Paolo VI Catechesi 19172

Mercoledì, 19 gennaio 1972

19172

Provate a mettere la vostra mente, il vostro spirito, anzi la vostra coscienza di vivere davanti al cumulo delle questioni maggiori, quelle che riguardano l’origine dell’universo, il senso della vita, l’ansia del conoscere il destino dell’umanità, il fenomeno religioso che intende rispondere a questi problemi, assorbendo e superando quanto la scienza e la filosofia ci possono dire in proposito; e provate a collocare il fatto cristiano in mezzo e al di sopra di tali interrogativi, che riconosciuti nelle loro esigenze sconfinate chiamiamo tenebre, ma che al confronto col fatto cristiano stesso si rischiarano, e lasciano intravedere la loro misteriosa profondità ed insieme una certa loro nuova meravigliosa bellezza, e sentirete echeggiare dentro di voi, come fossero in questo stesso istante pronunciate, le parole notissime del Vangelo di Giovanni: «La luce risplende nelle tenebre» (
Jn 1,5); il panorama del cosmo si è illuminato come dalla notte fosse sorto il sole, le cose mostrano un loro incantevole ed ancora esplorabile ordine; e l’uomo quasi ridendo e tremando di gioia viene a conoscere se stesso, e si scopre come il viandante privilegiato che cammina, minimo e sommo; nella scena del mondo, con la simultanea coscienza d’aver diritto e capacità di dominarlo, e d’avere insieme dovere e possibilità di trascenderlo nel fascino d’un nuovo rapporto che lo sovrasta: il dialogo con Dio; un dialogo che si apre così: «Padre nostro, che sei nei cieli . . .».

Non è sogno, non è fantasia, non è allucinazione. È semplicemente l’effetto primo e normale del Vangelo, della sua luce sullo schermo di un’anima, che si è aperta ai suoi raggi. Come si chiama questa proiezione di luce? si chiama la Rivelazione. E come si chiama questa apertura dell’anima? si chiama la fede.

Stupende cose, che attingiamo a quel libro sublime di teologia e di mistica, che si chiama il catechismo, cioè il libro religioso delle verità fondamentali. Ma questa prefazione vuole oggi interessare quanti ci ascoltano ad una successiva questione, che noi riteniamo di massima importanza rispetto alla condizione ideologica, in cui oggi l’uomo pensante religiosamente si trova; e cioè: il contatto con Dio, risultante dal Vangelo, è un momento iscritto in una naturale evoluzione dello spirito umano, la quale tuttora continua mutandosi e superandosi, ovvero è un momento unico e definitivo, del quale dobbiamo nutrirci senza fine, ma sempre riconoscendone inalterabile il contenuto essenziale? La risposta è chiara: quel momento è unico e definitivo. Cioè la Rivelazione è inserita nel tempo, nella storia, ad una data precisa, ad un avvenimento determinato, che con la morte degli Apostoli si deve dire concluso e per noi completo (Cfr. DENZ.-SCH. DS 3421). La Rivelazione è un fatto, un avvenimento, e nello stesso tempo un mistero, che non nasce dallo spirito umano, ma è venuto da un’iniziativa divina, la quale ha avuto molte manifestazioni progressive, distribuite in una lunga storia, l’antico Testamento; ed è culminata in Gesù Cristo (Cfr. He 1,1 1Jn 1,2-3; Const. Conc. Dei Verbum DV 1). La Parola di Dio è così finalmente per noi il Verbo Incarnato, il Cristo storico e poi vivente nella comunità a Lui congiunta mediante la fede e lo Spirito Santo, nella Chiesa, cioè il suo Corpo mistico.

