Paolo VI Catechesi 28771

Mercoledì, 28 luglio 1971

28771
Noi cerchiamo ancora i valori maggiori del Concilio, Dire valori e dire beni relativi all’uomo, beni commisurati alla nostra vita, beni utili è la stessa cosa. Primeggiano, per se stessi, i beni reali, i beni veri, i beni trascendenti e ontologici. Ma due motivi hanno dato nel Concilio una certa priorità alla considerazione dei valori su quella delle verità da conoscere e da credere: il primo motivo è dato dalla mentalità moderna, a cui il Concilio amorosamente ha voluto avvicinarsi; e la mentalità moderna non sostiene il discorso se non in funzione di «valori», cioè di pensieri e di cose aventi una polarizzazione soggettiva, interessanti la vita dell’uomo come unico centro dominante la concezione dell’esperienza della storia, del mondo conosciuto (sembra una specie di concezione tolemaica a cui tende l’umanesimo odierno, secolarizzato e svincolato da riferimenti al Principio ed al Fine della Realtà suprema, che è Dio). L’altro motivo, che ha orientato il Concilio verso l’estimazione dei valori, piuttosto che verso le ricerche obiettive e le affermazioni dogmatiche, è stato il programma generale, che il Concilio si è scelto, e cioè il programma pastorale, ossia quello in cui il «bene delle anime», ha il primo posto.

E quale valore maggiore perciò ha avuto a cuore il Concilio? L’uomo. Noi lo abbiamo notato nel discorso di chiusura del Concilio. Donde deriva non tanto un insegnamento dottrinale (che è, per altro, supposto e affermato ad ogni passo nei documenti conciliari), ma piuttosto un ammaestramento morale, un dovere da praticare, un comportamento pratico da imprimere alla nostra vita, se davvero la vogliamo dire umana e cristiana insieme.

L’uomo! Dopo il Concilio - ecco un grande dovere post-conciliare - noi dovremmo ricostruire una mentalità autentica e cristiana sull’uomo. Il che vale a dire sul nostro essere, sulla nostra vita, sui nostri diritti e sui nostri doveri, sui nostri veri destini. Tanto per cominciare dobbiamo ammettere che l’uomo, nella profondità e nella complessità del suo essere, è un mistero (Gaudium et spes
GS 22). Solo la fede ce ne svelerà gli estremi e indispensabili segreti. Distratti come siamo, presuntuosi per la nostra esperienza, spesso ridotta ad un superficiale contatto empirico col mondo esterno; fiduciosi, talora ciecamente, nel linguaggio scientifico che ci istruisce e ci incanta, noi crediamo di conoscerci ormai perfettamente, mentre l’antica, sempre incombente questione deifica e socratica: «conosci te stesso», non ci dà pace, se davvero vogliamo dare alla necessità d’una adeguata conoscenza di noi stessi una risposta soddisfacente. L’uomo rimane miope, e più sovente rimane cieco, sopra se stesso. Anche perché un formidabile errore di metodo vizia le antropologie moderne, che presumono, con i soli propri lumi, dare dell’uomo una definizione finalmente completa e risolutiva; e l’errore è questo: l’uomo, tutti lo sappiamo, è un essere estremamente complicato; e vi è chi circoscrive lo studio e la nozione dell’uomo ad un particolare aspetto di questo essere che noi siamo, ignorando e spesso negando gli altri. L’uomo è corpo; e allora vi sarà chi non vedrà nell’uomo che la sua parentela con l’animale, e con Ia materia e le sue leggi, che pur fanno parte dell’uomo. L’uomo è spirito; molti sapienti fermeranno la loro osservazione a questa sublime realtà umana, per concludere ad un idealismo esclusivista ed idolatra del pensiero dell’uomo. L’uomo è senso; e allora si dirà che solo nel regno dei sensi si esplica la vera vita dell’uomo. L’uomo è un essere sociale; al punto che alla considerazione sociologica si pretenderà attribuire Ia sola ovvero la prima chiave di soluzione delle questioni dell’umana esistenza. E così via.

La concezione cristiana, ci chiediamo, cade in un’analoga unilateralità di visione, dando esclusiva preferenza ai valori religiosi? Il Concilio restringe forse la sua dottrina antropologica all’unica considerazione del rapporto dell’uomo con Dio? No. Anzi, nei suoi insegnamenti il Concilio (ed è questo uno dei suoi caratteri originali) assegna, e quasi rivendica a tutti i valori naturali una loro propria stima, una loro propria funzione. La Chiesa, sotto questo aspetto, è stata magnanima e coraggiosa: ha aperto il suo sguardo e quindi il suo rispettoso riconoscimento a tutti i lati dell’essere poliedrico, ch’è l’uomo. Si direbbe che ha fatto propria la scienza di Cristo, il Quale «sapeva ciò che era nell’uomo» (Jn 2,25 Lc 6,8 Mt 12,25); ed ha dato alla plurima realtà umana, anche profana e terrestre, una spontanea e giusta valutazione (Cfr. Apostolicam actuositatem AA 7 AA 29 Gaudium et Spes GS 4 Lumen gentium LG 31 ecc.). Ha proclamato e difeso ogni legittimo diritto dell’uomo (Cfr. Gaudium et Spes GS 41, ecc.).

