamo a voi, Religiose del Pontificio Istituto «Regina Mundi», che, accompagnate dalle Autorità accademiche, avete voluto con una presenza così numerosa, manifestarci i sentimenti della vostra devozione, nel ricordo della visita da Noi resa al vostro Ateneo il 31 maggio 1969.

Rivedervi così unite, voi che appartenete a 52 Nazioni, per lingua, costumi, tradizioni e mentalità diverse, ma tutte animate dalla stessa fede e dalla stessa carità, è per Noi preziosa occasione per ravvivare gli ideali che sono a fondamento e a presidio di codesta benemerita Istituzione.

Chiamate da Dio a una vita interamente consacrata al programma di perfezione cristiana, secondo lo spirito proprio di ciascuna Famiglia religiosa, e alle conseguenti opere di apostolato, voi attendete in un clima di raccoglimento, di preghiera e di sacrificio, allo studio per essere in grado di assolvere le funzioni che vi saranno assegnate nelle vostre Comunità e nei vari campi di azione.

Ma in maniera preminente, voi siete impegnate nell’approfondire - secondo i metodi convalidati dall’esperienza - le verità della fede, per trasmetterle genuinamente nella Scuola.

Peraltro, in qualunque direzione si svolga la vostra vita, ricordate sempre che siete consacrate al servizio di Dio. Questo pensiero abbia in voi la dovuta preferenza; questo vi conforti a spendere le vostre energie nell’acquistare le qualità necessarie per essere, nella vostra vocazione, testimonianza vivente del Regno di Dio.

Congiungendo la contemplazione con l’ardore apostolico (Cfr. Perfectae caritatis PC 5) voi darete alla vostra esistenza il suo pieno significato e, soprattutto, offrirete alla Chiesa quella ricchezza di meriti che essa attende da voi.

Propiziatrice di questi Nostri voti e suggello dei vostri generosi propositi sia la Nostra paterna Benedizione.

Fratelli Maristi per le Scuole


Piccoli cantori argentini

Con viva gratitud y complacencia recibimos vuestra visita, amadísimos «Niños Cantores de Murialdo». Admiramos vuestro arte, que serena y deleita los espíritus, disponiéndolos para saber captar los sentimientos más altos y las ideas más nobles.

Os exhortamos de corazón a hacer de la música un principio de elevación al Señor, origen de toda belleza, de manera que vuestra actividad artística sugiera, en vosotros y en vuestros oyentes, una luz de espiritualidad.

En prueba de paternal afecto, os otorgamos a vosotros, a vuestros directores, y a las respectivas familias, una especial Bendición Apostólica.

Gruppo di militari di stanza a Roma

Prima dell'udienza generale il Santo Padre riceve, nel cortile di S. Damaso, 2400 militari dei presidi di Roma, Cecchignola, Cesano e Bracciano, appartenenti ai vari Corpi, Armi e specialità. Il gruppo è guidato dal generale Antonino Valguarnera, dal vicario generale dell’ordinariato militare Monsignor Giovanni Corazza, dal cappellano capo del Presidio Monsignor Agostino Bonadeo. Presenti anche numerosi Ufficiali e vari Cappellani.

Il Santo Padre, parlando ai giovani dalla loggia centrale del primo piano, esprime la sua gioia nel trovarsi di fronte a un numero così grande e qualificato di visitatori ed ha sottolineato i due aspetti principali della vita militare che i giovani si apprestano a concludere con la fine della ferma. La vita militare - prosegue il Papa - è come una grande scuola dove i giovani imparano la scienza del dovere, prendono coscienza del bene, si adoperano per il servizio alla comunità nazionale che deve vedere militari e civili allineati nello stesso sentimento del dovere e del bene comune, in una nazione organizzata della quale tutti fanno parte. Il periodo della vita sotto le armi deve inoltre spronare a una generosa e franca professione di vita cristiana che non è davvero in antitesi con le esigenze che il servizio comporta e che sprona ad essere sensibili ai bisogni del Paese e della sua vita in armonia di pace e di giustizia. Sua Santità formula, infine, i più vivi auguri per l’avvenire dei giovani militari.