Così è, Figli carissimi; e così affermando, la nostra dottrina si stacca da errori che hanno circolato e tuttora affiorano nella cultura del nostro tempo, e che potrebbero rovinare totalmente la nostra concezione cristiana della vita e della storia. Il modernismo rappresentò l’espressione caratteristica di questi errori, e sotto altri nomi è ancora d’attualità (Cfr. Decr. Lamentabili di S. Pio X, 1907, e la sua Enc. Pascendi; DENZ.- SCH. DS 3401, ss.). Noi possiamo allora comprendere perché la Chiesa cattolica, ieri ed oggi, dia tanta importanza alla rigorosa conservazione della Rivelazione autentica, e la consideri come tesoro inviolabile, e abbia una coscienza così severa del suo fondamentale dovere di difendere e di trasmettere in termini inequivocabili la dottrina della fede; l’ortodossia è la sua prima preoccupazione; il magistero pastorale la sua funzione primaria e provvidenziale; l’insegnamento apostolico fissa infatti i canoni della sua predicazione; e la consegna dell’Apostolo Paolo: Depositum custodi (1Tm 6,20 2Tm 1,14) costituisce per essa un tale impegno, che sarebbe tradimento violare. La Chiesa maestra non inventa la sua dottrina; ella è teste, è custode, è interprete, è tramite; e, per quanto riguarda le verità proprie del messaggio cristiano, essa si può dire conservatrice, intransigente; ed a chi la sollecita di rendere più facile, più relativa ai gusti della mutevole mentalità dei tempi la sua fede, risponde con gli Apostoli: Non possumus, non possiamo (Ac 4,20).

Questa troppo sommaria lezione non è qui finita, perché resterebbe da accennare come questa rivelazione originaria si trasmetta attraverso la parola, lo studio, l’interpretazione, l’applicazione; cioè come essa generi una tradizione, che il magistero della Chiesa accoglie e controlla, talvolta con decisiva e infallibile autorità. Resterà anche da ricordare come la conoscenza della fede e l’insegnamento che la esibisce, cioè la teologia, possano esprimersi in misura, in linguaggio, in forma diversa; cioè come sia legittimo un «pluralismo» teologico, quando si contenga nell’ambito della fede e del magistero affidato da Cristo agli Apostoli e a chi loro succede.

E resterà ancora da spiegare come la Parola di Dio, custodita nella sua autenticità, non sia, per ciò stesso, arida e sterile, sì bene sia feconda e viva, e destinata non solo ad essere passivamente ascoltata, ma vissuta, sempre rinnovata ed anche originalmente incarnata nelle singole anime, nelle singole comunità, nelle singole Chiese, secondo le doti umane e secondo i carismi dello Spirito Santo, di cui dispone chiunque si fa discepolo fedele della Parola viva e penetrante di Dio (Cfr. He 4,12).

Forse ne riparleremo, a Dio piacendo. Ma bastino intanto questi frammenti di dottrina cattolica a rendervi pensosi, fervorosi e felici. Con la nostra Benedizione Apostolica.

Capitolari Scalabriniani

Il nostro saluto riverente ed affettuoso si rivolge ora ai Padri Capitolari della Congregazione dei Missionari di S. Carlo, che tutti conoscono sotto il nome di Scalabriniani, presenti a Roma per portare a termine la seconda e conclusiva fase del loro Capitolo Generale Speciale.

Vi siamo sinceramente grati di questa visita, figli carissimi, e cogliamo volentieri l’occasione per manifestarvi ancora una volta tutta la stima che nutriamo verso la vostra benemerita Congregazione, dedicata all’assistenza religiosa degli emigranti italiani. Oggi più che mai la Chiesa avverte l’urgenza di un apostolato, qual è quello a cui con zelo esemplare si prodigano i valorosi Missionari Scalabriniani. Nell’esprimervi il nostro compiacimento per l’importante avvenimento che state celebrando, noi auguriamo che il vostro Istituto, grazie all’aggiornamento che riceverà dalle vostre sagge decisioni, si trovi sempre più autenticamente aderente ai suoi fini ed alla spiritualità che vi ha impressa quella grande figura di apostolo che fu il Servo di Dio Mons. Giovanni Battista Scalabrini, Vescovo di Piacenza, il cui nome e le cui preveggenti iniziative (come la Società di San Raffaele), anche a distanza di tempo, sono motivo di profonda ammirazione e di salutare incitamento. E nello stesso tempo facciamo voti che l’opera scalabriniana, dinamica come sempre ed attenta alle necessità dell’ora presente, possa sviluppare sempre più la propria efficienza, sia religiosa che morale e sociale, a favore di tanti lavoratori lontani dalla patria ed esposti a mille pericoli spirituali e morali.

Vi sostenga l’aiuto divino specialmente in quanto vi è di faticoso nel vostro nobilissimo compito; e a tal fine vi impartiamo di cuore l’Apostolica Benedizione, che volentieri estendiamo ai vostri confratelli e a tutti gli emigrati da loro assistiti.

