Paolo VI Catechesi 20374

Mercoledì, 20 marzo 1974

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Noi parliamo ancora della penitenza, via della salvezza, ch’è il tema di stagione, sia perché siamo in quaresima, sia perché questo tema fa riferimento all’Anno Santo con il suo proposito di rinnovamento e di riconciliazione, che non potremmo conseguire senza la penitenza, e sia perché la nuova liturgia relativa a questa disciplina conferisce al tema una particolare attualità.

Per amore di brevità e di semplicità fissiamo la nostra attenzione su due punti fondamentali, nei quali ci sembra convergere la topografia dottrinale del tema stesso; due punti diversamente riassuntivi della complessa e immensa materia, in perfetta e corrispondente opposizione l’uno all’altro, quasi in bilanciata simmetria; due punti, che, ahimé !, la mentalità irreligiosa moderna tenta di espungere dal campo delle sue riflessioni; ma che non possono assolutamente essere trascurati dalla nostra spiritualità, se cristiani siamo e ci sentiamo.

Questi due punti stanno alla base dell’annuncio evangelico, del «cherigma» cristiano, cioè del nostro catechismo, e sembra a noi che racchiudano in sé la sintesi drammatica della nostra salvezza.

Quali sono? Ancora una volta S. Agostino ci fornisce la formula, che non è solo verbale, ma reale, umana e teologica, e che si restringe nelle due formidabili parole: miseria e misericordia (Cfr. En. in 32 IPL 36,287 e IDe Civ. Dei; PL 41,636 ecc).

Dicendo miseria intendiamo parlare del peccato, tragedia umana che si svolge nella storia del male, abisso oscuro che precipita verso una paurosa rovina. Il peccato: se ne è parlato altre volte; e sempre ritorna la sua conturbante presenza in ogni nostro discorso religioso ed umano; ora è il caso di mettere sotto la lente d’una più chiara visione questa nozione, la quale tiene posto di cardine inferiore e negativo di tutta la concezione cristiana dell’umana esistenza; e ciò è tanto più opportuno in quanto le ideologie teoriche e pratiche del mondo contemporaneo tentano di espungere il nome e la realtà del peccato dal discorso moderno. Dove non è religione, il peccato non ha più senso d’essere. Perché esso consiste nella violazione dell’ordinato rapporto, che congiunge l’uomo a Dio. Anche qui è sempre valida la definizione classica del peccato, data da S. Agostino e dopo di lui dai maestri del pensiero cristiano: esso è un atto, un fatto, una parola e anche solo un cattivo desiderio contrario alla legge eterna di Dio, cioè a quella divina ragione che stabilisce l’ordine essenziale insito nella natura delle cose (Cfr. S. AUG., Contra Faustum, 22, 27; PL 42, 418; e S. TH.
I-II 71,6). Non parliamo qui del peccato originale, che costituisce un fondamentale capitolo della nostra teologia e dell’antropologia cattolica; ma il solo ricordo di questa triste e fatale eredità ci dice come nella nostra concezione della vita non possiamo prescindere da un inestinguibile bisogno di salvezza, e dall’impossibilità di conseguirla con le nostre sole forze: a nulla ci gioverebbe l’essere nati, se non ci fosse data la fortuna d i rinascere (Cfr. l’Exsultet della notte pasquale).

Parliamo del peccato così detto attuale, quello cioè che mette in gioco la nostra libertà, la nostra responsabilità, e che trova tanto spesso incentivo nelle circostanze ambientali, sfavorevoli alla rettitudine del nostro operare. Ora sta il fatto che proprio perché noi siamo intelligenti, liberi e responsabili, le nostre azioni hanno una ripercussione trascendente il cerchio della nostra personale esperienza e, volere o no, assumono un’importanza positiva o negativa, a seconda della loro conformità o della loro difformità alle esigenze del volere di Dio, nel quale, come pesci nell’acqua, noi siamo immersi. L’immanenza della legge morale drammatizza la nostra esistenza, con questa conseguenza che l’infrazione grave alla medesima legge, mentre oggettivamente comporta un’offesa intollerabile a Dio, diventa soggettivamente mortale, per chi la commette, cioè si traduce in un’autolesione, in una « macchia », che indarno le opinioni naturaliste, col tentativo di ridurre il peccato alla dimensione di semplice fatto d’ignoranza o di debolezza, o d’incoercibile istinto, riescono a redimere. «La conseguenza del peccato è la morte», afferma S. Paolo (Rm 6,23).

