Paolo VI Catechesi 31073

Mercoledì, 3 ottobre 1973

31073
Figli carissimi,

Noi tutti, alunni di Cristo, il Maestro dell’umanità, noi tutti illuminati dalla sua scienza della vita, considerata nel disegno totale dei suoi veri valori e dei suoi supremi destini, noi tutti perciò resi particolarmente sensibili agli avvenimenti del nostro tempo e alle sorti dell’umanità, dobbiamo essere i più attenti e i più sensibili sia alle condizioni in cui gli uomini vivono, sia ai fatti che si riferiscono a quell’equilibrio in cui si svolgono, o dovrebbero svolgersi, i rapporti fra gli uomini, al quale equilibrio diamo il nome sublime e potente di giustizia. La giustizia, ossia la forma autentica, la forma veramente umana e razionale, che deve, o dovrebbe regolare la convivenza umana, è un ideale al quale noi cristiani, noi cattolici specialmente, dobbiamo dedicare pensiero ed azione con grande impegno, anzi oggi con accresciuto interesse, per il fatto, veramente strano, che a mano a mano che il progresso si svolge nel mondo (con la cultura, la tecnica, la ricchezza, ecc.), non progredisce per ciò stesso la giustizia, cioè quell’ordine umano, che costituisce il più alto valore sociale; anzi spesso l’accresciuto benessere di alcuni avviene a spese di altri, o almeno sveglia in coloro, ai quali non è stato possibile conseguire un eguale benessere, un senso d’infelicità, un senso d’ingiustizia, e perciò un desiderio di lotta e di rivendicazione di pari, o anche di superiore fortuna.

Perché vi parliamo noi di questo grande fenomeno sociale, ch’è il problema della giustizia sociale?

Perché noi tutti abbiamo una prossima occasione di dedicarvi nuovo studio e opera nuova; e quest’occasione è l’Anno Santo, nella cui sfera noi stiamo entrando.

Ascoltate. È chiaro che l’Anno Santo vuol essere un avvenimento eminentemente religioso. La religione deve prendere più che mai in tale periodo, caratterizzato da intensa coscienza spirituale e da particolari osservanze di profonda pietà, il governo delle nostre anime; dobbiamo in tale singolare e stimolante circostanza sentirci cristiani, pervasi dalla fede e attenti alle buone e intime esortazioni dello Spirito. E proprio perciò essa deve esercitare su di noi un forte e nuovo stimolo per la causa della giustizia nel mondo. Questo effetto altro non è che l’avvertenza dell’inevitabile e magnifico collegamento fra l’amore a Dio, primo e riassuntivo precetto offerto all’essere umano, e l’amore al prossimo, che dal primo deriva e al primo necessariamente si accompagna. Ora, ricordate bene, la vera e progressiva giustizia nasce dall’amore. Questa è una verità non soltanto teoretica; è una verità feconda della nostra concezione sociale, e distingue il nostro modo d’essere, di pensare e d’operare da quei sistemi dottrinali, politici, sociali, che traggono dall’odio, dall’interesse, dalla sola simpatia filantropica, dalle prevalenti tendenze dell’opinione pubblica i principii del diritto e del dovere sociale, cioè della giustizia.

Sembra a noi importante, alle soglie dell’Anno Santo, richiamare testualmente le parole, consegnate alla Chiesa e al mondo, dal Sinodo episcopale del 1971, circa la giustizia nel mondo:

«Il messaggio cristiano integra nell’attitudine stessa dell’uomo verso Dio la sua attitudine verso gli altri uomini; la sua risposta all’amore di Dio, che ci salva mediante Cristo, non diventa effettiva se non nell’amore e nel servizio per gli altri. L’amore del prossimo e la giustizia sono inseparabili. L’amore innanzi tutto implica un’esigenza radicale di giustizia, cioè un riconoscimento della dignità e dei diritti del prossimo. La giustizia poi raggiunge la sua pienezza interiore solo nell’amore. Perché in realtà ogni uomo è immagine visibile di Dio invisibile, e fratello di Cristo; perciò il cristiano trova in ciascun uomo Dio stesso con la sua esigenza assoluta di giustizia».

Questi i principii. Dobbiamo ricordarli e riaffermarli, e precisamente in questa occasione? che si affaccia sulla storia d’un mondo che non sembra capace di cavare dalle sue stesse conquiste quella felicità, quella umanità, alla quale aspira con esasperata coscienza: l’odio, da cui certi movimenti sociali derivano la loro forza, la lotta implacabile d’uomo contro uomo, alla quale si impegnano, e la conseguente concezione classista della società, la valutazione preponderante attribuita ai valori economici e alla filosofia materialista del mondo e della vita; come, d’altra parte, l’egoismo, di cui è imbevuto l’uomo nella ricchezza e nel potere, e l’opinione statica dell’ordine, o del disordine sociale, della giustizia e del diritto, come pure quella che il progresso sociale si realizza da sé, senza bisogno d’interventi onerosi e difficili, eccetera, dicono l’insufficienza, o l’errore dei principii dai quali parte il «gigante cieco», ch’è l’uomo moderno, privo della luce, cioè della sapienza, che il cristianesimo ha fatto risplendere sulla scena del mondo. Ma ancora attenzione. Abbiamo noi cristiani, privilegiati possessori dei veri principii fondamentali della vita, la logica, il coraggio, l’arte, la pazienza per cavare da essi la fecondità, di cui sono potenzialmente capaci?