Al termine del colloquio il Santo Padre ricorda brevemente la figura e l’opera di apostolato svolta dall’ordinario Militare Monsignor Luigi Maffeo che in questi giorni il Signore ha chiamato a sé.


Mercoledì, 19 maggio 1971

19051

Così grande in sé, così importante per Noi è il fatto della risurrezione di Gesù che, come la Chiesa prolunga per alcune settimane la sua meditazione sopra di esso e ravvisa nell’avvenimento della passione e della morte del Signore e della ripresa della sua nuova vita corporea il mistero per eccellenza, il mistero pasquale, così noi, cristiani rinnovati e meravigliati della sua recente celebrazione, sostiamo ancora una volta sulla riflessione, ch’esso ci impone come ad uomini vivi e mortali nel tempo nostro, per chiederci qual è il rapporto tra Cristo risorto e noi, qual è la sua presenza, ovvero la sua assenza, a nostro riguardo; che cosa insomma ci resta di Lui, dopo aver trovato, come le sante donne in quel mattino pasquale, la sua tomba vuota, e dopo aver saputo e creduto circa le sue varie apparizioni «non a tutto il popolo, ma ai testimoni preordinati da Dio» (
Ac 10,41). La questione non è una curiosità vana, ovvero un semplice dubbio esegetico; è una domanda essenziale per la nostra fede e per la nostra vita religiosa. Essa ci incalza da vicino, ciascuno personalmente: che cosa ti resta di Gesù? Una sbiadita memoria storica? Un puro concetto idealizzato? La sua sola lontana, anche se sempre squillante Parola? La associazione dei suoi fedeli, che si tradusse in una tradizione storica e sociale, chiamata Chiesa? Ma lui, Lui risorto dov’è? Non ci resta forse che da aspettare il suo spettacolare ritorno, preannunciato da Lui, quando verrà «nella gloria di Dio, sulle nubi del cielo»? (Cfr. Mc 14,62) Ovvero, anche adesso, anche per ciascuno di noi, Egli è ancora presente, e come? Le ultime parole di Gesù risorto, registrate nel Vangelo di San Matteo, ci attestano una realtà meravigliosa, ma anch’essa misteriosa; nell’atto di scomparire dallo sguardo dei suoi discepoli e dalla scena sensibile di questo mondo, Egli, il risorto, disse e profetizzò: «Ecco che io sono con voi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Dunque ancora oggi, Egli è presente; ma come, ma dove?

Altre volte ci siamo chiesti quale genere di presenza, quale forma di attualità Cristo abbia fra noi, e come noi possiamo cercarlo e trovarlo al di là e al di qua del duplice diaframma, che separa gli uomini fra loro, lo spazio ed il tempo; e sempre ci domandiamo e ci confermiamo nella fede che l’abisso incolmabile e impenetrabile della morte è superabile; è superato dal superstite contatto che conserviamo con Cristo e con quanti nel. regno escatologico, cioè dell’oltretomba, sono nella sua pace.

Ed è questo un pensiero che Gesù stesso ebbe profondamente presente in quei famosi e superlativi discorsi dell’ultima cena, dopo l’istituzione del sacramento della sua perennità nella nostra storia, e della sua ubiquità nella nostra collocazione terrena, l’Eucaristia. Sono i discorsi d’addio, i discorsi testamentari di Gesù, che sa imminente la sua morte, e accenna alle conseguenze ch’essa avrà negli animi dei suoi, non mai così suoi, più che discepoli, amici (Jn 15,14), come in quella vigilia del distacco naturale da loro: «Io vado. Io vado . . .». Quante volte Gesù quella notte ripete queste parole di commiato (Cfr. Jn 13,33 Jn 13,36 Jn 14,3 Jn 14,5 Jn 14,12 Jn 14,28 Jn 16,5 Jn 16,7 Jn 16,11 Jn 16,16 Jn 16,17 Jn 16,28; ecc.). E quante volte Gesù accenna ad una sua permanenza, ad un suo ritorno anche durante la vita temporale dei suoi fedeli: «Non vi lascerò orfani, verrò a voi» (Jn 14,18 Jn 14,21 Jn 14,23 Jn 14,28, ecc.). E quante altre volte insiste sopra una raccomandazione, un’esigenza, ch’Egli manifesta in quell’ora estrema di preannunciato distacco: «Rimanete in me, rimanete nel mio amore . . .» (Cfr. Jn 15,4 Jn 15,5 Jn 15,6 Jn 15,7 Jn 15,9 Jn 15,10). L’amore è svelato come il vincolo più perfetto della comunione, il complemento della fede, come avvertirà S. Agostino: Hoc est enim credere in Christum, diligere Christum, questo infatti vuol dire credere in Cristo, amarlo (In PS 130 PL 37,1704 cfr. Ga 5,6). E poi l’annuncio nuovissimo: la missione dello Spirito, del Paraclito, l’instaurazione d’una presenza nuova, soprannaturale di Dio nell’anima di quelli che hanno creduto in Cristo e lo hanno amato (Cfr. Jn 14,19-23 Jn 15,26 Jn 16,13-15).