Questa è la verità; questa è la sorte dell’uomo, che si è staccato scientemente e volontariamente dalla sorgente unica e somma della vita, che è Dio.

Ma un’altra verità succede; un’altra sorte è riservata all’uomo per il sopraggiungere d’un gratuito, onnipotente e ineffabile disegno di Dio: la misericordia. Alla miseria dell’uomo viene in soccorso la misericordia divina.

E voi sapete con quale provvidenza: «dove abbondò il delitto, sovrabbondò la grazia» (Rm 5,20). E, sapete, con imprevedibile amore: Cristo, il Verbo di Dio fatto uomo ha assunto su se stesso la missione redentrice. «Lui, che non conosceva il peccato, si è fatto peccato per noi, affinché noi diventassimo in lui giustizia di Dio» (Cfr. 2Co 5,21). Cioè si è offerto vittima espiatrice in nostra sostituzione, meritando per noi una restituzione allo stato di grazia, cioè alla partecipazione soprannaturale alla vita di Dio.

Non avremo mai abbastanza esplorato questo piano redentore nel quale si rivela l’infinita bontà di Dio, l’amore incomparabile di Cristo per noi, la fortuna senza confini offerta al nostro eterno destino.

Entrare in questo piano significa per noi fare penitenza, cioè sapere, accettare, rivivere questa economia di salvezza. Che cosa v’è di più grande, di più necessario, e, in fondo, di più bello e di più facile e di più felice?

Con la nostra Apostolica Benedizione.



A studenti del Canada

We are glad to have with us today a group of nearly two thousand students from various parts of Canada, and we wish you to know how pleased we are that you have come to see us. We take the occasion to offer you a word of encouragement.

Since you make up the coming generation, your country and the world look to you with hope. You have the energy of youth, and you are filled with ideals for building a better world. Live up to these ideals. Do not give in to the uncertainty of the present time, but work and use your talents with courage, strong hope and confidence. May this visit be a help to you in many ways: in your studies, your understanding of the world and especially in strengthening your faith in God. We invoke upon you and upon your families and friends God’s abundant graces.

La stampa cattolica in Australia e Nuova Zelanda

We are happy to extend a special word of greeting to the members of the Australasian Catholic Press Pilgrimage, who have come from both Australia and New Zealand.

We appreciate your visit and it is our prayer that your pilgrimage to Rome will be for you a happy experience and one that will serve to confirm your faith and help you to live an ever fuller Christian life. We ask you to take our cordial greetings to your families and friends at home.

Le Missionarie Serve di San Giuseppe

Un saludo especial a las Religiosas Misioneras Siervas de San Jose, que celebrais este afio el primer Centenario de la fundacion de vuestro Instituto.

A vosotras, queridas hijas, que, fieles a la inspiration de vuestra Fundadora la Madre Bonifacia Rodríguez Castro, seguís el lema de trabajar en la promoción humana y religiosa de la niñez y la juventud, de las familias obreras y trabajadoras económicamente necesitadas, os expresamos nuestra complacencia, unida a nuestro agradecimiento, por el bien que hacéis a la Iglesia en tantas partes del mundo por donde vuestras comunidades se encuentran diseminadas.

Deseamos exhortaros a mantener siempre el espíritu de Nazaret, en el que se conjugan admirablemente la acción con la oración, la actividad externa con la contemplación interior, procurando que el contacto frecuente con Dios santifique vuestra vida y actividades todas, y renueve íntimamente vuestras almas, según las exigencias e intenciones del Año Santo.

Sobre vosotras, vuestro Instituto y obras a las que os consagráis, así como sobre los familiares que os acompañan en esta circunstancia, imploramos abundantes gracias del cielo, en prenda de las cuales os impartimos nuestra paterna Bendición Apostólica.



Mercoledì, 27 marzo 1974

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Avevamo intenzione di ricevere stamane i vostri numerosi gruppi, ma purtroppo, nonostante il nostro desiderio, una indisposizione ce lo impedisce. Ce ne dispiace specialmente per voi, venuti a portarci il dono della vostra presenza, che tanto ci conforta.

Vi auguriamo ogni bene, nell’adempimento generoso dei vostri quotidiani doveri; vi seguiamo con la preghiera, che invoca su di voi dal Signore ogni dono di fortezza, di grazia, di pace; e di cuore vi impartiamo la nostra benedizione, ch’è rivolta anche a tutti i vostri Cari lontani.