Un grande dovere di coerenza insorge davanti a noi. Senza mutuare da fonti estranee e alla fine deludenti la dottrina e l’energia per la giustizia fra gli uomini e per l’amore che ne deve intessere la socialità, non dovremmo noi attingere d’al Vangelo e dalle interpretazioni che la Chiesa vi ha date, la norma amorosa e audace per rimetterci nuovamente a promuovere la giustizia nel mondo? E non sarebbe questa ora di religioso fervore, ch’è l’Anno Santo, quella propizia?

Noi lo desideriamo di cuore, offrendo anche l’umile nostra opera per la causa della giustizia nel mondo, e sperando d’avere la Chiesa tutta, associata nella grande impresa, al servizio e al seguito di tutti gli uomini di buona volontà.

Con la nostra Apostolica Benedizione.

Sacerdoti della diocesi di Bergamo

Ed ora un cordiale saluto ai sacerdoti della diocesi di Bergamo, di ritorno dalla Terra Santa, dove si sono recati per celebrare il XXV della loro ordinazione sacerdotale.

Carissimi figli, il vostro pellegrinaggio in Palestina indica la serietà con cui avete voluto ricordare la data centrale della vostra vita, quella in cui siete stati costituiti ministri di Dio, banditori del Vangelo di Gesù Cristo, dispensatori del Suo Sangue e della Sua Parola. Siamo sicuri che il contatto fisico con i luoghi santificati dai misteri della nostra Redenzione vi avrà fatto meglio comprendere il significato e il valore che hanno per la Chiesa e per le anime i venticinque anni del vostro sacro ministero, pieni certamente di fatiche, di croci, di ansie apostoliche, ma ricchi anche di tante grazie e di ineffabili consolazioni: di qui l’inno di riconoscenza al Signore, e di qui il rinnovato impegno: impendam et superimpendar (
2Co 12,15) che siete venuti a corroborare presso la Tomba del Principe degli Apostoli.

A voi, pertanto, diciamo il Nostro sincero ringraziamento, nel nome del Signore, per la vostra visita, per la vostra testimonianza di filiale pietà e per quanto avete compiuto a servizio della Santa Madre Chiesa. E insieme formuliamo l’augurio che la luce la quale ha inondato le vostre anime nel duplice incontro che avete avuto con la Terra Santa e con il Vicario di Cristo, vi sia di guida e di sprone per nuove ascese e nuove spirituali conquiste.

A tanto vi conforti la Nostra Apostolica Benedizione, che di cuore impartiamo a voi e a tutte le anime che vi sono state affidate.

Sacerdoti sloveni

Desideriamo ora rivolgere un paterno saluto al gruppo di novelli Sacerdoti sloveni, i quali - come i loro Confratelli nello scorso anno - son venuti a farci visita ed attendono una nostra parola in segno di incoraggiamento e di augurio per il loro ministero. Anzitutto, vi ringraziamo, figli carissimi, della vostra presenza, che, già di per sé, non è soltanto un gesto di filiale ossequio, ma esprime, altresì, l’impegno di fedeltà, con cui vi accingete al lavoro che vi sarà presto affidato. Avendo da poco ricevuto la grazia dell’ordine Sacro, voi portate ancora nell’anima la sua freschezza, ne sentite tutta la vivacità e la forza, ne avvertite l’interiore sollecitazione ad esser pronti e generosi nel servire il Signore e i fratelli. Dovrà essere, appunto, la generosità la nota caratteristica del vostro sacerdozio, per corrispondere, da una parte, alla speciale elezione che di voi ha fatto l’eterno Sacerdote, e, dall’altra, alle necessità spirituali del nostro tempo. Dovremo, forse, ricordarvi come sia essenziale, per ciascun Sacerdote, soddisfare simultaneamente a questa duplice esigenza? Crediamo di no, perché tale meditazione vi è familiare; diremo, piuttosto, che essa non deve rimanere mai qualcosa di vago o di astratto. Occorre, pertanto, pensare e riflettere a quel che in concreto, ogni giorno, è richiesto dalla vocazione e dai bisogni degli uomini, in mezzo ai quali vivete.