Ma questa esaltazione dell’uomo il Concilio, come da sempre la Chiesa, l’ha proclamata in virtù d’un principio supremo e inalienabile, quello cioè del rapporto dell’uomo con Dio. Possiamo ricordare la famosa e bellissima sentenza di S. Ireneo (un Padre della Chiesa della fine del II secolo): «Gloria di Dio è l’uomo vivente» (Adv. Haer. IV, 20, 7; PG 7, 1037). Dio cerca la sua gloria esterna, la sua irradiazione luminosa nell’universo, nella vita dell’uomo. Chi nega Dio spegne la luce sulla faccia umana; nega cioè l’uomo nelle sue supreme prerogative. Mentre, considerato l’uomo alla luce di Dio, che cosa si riverbera su questo essere-principe dell’opera creatrice e amorosa di Dio? Dapprima una grande dignità. «Riconosci, o cristiano, la tua dignità!» ci ammonisce, con celebre accento, S. Leone Magno. La prima impressione che noi dobbiamo cogliere dalla fisionomia, anche semplicemente naturale dell’uomo, è quella della sua dignità; è quella d’una bellezza nativa e sacrale, d’un’intangibilità inviolabile, d’un soggetto di diritti trascendenti, che per primi i Genitori, operatori e ministri della vita umana, devono sommamente rispettare fino dalla sua fase nascente nel grembo materno; è orribile pensare che ne siano essi stessi gli omicidi, non curanti d’essere entrati in un’economia antropologica, che li supera e che li avvolge in una norma loro propria, amorosa ed eroica, di inesorabili doveri.

Dignità dell’uomo ! Non intendiamo ora diffonderci su questo vastissimo tema. Esso ci porterebbe a deplorare amaramente le offese, ormai dilaganti, con cui tante forme acritiche della vita moderna degradano la dignità dell’uomo, specialmente con la moda invereconda, con lo spettacolo frivolo o passionale, con l’immoralità dei costumi, con la pornografia perfidamente diffusa, con l’anestesia della coscienza morale a profitto della coscienza sensuale, con la deformazione provocante della stessa sana e prudente educazione sessuale. Licenziose esperienze sono ammesse e favorite quasi fossero conquiste liberatrici; liberatrici da che cosa? Dalla coscienza del bene e del male, dal rispetto alla persona umana, dalla stima ai valori più veri e più preziosi che conservano e abbelliscono l’equilibrio fra lo spirito e la carne, col pudore, con l’innocenza, con il dominio di sé, con la scelta cosciente e generosa della verità dell’amore e delle sue altissime e umanissime finalità.

Dignità dell’uomo! Non l’avremo mai abbastanza apprezzata ed onorata nel suo duplice aspetto, quello originario e, possiamo dire, positivo, che ci svela nel volto umano «l’immagine e la somiglianza di Dio» (Cfr. Gen. 1, 26); e quello negativo, dove la piccolezza, l’infermità, la degradazione stessa dell’uomo ci lasciano scorgere le sembianze divine e dolenti del nostro Fratello Redentore Gesù (Cfr. Mt 25,37-40).

Di qui l’umanesimo cristiano. Tutto il Concilio ne parla. Citiamone, a conclusione, una frase: oggi «cresce la coscienza della dignità della persona umana, superiore a tutte le cose, e i cui diritti e doveri sono universali e inviolabili . . . Il fermento evangelico suscitò e suscita nel cuore dell’uomo questa incoercibile esigenza di dignità» (Gaudium et Spes GS 26).

Pensiamoci, se vogliamo dare al Concilio la sua genuina derivazione morale e vitale. Con la Nostra Apostolica Benedizione.



Pellegrinaggi di Malta

Partecipa a questa udienza il gruppo dei fedeli dell’Arcidiocesi di Malta - sacerdoti, religiosi, religiose e laici - che, guidati dal Vescovo Coadiutore Mons. Emanuele Gerada, stanno compiendo un pellegrinaggio a Lourdes; essi hanno voluto sostare a Roma, e venire fin qui per portare al Papa l’espressione della loro fedeltà. Voi ci recate come uno scrigno prezioso: i cinquantacinque ammalati, di cui dieci su carrozzelle, che accompagnate con la vostra premura e col vostro affetto alla grotta di Massabielle, per invocare per loro il conforto e protezione della Vergine.

