Paolo VI Catechesi 29574

Mercoledì, 29 maggio 1974

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Noi abbiamo meditato, in questo periodo successivo alla Pasqua, i rapporti che legano a noi questo mistero della morte e della risurrezione di Cristo, e procedendo in questa riflessione noi arriviamo ad una conclusione, che più d’ogni altra supera la nostra capacità di parola, tanto da preferire quasi rimanere muti, che costringere in poche e povere espressioni le ineffabili realtà religiose, alle quali ci dobbiamo pur riferire, essenziali e virtualmente note com’esse sono. I Santi vi hanno scritto dei trattati teologici (Cfr. per citarne uno solo, S. AMBROGIO, De Spiritu Sancto, PL 16), e i Teologi vi hanno dedicato meditazioni senza fine (Cfr. TIXERONT, Histoire des dogmes, 1905; SCHEEBEN, Dogmatica, II); si tratta della rivelazione circa lo Spirito Santo e della nostra partecipazione soprannaturale alla Vita divina, partecipazione che chiamiamo la «grazia», quella Carità cioè, quell’amore elevante, santificante e vivificante, che appunto per virtù e per merito della redenzione, del mistero pasquale, è infuso nelle anime di coloro che sono diventati Cristiani (Cfr.
Rm 8,11). Si tratta della grande controversia dottrinale circa la nostra «giustificazione», cioè l’azione divina mediante la quale siamo purificati dalla triste eredità del peccato originale e diventiamo «santi», cioè esistenti in forza d’un nuovo principio vitale, che non solo riveste, ma pervade il nostro essere naturale, e ci garantisce la vita eterna in Cristo nella pienezza finale del regno di Dio (Cfr. S. TH. I 38,0 I-II 109,0-114; DENZ.-SCHÖN. DS 1520, ss.). Si tratta della nostra autentica vita cristiana, vissuta appunto «in grazia di Dio».

Tante, troppe cose per queste nostre umili parole. Grandi verità, grandi questioni. Ci accorgiamo almeno della straordinaria ricchezza della vita religiosa, della sua profondità, della sua bellezza. Non per nulla siamo alle soglie del regno di Dio, al quale il regno di Cristo ci introduce, ci educa, ci rende partecipi. Fermiamoci ad una sola considerazione: alla necessità di vivere in grazia di Dio. E riportiamoci al Vangelo. Vi ricordate l’episodio? narrato dall’evangelista S. Giovanni? al capo terzo del suo Vangelo, circa l’intervista notturna d’un «notabile» del suo tempo e del suo ambiente, di nome Nicodemo, il quale, andato per esplorare chi veramente fosse e che cosa in sostanza insegnasse Gesù, si ebbe da Cristo questa prima e sconvolgente risposta: «In verità, in verità ti dico che se uno non nasce di nuovo, non può vedere il regno di Dio». È così preannunciata la necessità d’una vita nuova, derivante da un principio diverso, estrinseco, superiore e infuso nella nostra esistenza naturale per renderla idonea a partecipare, in data forma e misura, niente meno che alla vita divina: «In verità, in verità ti dico, insiste Gesù, se uno non rinascerà dall’acqua (allude al battesimo), e dallo Spirito Santo (allude alla grazia battesimale), non può entrare nel regno di Dio». Il dotto interlocutore, Nicodemo, lì per lì, non comprende nulla; ma comprendiamo noi, che ricordiamo altri insegnamenti di Cristo, su questa rivelazione e su questa instaurazione d’una gratuita, nuova, mistica vitalità del credente, fedele seguace di Cristo Salvatore.

Facciamo un salto agli ultimi discorsi del Signore nell’ultima cena, alle estreme, commoventi, ineffabili sue confidenze, circa la nuova, divina comunione mediante la quale Egli, con una sua inattesa presenza, rimarrà, dopo la sua scomparsa dalla scena temporale, ancora con quelli che si possono dire suoi; rimarrà con l’invio dello Spirito Santo, il Paraclito, l’assistente, il consolatore, l’ospite interiore, rivelatore della verità salvifica, il suggeritore della preghiera incomparabile (Cfr. Rm 8,27); S. Paolo moltiplica espressioni stupende su questo fatto prodigioso dello Spirito Santo che viene nella nostra anima col suo divino respiro, con la sua luce rischiarante e rassicurante, con la sua forza, che può trarre dalla nostra naturale debolezza il testimonio, l’eroe, il martire, il santo, quale dev’essere il vero seguace di Cristo (Cfr. DENZ.-SCHÖN. DS 1535). Siamo nel misticismo dei contemplativi? nel sentimentalismo dei poeti? nel1 a sfera dei carismatici iniziati? cioè ad un livello straordinario e solo da pochi raggiungibile di vita cristiana? No, siamo sul piano comune di coloro che vivono «in grazia di Dio».