Questo studio assiduo, alimentato dalla preghiera, vi suggerirà i modi e le forme veramente efficaci dell’apostolato. Darete, così, espressione adeguata al vostro zelo ed alla vostra generosità. Vi accompagni fin d’ora e vi conforti la Benedizione Apostolica, che estendiamo di cuore ai vostri genitori, superiori e maestri.

«Piccole Sorelle di Gesù»

Corale dell’università libanese di Kaslik

Convegno amministrativo internazionale per le Missioni

It is a pleasure for us to welcome those taking part in the International Stewardship Seminar.

We offer you cordial greeting and thank you for wishing to pay us this visit. Me know that one of the aims of your deliberations is to promote a spirit of sharing spiritual and material goods. You are striving to draw from the concept of stewardship all the richness of meaning which the term implies in the Gospel, and to show the value of offering to God, as an act of worship, part of the gifts received from his bounty.

We are particularly glad to note that your studies are being directed towards the Mission countries, that the people of those lands may be helped to attain self-sufficiency through the gift of their time, talents and resources.

As well as promoting meetings of Catholics, you also make it your task to share your views and experiences with the members of other Christian communions. In so doing you are working to bring closer the day when there shall be achieved that unity for which Christ prayed.

Upon yourselves and your efforts we invoke the blessings of God, the giver of all good things.

Pellegrinaggio olandese

Ein besonderes wort der Begrüssung richten Wir an den holländischen Pilgerzug des «Christlichen Bauernverbandes aus Nordbrabant». Liebe Söhne und Töchter! Wir heissen Sie mit Ihren Familien herzlich willkommen in der Ewigen Stadt! Sie nennen sich «Christlicher Bauernverband». Darin liegt ein ijffentliches Bekenntnis zu den christlichen Grundsätzen und den Lebenswerten unseres heiligen Glaubens. Lassen Sie sich in dieser mutigen Haltung durch nichts und durch niemanden beirren! Bleiben Sie treu dem Glauben Ihrer Väter, durch den sich Ihre Heimat in der Vergangenheit einen ehrenvollen Platz in der Geschichte der Kirche und im sozialen Zusammenleben mit den anderen Völkern erworben hat. Dazu erteilen Wir Ihnen und allen Anwesenden aus der Fülle des Herzens Unseren Apostolischen Segen.



Mercoledì, 10 ottobre 1973

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Oggi, Figli carissimi, noi vi parliamo con fatica; noi non possiamo, aprendo questo pacifico e familiare incontro, liberare il nostro animo dall’incubo delle notizie della guerra in atto nel Medio Oriente. Ancora la guerra! Sentiamo nel cuore la delusione d’una grande speranza, che di guerra, di vera guerra non si sarebbe più parlato; sentiamo lo sgomento e la compassione per quanti sono tragicamente impegnati nel conflitto e specialmente per coloro che ne sono le vittime; vogliamo ancora credere che esistano altre vie che non quelle della violenza, delle rovine e del sangue per dare alla giustizia i suoi diritti e alla pace la sua efficacia.

Non possiamo pertanto tralasciare, anche in un momento così estraneo e sereno come quello presente, d’esortarvi tutti a invocare con noi Iddio misericordioso affinché siano tosto sospese le operazioni micidiali della guerra, sia ristabilita, con l’aiuto d’una fraterna mediazione internazionale, la tregua delle armi, e sia aperto un nuovo dialogo per dare ordine e pace a Popoli ed a Luoghi, che non possono non essere cari e sacri per il mondo intero.

Noi siamo convinti che il mondo moderno ha bisogno d’imparare di nuovo a pregare. Cioè ad esprimere se stesso davanti a Dio: due misteri che s’incontrano: la coscienza dell’uomo e l’Essere infinito e ineffabile, Principio e Fine d’ogni cosa. Che questo sia il nostro consueto dialogo, quando preghiamo, è da tutti saputo, anche se spesso così malamente avvertito; la preghiera è l’attività caratteristica dell’uomo religioso, del credente, di colui che cerca e sente la sua comunione col Dio dell’universo, e che ha trovato in Cristo la via di espressione e di comunicazione tra il microbo, che siamo noi, e quel cielo sconfinato, ch’è la patria di Dio. Faremo bene a riprendere la riflessione sopra questa attività, che ha tanta parte nella nostra personalità cristiana, e a valerci del grande sforzo della riforma liturgica, promossa dal Concilio, per convalidare in noi le ragioni della preghiera e per adattare il nostro linguaggio spirituale alle forme rituali, teologiche, comunitarie, offerte oggi a noi dalla Chiesa.