Vi accogliamo con paterna commozione, carissimi infermi, che chiudete in cuore una somma di dolori e di pene, nota solo a Dio; e vi incoraggiamo a farne continua offerta al Signore, per mezzo di Maria, con la consapevolezza che la vostra dura prova è preziosa davanti a Lui, perché potete farne scaturire fonti continue di grazia per la Chiesa, per il suo slancio missionario, per la sua opera dedicata alla conversione dei cuori e alla pace dei popoli.

Siamo particolarmente lieti di salutare tutto il gruppo proveniente da una delle più antiche Chiese dell’Occidente, evangelizzata nientemeno che da San Paolo in persona. Chi non ricorda la suggestiva narrazione degli Atti, relativa al naufragio dell’Apostolo sulla vostra isola, ai suoi miracoli e alla sua predicazione? (Ac 27,27-28,11) Carissimi figli, voi avete un singolare onore nella storia della Chiesa; sappiatelo custodire fedelmente e tramandarlo, come sempre è stato fatto, alle nuove generazioni col fervore della vostra fede e con l’esempio della vostra vita cattolica, con la generosità degli sforzi apostolici, con la concordia e con la collaborazione per la buona causa del Vangelo. Ricordando nella preghiera tutti i connazionali, ai quali assicuriamo la Nostra benevolenza, di cuore vi benediciamo, raccomandando al vostro pellegrinaggio mariano anche le Nostre particolari intenzioni. It is always a great joy for us to welcome our sons and daughters from Malta.

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As We have already mentioned, our special affection goes to the sick who have come this morning. Through you We greet all the sick and suffering of your beloved Island and bless them and those who care for them with Christian love. Once again We have the happy opportunity to greet a group from Japan: the members of the Italian Arts Seminar. It is our hope that your stay in Rome will be a happy one and that your studies and research will be successful. With affection for your country and with our prayer that she may fulfil her spiritual destiny, We invoke upon you all the choicest blessings of the Most High.

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Amadísimas jóvenes mexicanas:

De todo corazón os damos la bienvenida y os expresamos nuestra gratitud por esta visita.

El Papa y la Iglesia esperan mucho de vosotras, de vuestra juventud, tesoro de vida nueva y fresca, destinado a dar frutos abundantes. Que el contacto frecuente con la Palabra divina y con la Eucaristía alimente vuestros ideales cristianos, y mantenga puro, alegre y fuerte vuestro espíritu.

Una especial Bendición Apostólica para vosotras, para vuestras familias y para todo México.

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Amados Filhos do Brasil:

Com alegria vos saudamos, bem como aos demais peregrinos de língua portuguesa, presentes. Dado o voso número relevante, urna palavra especial para vós:

Sob o signo da fé, quisestes confluir na corrente dos que, pelo Sucessor de São Pedro, vieram render preito à Sé Apostolica de Roma. Trazeis o entusiasmo do Brasil inteiro, iluminado pela esperança nos destinos do vosso grande País, de arraigada e manifesta vocação cristã.

Pois bem: que lembrança vos daremos, dêste nosso encentro, no amor de Cristo? - Urna simples, mas afetuosa exortação, que quereríamos fosse mensagem e voto bem cordial, para todos os brasileiros:

Por um Brasil maior - no progresso e bem-estar de seus filhos, no concerto dos Povos e na vivencia da sua fé - continuai o esforço por realizar, em paz, a vossa vocação, vivendo e promovendo . . a justiça, carrdosamente unidos, solidários e em fraternidade, certos da Nossa confiança e com a Nossa Bênção Apostólica.


Mercoledì, 4 agosto 1971

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Fra le idee maestre del Concilio, le quali Noi ancora andiamo cercando di individuare e di approfondire, a presidio della nostra fedeltà a questo straordinario avvenimento nella Chiesa di Dio, ed a stimolo dello stile di vita ad esso conforme, primeggia certamente quella del rinnovamento.

Dovremmo rileggere quel magnifico documento che è la Bolla pontificia, con la quale il Nostro venerato Predecessore, il Papa Giovanni XXIII, indisse ufficialmente il Concilio (25 dic. 1961; AAS 1962, p. 5 ss.); e dovremmo riascoltare il discorso d’apertura del Concilio medesimo dello stesso Pontefice (11 ott. 1962; AAS 1962, p. 786 ss.) per risentire l’afflato di speranza, che da quella voce percorse la Chiesa come un annuncio profetico; ai profani parve l’eco del carme virgiliano: magnus ab integro saeculorum nascitur ordo (Ecl. IV, 4); ai fedeli risuonò l’accento biblico: «Ecco ch'Io faccio cose nuove, ed ora verranno in luce» (
Is 43,19). La novità parve la promessa caratteristica del Concilio: il risveglio spirituale, l’aggiornamento, il facile e felice ecumenismo, l’espressione nuova del cristianesimo secondo l’esigenza dei nostri tempi, la riforma della vita e delle leggi della Chiesa.