Cappellani Militari della P. S.

Nell'udienza di stamane abbiamo la gioia di accogliere un gruppo di Cappellani Militari, addetti al Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, che partecipano ad un Convegno di studio su problemi pastorali, presso il Centro di Spiritualità Francescana a Grottaferrata.

Cari e venerati sacerdoti! Voi venite a recarci l’espressione dei sentimenti della vostra devozione filiale; venite a presentarci la testimonianza dello zelo animatore della vostra attività e a rinnovare davanti a noi i propositi che la devono guidare e sorreggere; e venite a chiedere al Vicario di Cristo una parola di conforto.

Siamo particolarmente lieti di incontrarci con voi, per manifestarvi l’alta considerazione in cui noi teniamo la vostra specifica missione di apostolato, per ringraziarvi del prezioso servizio pastorale che compite con esemplare abnegazione, e per incoraggiarvi a perseverare in esso con rinnovato vigore e con autentica fedeltà alla vostra vocazione, affinché possiate sempre meglio essere sostegno spirituale a quanti sono affidati alle vostre sollecitudini sacerdotali.

Noi vi seguiamo con la preghiera, che vi invoca l’assistenza costante del Signore, perché ciascuno di voi si allieti di frutti fecondi, pur nella difficoltà del vostro ministero; e vi siamo vicini con grande fiducia, con paterno affetto, con speciale Benedizione.

Collegio S. Olaf

We wish to greet in a special way a group of professors and students who have come to visit us from St. Olaf’s College in Northfield, Minnesota. We trust that your stay in the city of Rome will prove both pleasant and profitable. We shall pray for you in your efforts to study Christ and his teaching ever more deeply and we invoke upon you and your loved ones blessings from God.


Mercoledì, 26 gennaio 1972

26172

Chi, come noi e come chiunque abbia la duplice responsabilità di conservare la propria fede religiosa e di comunicarla ad altri, avverte ad ogni istante che la difficoltà a credere, e, in genere, a professare la religione oggi è cresciuta.

Che l’uomo abbia una innata tendenza religiosa non si può negare; ma che l’uomo progredito ed evoluto del nostro tempo incontri oggi maggiore fatica ad assecondare tale tendenza e a condurla ad espressioni concrete e soddisfacenti, questo stupisce, questo addolora. Stupisce e addolora, specialmente perché sembra chiaro che la causa generale della irreligiosità moderna sia proprio il progresso moderno. L’uomo è cresciuto in ogni campo: della sua coscienza, della sua scienza, della sua attività; ed è invece diminuito nella sua capacità di comunicare col mondo religioso. Che sia il progresso a vanificare la religione?

Ci accorgiamo di entrare in un mare di questioni, di ogni genere, alle quali ora non intendiamo certo rispondere. Non basterebbero volumi. Intendiamo soltanto porre la vostra attenzione davanti all’osservazione del fatto vastissimo e notissimo della decadenza della pratica religiosa per stimolare la vostra mente a chiedersi perché. Quali sono le cause vere di questo grande fenomeno? E per ora ci basterebbe che la vostra indagine si limitasse ad individuare le cause interiori, le cause soggettive e personali. Vi preghiamo solamente di cercare da voi stessi i motivi di questo fenomeno. Che il fenomeno della irreligiosità moderna, ovvero dell’agnosticismo diffuso nella mentalità propria del nostro tempo, ovvero del processo laicizzatore dell’opinione pubblica, sia nel mondo della cultura, sia in quello della politica, sia in quello sociale, si debba ritenere fenomeno importante, e sotto molti aspetti fenomeno grave ed operante, nessuno lo può negare; e ciò tanto nel foro delle coscienze, quanto in quello degli orientamenti caratteristici della civiltà. Non è dunque vano e superfluo tentare di rendersi ragione dello svolgimento negativo odierno del fenomeno religioso.

Ricerca doverosa. E ricerca feconda. Se pretendiamo d’essere «adulti», cioè intelligenti, cioè liberi, cioè impegnati nell’uso intensivo e logico delle nostre facoltà umane, dobbiamo porre a noi stessi il problema religioso, nella sua concreta pienezza: il problema della fede.