Ma in questo momento la nostra prospettiva è diversa; avremo da ritornare non una, ma molte volte sulla preghiera del cristiano vivente della sua fede; ma noi ora pensiamo, come dicevamo, all’uomo moderno, cioè alla mentalità di colui che esce dalla esperienza della vita contemporanea, e che si ritiene autosufficiente, dispensato dal ricorso a Dio, alla sua Provvidenza, alla sua Presenza sopra e dentro di noi, alla sua Giustizia, fonte per noi di timore e di responsabilità, alla sua Paternità, che appena a considerarla c’invita a scioglierci in amore ed in gioia. Dispensato cioè dal rapporto religioso, e solo con se stesso e con la società e la natura, che lo circondano. L’idea di Dio è praticamente spenta in coloro che attingono la propria educazione dal secolarismo contemporaneo, sintesi di tutte le opinioni negatrici della Realtà trascendente e della Verità, in date forme, vivente e immanente dentro di noi. L’uomo-tipo, come dovrebbe essere, ed è il discepolo dell’ateismo, possiamo dire ufficiale, del nostro tempo, afferma di non aver bisogno di Dio; basta la scienza, con tutte le sue conquiste pratiche; la scienza, capace di conoscere e di spiegare ogni cosa, e di soddisfare ogni suo bisogno speculativo, pratico, sociale ed economico.

In un discorso, assai semplice e breve come questo, non possiamo certamente risolvere i problemi immensi derivanti da questa deificazione della scienza; diremo soltanto che noi pure, anzi vorremmo dire noi per primi, tributiamo alla scienza l’onore che le è dovuto, la promozione, apologia, di cui ancora possa eventualmente mancare. Viva la scienza, viva lo studio, che la cerca e la esalta. Ma pare a noi di poter affermare che da sola essa non basta; anzi diciamo che essa pure reclama quel rapporto superiore, al quale abbiamo ora dato il nome di preghiera.

Potremmo ricorrere all’esperienza della più giovane generazione, quella odierna: basta la scienza? con tutta la sua incalcolabile dovizia di applicazioni tecniche. La scienza, nel suo momento puro, di analisi, di ricerca, d’esperimento, di scoperta, non fa che allargare il campo della conoscenza; d’una conoscenza, che non spiega la sua profonda ragion d’essere, e che solleva, sempre più grave e più incombente, il volto del mistero, l’interrogativo implacabile del perché primo ed assoluto di ciò che conosciamo, e che si fa tormento accecante a chi preclude al pensiero il suo logico processo, il volo verso il Principio creatore, verso la Sapienza rivelata e nascosta, quasi come in un sacramento, nelle cose studiate. Bisogna a questo punto osservare un fatto capitale a riguardo del pensiero scientifico moderno: esso non è, praticamente, servito alla contemplazione, cioè alla scoperta, successiva a quella del suo studio specifico, delle note irradianti dalle cose conosciute, cioè l’ordine, la complessità, la legge, la grandezza, la potenza, la bellezza . . . . tutti riflessi messi in evidenza dall’osservazione scientifica, riflessi d’un Pensiero generante, sconfinato e immanente; ma una sollecitudine ha subito prevalso, quella di utilizzare a fini pratici, cioè ad applicazioni tecniche, le verità strappate alle cose. L’utilitarismo ha così dominato la scienza, e l’ha resa opaca e per alcuni versi pericolosa; senza voce allo spirito umano, se non quella, legittima ma insufficiente, del calcolo circa il suo impiego a profitto della vita temporale dell’uomo, il quale ha usufruito e goduto di tutti i ritrovati scientifici, resi disponibili da genialissimi strumenti tecnici, ma senza che la sua vera felicità aumentasse e la sete misteriosa di vita del suo cuore si placasse. Bisogna ridare alla scienza le sue ali; essa deve ancora sostenere l’itinerario spirituale dell’uomo; deve invitarlo alla poesia e alla pienezza della preghiera. «I cieli narrano la gloria di Dio, e il firmamento annunzia l’opera delle sue mani» (
Ps 18,2).

Questo nell’ordine naturale.

Un’altra esperienza ben diversa ci conduce ad analoga conclusione; ed è quella del carattere ambiguo del progresso umano: l’uomo diventa davvero più buono e più civile procedendo nella storia con le sole sue forze? è davvero capace d’instaurare un umanesimo nel quale i valori supremi della persona umana sono per tutti garantiti e permanenti? o non avviene che la progressiva affermazione di tali valori, se lasciati senza una divina tutela, possono in certe circostanze storiche contraddire se stessi? la libertà, la giustizia, la pace resistono alla prova del tempo e al conflitto di contrastanti interessi? il diritto potrà sostituire la forza, e l’organizzazione della civiltà tradursi davvero in un bene comune? Circola, e proprio in questi giorni trepidi e dolorosi, vento di scetticismo circa la capacità degli uomini ad essere e conservarsi fratelli. L’autosufficienza dell’uomo a costruire una civiltà autentica e universale viene in triste contestazione. I principii non sono solidi e validi per tutti; e allora il regno della forza riappare necessario, e necessaria la guerra. E se anche alcuni principii fossero e rimanessero indiscutibili, possiamo dire che l’uomo, in generale almeno, ha la virtù di applicarli con disinteresse e sapienza? Non occorre, anche qui, il supplemento d’un aiuto superiore, d’una grazia divina? e quindi d’un’implorazione che ci vede, umili e grandi, raccolti in preghiera?