We are happy to extend to all of you-our sons and daughters and our friends-the expression of our affection in Christ the Lord. We invoke his graces upon you, and in his name give you our Apostolic Blessing.

Von Herzen erteilen Wir den vielen Pilgern aus den Ländern deutscher Sprache Unseren Apostolischen Segen. Es sind auch alle Andachtsgegenstande geweiht, die Sie bei sich haben. Unas palabras de saludo y bienvenida para todos nuestros oyentes de lengua española y portuguesa.

Lamentando no poder recibiros hoy corno habríamos deseado, os impartimos la Bendición Apostólica, que extendemos a vuestros familiares.

Al termine dei saluti, il Papa imparte a tutti la Benedizione Apostolica. Prima di ritirarsi, si è infine intrattenuto brevemente alla finestra, per rispondere al rinnovato saluto della moltitudine. Ed ecco il testo dei successivi saluti che il Santo Padre si proponeva di pronunciare, se gli fosse stato possibile dar corso alla consueta udienza generale.

Centri d’istruzione professionale

Diamo ora un saluto particolare al gruppo proveniente dai Centri di istruzione e di addestramento professionale, curati dall’apposita Federazione Italiana (F.I.C.I.A.P.). La vostra presenza è, anche quest’anno, molto numerosa; come siamo informati, si tratta prevalentemente di allieve di benemerite scuole, venute soprattutto dal meridione d’Italia: e quindi ci offrite quest’anno e un nuovo aspetto della molteplice attività dei Centri, e una diversa rappresentanza di quei trentamila giovani e signorine che, sotto la guida di esperti maestri, si preparano ad una qualificazione professionale che sarà loro utile, anzi indispensabile, per inserirsi con piena maturità e responsabilità nel mondo del lavoro.

Ci fa piacere apprendere che questa preparazione, compiuta nel raggio capillare di innumerevoli scuole, si svolge appunto dando un sicuro e approfondito orientamento cristiano alle istanze fondamentali della vostra giovane vita. Sappiamo inoltre che intervenite liberamente a corsi di esercizi spirituali, organizzati per voi, e che siete aperti alle esigenze della collaborazione missionaria. Bravi, giovani carissimi! Così facendo voi dimostrate di aver compreso che solo nella luce del Vangelo l’uomo trova le indicazioni necessarie per vivere la propria esistenza secondo il piano di Dio, per dare al proprio lavoro il suo significato di collaborazione all’ordine creato, e di consacrazione delle realtà terrestri, di redenzione della fatica inerente al lavoro, rendendola fruttuosa nella comunione col Mistero della salvezza, operata mediante la Croce.

Vi auguriamo di dare sempre alla vostra vita il suo significato autentico di risposta generosa a Dio che ci chiama, e di amore concreto e operoso ai fratelli: e tutti vi benediciamo di cuore, unitamente ai vostri familiari e a quanti si occupano della vostra formazione spirituale e professionale.

Giovani liceali alsaziani

Novelli sacerdoti di Propaganda Fide

We extend our congratulations and good wishes to the newlyordained priest from Propaganda College, whom we welcome here today with their families and with the superiors and staff of the College. Beloved sons, you are beginning a new chapter in your lives. It will be your great privilege to help evangelize your own countries. You will go forth in obedience to Christ’s command to teach all nations, baptizing them in the name of the Father and of the Son and of the Holy Spirit. Your zeal and generous selfsacrifice will help to spread the faith among some, and to deepen it in others. May Christ your divine Master always go with you.

Concertisti musicali d’America

We great also the students from America who belong to a number of musical bands. Welcome to Rome. We hope that your stay here help you to develop your talents in the service of your fellow men. We are always pleased to welcome young people, and we are grateful to you for coming to see us.

Pellegrini dell’Associazione cattolica della Thailandia

We give a special welcome to the pilgrims from the Catholic Association of Thailand. Thank you for coming to see us.

We send our greetings also to your families at home. May your stay in the Eternal City be an enjoyable one, and may you benefit from the cultural and spiritual riches to be found here. Pellegrini tedeschi convenuti a Roma per la beatificazione di Liborio Wagner Von herzen begrüßen Wir heute die vielen Pilger aus Deutschland.