Rinunciamo in questo momento a fare dell’apologia. Ci basti l’analisi, la diagnosi. E lasciando a ciascuno di tentare questa onesta riflessione, noi ora la mettiamo sulla strada dell’indagine con qualche semplice domanda. E la prima sia questa: è facile arrivare alla conoscenza religiosa naturale, cioè per via di ragione? o rivelata, cioè per via di fede? Noi anticipiamo la risposta: no, non è facile. Anche se è profondamente radicata nell’essere umano: mente, cuore, sentimento, radicata, diciamo, l’aspirazione verso Dio, non è facile soddisfare questa aspirazione. Siamo essenzialmente orientati verso di Lui, verso l’Assoluto, verso la ragione suprema di tutte le cose, verso il principio e il fine di tutto quanto esiste ed avviene; ma noi non riusciamo a farcene una concezione adeguata, e tanto meno una immagine sensibile o fantastica soddisfacente. La nostra religione naturale, se una religione vogliamo ammettere che, almeno potenzialmente, noi portiamo dentro di noi, essa non sarà che una ricerca di Dio, un tentativo d’avvicinarci a Lui. Coloro stessi che sostengono di raggiungere l’idea di Dio per il fatto stesso che pensano e che vogliono, come intimo e sommo coefficiente della verità del pensiero e della bontà del volere, devono ammettere la natura indeterminata, e perciò nebulosa, di questa iniziale e seminale conquista di Dio: Egli è al vertice dei desideri, Egli è alla radice delle ricerche, Egli è sotto il velo di un’intuita immanenza; ma Dio rimane mistero, e perciò tormento e dramma dello spirito umano. Sappiamo questo forse per qualche intima e abbagliante esperienza personale; lo sappiamo dalle pagine più alte dei mistici e dei poeti; e lo sappiamo anche dai libri che consideriamo divini: dice, ad esempio, l’evangelista-aquila, S. Giovanni: «Nessuno mai ha veduto Dio» (
Jn 1,18); e così S. Paolo: «Le cose divine nessun altro le sa fuorché lo Spirito di Dio» (1Co 1,11).

Perciò non è da meravigliarsi se da sempre la questione religiosa è difficile, e per molti, superficiali o superstiziosi, essa rimane altrettanto presente allo spirito, quanto insolubile.

Insolubile per difetto di buona ricerca. E questa è la causa che ora ci interesserebbe esplorare. La religione, e tanto più la fede, è difficile non solo per se stessa, ma anche per causa nostra. Noi non impieghiamo le nostre facoltà in maniera soddisfacente. Noi tutti, discepoli del nostro tempo, siamo di solito molto bravi ad applicare secondo le regole richieste ogni nostro strumento affinché questo raggiunga il suo fine. Nessuno di noi userebbe, ad esempio, una macchina fotografica senza la rigorosa osservanza delle norme che le sono proprie per ottenere il risultato voluto, quello d’una fotografia perfetta. Così si dica d’ogni altro strumento a nostra disposizione: esso deve essere adoperato secondo le regole requisite per la efficacia del suo servizio. Sotto questo aspetto, il progresso ci ha educato ad essere molto bravi, e ci ha abituati a conseguire conquiste meravigliose, tanto che, generalmente parlando, siamo portati a preferire questo modo di conoscenza, diciamo di conoscenza strumentale e scientifica a qualsiasi altro modo di conoscenza; e a questo riguardo possiamo ammettere che il progresso strumentale e scientifico ci attrae, ci conquide, ci appassiona in concorrenza e spesso in contrasto con la conoscenza speculativa e con la profonda esperienza morale, le quali servono normalmente di vie alla vita religiosa. Abbiamo trascurato le vie della sapienza per correre lungo le vie della scienza. Non che la sapienza e la scienza si escludano a vicenda, ché anzi l’una postula l’altra vicendevolmente. Ma il fatto si è che la mentalità moderna si appaga della certezza e della utilità pratica del suo razionalismo nozionale e scientifico a scapito del ragionamento filosofico (Cfr. Rm 1,20) e della ricerca della verità per i sentieri dell’onestà morale (Cfr. Jn 3,21); e ciò rende più difficile la vita religiosa e l’accettazione della fede. Un errore di metodo, un peccato di omissione, una distrazione pedagogica grava sulla mentalità comune moderna; un laicismo esclusivista, una rinuncia all’impiego delle superiori facoltà spirituali, una opacità materialista ha impedito all’uomo del nostro tempo di venire a colloquio col mondo religioso, con la Realtà indispensabile ch’esso contiene e dischiude soltanto ai cercatori umili e saggi della luce divina, agli alunni dello Spirito, ai captatori del dono inestimabile della fede e della grazia. Forse per molti di noi si verifica quel tremendo verdetto del Vangelo, che fa d’un certo uso dell’intelligenza stessa una cecità: «guarderanno e non vedranno» (Cfr. Mt 13,14 e Is 6,9 Jn 12,40, etc.).