Noi così crediamo, e auspichiamo che l’umanità, tutta insieme, divenga capace di ripetere con Cristo la preghiera da lui insegnata: Padre nostro, che stai nei cieli!

Dio voglia! con la nostra Benedizione Apostolica.

Pellegrini dell’arcidiocesi di Québec

Gruppi in convegno a Grottaferrata

A sacerdoti nel 40° anniversario di ordinazione

Venerable Brothers,

dear sons in Christ,

It is a joy for us to receive you on this occasion which marks the anniversary of your sacerdotal ordination. For forty years you have exercised the ministry of the priesthood, having been called by the Lord himself and sent out by the Church to preach “ Christ crucified ” (1Co 1,23) and to assist in giving witness to his Resurrection (Cfr. Ac 4,33).

We can well imagine how many graces the Lord has offered you over the years and how many helps your ministry has brought to those whom you have served with fidelity and sacrifice. On this happy occasion we are glad to offer you our blessing, our felicitations and our encouragement.

We see you as part of a vast number of our brother priests who have been conscious of their responsibility and calling and who have endeavored with God’s grace to perform their ministry, in the spirit of Saint Paul, as one "worthy of God’s approval, a workman who has no cause to be ashamed" (2Tm 2,15). Today we wish, at this point in your lives, to confirm you in the faith, which you have received and preached, and in the priestly vocation that has been your precious gift high dignity and important obligation. We urge you at this time to keep alive your hope and to maintain to the end that confidence with which you began (Cfr. He 3,6 He 3,14). To each of you we say with the Apostle: "God . . . will not forget your work and the love you have shown him by your service, past and present, to his holy people" (He 6,10).

May Christ fill all of you with joy and keep you in his love. On our part we cordially give your our special Apostolic Blessing.

Conferenza dei Missionari del Sacro Cuore

Our special greeting of grace and peace in the Lord go to the members of the General Conference of the Congregation of the Missionaries of the Sacred Heart, gathered together to consider question of religious life and missionary activity. As we assure you of our paternal affection and encouragement, we pray that Christ Jesus will make you apt instruments of preaching his Gospel with ever greater effectiveness. We pray that you may indeed draw copiously from the riches of his love so as to be able to communicate this same love in all its fullness "to the praise of his glorious grace" (Ep 1,6). Our Apostolic Blessing accompanies you in your important responsibilities.

Corali di varie diocesi della Germania

Ein wort herzlicher Begrüssung richten Wir an die zahlreichen Kirchenchöre aus Deutschland, die der heutigen Audienz eine besonders festliche Note geben. Unter ihnen heben sich u. a. rühmlich hervor der «Cäcilienverband» der Erzdiözese Köln, der seine Pilgerfahrt nach Rom in diesem Jahr unter dem Motto gestaltet «Wallfahrt für den Frieden»; ferner die Sängerwallfahrt der vereinigten Kirchenchöre der Diözese Essen; Endlich die Teilnehmer «der 6. traditionnellen Romfahrt für Freunde und Sänger der Kirchenmusik aus den Diözesen Aachen, Trier und Mainz».

Liebe Söhne und Töchter! Wir freuen Uns über Ihr Kommen und danken Ihnen für Ihren wertvollen Einsatz im Dienste der Musica Sacra. Fahren Sie fort, Gott durch Ihre Gesänge zu verherrlichen und Ihren pfarrlichen Gemeindegottesdienst durch Ihre musikalischen Darbietungen zu verklären.

Sacerdoti novelli del Collegio Germanico-Ungarico

In besonderer Weise heissen Wir herzlich willkommen die Angehörigen und Bekannten der Neupriester des Deutsch-Ungarischen Kollegs. Der Tag der Priesterweihe und Primiz ist nicht nur für die Weihekandidaten selber und ihre Familien ein Festtag, sondern auch für die gesamte Kirche. Denn jeder Priester nimmt kraft seiner Priesterweihe am Priestertum Christi teil und wird so für die Gläubigen der berufene Ausspender der Geheimnisse Gottes. Wir danken Ihnen darum im Namen Jesu Christi, des Ewigen Hohenpriesters, für alle Förderung und Hilfe, die Sie durch Ihre persönlichen Opfer den heute Neugeweihten haben zuteil werden lassen. Beten Sie in Dankbarkeit stets für die Priester und folgen Sie ihnen als den «Hirten und Hütern Ihrer Seelen» (Cfr. 1P 2,25).

Cooperatori di Cristo Re

Un saludo cordial de bienvenida a vosotros, Padres y Hermanos Cooperadores de Cristo Rey.