Sie wohnten am vergangenen Sonntag der Seligsprechung Ihres Landsmannes bei, des Priesters und Martyrers Liborius Wagner. Wir freuen Uns mit Ihnen und beglückwünschen Sie, daß Deutschland, das der Kirche schon so viele heilige Männer und Frauen geschenkt hat, im Glanze eines neuen Seligen aufstrahlt.

Der selige Liborius lebte in einer Zeit der Glaubensnot, aber auch der Glaubensfreude und des Bekennermuttes. Er gehörte zu den vielen unbekannten Priestern der damaligen schweren Glaubenskrise, die auf das Lehramt der Kirche hörten und darum ihren Gläubigen die unveränderlichen Glaubenswahrheiten einheitlich lehrten.

So erfüllten sie die unsicher und schwankend gewordenen Christen mit neuer Zuversicht und begeisterten die Menschen für den heiligen katholischen Glauben.

Es steht ferner geschichtlich fest, daß der neue Selige wegen seiner Treue zur Kirche und zum Papst, dem Nachfolger des heiligen Petrus, des Märtyrertodes sterben mußte. Denn er war davon überzeugt: «Ubi Petrus, ibi Ecclesia, wo Petrus, der Papst, ist, dort ist die Kirche».

Möge der selige Liborius Wagner uns allen in drangvoller Gegenwart leuchtendes Vorbild und mächtiger Fürsprecher sein! Dazu erteilen Wir allen Anwesenden von Herzen Unseren Apostolischen Segen.


Mercoledì, 3 aprile 1974

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Fratelli e Figli carissimi!

Noi non dobbiamo rimanere indifferenti, e tanto meno diffidenti, all’invito che la Chiesa ci rivolge a rinnovare la nostra mentalità, e poi anche la nostra pratica religiosa, in ordine al sacramento della penitenza, che ci abitueremo d’ora innanzi a meglio definire come sacramento della riconciliazione. Riconciliazione, intendiamo, con Dio; questo si sa, sebbene ciò rimanga sempre un motivo di meraviglia sconfinata e gioiosa; riconciliazione con la Chiesa, alla quale il sacramento della penitenza ci ricollega come membra sane e vive, da inferme o morte, che eravamo; e qui comincia la novità della riflessione, che la pubblicazione del nuovo Ordo paenitentiae, testè promulgato in seguito al rinnovamento liturgico voluto dal Concilio, offre alla nostra coscienza ecclesiale: come ogni nostra mancanza personale si riflette sul nostro rapporto essenziale e vitale con Dio, così si riflette su quello comunitario, ch’è pure analogicamente essenziale e vitale e ci collega col corpo mistico di Cristo, cioè con la Chiesa santa e viva di cui siamo membra; e anche qui, come sempre nel nostro mondo religioso, la meraviglia e la gioia, vibrazioni caratteristiche della vita, non mancano! Essere parte santa e viva della Chiesa di Dio, della umanità redenta! Fratelli e Figli! faremo bene a dedicare a questo tema della penitenza sacramentale rinnovata nello spirito e nel rito una particolare attenzione.

Si tratta precisamente d’un nostro supremo interesse, la nostra salvezza.

E si tratta di camminare sul crinale di quei due grandi abissi (di cui abbiamo altra volta fatto parola), che sono, da un lato, quello del peccato, su cui la mentalità moderna ci accieca e ci fa perdere la visione vertiginosa delle sue paurose e mortali profondità; dall’altro, dicevamo, quello dell’Amore, della bontà, della misericordia, della grazia, della risurrezione, che Dio nel piano della redenzione, e quindi dell’azione sacramentale della Chiesa, offre alla nostra libertà. Primo quadro. Secondo. Questa nostra libertà, che dovrebbe impetuosamente, ma più spesso gradualmente dirigersi verso l’oceano della salvezza, si chiama, in questa fase, ripetiamo, conversione, cioè scelta, orientamento, rivolgimento della nostra psicologia adagiata sulle proprie abitudini disordinate, incline alla facilità delle proprie istintive passioni egoiste ed inferiori, verso il Bene, verso la vera vita, il Dio che viene, come il buon Pastore evangelico, in cerca di noi. Questo è il momento, ben si sa, soggettivamente decisivo della metanoia, della penitenza; è quello del pentimento, della contrizione, la quale ha di proprio che immette nella cosciente deplorazione delle proprie mancanze i motivi più veri e più forti: quelli dell’offesa a Dio e dello strappo dato alla comunione ecclesiale, oltre a quello dell’indegnità con cui s’è profanata la propria personalità configurata sulla immagine divina.