Certo, per cogliere il senso, anzi l’operante virtù di queste ineffabili promesse di Cristo, alle soglie della sua morte temporale, bisogna essere iniziati alla sua silenziosa ascoltazione, e alla sua conversazione, timida, impropria, audace da parte nostra, e pur capace di fare scaturire parole da Cristo come queste, all’interruzione di Tommaso: «Io sono la via e la verità e la vita; nessuno va al Padre se non per mezzo mio» (Jn 14,6); o a quella di Filippo: «Chi vede me vede anche il Padre» (Jn 14,9). Ma non mancarono allora gli ascoltatori fedeli e fortunati; non mancheranno mai, nella Chiesa di Cristo, anime privilegiate a questi trascendenti colloqui.

Ma tutti noi, quanti siamo cristiani, possiamo sapere e credere che questa intima, perenne, moltiplicata comunione di Cristo, come Dio e come Uomo, deriva dal mistero pasquale, deriva dal fatto della risurrezione di Cristo, mediante la quale anche il Corpo beato del Signore può rendersi realmente presente fra noi nella celebrazione dell’Eucaristia, molteplice materialmente nel segno sacramentale, ma sempre intenzionalmente unico nella Realtà significata (Cfr. S. TH., III 73,2; BILLOT, De Eccl. Sacramentis 1, p, 32 1, p, 3; DE LA TAILLE, Mysterium Fidei, p. 132). E ciò che diciamo della presenza reale di Cristo nel Sacramento eucaristico possiamo dire della sua grazia a noi comunicata mediante gli altri Sacramenti (Cfr. CIAPPI, De Sacr., p. 98, ad 3), sempre per causa della Passione e della Risurrezione di Cristo, cioè del mistero pasquale, come bene ci ricorda il Concilio: «Con la sua risurrezione costituito Signore, Egli, Cristo, a cui è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra (Cfr. Ac 2,36 Mt 28,18), opera ormai nel cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito, non solo suscitando il desiderio del mondo futuro, ma per ciò stesso ispirando, purificando, e fortificando quei generosi propositi con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine tutta la terra» (Gaudium et Spes GS 38).

Ecco il perché della nostra letizia pasquale, e perché ne dobbiamo sempre portare sulle labbra e nel cuore il suo Alleluia. Con la Nostra Apostolica Benedizione.



Convegno di studio degli Economi Cattolici

Si rinnova oggi per noi un gradito incontro: quello con i Religiosi e le Religiose - circa settecento! - che partecipano all’undicesimo Convegno Nazionale di Studio degli Economi Cattolici, nel quadro della annuale Settimana della Vita Collettiva. Ogni anno desiderate di venire ad ascoltare la Nostra parola, ed ogni anno abbiamo questa soddisfazione di accogliervi.