Os exhortamos hoy, pensando en el Capítulo General que estáis celebrando, a no perder de vista la finalidad primordial de vuestro Instituto: la conversión y santificación de los hombres, en medio de las comunidades parroquiales. El Año Santo os ofrece una ocasión propicia para corroborar vuestros ideales con un contacto ministerial cada vez más sensible al espíritu humano y a sus aspiraciones.

Ser levadura de Cristo dentro de la comunidad creyente, os pide un corazón abierto, siempre disponible y atento a captar las nuevas expresiones de la fe, conformando a ellas los anhelos de servicio y los métodos de apostolado.

Que el Capítulo General sea un nuevo impulso para todos del Instituto, a fin de que puedan trabajar eficazmente en esta etapa de renovación, unidos a la tarea eclesial de conversión cristiana.

Con nuestra Bendición Apostólica.


Mercoledì, 17 ottobre 1973

17103
Figli e Fratelli carissimi,

Ci prepariamo all'Anno Santo, come già si è più volte ripetuto; e ci sentiremo ripetere due parole programmatiche: rinnovamento e riconciliazione. Potremmo vedere nella prima parola, rinnovamento, tutto lo sforzo, l’opera, il frutto spirituale, morale e sociale soggettivo, che ciascun fedele e la Chiesa intera intende operare sopra di sé; nella seconda parola, riconciliazione, sembra invece adombrata un’azione oggettiva, o meglio relativa a rapporti che superano i confini personali o collettivi dell’ambito interiore nostro, e che si riferiscono all’ambito esteriore nel quale viviamo e dal quale siamo circondati. Comunque i termini sono molto chiari e intuitivi per tutti: dobbiamo rinnovarci al di dentro, e dobbiamo pacificarci al di fuori. Dentro e fuori. Tuttavia questa divisione è semplicista, e nella realtà poi dev’essere integrata.

Vediamo, ad esempio, questa volta, il senso che intendiamo dare alla seconda parola programmatica: riconciliazione. Che cosa vuol dire? a chi e a che cosa si riferisce?

Notiamo subito che essa suppone una rottura, alla quale dobbiamo portare rimedio e riparazione; suppone un disordine, un contrasto, un’inimicizia, una separazione, una solitudine, un’interruzione nell’armonia d’un disegno che reclama un’integrità, una perfezione, la quale corregga e superi un nostro isolamento egoista ed instauri in noi e intorno a noi una circolazione dell’amore. Abbiamo noi coscienza di questo bisogno di riconciliazione? Questo è un punto importante. Rappresenta una grande novità nella coscienza umana, sia dell’uomo rispetto a se stesso: non è forse più uomo, veramente uomo, colui che, avendo coscienza di sé, avverta, col proprio tirannico egoismo, anche la propria angusta esistenza, la propria aseità, il proprio isolamento, la propria insufficienza? sia poi nella coscienza sociale: il bisogno degli altri è iscritto nel nostro essere stesso; nessuno basta a se stesso; come ciascuno pensa d’integrarsi nel rapporto con gli altri? nella lotta, o nell’ordine? e poi ancora, e specialmente, nella coscienza religiosa, la quale segna il vertice della consapevolezza della nostra posizione nel mondo dell’Essere e nel destino relativo che a noi è riservato. Riflettiamo bene, ed accorgiamoci che abbiamo bisogno, su questo triplice fronte, quello solipsista, quello sociale, quello religioso, d’una riconciliazione. Non siamo, da noi stessi, circondati da un ordine perfetto; da ogni lato ci viene il pungolo d’una deficienza, d’un rimprovero, d’un rimorso, d’un pericolo. L’analisi psicologica ci porterebbe lontano. Fermiamoci per ora a un semplice accenno ai tre aspetti (ai tre fronti, abbiamo detto) denunciati dalla nostra coscienza come bisognosi di riconciliazione.


LA LEGGE DELL’AMORE

Il primo, quello della nostra inquietudine interiore, dal fatto che ci sentiamo vivere e insieme venir meno, insufficienti a noi stessi, pieni di energie e di deficienze, tormentati da un nostro insaziabile egoismo, documento al tempo stesso del nostro diritto a vivere e della nostra soggettiva povertà. Dove, come trovare la pacificazione? l’integrazione, l’equilibrio, la pienezza della nostra personalità? La risposta è pronta: l’amore è la nostra pace interiore. La questione allora si sposta: quale amore? Non risponderemo ora a questa domanda; diremo soltanto che per essere felici bisogna apprendere «l’arte di amare»; arte di cui la natura stessa è maestra, se bene ascoltata e interpretata secondo la grande e sovrana legge dell’amore, quale ‘Cristo ci ha insegnata: ama Dio, ama il prossimo, con le applicazioni austere e vitali, che tale legge comporta. Se imparassimo davvero ad amare come si deve non sarebbe trasformata nella pace e nella felicità la nostra vita personale, e di conseguenza quella collettiva? L’Anno Santo dovrà mettere nei suoi programmi anche questo capitale paragrafo: l’amore, restaurare l’amore, quello vero, quello puro, quello forte, quello cristiano.