Questo senso di rinnovamento deve rimanere. Deve anzi essere operante. Deve essere accolto davvero come un invito e come un aiuto di Cristo, sommo e unico Capo, ora invisibile, della sua Chiesa per ringiovanirla, per darle l’intima certezza della sua sopravvivenza dopo secoli logoranti e drammatici d’umana esistenza, per svegliare nella Chiesa la coscienza delle energie latenti nel suo seno, per infonderle coraggio a dimostrarsi capace di una sempre migliore conformità allo spirito del Vangelo e della sua Croce rigeneratrice, per animarla ad osare nuove imprese promotrici della sua missione di salvezza nell’umanità, esaltata dalle sue temporali conquiste, e desolata dal vuoto interiore dei suoi insolubili dubbi, non che afflitta da antiche e nuove miserie sociali; e finalmente per confortarla, la Chiesa, a misurarsi in una sfida paradossale d’affermazione di fede; una fede spirituale e dottrinale, intatta ed univoca, apparentemente anacronistica e incomprensibile, ma irradiante di verità ed esprimibile in sempre fresca pluralità di linguaggio, col mondo secolarizzato, gigantesco e vorticoso, dei nostri giorni. E con la fede il messaggio di speranza, una speranza per oggi e per sempre; e con la speranza, propria della Chiesa, il dono gratuito del suo amore, comprovato dalla sua umiltà e dal suo servizio. Un miraggio di novità, di giovinezza, di coraggio, di letizia e di pace: questo propose il Concilio alla Chiesa.


DUE ATTEGGIAMENTI

Come sapete, vi sono stati, e vi sono tuttora, due atteggiamenti davanti a questo scoppio di novità conciliare: uno di diffidenza, quasi si trattasse d’un entusiasmo effimero, anzi dannoso e contrario al compito proprio della Chiesa, che è pur quello di custodire gelosamente il tesoro della rivelazione e della tradizione, di educare i fedeli alla conformità delle sue credenze, alla stabilità delle sue leggi, alla testimonianza della sua indefettibilità. In certi animi, fiduciosi piuttosto della consuetudine, che della novità, il Concilio ha lasciato un sedimento di disagio, tanto più inquieto e sofferente quanto invece più frettoloso e talvolta impetuoso e radicale si è dimostrato, in non pochi ambienti ecclesiastici, l’atteggiamento contrario, quello favorevole alla novità, al rinnovamento della Chiesa post-conciliare.

E questo secondo atteggiamento, quello del rinnovamento concepito nei giusti termini, e secondo «lo Spirito buono», promesso dal Padre celeste a chi debitamente lo implora (Cfr. Lc 11,11), vuol essere il Nostro è certo il vostro; è quello buono, poi pensiamo, e Noi desideriamo. Potremmo, per grazia del Signore, darne non poche e non piccole prove, che ci sembrano convincenti, per quanto riguarda la Sede Apostolica, se si pensa alla somma di provvedimenti innovatori emanati in questo periodo, specialmente se si guarda alla riforma liturgica - grande novità! - e ci sembrano queste prove consolanti e promettenti, se si considerano le nuove strutture sorte nella Chiesa, come quella del Sinodo Episcopale e quella delle Conferenze Episcopali; così se si riflette alla revisione delle Regole di tutte le Famiglie religiose, e alla promozione del Laicato cattolico nella collaborazione consultiva e operativa della vita ecclesiale, sia localmente, che negli organismi internazionali. Siamo inoltre fiduciosi che ancora più si potrà fare per perfezionare, distribuire e accelerare la circolazione della attività del Corpo mistico, se questa operazione di rinnovamento potrà procedere con l’ordine e con il «senso della Chiesa», che a ciò si richiede.


PERICOLI DELLA RICERCA DI NOVITÀ

Ma dobbiamo fare attenzione ad alcuni pericoli che la ricerca di novità può produrre, conducendo a risultati opposti a quelli sperati dal Concilio. Parliamo a chi ama la Chiesa, e ci limitiamo ad alcune semplici osservazioni, su cui ciascuno può riflettere a lungo da sé.

Per esempio, nessuno può desiderare la novità nella Chiesa, là dove la novità significhi tradimento alla norma della fede; la fede non s’inventa, né si manipola; si riceve, si custodisce, si vive; ovvero porti offesa alla comunione che, pur nel riconoscimento dei diritti particolari, quelli della persona umana, della Chiesa locale, della Collegialità, ecc. deve concepire la Chiesa una, comunitaria e gerarchica, organica e concorde, come l’ha voluta il Signore, e come la tradizione apostolica, autentica e legittima l’ha sviluppata. «Io sono la vite vera, ha detto Cristo Signore; voi i tralci» (Jn 15,1-6); non dimentichiamo mai questa stupenda immagine evangelica, anche quando le fronde della vite hanno bisogno di potatura, cioè di rinnovamento, per togliere le sterili e per provocare nelle altre una maggiore fecondità. La novità per la novità non sarebbe giustificata. Specialmente se noi cediamo ad alcune tentazioni caratteristiche del tempo nostro, quella di abolire ogni riguardo alla tradizione, alla storia, alla esperienza, attraverso le quali a noi è giunto il Vangelo e ci è oggi presente la Chiesa. Forse v’è qualcuno che vorrebbe dimenticare il patrimonio ereditato, e partire da zero per modellare a proprio talento un’impossibile Chiesa totalmente nuova ed arbitraria. Non c’insegna nulla la passione ecumenica?