Sappiamo che alla vostra sensibilità e alla vostra esperienza sono affidati compiti gravosi, delicati, talvolta ingrati: l’economo, l’economa di una Casa religiosa, di un ospedale, di un ricovero per persone anziane, di un asilo infantile, di un centro di rieducazione, e così via, si trovano di fronte a problemi formidabili, per i contatti umani da intrattenere, gli aggiornamenti continui in materia sociale e previdenziale, le esigenze delle comunità da tener presenti, il difficile bilancio da far quadrare. Occorre al tempo stesso mantenere la gerarchia dei valori, affinché la condizione nativa della vostra vita consacrata a Dio abbia sempre e ovunque, ad ogni costo, la preminenza sulle accennate responsabilità pratiche, pur richiedendo queste la necessaria cura e competenza, che oggi è retta da regole diremmo scientifiche nella loro precisione, per dare pieno rendimento.

È un equilibrio difficile, quello che dovete avere, sia dal punto di vista umano, sia da quello spirituale, per le varie tentazioni che non sono assenti da siffatto genere di attività: e, nel compiacerci per vedervi rinnovare i vostri principi, formiamo voti affinché sappiate comporre sempre in voi l’auspicata sintesi dell’azione e della contemplazione: che è il programma a cui ogni anima consacrata deve ispirare la propria vita, integralmente.

Noi preghiamo per voi la Vergine Santa, che nel ménage della vita quotidiana di Nazareth, svolse le sue umili incombenze con impareggiabile sagacia e fedeltà, nell’intimità quotidiana col Figlio di Dio, affinché vi sia di luce, di conforto, di esempio: guardando a Lei, potrete far sempre bene il vostro dovere, tanto ricco di benemerenze e di utilità sociale, tanto prezioso davanti a Dio e agli uomini. A tanto vi incoraggi la Nostra Apostolica Benedizione, che di cuore impartiamo a voi, ai vostri Istituti, alle opere da essi promosse, in pegno del continuo aiuto celeste.

L’istituto «Bianchi» dei Barnabiti

Un gruppo richiama stamane in modo particolare la Nostra attenzione: è il pellegrinaggio dell’Istituto «Bianchi», di Napoli, guidato dai reverendi Padri Barnabiti.

Siete venuti, figliuoli, per concludere ai piedi dell’umile Successore di Pietro il primo centenario di fondazione del vostro Istituto. Vi siamo molto riconoscenti per questo filiale e graditissimo omaggio, e cogliamo volentieri l’occasione per aprire il Nostro animo e farvi sentire l’affetto e la stima che nutriamo verso la vostra Scuola, la quale per serietà di studi e validità dei suoi metodi educativi si è affermata giustamente fra le istituzioni cattoliche più benefiche della città di Napoli. Non possiamo pensare a tanto bene seminato fra la gioventù del vostro Istituto, vera fucina di cittadini e cristiani esemplari, senza ricordare con ammirazione l’opera che ivi svolgono i benemeriti Padri Barnabiti. La loro generosa dedizione degnamente continua l’eredità preziosa del fondatore San Francesco Saverio Bianchi, e di altri insigni educatori la cui memoria è tuttora in benedizione nella vostra città.

Noi confidiamo che primi a comprendere l’eccellenza della vostra Scuola, siano gli alunni che hanno la ventura di frequentarla. Sì, figli carissimi, amate il vostro Istituto non solo per i suoi pregi didattici, ma anche e particolarmente perché vi educa a pensare ed agire nella pienezza cosciente della vostra fede, e ad orientare i vostri anni giovanili verso gli ideali cristiani. Che il Signore vi aiuti a corrispondere alle ardenti speranze dei vostri educatori, per l’onore del vostro Istituto e per la gioia della Chiesa, che vi vuole cattolici veri, forti e coerenti.

Vi accompagni la Nostra Benedizione Apostolica che di cuore estendiamo ai vostri Superiori, genitori, familiari, docenti, qui presenti ed assenti, e a tutto il vostro Istituto.