Qui la questione religiosa si complica ancora terribilmente, perché vi si innestano due fattori delicatissimi e a priori imponderabili: la libertà umana e la misteriosa libertà divina; siamo alle soglie dell’insondabile problema della predestinazione. L’uomo arriva a Dio liberamente, nonostante il rigore dei ragionamenti teologici; e Dio salva l’uomo liberamente, non avendo noi mai un vero diritto dinanzi a Lui; anche i nostri meriti derivano, in fondo, dalla sua misericordia.

Che cosa diremo dunque? difficile, irreparabilmente difficile questo problema della religione e della fede? insuperabile, insolubile? e lo possiamo allora dire inutile, superfluo, anzi tormentoso e nocivo? Vi è chi tale lo dice! Ma osservate com’esso è drammatico: è problema necessario! Necessario per i dati inevitabili di verità e di realtà che esso contiene; necessario per le sorti ineffabili di tragicità e di perdizione, ovvero di salvezza, di felicità, di vita, che per noi, per ciascuno di noi, esso impone al nostro esistenziale destino.

Allora? Allora comprendiamo Cristo! la sua venuta, la sua parola, la sua salvezza. Egli è la Via . . . Pensate!

Con la nostra Benedizione.

Sacerdoti benemeriti dell’Arte Sacra

Un paterno saluto rivolgiamo ora al distinto gruppo di ecclesiastici italiani, ai quali la Pontificia Commissione Centrale per l’Arte Sacra in Italia ha voluto conferire un diploma di benemerenza per lo zelo da essi dimostrato in studi sull’arte sacra, in erezione di musei diocesani e nella direzione di uffici per erigende chiese.

Al doveroso riconoscimento di queste degnissime persone votate allo studio, alla tutela e all’incremento dell’arte sacra in Italia, volentieri aggiungiamo la nostra parola di compiacimento e di incoraggiamento per la loro preziosa opera in un settore così importante della vita pastorale. Opera che merita tutta la nostra stima e riconoscenza, perché oltre a conservare il patrimonio artistico della Chiesa, oltre a servire il culto e favorire il connubio fra bellezza e fede, essa contribuisce all’educazione e alla pietà cristiana dei fedeli, per alimentare la quale tanti tesori artistici furono concepiti e prodotti. È quindi un grande servizio che voi, figli carissimi, rendete sia alla religione che all’arte, tanto più meritevole di apprezzamento in quanto - come ci è stato assicurato dal vostro solerte Presidente - il vostro impegno intende muoversi nel rispetto delle norme emanate dall’autorità ecclesiastica e in conformità alle prospettive aperte dal rinnovamento liturgico Post-conciliare. Perciò volentieri formuliamo l’augurio che, per opera vostra, l’arte sacra in Italia riceva vigoroso impulso, atto non solo a valorizzare la produzione artistica religiosa del passato, ma a trarre altresì da essa feconda ispirazione per nuove forme espressive.

Intanto noi vi accompagniamo con la nostra preghiera e di gran cuore vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Federazione delle Suore Ospedaliere

Un paterno saluto è dovuto oggi al numeroso gruppo di Superiore di Comunità Religiose operanti presso enti ospedalieri, cliniche, case di cura, riunite a Roma per il Convegno Nazionale indetto dalla Federazione Italiana Religiose Ospedaliere.