IL CARISMA DELLA CARITÀ

Poi. A proprio talento? se si osservano questi tentativi velleitari, sperano di fondare una Chiesa nuova, una propria chiesuola nuova, ripudiando quella esistente, vediamo facilmente ch’essi quasi sempre non sono né nuovi, né liberatori; sono flessioni alla mentalità profana del tempo, alla quale si vorrebbe assimilare la Chiesa con l’intenzione, forse buona, d’inserirla nella vita moderna, ma col risultato di privarla della sua divina, umana ed autentica originalità, e di imprimerle sul volto quei caratteri sociologici e mondani, che riferiti ad altri momenti storici abbiamo, non senza ironia, biasimato come «costantiniani», neo-ellenici, feudali, o altro, non genuinamente ecclesiali.

Così si è parlato tanto del rinnovamento delle «strutture», sognando forse un disegno costituzionale nuovo della Chiesa, svalutando i Concili precedenti, per ricadere, senza badarvi, in un giuridismo nuovo, ovvero per dare all’animazione carismatica del Popolo di Dio una funzione autonoma, o prevalente, dimenticando che essa deve essere concepita in utilità della comunione ecclesiale (Cfr. 1Co 12-14), non in disintegrazione della sua compagine ministeriale, dove «tutte le cose devono farsi convenientemente e con ordine» (1Co 14,30).

Fratelli e figli carissimi, desideriamo, sì, ed operiamo per dare alla Chiesa Post-conciliare un volto nuovo! soprattutto col rinnovamento interiore (Ep 4,23), di cui si è altra volta parlato. È lo sforzo in atto, a cui tutti possiamo concorrere, amandola, la Chiesa, e dando a noi stessi per lei, con umiltà e fervore, il carisma migliore, quello della carità (Cfr. 2Co 12-13).

Con la Nostra Apostolica Benedizione.



Fedeltà al Sacerdozio

Desideriamo ora rivolgere un particolare saluto ai cinquecento sacerdoti, provenienti da varie nazioni europee, che partecipano ad uno dei convegni annuali presso il Centro Mariapoli dei Focolarini, a Rocca di Papa. È un saluto ispirato a vivissimo affetto: sia perché siete sacerdoti, pupilla dei nostri occhi, primi e instancabili collaboratori dei vostri Vescovi nel reggere la Chiesa, padri, maestri e guide del popolo di Dio, a cui Cristo affida i suoi stessi poteri per continuare a irradiare nel mondo la sua missione redentrice; sia perché, come ci avete fatto sapere, voi volete vivere fedelmente, genuinamente, autenticamente questa vostra vocazione, sulla sequela fedele di Cristo Gesù.

Noi facciamo voti, affinché nella vostra vita si prolunghi la sua, nella vostra obbedienza, povertà e castità si rifletta perfettamente il divino modello che è Lui, tutto proteso a fare la volontà del Padre, a spendersi per le anime, «factus oboediens usque ad mortem, mortem autem Crucis» (Ph 2 Ph 8).

Voi siete gli operai ordinari di questa grande missione, la Grazia di Dio passa per le vostre mani, per le vostre labbra, voi siete a contatto col popolo, voi siete i canali immediati di questa grazia del Signore.

E perciò potete pensare quale importanza Noi attribuiamo al ministero dei sacerdoti, quale affetto vi segue, quale speranza Noi facciamo riposare sopra di voi e quale cosa Noi vi domandiamo in questa ora che sembra diventare critica per la Chiesa. Vi domandiamo la fedeltà, la fedeltà a Cristo, alla Chiesa, alle anime, al popolo di Dio.

Chi abbandona il sacerdozio non abbandona soltanto la propria missione, la propria promessa. Abbandona i poveri, abbandona quelli che hanno bisogno di istruzione, abbandona quelli che domandano i sacramenti. Diserta il posto di prima linea che è nella Chiesa. Quindi a voi domandiamo, figli carissimi: siate generosi. Il Signore vi domanda, sì, grandi sacrifici e grande dedizione, non vi darà riposo in questa vita. Ma avrete certamente il premio più grande che può essere dato a chi è veramente servitore del Vangelo, della Chiesa e di Gesù Cristo.