Studenti di Grosseto

Ecco davanti ai Nostri occhi lo spettacolo di fiorente primavera, che ci è offerto dai duecento giovani studenti della diocesi di Grosseto, vincitori del Concorso «Veritas». È un incontro che si rinnova ogni anno; e, come ogni anno, siamo lieti di rivolgere il Nostro elogio a voi e a quanti si interessano con tanto zelo e prestigio per la vostra formazione spirituale e culturale: il vostro zelante Amministratore Apostolico, Monsignor Primo Gasbarri, l’Ausiliare Monsignor Adelmo Tacconi, autorità scolastiche, i vostri presidi e professori, e i vostri professori di Religione, che vi hanno preparato alle severe prove del Concorso. Noi pensiamo altresì ai vostri condiscepoli, che, pur bene addestrati, non hanno potuto raggiungere i primi posti: ma sappiamo che il Signore non lascerà senza ricompensa l’impegno posto nell’approfondire il mistero della Salvezza, in tutte le sue componenti di cui ci parlano la Rivelazione e il Magistero della Chiesa.

Tutti vi siete applicati nel conoscere meglio la Parola di Dio, e Colui che - Parola vivente del Padre - l’ha annunziata al mondo; vi siete accostati a Cristo Gesù, «Verità» che illumina, e avete trovato in Lui la risposta che placa gli interrogativi ansiosi della vostra mente che cerca, della vostra volontà che si interroga, nel crogiuolo delle contrastanti esperienze in cui si dibatte la nostra società. Ora, queste verità da voi acquisite con lo studio devono tradursi in pratica: il Salvatore è verità, ma è anche via e vita: via da seguire per non perdere l’orientamento giusto, vita che trasforma nell’intimo la nostra vita e le comunica quella stessa di Dio. «Ego sum via, veritas et vita»: e quando dei giovani l’hanno capito, allora è una potentissima carica di entusiasmo che li spinge a studiare bene, a formarsi bene, ad agire bene, per trasformare il mondo e portarvi la testimonianza della verità posseduta: testimonianza che è fedeltà, serietà, donazione, impegno per l’edificazione di una società più giusta e più sana, nella verace carità.

A questo scopo tutti vi benediciamo, comprendendo nel Nostro abbraccio tutte le scuole della diocesi, i cari alunni e i loro familiari, con l’auspicio che in tutti regni la pace e l’amore di Cristo.

Coniugi cristiani nel XXV del matrimonio

La nostra parola di saluto, di compiacimento e di augurio si rivolge ora al gruppo dei Coniugi partecipanti al pellegrinaggio organizzato dall’Ente Nazionale Assistenza Lavoratori, nella ricorrenza del XXV anniversario del loro matrimonio.

Figli carissimi! Vi abbiamo attesi con vivo desiderio e con paterno interesse, profondamente sensibili all’omaggio di devozione che volevate rendere, nella Nostra umile persona, al Vicario di Cristo.

Nell’attesa dell’incontro odierno, pensavamo a voi come a gente operosa, saggiamente esperta della vita, non ignara del sacrificio; gente che conosce il grave impegno quotidiano del proprio lavoro e l’assiduità delle amorevoli e preoccupanti sollecitudini familiari. Pensavamo anche, provandone non piccola consolazione, che avremmo accolto, in voi, dei buoni cristiani, consapevoli della loro vocazione di figli di Dio e di membri della Santa Chiesa Cattolica; testimoni, coerenti e non timorosi, della propria fede nei luoghi di lavoro, in seno alla famiglia, e in tutte le circostanze della vita, come lo siete in questa stessa vostra escursione, la quale, mentre già in Roma vuole trarre profitto dalle incomparabili memorie religiose che solo l’Urbe rinserra, si propone, come tappa conclusiva, una pia visita al Santuario della Beatissima Vergine Maria del Ss.mo Rosario di Pompei.

Siamo lieti, pertanto di esprimervi un cordiale benvenuto; di manifestarvi il Nostro plauso per la preziosa testimonianza umana e cristiana che ci offrite; di incoraggiarvi ad essere sempre esemplarmente fedeli alla dignità e alle responsabilità di sposi cristiani; e di benedirvi paternamente, insieme con i promotori di questo vostro pellegrinaggio e con tutti i vostri cari, invocando i più eletti doni del Signore e la celeste protezione della Madonna, alla quale - ne siamo certi e fin d’ora ve ne ringraziamo di cuore - vorrete elevare anche una particolare preghiera secondo le intenzioni del Nostro ministero apostolico.