Terzo. È quello della scena rituale. Quello del «come si fa», praticamente. Qui la riforma liturgica ha avuto notevoli sviluppi.

E cioè essa contempla tre possibili forme di riconciliazione. Vi accenniamo appena. La prima forma è quella individuale, sempre in uso, ma con accentuata esigenza delle disposizioni personali e del riferimento a quella Parola di Dio, dalla quale giunge a noi il beato messaggio della divina bontà e verso la quale dobbiamo polarizzare la nostra anima prima convertita e poi giustificata. È la forma consueta, ma arricchita di coscienza, di gravità, di ascoltazione oltre che di confessione, di delibazione, se così si può dire, dell’Amore divino e del gaudio ineffabile del sapersi risuscitati alla vita divina. Non avremo mai fatto abbastanza l’apologia del sacramento della riconciliazione, ch’è per noi peccatori un rinnovato battesimo di rinascita soprannaturale.

La seconda forma è quella della preparazione collettiva, seguita dalla confessione e dalla assoluzione individuale. Essa congiunge il duplice pregio dell’atto comunitario e dell’atto personale. È la forma migliore per il nostro Popolo, quando è possibile; ma suppone di solito la presenza simultanea di parecchi ministri del sacramento; e ciò, non è sempre facile. Ma noi ci auguriamo, specialmente per i gruppi omogenei: ragazzi, giovani, lavoratori, malati, pellegrini, eccetera, ch’essa diventi di più abituale celebrazione, perché consente una migliore preparazione e un più ordinato svolgimento.

Poi v’è la terza forma, con riconciliazione collettiva e assoluzione unica e generale. Ma questa forma ha carattere eccezionale, di necessità, in casi consentiti dal Vescovo e con l’obbligo residuo dell’accusa individuale, in un momento successivo, dei peccati gravi, cioè mortali.

Tutte queste cose le avete già sentite ripetere, e le sentirete ancora. Sentirete anche precisare e rettificare certe notizie inesatte, che sono state divulgate circa il nuovo rito del sacramento della penitenza, come quella dell’abolizione dei confessionali: il confessionale, in quanto diaframma protettivo fra il ministro ed il penitente, per garantire l’assoluto riserbo della conversazione loro imposta e loro riservata, è chiaro, deve rimanere. (Si può ricordare, ad esempio, ciò che scrive il Guitton circa un singolare sacerdote, maestro di spirito, pensatore finissimo, l’Abbé Guillaume Pouget, Lazzarista, al quale - Paris, rue de Sèvres, 85 - andava facilmente ogni genere di persone, spesso rinomate e altolocate; andava nella sua stanza e spesso finalmente si confessava, perché era cieco) (Cfr. J. GUITTON, Portrait de M. Pouget, Gallimard 1941; Dialogues avec M. Pouget, Grasset 1954).

Ma due cose, molto semplicemente, noi vorremmo raccomandare in ordine a questo tema, che crediamo molto importanti. La prima, a tutti: quella di dare e di restituire, se occorre, al sacramento della Penitenza la funzione capitale, ch’esso riveste nella vita cristiana; non v’è, in pratica, redenzione dalla fragilità umana, si può dire, e non v’è vocazione vera alla sequela di Cristo, e perfezione spirituale, che non derivi dalla frequenza severa e sapiente di questo sacramento; sacramento dell’umiltà e della gioia. L’altra ai Sacerdoti: quella di raccomandare loro la stima, la pratica, la pazienza e l’arte della cura d’anime, proprie di questo ministero.

Non si tratta di dare al proprio sacerdozio un indirizzo «integralista», come si dice, individualista, assente dai grandi problemi comunitari e sociali; si tratta d’essere fedeli alla propria vocazione di ministri della grazia e di specialisti nella medicina delle anime, quanto e più dei moderni psicologi e psicanalisti. Due raccomandazioni vivissime, con la nostra Apostolica Benedizione (Cfr. R, GUARDINI, La coscienza, Morcelliana, Brescia; Valore e attualità del Sacramento della Penitenza, Pianazzi e Triacca, Pas Verlag 1974).