Cercate di mantenere alto questo vostro impegno: oggi non di parole si ha bisogno, ma di esempio, di concretezza, di generosità: è questo che il Signore vuole da voi, è questo che da voi si aspetta la Chiesa, e il popolo cristiano. Non deludetene le speranze: e avanti, sempre lieti e sereni, «in nomine Domini»! Proprio nel suo Nome Noi vi benediciamo, e vi auguriamo un ministero santo e fecondo, mentre vi assicuriamo il Nostro ricordo nella preghiera, come facciamo per tutti i sacerdoti del mondo, con vivissimo affetto. Dio vi benedica sempre!

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Nous nous tournons avec une attention toute particulière vers les jeunes du Mouvement international PAX CHRISTI qui ont choisi Rome comme lieu de convergente, de leur «Route» d’été. Chers amis, soyez les bienvenus vous et vos aumôniers. Sachez approcher, avec tout le respect que cela requiert, de vos frères qui sont dans le besoin parce que souvent ils n’ont pas eu les mêmes chances que vous. Méditez aussi le message des apôtres Pierre et Paul, des martyrs, de toute tette lignée de chrétiens dont le témoignage ininterrompu a préparé ce que vous devez être: des chrétiens généreux, enracinés dans la foi, soucieux de suivre le Seigneur Jésus dans son amour sans mesure. Préparez-vous à contribuer positivement à l’épanouissement spirituel et matériel de tous vos frères, et d’abord de ceux que le Seigneur a confiés à votre propre responsabilité, au prix de votre propre sueur, de votre argent, de votre temps, faisant de votre vie un service. Par dessus-tous, soyez les artisans de paix et d’unité dont parle l’Evangile. N’est-ce pas la le programme de votre mouvement? Voila ce que le monde attend de votre ardeur. Voilà ce qui fera croître l’Eglise. Voilà les grâces que Nous demandons à Dieu pour vous. Et de tout coeur Nous vous bénissons.

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We are pleased to greet the large group of Knights of Columbus from the Boston area, who are accompanied by Bishop Minihan. It is our hope that your visit to Rome will be a happy one; We pray that the Holy Apostles Peter and Paul will obtain for you an ever greater love of Jesus Christ and zeal for the service of his people.




Mercoledì, 11 agosto 1971

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Un'altra parola, fra quelle più ripetute e cariche di significato rivelatore e innovatore del volto della Chiesa, risuona a noi dal Concilio, ed è quella sul Laicato. Salutiamo questa parola come un termine fondamentale della costituzione della Chiesa, come una definizione che tutti ci riguarda, come un programma che fa parte della missione apostolica della Chiesa stessa. Se ne è tanto parlato in questi ultimi anni, prima e dopo il Concilio, che sembra superfluo sceglierla come tema di nuovo discorso. Ma non è vano dedicarvi un istante di riflessione per quanto a Noi preme: fare cioè degli insegnamenti originali e caratteristici del Concilio concetti operanti nella nostra coscienza ecclesiale.


ESPLICITI RIFERIMENTI

Il termine «laico» non è originale nella nomenclatura nostra, perché era studiato e adoperato anche prima del Concilio nel significato medesimo che il Concilio fece proprio. Ecco, ad esempio, come già nel 1946, si esprimeva il Nostro grande e venerato Predecessore: «Essi, specialmente essi (i Laici) devono avere sempre più chiara consapevolezza non solo d’appartenere alla Chiesa, ma d’essere la Chiesa, vale a dire la comunità dei fedeli sulla terra, sotto la condotta del Capo comune, il Papa, e dei Vescovi in comunione con lui. Essi sono la Chiesa» (AAS, 1946, p. 149; Y. CONGAR, Jalons pour une Théologie du Laïcat, Unam Sanctam, Paris 1953). Ma caratteristico, sì, perché il Concilio Vaticano secondo dedica ai Laici lunghe trattazioni, e spesso vi fa esplicito riferimento. Basti ricordare come la Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, riserva ai Laici tutto il capitolo quarto, e come un Decreto speciale sia tutto riservato all’apostolato dei Laici: Apostolicam actuositatem. Non si può avere un’idea adeguata, anche se sommaria sulle dottrine del Concilio, senza assegnarvi un posto speciale sul Laicato.

Ma facciamo attenzione al significato polivalente della parola «laico». L’etimologia ci porta a identificarla con quella di «popolare»; «laos», in greco, significa popolo. Perciò, per noi, laico è colui che appartiene al Popolo di Dio; espressione questa esaltata dal Concilio quasi a farne l’equivalente storico, sociale, spirituale della Chiesa, da integrarsi con quelle altre espressioni che ne tentano la definizione, specialmente con quella vertice di «Corpo mistico» di Cristo. Laico per la Chiesa, è colui che vi è inserito come membro vivo ed operante, mediante i sacramenti dell’iniziazione cristiana, primo fra essi il battesimo. Un aspetto negativo limita la fisionomia ecclesiale del Laico, perché questi non è qualificato dall’ordinazione sacramentale, che fa del cristiano, cioè del Laico, un ministro insignito di particolare potestà, diaconale o sacerdotale, ovvero dall’appartenenza ufficiale allo stato religioso: il Laico non è un prete, il laico non è un religioso. E tanto bastò perché il termine laico assumesse nel linguaggio comune il significato di profano (ricordiamo il verso oraziano: odi profanum vulgus et arceo), anzi di secolare e poi di areligioso o peggio, come oggi si dice, di laicista, e sovente di antireligioso e anticlericale.