Manifestazioni spirituali singolari a parte, che davvero sono privilegio e conquista di pochi, questa animazione dello Spirito Santo, la quale ci fa « giusti », ci dà modo di rendere buone e meritorie tutte le nostre oneste azioni, ci fa progredire nella intelligenza e nella pratica dello stile cristiano per la nostra vita, ci trasforma in «santuari», in cui abita Dio santissimo, Uno e Trino (Jn 14,23), ci assicura perciò la continuità, anzi il mistero indescrivibile (Cfr. 1Co 2,9) della vita futura, è per tutti! Figli carissimi! riflettiamo bene: è per noi tutti! Per tutti disponibile, per tutti anzi doverosa e necessaria; l’alternativa prospettata per la nostra sorte eterna non ammette dubbi: dobbiamo vivere oggi, per poi vivere sempre beati, in grazia di Dio.

Voi sapete come può essere fragile questa situazione; ma tutti dobbiamo confermarci nella duplice convinzione: è necessario, è possibile, sì, vivere in grazia di Dio. Ecco il nostro ricordo pasquale; ecco la nostra vigilia per la prossima ed eccelsa solennità della Pentecoste: la festa dello Spirito Santo, la festa per noi della grazia divina.

Con la nostra Benedizione Apostolica.

L’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme

A sportivi del Belgio

Le abbadesse dei monasteri benedettini d’Italia

E’ per noi una vera gioia accogliere nell’udienza di stamane un distinto gruppo di Abbadesse di monasteri benedettini italiani, le quali si trovano a Roma per seguire un corso di spiritualità e di aggiornamento.

Figlie carissime! Ci conforta assai il sapervi così lodevolmente impegnate a prendere sempre più chiara coscienza della missione provvidenziale e indispensabile svolta in seno alla Chiesa dalle religiose di vita contemplativa, in vista soprattutto del contributo che voi potete e dovete dare nel campo dell’evangelizzazione del mondo contemporaneo.

Se l’evangelizzazione è, nel suo significato più ampio, portare Cristo e la sua vita divina all’intera umanità, la vostra vocazione, che comporta separazione del mondo e vita nascosta spesa nella preghiera, nel silenzio e nella mortificazione, non significa isolamento dalla comunità ecclesiale, ma vi colloca nel cuore stesso dell’attività apostolica della Chiesa di Dio; giacché è dalla stretta unione con Cristo, che trova nell’ideale monastico così alta testimonianza, che soprattutto saranno resi fecondi gli sforzi della Chiesa per comunicare al mondo la salvezza operata dal Divin Redentore sulla Croce.

Pertanto giustamente affermava il Concilio Vaticano II che gli Istituti religiosi di vita contemplativa «hanno avuto fin qui ed hanno tuttora una parte notevolissima nell’evangelizzazione del mondo» poiché «con le loro preghiere, penitenze e tribolazioni hanno la più grande importanza ai fini della conversione delle anime, perché è Dio che, quando è pregato, invia gli operai nella sua messe (Cfr. Mt 9,38), apre lo spirito dei non cristiani perché ascoltino il Vangelo (Cfr. Ac 16,14) e rende feconda nei loro cuori la parola della salvezza (Cfr. 1Co 3,7)» (Ad Gentes AGD 40).

Vi diremo dunque di mantenere vivo ed operoso in voi il senso della vita contemplativa, nella fedeltà delle genuine tradizioni benedettine, affinché possiate adempiere con sempre maggiore fecondità il ruolo a cui siete chiamate dalla Chiesa.

Vi guidi Maria SS.ma, vostro ideale e modello di consacrazione a Dio e di donazione alle anime, e vi confermi nei vostri propositi la nostra Apostolica Benedizione, che di cuore impartiamo a voi qui presenti e a tutte le vostre Consorelle.


Mercoledì, 5 giugno 1974

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Noi siamo ancora col pensiero, col cuore, rivolti alla festa di Pentecoste, e sappiamo perché. La Pentecoste è una festa che non finisce, dura ancora, durerà sempre. Noi dicevamo che la Pentecoste celebra la nascita della Chiesa; ora, finché vive la Chiesa, quel fatto che caratterizza la Pentecoste, cioè l’animazione divina dell’umanità credente, mediante l’infusione del respiro dello Spirito Santo, dura ancora, ripetiamo, durerà sempre. Si tratta d’un fatto storico e metastorico, avvenuto cioè in un dato momento del corso del tempo, cinquanta giorni dopo la Pasqua ebraica, e per noi dopo la risurrezione di Cristo, e in quella medesima congiuntura avvenuto nell’ordine superiore dei disegni divini, quando piacque al Padre celeste rivelarci «il mistero della sua volontà, . . . cioè d’instaurare tutte le cose in Cristo . . .» (Cfr.
Ep 1,9-10), di fondare la Chiesa, «edificio eretto sul fondamento degli Apostoli e dei Profeti, essendone pietra angolare lo stesso Cristo Gesù, sul quale tutto l’edificio ben costruito s’innalza a tempio santo del Signore»; del quale edificio noi pure siamo parte, come parte d’un «santuario di Dio nello Spirito» (Ep 2,20-22).