Mercoledì, 10 aprile 1974

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Due sono, come sapete, gli scopi orientatori dell’Anno Santo: il rinnovamento cristiano e la riconciliazione. Questo secondo tema può riferirsi a obiettivi diversi, due anch’essi principali: Dio e gli uomini; può perciò avere sviluppi molto differenti, religioso il primo, quello cioè che riguarda la riconciliazione con Dio, tema capitale della nostra fede e della nostra vita religiosa, spirituale e morale; sociale il secondo, quello del ristabilimento di rapporti pacifici, normali e fraterni con gli uomini, che costituiscono il nostro prossimo. Ed è questo tema, che ora interessa la nostra attenzione: la riconciliazione fra i componenti dell’umanità, considerata nelle sue dimensioni universali, come in quelle particolari e, prime fra tutte, quelle private. Come vedete, il tema ha una rete immensa e complessa di applicazioni. Riguarda la pace, motivo senza fine di studio e di azione; riguarda i rapporti di concordia, di collaborazione, di rispetto, di solidarietà, ai quali oggi la coscienza civile dà giustamente tanta attenzione, ed ai quali la Chiesa rivolge speciali ed intense esortazioni, enucleando ed affermando i principii della pace e della convivenza umana, educando le coscienze a quel senso di universalità, cioè di cattolicità, che è proprio della sua costituzione religiosa, e che, anche nell’ambito naturale e civile, si manifesta sempre più come una esigenza, non solo ideale, ma concreta, e che tende a fare scomparire nell’umanità le cause delle guerre, delle discordie, delle rivalità, e a fare di essa una vera, grande e ordinata famiglia.

Il problema della riconciliazione, considerato nella sua attualità storica e politica, presenta aspetti tuttora assai gravi, verso i quali, pur non lasciando nulla di intentato di quanto è in nostro potere, non siamo il più delle volte che dolenti spettatori, umanamente incapaci a porre adeguato rimedio alla loro drammaticità, ma, proprio per questo, tanto più impegnati nella preghiera per la loro rapida e pacifica soluzione. Abbiamo sempre davanti al nostro spirito la situazione del Medio Oriente, dove intorno alla fatidica città della pace, Gerusalemme (Cfr.
Ps 121,6-8), figura per noi della Città celeste (Cfr. Ga 4,26), beata pacis visio (Inno della dedicazione), e intorno a quella Terra, Santa per tanti titoli biblici, evangelici specialmente dove ancora perdura uno stato di contesa, e dove, oltre ad un appropriato statuto con garanzia internazionale per la Città Santa, Gerusalemme, ed una conveniente tutela giuridica dei Luoghi Santi, urge una giusta ed equa sistemazione delle popolazioni profughe.

Anche recentemente, proprio in questi giorni, noi abbiamo invitato la Chiesa a ravvivare, nello spirito dell’orazione e della carità, il comune interesse per le necessità della Terra Santa.

E che diremo della riconciliazione tanto a lungo sperata, cioè della pace tuttora ritardata, nel Viet-Nam e nei Paesi vicini? Che cosa diremo della inquieta Irlanda del Nord, dove noi sempre abbiamo sperato che la comune professione cristiana potesse almeno impedire la troppo ripetuta e tragica effusione di sangue? Cosi altrove! in non pochi Paesi una sicura riconciliazione interna ed esterna è sempre desiderata. Noi incoraggeremo gli sforzi sinceri di quanti, costituiti in autorità, o aventi mezzi di comunicazione sociale a loro disposizione, o semplici cittadini, fanno opera di leale concordia nel mondo.

Ma la riconciliazione ha tanti altri campi nei quali svolgere l’opera sua: l’ecumenismo, per primo. La nostra speranza non si stanca di attendere fiduciosa, pur nella consapevolezza che la riconciliazione in questo campo non può maturare a scapito delle esigenze della dottrina della fede; consapevoli altresì che essa, la riconciliazione, esige una vigilia di umiltà e di orazione, di cui solo la Provvidenza divina stabilisce la durata. E ciò accresce la nostra spirituale tensione, che l’Anno Santo renderà certo ancora più intensa e fiduciosa.

E poi si pensi al bisogno e alla difficoltà di altre riconciliazioni. Nelle lotte sociali, nei conflitti tribali, e così via: la concordia fra gli uomini è sempre precaria e difficile!

Ma pensiamo a noi, alle nostre discordie private. Abbiamo nemici, avversari, persone ostili, verso cui le nostre relazioni umane possano essere puntualizzate secondo il Vangelo? Rileggiamone la pagina severa: «Se tu, nel fare sull’altare la tua offerta, ti rammenti che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare, e va prima a riconciliarti col tuo fratello, e poi ritorna a fare l’offerta» (Mt 5,23-24). Religione e carità fraterna devono andare d’accordo: ecco un bel ricordo, un buon proposito per l’Anno Santo. A tutti la nostra Benedizione Apostolica.