LE NORME DELLA «LUMEN GENTIUM»

Ma noi stiamo al significato riconosciuto nella nostra famiglia ecclesiale per ricordare come laico per noi vuol dire ciò che ognuno di noi è, un cittadino del Popolo di Dio, un membro della Chiesa, un fedele, un cristiano. E procuriamo di avere caro questo titolo per la duplice dignità con cui il Concilio lo esalta. Possiamo semplificare concettualmente: la dignità del suo essere e la dignità della sua missione; vale a dire dei suoi diritti e dei suoi doveri. Possiamo rintracciare la carta dei diritti del Laico cattolico nel primo documento citato, la Lumen Gentium e trovare ampiamente illustrati i doveri suoi nel Decreto pure citato sull’attività dei Laici, che assurge alla qualifica e alla funzione di apostolato.

Quante cose da dire, da studiare, da fare ci sono insegnate in queste pagine bellissime e memorabili. A tutti rivolgiamo l’esortazione di meglio conoscerle. Si vedrà come la struttura del Laicato nella Chiesa abbia le sue radici nella compagine interiore, sacramentale della Chiesa stessa; si vedrà come il Laicato, scaturito dal battesimo, corroborato dalla cresima, alimentato dall’Eucaristia, formi la base d’eguaglianza per tutti quanti hanno la fortuna di essere membra della Chiesa; tutti siamo eguali, siamo fratelli (
Mt 23,8), siamo animati dallo stesso Spirito vivificante e santificante (1Co 12,4 ss.), e si vedrà come l’unità sia il principio e il termine della vita della Chiesa, la sua esigenza vitale, quella stessa che genera e giustifica la pluralità delle funzioni operative e gerarchiche del medesimo corpo ecclesiastico; così che esso sarà un popolo sacerdotale (Cfr. Ap 1,6 1P 2,4-10), dedicato cioè al culto divino e alla santificazione propria e del mondo, formato e governato da un Sacerdozio più pienamente partecipante a quello di Cristo, e dotato di proprie facoltà sovrumane e specifiche per il ministero dei fratelli (Cfr. Lumen gentium LG 10 LG 34). La compagine mistica e visibile della Chiesa apparirà più evidente nel suo carattere unitario e comunitario, e al tempo stesso organico e gerarchico; carismatico e istituzionale insieme. È questo un punto che oggi merita attenta considerazione.


LA FORMULA CLASSICA DELL'AZIONE CATTOLICA

E dell’apostolato dei Laici che cosa diremo? vocazione esso è, libero perciò ma moralmente doveroso. Una delle verità affermate con maggiore energia è questa: la partecipazione alla missione della Chiesa è aperta a tutti i cristiani suoi figli; aperta, ma obbligante. Perché non deve esistere un membro inerte e passivo nel Corpo mistico di Cristo; tutti ed ognuno devono collaborare, in diversa forma e misura, ma con comune corresponsabilità all’opera apostolica della Chiesa. Se ne è parlato tanto; ma davanti all’indifferenza di molti cattolici, alla diffidenza anzi che troppi oggi dimostrano per le forme associative, per il proselitismo, per l’ansia di comunicare agli altri la fede e la carità della Chiesa, c’è quasi da chiedersi se l’apostolato attivo, organizzato, comunitario sia in fase di progresso, ovvero di stasi e di dissolvimento.

Per fortuna molti sono i modi, in cui questa vitalità della fede e della carità, che oggi chiamiamo apostolato, si manifesta; e ciò lascia bene sperare e merita comprensione e sostegno. Rimane tuttavia formula classica quella che stabilisce rapporti stretti ed organici fra l’attività apostolica dei Laici e la Gerarchia ecclesiastica, e che ancora si chiama, quasi per antonomasia, Azione Cattolica; e che Noi non cessiamo di raccomandare al Clero, affinché la favorisca e la assista; ai Laici più coraggiosi e più generosi, affinché vi sappiano infondere la loro intuizione dei bisogni dei tempi, la ricchezza delle loro energie, la comunione totale con la Chiesa di Dio (Cfr. Apostolicam actuositatem AA 1 AA 20).

Ai Laici tutti, a cui non torni ostica o straniera questa Nostra parola; e a voi tutti qui presenti la Nostra affettuosa Benedizione Apostolica.