Vi accogliamo con vivo compiacimento, figlie carissime, e siamo lieti di questo incontro per esprimervi ancora una volta tutta la nostra gratitudine per la testimonianza di carità che voi offrite in seno alla Chiesa con la vostra generosa dedizione. Il tema del vostro Convegno: «La Superiora di fronte all’impegno della formazione continuata delle Suore» ci dice che le ansie e le sollecitudini della Chiesa per l’incremento della vita spirituale nei vostri Istituti hanno trovato in voi eco profonda e piena rispondenza. Ecco allora la consegna che vi affidiamo: procurate con ogni mezzo che l’intimità con Cristo attraverso una sincera e profonda vita interiore abbia a conservare sempre il primato in mezzo alle vostre Comunità. È questa vita interiore, amata e curata e sempre più sviluppata, che vi renderà angeli di conforto presso coloro che soffrono, vi aiuterà a comprendere e ad amare i pazienti a voi affidati, affinerà in voi gli impulsi più nobili del vostro cuore, vi farà vedere negli ammalati il grande misterioso Paziente, che soffre in ciascuno di coloro sui quali si curva la vostra amorosa assistenza. Non abbiate mai a temere che in tal modo sia intralciato il vostro dinamismo apostolico o possiate essere impedite di dedicarvi a fondo nel servizio degli altri. È vero esattamente il contrario. Ciò che si dà a Dio non è mai perduto per l’uomo; è stimolo anzi all’azione e sorgente feconda di energie soprannaturali.

Questi sono i nostri voti, come ci sgorgano dal cuore; e mentre preghiamo il Signore per voi, per le Comunità affidate alle vostre cure, per i vostri cari ammalati, paternamente impartiamo a tutti, in auspicio di ogni più desiderato bene, la propiziatrice Apostolica Benedizione.


Mercoledì, 9 febbraio 1972

9272

Non pare anche a voi, visitatori carissimi, che arrivando a questa benedetta sede, dove è onorata la tomba dell’apostolo Pietro, e dove perciò s’impernia il cardine della Chiesa cattolica, e che qui un’ora sostando insieme a chi, tanto indegnamente, ma legittimamente a quel beato apostolo è successore, non pare anche a voi, diciamo, che il panorama del mondo, del mondo umano, si distenda davanti agli occhi dell’anima? non pare anche a voi che la scena amplissima, affascinante ed inquieta della nostra società, della sua storia mutevole, del suo dramma continuo, si presenti sotto un aspetto particolare, quello cioè del suo rapporto con questo punto focale della religione cattolica? quanti, quanti volti umani, da ogni punto del globo vediamo rivolti verso questa direzione, quanti occhi fissi verso questo faro della fede? quale singolare esperienza offre allo spirito la scoperta di questa convergenza nella fede, nella speranza, nella carità, cioè nell’essenza della nostra religione, che ci fa gustare l’onda corale dei fratelli in comunione di preghiera e di vita con noi? come sentiamo il prodigio, che veramente sa di mistero, dell’unità coincidente con l’universalità! non pare forse che la visione assuma l’aspetto d’una sconfinata raggiera, dove Cristo è unico centro di luce e di vita, circondato dall’umanità che prende forma e splendore al riverbero del lume divino?


CRISTO UNICO CENTRO DI LUCE E DI VITA

Contemplate, gustate, ricordate, se lo Spirito Santo ve ne dà la grazia, questa felice e polare impressione: questo è un quadro del mondo, messo a fuoco per l’obiettivo del cuore. Ma per chi bene osserva lo spettacolo, per stupendo che sia, non appare perfetto, non è totale. Anzi esso presenta dei vuoti immensi; zone opache occupano la maggior parte del globo, non solo geografico, ma antropologico; umano, cioè, spirituale e sociale; e non solo in regioni lontane, ma anche in paesi vicini, anzi in sedi, dove la nostra stessa vita si svolge. La fede cattolica non copre tutta la faccia della terra, ma nelle tavole statistiche solo qualche campo luminoso, ma incompleto; si vede quale terreno disponibile all’azione missionaria attenda ancora l’annuncio del Vangelo. Per di più risaltano vasti territori, geografici e sociologici, dove al Vangelo è precluso l’ingresso. Sembra che da molte parti salga ancora la voce udita in sogno dall’apostolo Paolo, dal missionario per eccellenza: «Vieni ad aiutarci!» (Cfr.
Ac 16,9); e sembra che con misteriosa e desolata amarezza Paolo stesso ci ricordi gli abissi esistenti nello spazio della salvezza: «non di tutti è la fede»! (1Th 3,2)

E ancora. Ed è questo l’aspetto che noi osiamo presentarvi, anche in questo momento di unione e di gaudio: quale disinteresse per la fede cattolica, per la religione in genere, per la pratica della vita cristiana è un po’ dappertutto diffuso e va guadagnando la mentalità moderna! Quale difficoltà incontra la verità del Vangelo, quale opposizione l’insegnamento della Chiesa, Madre e Maestra!