L’Istituto per la cooperazione universitaria


Mercoledì, 17 aprile 1974

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Noi tutti faremo bene a prolungare spiritualmente la nostra celebrazione della Pasqua nel ricordo del nostro battesimo. Il rapporto fra il mistero pasquale, che Cristo celebrò con la sua passione, la sua morte e la sua risurrezione, ed il sacramento del nostro battesimo ci è insegnato da San Paolo con parole chiarissime nel celebre passo della lettera ai Romani: «Ignorate voi forse che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù siamo stati battezzati nella morte di Lui? siamo dunque stati sepolti con Lui nella morte mediante il battesimo, affinché, come Cristo fu risuscitato da morte per la gloria del Padre, così anche noi camminiamo in novità di vita. Poiché se noi siamo stati inseriti nella somiglianza della morte di Lui, lo saremo anche a quella della risurrezione; sapendo questo, che il nostro uomo vecchio fu crocifisso con Lui perché fosse distrutto il corpo del peccato, in modo da non essere più nomi schiavi del peccato . . . Cosi anche voi fate conto di essere morti al peccato, e di vivere a Dio in Cristo Gesù» (
Rm 6,3-11).

Questa è una fontana di dottrina: sulla salvezza portata da Cristo all’umanità, e come; cioè mediante il mistero pasquale; sull’antropologia insegnata dal cristianesimo, e cioè sul peccato originale; sulla azione sacramentale salvifica, derivata dallo stesso mistero pasquale; sugli effetti del battesimo, quali la purificazione del peccato e la restituzione del battezzato alla grazia divina, che vuol dire ad una misteriosa, ma reale partecipazione della nostra vita naturale alla vita divina, soprannaturale; con le conseguenze che derivano da un fatto così straordinario, specialmente per il nostro destino escatologico, cioè oltre la morte temporale, per l’eternità, ma, fin d’ora, per la nostra comunione vitale con Cristo, nostro capo, di Cui diventiamo membra nel suo mistico corpo, che è la Chiesa, con l’impegno da parte nostra, mediante l’aiuto divino e il sostegno della Chiesa stessa, d’essere «uomini nuovi» (Cfr. Ep 4,24) nella mentalità (Cfr. Rm 12,2), nel costume, nello stile di vita, e specialmente nella carità fraterna (1Jn 3,13).

Questa dottrina sul nostro battesimo ci dovrebbe essere più familiare, e dovrebbe costituire il substrato della nostra vita spirituale e morale, la quale dovrebbe modellarsi misticamente e moralmente con quella di Cristo: con Lui dobbiamo essere in certo modo crocifissi (Cfr. Rm 6,6 Ga 2,20); con Lui morti (2Tm 2,11); con Lui con sepolti (Col 2,12), per rivestirci di Cristo (Ga 3,27), ed essere poi con Lui viventi e conrisuscitati (Ep 2,5 Col 2,13), e coeritieri e conglorificati (Rm 8,17).

Fissiamo ora il nostro pensiero sul punto focale di questa dottrina fondamentale per ogni cristiano, e cioè sul contatto, sull’unione, sulla comunione di vita che il battesimo, per virtù della passione, della morte e della risurrezione di Cristo, opera in noi. È il mistero della giustificazione e della santificazione ideato dall’amore di Dio per la nostra salvezza.

Non sarà trascorsa indarno per noi la Pasqua, se essa avrà riacceso in noi la coscienza del nostro battesimo. È questo il nostro voto, con la nostra Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 24 aprile 1974

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La vostra visita ci trova ancora nel respiro dell’atmosfera pasquale, che deve riempire i nostri animi della reviviscente memoria del nostro battesimo, partecipazione non solo rituale, ma sacramentale al mistero pasquale, ch’è l’opera della nostra redenzione, compiuta da Cristo mediante la sua passione, la sua morte e la sua risurrezione, e a noi comunicata nella fede, mediante il simbolo efficace del battesimo stesso.

Il quale dunque non è soltanto un atto cerimoniale, un fatto episodico, una rievocazione memoriale del mistero pasquale, ma un principio vitale, innovatore, soprannaturale, permanente e profondo, che rigenera l’essere umano e gli imprime una nuova forma di vita, e lo associa ai nuovi destini del regno di Cristo.