LA DOLOROSA REALTÀ DELLA GUERRA

E circa la riconciliazione sociale, che cosa diremo? Oh! quale capitolo dalle mille pagine ! diremo soltanto che la riconciliazione, cioè la pace, diventa ogni giorno più una stringente necessità, una insorgente necessità. Non si sperava noi tutti, dopo l’ultima guerra mondiale, che finalmente la pace sarebbe acquisita per sempre? non ha fatto il mondo degli sforzi veramente grandiosi per inserire costituzionalmente la pace nello sviluppo della civiltà? per rendere i popoli sicuri per sé, fratelli per gli altri? Ma l’atroce e paurosa esperienza di questi anni ci richiama ad una triste realtà: la guerra è ancora, è sempre possibile! la produzione e il commercio degli armamenti ci mostra anzi ch’essa è più facile e più disastrosa di prima. Viviamo anche oggi una dolorosa, e non unica vicenda di guerra. Siamo umiliati e impauriti. Possibile che sia questo un malanno inguaribile dell’umanità? Qui, noi dovremmo ancora osservare la sproporzione congenita nell’umanità fra la sua capacità idealizzatrice e la sua morale attitudine a mantenersi coerente e fedele ai suoi programmi di progresso civile; e allora si è tentati di dire: è impossibile al mondo conservarsi pacifico. Rispondiamo: no; Cristo, nostra pace (
Ep 2,14), rende possibile l’impossibile (Cfr. Lc 18,27); se seguiamo il suo Vangelo, il connubio fra la giustizia e la pace può realizzarsi; non certo cristallizzarsi nell’immobilità d’una storia ch’è invece in continuo svolgimento; ma può essere! può rigenerarsi! Ed è ciò che noi mettiamo allo studio dell’Anno Santo: la riconciliazione, a tutti i livelli, della vita familiare, comunitaria, nazionale, ecclesiale, ecumenica. Ed anche sociale. Perché non può concepirsi una convivenza sociale, dove certamente gli interessi sono differenti e contrastanti, che sia fondata sulla organica e giusta cooperazione, e perciò sulla pace umana e cristiana di quanti vi hanno parte? Sono sogni? sono follie? Ecco la nostra originalità; noi crediamo che questa escatologia politica, questa parusia morale, sia dovere cristiano, qualunque sia nella contingenza storica il grado della sua effettiva applicazione; l’amore, la giustizia, la pace sono ideali vivi e buoni, pieni di energia sociale, che noi non dobbiamo mutuare all’odio e alla lotta, per tendere a quella concreta pacificazione, che realizzi nella sapienza e nella bontà la parola di Cristo: «voi tutti siete fratelli» (Mt 23,8).


IL COMPITO PRIMO DELL'ANNO SANTO

Ecco un altro immenso compito per l’Anno Santo.

Il quale avrà indubbiamente una preferenza da assegnare alla terza pacificazione, quella religiosa, che di fatto sta al primo posto; vogliamo dire il ristabilimento per ognuno di noi, per la Chiesa intera, e, Dio volesse, per il mondo, del rapporto di verità e di grazia col Padre celeste. È il compito primo, immancabile dell’Anno Santo: ristabilire la pace fra noi e Dio nell’esperienza meditata e vissuta della parola incomparabile, tanto cara a S. Paolo, di riconciliazione. Ma essa esige una lezione a sé, e perciò ci contentiamo di affidarla alla vostra memoria, fin d’ora e per l’Anno Santo che viene. Riconciliazione con Dio (Cfr. 2Co 5,20).

Con la nostra Apostolica Benedizione.


Mercoledì, 24 ottobre 1973

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Chi segue queste nostre settimanali conversazioni con i visitatori delle Udienze generali sa che noi da qualche tempo cerchiamo di abituarci a pensare i grandi problemi della vita moderna in chiave del prossimo Anno Santo, cioè cercandone la soluzione mediante la duplice sintesi tematica che è stata prefissa a tale importante e generale avvenimento. Si è parlato, e dovremo ancora parlarne, di rinnovamento, quale il recente Concilio ha proposto alla Chiesa e al mondo. E poi abbiamo cominciato a parlare di riconciliazione, quasi cercando di capire il significato di questa parola programmatica e di renderci conto a chi e a che cosa essa si riferisce. Riconciliazione, dicevamo, con la nostra coscienza personale; riconciliazione nostra con i fratelli che ci circondano e riconciliazione degli uomini fra loro; e a questo punto, prima di dare un pensiero alla riconciliazione più importante e più difficile della nostra vita con Dio, ci ha sorpreso, come un tuono dal cielo, la notizia che riempie in questi giorni tutte le voci della pubblica informazione: la tregua, forse la pace, nel Medio Oriente! Noi ne siamo, come tutti, felici e quasi sopraffatti, benché a questi sentimenti si accompagnino ansia e timore per le ombre che ancora turbano il risultato tanto atteso! Eppure a questa speranza non possiamo sottrarre la nostra attenzione, come quella di chi costantemente ve la teneva rivolta, ed ora la sente assorbita. dal vincolo di un vivissimo e molteplice interesse: si tratta della pace; della pace che investe un gruppo di Popoli, con Israele al centro, la catena dei Paesi Arabi intorno, e con evidenti e formidabili attinenze alle maggiori Potenze del mondo.