Com’è facile comprendere, questo colossale e complicato fenomeno, per capirlo e tanto più per affrontarlo, esige una analisi accuratissima, che noi certo non intendiamo svolgere qui. Intendiamo soltanto richiamare su di esso la vostra attenzione, quale segno della vostra partecipazione alla nostra sofferente, ma insonne sollecitudine apostolica. Perché oggi tanta noncuranza religiosa? perché tanta insensibilità spirituale? perché tanta avversione all’osservanza della vita ecclesiale? Quali mezzi, quale sapienza, quale amore impiegare per diffondere e per rendere accetto e gradito il nome di Cristo? È il problema della costituzione pastorale «Gaudium et Spes».

Sarebbe cosa saggia, noi crediamo, e degna della vostra perspicacia e della vostra fedeltà tenere presente questa interiore domanda: quali sono le ragioni dell’indifferenza e dell’ostilità religiosa? Ciascuno può dare alla inchiesta di questa diagnosi non una, ma molte risposte. Noi stessi, che ci poniamo continuamente questa riflessione, e che anche in queste udienze del mercoledì abbiamo cercato di darvi qualche frammentaria spiegazione, ci accorgiamo del bisogno di ben altra indagine, che non quella che viene spontanea ad un’osservazione immediata e fugace. Esistono, per fortuna, tanti libri a questo riguardo.


«VIGILATE ET ORATE»

Ma perché allora di nuovo ne parliamo? Ne parliamo, primo, per stimolare in ciascuno di noi la vigilanza. Si tratta d’un’alluvione d’irreligiosità, che tutti ci minaccia. Diremo con Gesù Cristo: «vigilate e pregate, affinché non siate sedotti dalla tentazione» (Mt 26,41). La vita religiosa non può più svolgersi, come una volta, su le rotaie tranquille della consuetudine; non può più sentirsi sicura dalla protezione del costume sociale e della legge civile; non può più reggere con qualche aforisma di buon senso; deve mantenersi e affermarsi per via di convinzione e di istruzione (la via della catechesi almeno, tanto in onore nella cristianità primitiva), per via di coscienza, per via di coerenza, ed anche per via di coraggio e di sacrificio. Oggi, per essere cristiani, bisogna volerlo essere. La grazia, cioè la possibilità di esserlo con facilità e con gaudio, non ci manca; ma occorre entrare nella pedagogia e nell’economia della grazia, affinché l’esperimento vittorioso riesca.

E secondo. Ne parliamo perché ci sembra che un’obiezione generale alla vita religiosa, a quella nostra, cattolica, specialmente, oggi sia quella utilitaria: la religione, a che cosa serve? A che cosa serve credere, pregare, andare in Chiesa, eccetera? non è superfluo? non è mitico? non è antiquato? non è noioso? non è oneroso? La mentalità moderna è, in fondo, persuasa dell’inutilità della fede; la cultura moderna sembra supplire magnificamente all’integrazione spirituale, che prima si attingeva dalla fede. L’educazione moderna è antropocentrica, mentre la religione è teocentrica: è un’alienazione. Questa mentalità, fondata sull’interesse soggettivo e personale, è così diffusa e così padrona dell’uomo moderno, che è lecito domandare se la fede non possa usufruire di questa attitudine egocentrica per farsi accogliere dallo spirito umano, non d’altro occupato che di se stesso. Cioè: può la fede presentarsi all’uomo come un suo proprio interesse?


LA SALVEZZA: SUPREMO INTERESSE DELL’UOMO

Noi intravediamo l’ambiguità della risposta nell’equivoca definizione di ciò ch’è nostro interesse. Quale inganno sarebbe la fede, e quale deformazione essa subirebbe, se la religione si facesse accogliere «per interesse» temporale, economico, terreno, per un vantaggio puramente egoistico! Ma non sarebbe forse conforme alla psicologia contemporanea e alla pedagogia di tutti i tempi presentare la fede sotto l’aspetto dell’utilità superiore per introdurla nel cuore degli uomini? (Non ha scritto S. Agostino il suo primo libro dopo l’ordinazione sacerdotale intitolato De utilitate credendi?) (PL 42). E non è mediante il gioco che si attrae e si educa il fanciullo? Diciamo di più: non è sotto questa prospettiva personale, soggettiva, sommamente utilitaria, che il Signore stesso ha presentato il suo regno: quando ha detto: «Che cosa giova all’uomo conquistare anche tutto il mondo, se poi perde l’anima sua?»? (Mt 16,26) E non è oggi la salvezza l’espressione sintetica della religione? La teologia odierna gravita nell’orbita dell’interesse, del supremo interesse umano, la salvezza dell’uomo, la salvezza del mondo?