Sorge allora una elementare domanda: questo momento prodigioso della nostra esistenza, il quale è tutto dovuto all’opera di Dio, alla sua trascendente e misericordiosa causalità, comporta qualche condizione da parte dell’uomo? È il battesimo un fatto puramente automatico, ovvero esige da chi lo riceve qualche particolare comportamento? Sì, certamente; tanto che nei bambini, che sono battezzati e non hanno coscienza di sé, deve per loro supplire la Chiesa, specialmente e ordinariamente, mediante i Padrini e le Madrine dei battezzandi. E quali sono queste condizioni?

Qui il discorso si farebbe lungo, ma certamente a nessuno di voi è ignoto, tanto che noi ora ci limitiamo a ricordarvene il titolo, che è quello del «catecumenato», parola questa che deriva dal verbo greco «katecheo», e che significa impartire un insegnamento orale, quello appunto che nella primitiva Chiesa cristiana si anteponeva alla ammissione al battesimo. Il catecumenato è la prima parte della iniziazione cristiana, della quale ora fortunatamente molto si parla; voi ne siete sicuramente informati; del resto faremo bene tutti ad «aggiornare» la nostra istruzione in proposito.

Ora qual è la chiave d’ingresso nel catecumenato? È la famosa domanda, con cui ancora oggi incomincia il grande e consueto rito battesimale: «Che cosa vuoi tu, che vieni alla soglia della Chiesa di Dio?» chiede il ministro del battesimo al neo-battezzando. Risposta: «Chiedo la fede». E il ministro: «che cosa ti può dare la fede?»; risposta: «la vita eterna». Nulla di più semplice, e nulla di più importante di questo fondamentale dialogo: la fede è la chiave d’ingresso; è la condizione iniziale, indispensabile, per accedere alla salvezza cristiana. Più che d’una fede formata, qui si intende d’una disposizione alla fede completa e già edotta delle verità, ch’essa introduce nello spirito umano, e che dovranno illuminarlo sempre meglio in tutto il corso successivo della vita cristiana.

Voi poi anche sapete che durante lo svolgimento del catecumenato, cioè della preparazione al battesimo, ad un dato momento, è richiesta al candidato, e a chi lo rappresenta o lo accompagna una esplicita, se pur sintetica, professione di fede con la recitazione del Credo, del così detto «Simbolo apostolico» (come, rifacendosi alla tradizione romana, per primo lo designa S. Ambrogio) (PL 16, 1174; 0. FALLER, Explanatio Symboli , pp. 9-10, CSEL, 73). Fermiamoci qui, con una capitale osservazione: il battesimo comporta un preciso e deciso impegno dottrinale. Essere battezzati cioè essere cristiani, esige la fede, sia soggettiva, risposta personale piena e gioiosa all’Amore divino, rivelatosi salvifico in Cristo, sorgente di tutta la nostra vita nuova; sia oggettiva, adesione a una rivelata Parola di Dio, enucleata in determinate verità, che il carisma docente della Chiesa propone da credere, senza riserve e senza equivoche interpretazioni.

Voi comprendete come l’impegno dottrinale, fin dal primo tirocinio, sia fondamentale e solenne per chi voglia attenersi all’autenticità della professione cristiana; e come la fedeltà a tale impegno non possa essere qualificata di vieto e rigido integrismo, e non consenta arbitrii, così detti pluralistici, di opinioni personali e mutevoli, i quali deflettano dalla sostanza testuale della dottrina, quale il magistero della Chiesa, nella sua responsabile funzione e nel suo arduo dovere di «custodire il deposito» (Cfr. 1 Tim
1Tm 6,20), conserva, difende e logicamente alimenta e sviluppa, memore dell’esortazione dell’Apostolo: «che la vostra carità cresca sempre più e più nella vera scienza . . .» (Ph 1,9).

Sicurezza ed armonia è la verità della fede nelle sue inesauribili espressioni; sicurezza ed armonia, di cui oggi ha particolarmente bisogno la Chiesa, non di sincretismo superficiale e artificioso, non di critica contestataria e sovversiva, non di indocili e indisciplinati pluralismi, ma di chi, come dice ancora l’Apostolo, «vive la verità nella carità» (Ep 4,15).

A voi l’esortazione, a voi l’augurio, con la nostra Apostolica Benedizione.


Mercoledì, 1° maggio 1974


Paolo VI Catechesi 20374