Les Equipes du Rosaire

«Christian Brothers»

We welcome most cordially the large group that comes to visit us from India. Among them are members of the Catholic Teachers’ Guild. To all of you We express again our affection for your land and its beloved people.

Our greeting and our blessing go to the members of Saint Michael’s Eucharistic 5-Hour Vigil Group. We ask the Lord to sustain you and through your apostolate of prayer to grant increased holiness in the Church and especially in the hearts of priests.

To our beloved sons, the Christian Brothers, We express our greeting of grace and peace in the Lord. We know that you have come to Rome to dedicate yourselves to renewal in the light of the Vatican Council and in the spirit of your Founder. Our prayers and affection are with you. Be assured of the esteem We have for you and your vocation; know how much We count on your loving service to Christ’s Church.

With Our special Apostolic Blessing.





Mercoledì, 26 maggio 1971 LO SPIRITO SANTO: « FONS VIVUS IGNIS CARITAS . . . »

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Udienza generale

Uno degli insegnamenti più importanti, più caratteristici, più fecondi che il Concilio Vaticano Secondo ha lasciato alla Chiesa è quello del mistero della Chiesa, il quale consiste nell’ animazione per cui essa vive come Corpo mistico di Cristo; e questa animazione proviene dall’ effusione dello Spirito Santo, lo Spirito di Cristo.

Questo si sapeva, si può dire da sempre, dalla Pentecoste, dalla dottrina dei Padri (citiamo, per la Chiesa d’ Oriente, S. Atanasio, S. Basilio, S. Gregorio Nisseno; e S. Ilario, S. Ambrogio, S. Leone Magno per quella d’ Occidente), dai documenti pontifici recenti (di Leone XIII, di Pio XII), e da studi teologici insigni (come quelli di Giovanni Adamo Mahler, del Card. Journet, del P. Congar . ..). ma la catechesi ordinaria era piuttosto orientata a considerare la Chiesa nel suo aspetto visibile e sociale, rivendicato alla Chiesa specialmente dal Concilio di Trento contro certe eresie della Riforma.

Senza negare questo aspetto, anzi elevandolo alla considerazione di segno e di strumento della salvezza,(1) il recente Concilio ha fissato l’ attenzione sull’ aspetto spirituale, misterioso, divino

della Chiesa, sulla «pneumatologia» della Chiesa.

Se vogliamo essere seguaci fedeli del magistero conciliare noi dobbiamo accrescere la nostra informazione dottrinale sullo Spirito Santo. Esiste una vasta letteratura nuova su questo stupendo e fecondissimo tema (citeremo ad uso degli esperti e per l’orientamento dei fedeli l’ articolo sullo Spirito Santo nel « Dizionario del Concilio Ecumenico Vaticano II » del Prof. T. Federici, Unione Editoriale, 1969; il volume « Ecclesia a Spiritu Sancto edocta », Mélanges . . . . Duculot, 1970; G. PHILIPS, L’ Eglise . . . I, p. 87, Desclée, 1968; ecc.).

Questa letteratura non tanto si diffonde sull’ indagine teologica sullo Spirito Santo, quanto sulle relazioni che la terza Persona della Santissima Trinità ha con la Chiesa e con le singole anime.

Sono così a noi rievocati i titoli che qualificano le operazioni dello Spirito Santo verso l’umanità redenta e da redimere per merito di Cristo: Egli è per eccellenza il Santo e il santificatore; Egli è il Paraclito, ovvero il nostro Patrono e consolatore; Egli è il vivificante; Egli è il liberatore; Egli è l’Amore; è lo Spirito di Dio, è lo Spirito di Cristo, è la Grazia increata che abita in noi come

sorgente della grazia creata, e della «virtus» dei sacramenti; è lo spirito di Verità, è l’Unità, cioè il principio della comunione, e quindi il fermento dell’ ecumenismo, è il gaudio del possesso di Dio; è il datore dei sette doni e dei carismi, è il fecondatore dell’ apostolato, è il sostegno dei martiri, è l’ ispiratore interiore dei maestri esteriori, è la voce prima del Magistero e l’autorità superiore della Gerarchia; è infine la fonte della nostra spiritualità: fons vivus, ignis, caritas, et spiritalis unctio.