Questo aspetto misterioso della Chiesa conferisce alla Chiesa stessa diversi nomi simbolici nella S. Scrittura e nel linguaggio religioso: corpo mistico, popolo di Dio, sposa di Cristo, vite vera, gregge del Pastore evangelico, tempio della vera religione, arca dell’alleanza, regno di Cristo, famiglia di Dio, ecc. (Cfr. Lumen Gentium LG 6); ma stando alla etimologia, Chiesa vuol dire «convocazione», assemblea, società (Cfr. Y. CONGAR, Sainte Eglise, p. 21 SS., Cerf 1963).

Ora il momento in cui questa particolare società umano-divina cominciò a vivere, ad agire, ad avere coscienza di sé, a sentirsi animata da un’Energia profetica, soprannaturale, tutta speciale, nuova e incoercibile, cioè dallo Spirito Santo, fu quello della Pentecoste.

Fu come l’accensione d’un fuoco personale, interiore, che fiammeggiò anche esteriormente, fu nella scena come il soffiare d’un vento, come il fragore di un tuono, come una scossa di terremoto, come lo svegliarsi simultaneo d’una moltitudine, con un’esplosione di grida e di gioia, un’onda spirituale di parole e di eloquenza, che subito si manifestò prodigiosa, perché comprensibile a gente che ascoltava, proveniente dalle più diverse origini, e perché manifestamente destinata all’umanità intera. Nasceva la Chiesa, in quell’ora improvvisa, Chiesa riconoscibile nelle sue quattro note: santa ed apostolica, Chiesa unica e universale, cioè cattolica.

Fenomeno singolarissimo, il quale, ripetiamo, dura tuttora, e durerà fino al ritorno finale di Cristo glorioso, anche se non accompagnato da così sensibili segni esteriori.

Faremo bene a rileggere la narrazione del fatto straordinario, delineato nel capitolo secondo del primo libro della storia della Chiesa, scritto da S. Luca, intitolato, come sapete, Atti degli Apostoli, e qualificato da alcuni, studiosi e devoti, come il Vangelo dello Spirito Santo, ovvero anche la prima evangelizzazione di S. Pietro (c. Ac 1-12), e poi di S. Paolo (c. Ac 13-28). Bellissimo libro, interessantissimo (Cfr. E. JACQUIER, Les Actes des Apôtres, grossa opera non recente, ma tuttora valida; Gabalda 1926).

Ora noi vorremmo che i fedeli della nostra generazione, ancora prima di addentrarsi nello studio della ecclesiologia, ch’è il capitolo più attraente della moderna teologia Si veda il Concilio!, e cfr. Y. CONGAR, ibid. p. 9), e ancora prima di classificare le proprie nozioni teologiche sulla Chiesa, secondo i quattro grandi capitoli delle menzionate note della Chiesa stessa: una, santa, cattolica ed apostolica (Cfr. la voluminosa e ricchissima opera del Card. C. Journet), sapessero cogliere, quasi in sintesi, l’impressione immediata che la visione totale e spirituale della Chiesa produce nei nostri animi; ed è l’impressione d’un’originale bellezza.

Sì, chi riesce a cogliere la fisionomia essenziale della Chiesa non può sottrarsi alla caratteristica emozione che la bellezza produce nei nostri animi. È la forma splendida e perfetta che Cristo ha voluto modellare per la sua Chiesa; non indarno S. Paolo la definisce nelle linee della bellezza che affascina l’amore: «Cristo, egli scrive, amò la Chiesa e sacrificò se stesso per lei allo scopo di santificarla, purificandola col lavacro dell’acqua, mediante la parola di vita, per fare Egli stesso comparire davanti a Sé gloriosa la Chiesa, senza che abbia una macchia o una ruga, o altra cosa siffatta, ma perché sia santa ed immacolata». E questa bellezza non è che riflesso della bellezza di Cristo (Cfr. S. AUG. Enarr. in Ps. 44 PL 36,495-496).