Un dubbio sorge a questo punto, la cui soluzione tutto c’insegna: è lecito, è giusto vedere la religione sotto questo angolo visuale, dell’utilità umana? Risposta: sì, fratelli, per merito di questa grande e centrale e felice rivelazione: Dio è beatitudine; Dio è la nostra beatitudine. Dio ci ama. Dio si è interessato di noi, fino a farsi in Cristo nostro fratello, anzi nostro salvatore; «tanto Egli ha amato il mondo, da dare per esso il suo Figlio unigenito» (Jn 3,16). Siamo nella sfera dell’amore, se entriamo nella sfera della fede. Si è parlato tanto di amore predicando la devozione cristiana. Ma forse non sempre abbiamo avvertito noi stessi e fatto agli altri avvertire quale incantevole scoperta sia quella dell’amore di Dio per noi, e com’esso penetri e urga alle porte dei nostri desideri e dei nostri dolori per farci risentire il bisogno e la felicità d’essere cristiani, cioè uomini veri, uomini salvi (Cfr. Os 11,1 ss.; Jr 31,3 Mt 11,28).

Qui, colme potete comprendere, non finisce il discorso. Qui comincia, ma non per qui, per la vita. Con la nostra Apostolica Benedizione.

Centro Ignaziano per direttori di Esercizi Spirituali

Siamo lieti di trattenerci per qualche istante nella Udienza di stamane con i partecipanti al IV Corso Internazionale per la formazione di Direttori di Esercizi Spirituali, organizzato a Roma dal Centro Ignaziano di Spiritualità. Salutiamo volentieri il Padre Luigi Gonzalez, Direttore del Centro stesso, e salutiamo con lui i valorosi professori che collaborano al corso come pure i sacerdoti, i religiosi e le religiose che vi partecipano, provenienti da paesi e continenti diversi.

Vi ringraziamo, figli carissimi, del pensiero che avete avuto per noi e vi esprimiamo tutta la nostra compiacenza per una iniziativa così importante ed opportuna nell’attuale fase di rinnovamento postconciliare della Chiesa. Proponendovi di approfondire e aggiornare gli Esercizi Spirituali di S. Ignazio, voi vi dedicate ad un lavoro tra i più fruttuosi oggi per le anime. Tale pratica, alla cui diffusione tanto contribuirono i figli di S. Ignazio, costituisce non solo una pausa tonificante e corroborante per lo spirito in mezzo alle dissipazioni della chiassosa vita moderna, ma altresì una scuola ancor oggi insostituibile per introdurre le anime ad una maggiore intimità con Dio, all’amore della virtù e alla scienza vera della vita come dono di Dio e come risposta alla sua chiamata.

Continuate adunque su questa strada, figlioli! E voi, benemeriti Padri Gesuiti, siate fedeli ad una missione che altamente qualifica ed onora la vostra Compagnia. Tutti vi protegga e vi aiuti la Vergine Santissima - modello e maestra della vita interiore - e vi conceda di condurre molte anime su questo sentiero verso le vette della perfezione, fino a «formare l’uomo maturo, al livello di statura che attua la pienezza di Cristo» (Ep 4,13).

A tanto vi conforta la nostra propiziatrice Apostolica Benedizione.

Marinai inglesi

We give a special welcome to the officers, cadets and sailors of the British naval squadron at present visiting Civitavecchia. As you continue your voyage in the Mediterranean you will see many of the places that Saint Paul visited on the journeys he undertook to spread the Good News of Jesus Christ. In his words "we wish you happiness; try to grow perfect; help one another. Be United; live in peace, and the God of love and peace will be with you" (1Co 13,11).


Mercoledì, 1° marzo 1972


Paolo VI Catechesi 19172