Perché oggi vi parliamo di questo immenso e ineffabile tema? Vi parliamo perché siamo nella famosa «novena» preparatoria alla festa di Pentecoste; e allora il discorso dovrebbe soffermarsi sulle disposizioni degli animi per meglio celebrare questa festa centrale del nostro culto cattolico, metropolim festorum, come la dice S. Giovanni Crisostomo; (2) e non essere indegni di ricevere il Dono per eccellenza, ch’è appunto lo Spirito Santo, essendo il dono effetto e segno dell’ amore.(3) Come si riceve questo Dono, ch’è Dio stesso nell’atto di comunicarsi? La preparazione migliore ci è indicata da quell’attesa, che gli Apostoli con Maria e i discepoli trascorsero nel Cenacolo, aspettando l’adempimento della promessa estrema di Cristo, prima dell’ Ascensione; aspettassero, Egli disse loro, d’ essere battezzati nello Spirito Santo, di lì a pochi giorni.(4) E aspettarono: con fiducia sulla parola del Signore, in raccoglimento e preghiera, insieme riuniti. Bisogna avere gli animi aperti, e cioè purificati dalla penitenza (5) e dalla fede; compresi dal senso del tempo, dell’ora di Dio, cioè nel silenzio, e nello stesso tempo in comunione di carità con i fratelli, avendo con sé la Madre beatissima di Gesù, Maria: la devozione alla Madonna qui, si può dire, comincia, quando sta per nascere il Corpo mistico del suo divino Figliolo, il cui Corpo fisico Ella generò e un triplice motivo di centrale interesse è offerto alla nostra spiritualità: lo Spirito, la Madonna, la Chiesa.

Non possiamo tacere una raccomandazione: non separate gli elementi, diversissimi, ma destinati a comporre una sintesi di meravigliosa complementarità, predisposta dal disegno divino. Abbiate alla sommità del vostro culto, di quello interiore specialmente, lo Spirito Santo; un culto che si esprimerà principalmente nella vigilante e trepidante attenzione di possederlo, di ospitarlo, dulcis hospes animae; in termini catechistici e realistici: badate d’essere sempre, sempre in grazia di Dio! (6)

E non seguite chi, col pretesto di togliere ansietà inutili e scrupoli fastidiosi dalla coscienza, vi persuadesse che non v’è bisogno di rimettere l’anima in grazia di Dio prima di sedere alla mensa eucaristica, o per vivere da onesti cristiani!

Poi non s’intiepidisca la vostra devozione a Maria, la privilegiata portatrice di Cristo al mondo, e la Madre spirituale della Chiesa nel Cenacolo!

E infine non separate lo Spirito dalla Gerarchia, dalla compagine istituzionale della Chiesa quasi fossero due espressioni antagoniste del cristianesimo, o l’una, lo Spirito, potesse da noi essere conseguito senza il ministero dell’altra, la Chiesa, strumento qualificato di verità e di grazia; lo Spirito, sì, «soffia dove vuole»; (7) ma noi non possiamo presumere ch’Egli venga a noi, quando noi fossimo volontariamente assenti dal veicolo, fissato da Cristo, per comunicarcelo: chi non aderisce al Corpo di Cristo, ripeteremo con S. Agostino, esce dalla sfera animata dallo Spirito di Cristo.(8)

(1) Cfr. Lumen Gentium,
LG 1 LG 48; Sacr. Concilium, SC 26; Gaudium et Spes, GS 5 GS 45.
(2) PG 50, 463.
(3) S. TH. I 38,2.
(4) Cfr. Ac 1,5.
(5) Cfr. Ac 2,38.
(6) Cfr. 1Co 11,28; Purg. 2, 3, 9.
(7) Jn 3,8.
(8) Cfr. In Ev. Io. 27, 6; PL 35, 1618.


Mercoledì, 2 giugno 1971


Paolo VI Catechesi 12051