I corsi estivi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

Anche quest'anno abbiamo il piacere di rinnovare un incontro, A ormai tradizionale: quello con i professori e gli alunni sia dei corsi estivi internazionali di lingua e cultura italiana, sia dei Classical Medieval Renaissance Studies in English, organizzati dall’Università Cattolica del S. Cuore, presso la Facoltà di Medicina in Roma: ci procura grande consolazione trovarci tra di voi, diletti giovani di ogni parte del mondo, che venite a perfezionare la vostra conoscenza dell’Italia e della sua storia civile e letteraria, accomunati dall’ammirazione e dall’amore per le grandi lezioni che Roma classica e cristiana sa dare alle anime pensose del bene, della verità e della bellezza. Noi siamo certi che queste voci, che salgono a voi dai secoli, e che voi, guidati dagli esperti insegnanti, sapete cogliere dalle testimonianze umane e cristiane con cui venite a contatto, vi trovano disposti ad aprirvi per apprenderle, per approfondirle, per assimilarle, e per tradurle poi nella vostra sensibilità affinché continuino a vivere nella specifica temperie spirituale, propria delle vostre culture e civiltà. È un incontro, il vostro, ricco di fermenti: non solo sul piano culturale, ma anche e soprattutto, su quello personale - nella esperienza di vita fraterna, di comprensione reciproca, di affinamento e di arricchimento interiore, che vi viene offerto nell’ambito dei Corsi presso l’Università Cattolica. Sappiatene profittare: con l’acuta perspicacia dei vostri giovani anni, andate in cerca dei valori veri, che non tramontano con le mode effimere, ma nel segno dell’umanesimo, illuminato dalla grandezza che gli viene da Dio, perseguite nella ricerca di ciò che vi dà il possesso della vera, duratura sintesi tra il pensiero e l’azione, tra lo studio e la vita, tra l’otium - nel senso romano - della cultura e l’impegno dell’azione, a cui chiama oggi l’umanità stanca e oppressa. Vi seguiamo con grande simpatia e su tutti invochiamo le copiose benedizioni del Signore.

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Porgiamo il Nostro saluto al gruppo di insegnanti ed allieve dell’Istituto internazionale di Scienze dell’Educazione, con sede qui a Castelgandolfo. Sappiamo che questo vostro Istituto è frequentato da studentesse di ogni parte del mondo, che desiderano perfezionare la loro preparazione nella scienza pedagogica. Vi porgiamo il Nostro vivo compiacimento per il senso di responsabilità che dimostrate, nel volere - a contatto con persone di varia provenienza e di diversa pratica educativa - porre le basi del vostro domani con un’esperienza valida, destinata ad arricchirvi molto, nella mente e nell’anima. Voi attendete all’acquisizione delle scienze, quella di formare gli animi alla conoscenza della verità. Vi è necessaria grande apertura di spirito, studio volonteroso, conoscenza aggiornata dei metodi pedagogici, capacità di sintesi, secondo le indicazioni che il Concilio Vaticano II ha dato sia sul compito dell’educazione cristiana (Gravissimum educationis), sia sulla necessità di una cultura unificatrice, illuminata dalla luce del Verbo (Gaudium et Spes GS 53-42).

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Lo que aprendéis en estos cursos os será de gran utilidad para la tarea que estáis llamadas a desarrollar, corno mujeres, no solamente en centros educativos, sino también en la familia y en la comunidad eclesial: ahí podéis encontrar la razón de Nuestra estima y de Nuestra benevolencia. Os formulamos, por tanto, los mejores votos para que saquéis el mayor provecho de vuestra permanencia en estas colinas de Albano; y os acompañamos con Nuestra particular Bendición Apostólica, que extendemos a cuantos se dedican a vuestra formación integral.

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Our special greetings go to the students from Nanzan University in Japan. We appreciate your visit and recall that of your colleagues in the past. We feel that We are friends of all of you and are most happy to welcome you this morning.

We are happy to offer a special word to the members of the Men’s Sodality of Our Blessed Lady from Dublin and their families, who have come to Rome on the occasion of the centenary of their association. We are grateful for your visit and We pray that the Blessed Virgin may ever guide you along the path of holiness. We ask you to take our greeting also to those members who have not been able to come on this pilgrimage. Upon you all We invoke the abundance of God’s grace.

With Our Apostolic Blessing.

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Aunque no podáis escuchar directamente nuestra voz, deseamos dirigiros un especial saludo, amadísimos sordomudos que hoy habéis querido visitarnos, y estamos seguro de que en vuestro espíritu comprendereís perfectamente Nuestros vivos sentimientos de paternal afecto, junto con Nuestros fervientes votos para que la gracia y la alegría del Señor moren siempre en vuestros corazones.



Mercoledì, 18 agosto 1971


Paolo VI Catechesi 28771