DIALOGO RAGIONEVOLE E PACIFICO

Noi osserviamo questa drammatica scena di storia vivente con occhio fisso, con animo teso, con cuore trepidante. L’ordigno della guerra latente era scoppiato, ed aveva svelato di quali strumenti micidiali fosse esso dotato: si è visto come non mai prima d’ora la scienza, la tecnica, l’industria, l’economia, l’organizzazione militare, la politica sono state in questi ultimi anni così silenziosamente impegnate, con logica ferrea, per ridare alle armi la potenza cieca e decisiva nelle controversie del rapporto umano, il quale intanto andava svolgendosi nobilmente nel dialogo ragionevole e pacifico delle moderne istituzioni internazionali. È scoppiato l’ordigno, e subito terribilmente; ma, grazie a Dio, e lode alle persone che ne hanno il merito, ora è stato contenuto e fermato. Speriamo che lo sia davvero, e che nella pausa non si ricomponga con pari e forse più terribile potenza; speriamo che lo sia per sempre.


PERCHÉ LA CONCORDIA SIA DURATURA

Noi vorremmo che il nostro voto fosse profezia; profezia di pace, di vera pace. Noi sentiamo, in virtù della nostra umana e sovrumana missione, vibrare nel nostro cuore la speranza del mondo; la speranza dei saggi, dei buoni, degli umili. La speranza dei giovani e quella delle generazioni venture. Le disavventure degli episodi bellici, che hanno ancora insanguinato la terra, anche in quest’ultimo periodo, non ci scoraggiano; esse accrescono la nostra convinzione che l’umanità deve rivestirsi d’un ordine libero ed unitario, che la civiltà dev’essere positiva, cioè morale ed universale, che la concordia dev’essere ecumenica e duratura. Noi affermiamo che la pace non deve normalmente essere cercata con la violenza della rivoluzione, né mantenuta con il peso della repressione; la pace non deve essere una semplice tregua, un equilibrio, come un braccio di ferro, di forze avverse, una pura e contingente combinazione materialista d’interessi temporali, né una ambiziosa gara di prestigio. La Pace dev’essere una creazione dinamica e continua di principii umani fondamentali, un frutto dei diritti dell’uomo professati e difesi con radicale onestà, un prodigioso risultato di quel supremo dovere, che si chiama l’amore; l’amore per l’uomo, chiunque sia, perché è fratello; ed è fratello perché come tutti, egli è figlio di Dio, Padre universale.


TEMPO DI RICONCILIAZIONE

Ed eccoci allora, uditori carissimi, ricondotti dalla logica stessa della presente esperienza storica al nostro tema della riconciliazione. Non dispiaccia ad alcuno se noi lo affermiamo come ispiratore della nuova storia del mondo: che cosa gioverebbe il progresso dell’umanità se essa non fosse riconciliata con se stessa ed in se stessa? E come potrebbe reggere tale riconciliazione, tale pace, se essa non potesse definirsi una concordia tra fratelli? una vera, convinta, solidale fraternità? E aggiungiamo: può una fraternità fra esseri umani tanto diversi, e sospinti dall’insonne tentazione centrifuga dell’egoismo, mantenere e celebrare questa fraternità senza polarizzarla e sospenderla alla trascendente e felicissima paternità di Dio? e come saremo educati a riconoscere reale tale paternità e ad aprirci a confidente colloquio con essa, se Cristo Maestro non c’insegna: «voi pregherete così: Padre nostro, che sei nei cieli . . .» (
Mt 6,9).

Passano in quest’ora fatidica davanti al nostro spirito le immagini dolorose dei conflitti umani; sono ancora molti nel mondo; e per tutti, per ciascuno, il nostro voto è quello della riconciliazione fra gli uomini, che sono in ogni modo fratelli: è la persuasione della sua possibilità; è l’invito ad una fiduciosa, comune collaborazione affinché essa si compia: è la speranza vittoriosa della pace per tutti.

Dio lo voglia, con la nostra Apostolica Benedizione.


Mercoledì, 31 ottobre 1973


Paolo VI Catechesi 31073