È questa un’immagine utopistica? Difforme dalla figura materiale e temporale della Chiesa, che ben conosciamo? La quale figura denuncia appunto la Chiesa sotto vari aspetti punto avvenente, punto attraente, quella composta di uomini ancora pellegrini nel tempo, quella che registra pagine tristi della sua storia, quella che reagisce tanto di più all’ideale di perfezione attribuito alla Chiesa quanto maggiore è la differenza fra la sua angelica trasfigurata figura e la faccia volgare che l’esperienza spesso dimostra, tanto ch’è in molti avversari invalsa l’abitudine di coprirla di disprezzo, di ostilità, di sarcasmo e anche di calunnia. Non prenderemo ora le difese dei difetti e delle colpe dell’elemento umano di cui la Chiesa, nel tempo, è composta (Cfr. Lumen Gentium LG 48).

Diremo soltanto della sovrapposizione, che Cristo ha compiuto sul volto umano della Chiesa, imponendogliene uno nuovo, quello rigenerato dal battesimo (Cfr. S. AMBROS. De Mysteriis, 7, 35; S. AUG. De doctr. ch. 32; PL 34, 83), infondendole una potestà santifìcatrice, nella Parola, nella Grazia, nella tensione indefessa verso la sua propria imitazione evangelica, nella ricerca, mediante la carità, nel volto stesso dell’uomo infelice, delle più eloquenti sembianze del suo mistico aspetto divino. La Chiesa è bellezza, non foss’altro per la sua missione sacramentale, di esprimere l’invisibile nei segni visibili dei suoi riti (Cfr. S. TH. I-II 101,2, ad 3); per il suo genio artistico, liturgico e simbolico, rivolto all’orizzonte del mondo spirituale; è bellezza soprattutto per le anime innocenti, pure e purificate, ch’essa sa generare. Ricordate l’inno manzoniano sulla Pentecoste. Leggete le biografie dei suoi Santi: dove mai l’umanità ci offre tipi più degni di ammirazione e di venerazione? (Cfr. S. AUG. Serm. 112, PL 38, 1012; cfr. R. CHATEAUBRIAND, Le Génie du Christianisme).

E nella scoperta della bellezza della Chiesa, appena delineata durante questa nostra vita, ma già trasparente per qualche sua irradiazione da quella futura, impariamo ad amare la Chiesa, l’umanità buona, l’umanità ideale, l’umanità santa, che lo Spirito di Gesù prepara nel tempo per farla risplendere nella gloria eterna (Cfr. H. DE LUBAC, Méd. sur l’Eglise, p. 33, 210 ss.).


Saluto ai “Christian Brothers”

We extend a special welcome to the group of Christian Brothers who are attending a course of spiritual renewal in Rome. Beloved sons, every time we greet members of your Congregation, we think of your Founder, of his great charism, of the heritage that he left you. We think of the good that has been performed over the years by so many Brothers working together, being inspired by a wonderful idea1 and intent on bringing Jesus Christ to the World. As we entourage you in your generosity, we would also confirm you in the faith and love that are so essential to your Christian vocation and to your religious calling. In the words of Saint Pau1 we say to you: “Love one another with the affection of brothers . . . Do not grow slack but be fervent in spirit; he whom you serve is the Lord. Rejoice in hope; be patient under trial, persevere in prayer” (Rm 12,10-12). With our Apostolic Blessing.

Le collaboratrici familiari

Ein wort harzlicher Begrüssung richten Wir an die Teilnehmerinnen des internationalen Kongresses der COLF, das heisst der Familienhelferinnen. Ihr Kongress steht unter dem aktuellen Thema: «Die Familienhelferin in der sich wandelnden Gesellschaft».

Im sozialen, wirtschaftlichen, kulturellen und politischen Bereich unserer pluralistischen Gesellschaft gehen tiefgreifende Umwandlungen vor sich. Die ethischen Werte aber, so wie sie uns die Kirche lehrt, müssen unangetastet bleiben. Wer sieht nicht, dass hier die Familienhelferin eine grosse, freilich auch opfervolle Aufgabe zu erfüllen hat? Sie soll den zerrisenen Familien, der ringenden Jugend, den alleinstehenden, vereinsamten, alten und kranken Menschen das Zeugnis der christlichen Liebe und die sittliche Kraft des Glaubens vermitteln.

Wir danken Ihnen im Namen Jesu Christi für all das Gute, das Sie seit Jahren gewirkt haben. Arbeiten Sie weiter voll Zuversicht in Ihrem wichtigen Apostolat nach dem Vorbild so vieler grosser Frauen der christlichen Frühzeit wie der spateren Kirchengeschichte!

E ora un paterno saluto alle partecipanti italiane dell’Associazione Professionale Collaboratrici Familiari, e del Movimento «Tra Noi». Ci rallegriamo per la crescente qualificazione professionale, alla quale mirate, e per l’impegno, con cui volete adempiere il vostro quotidiano dovere. Voi portate un contributo valido alla vita della famiglia, assicurandole non certo solo una presenza fredda e staccata di «funzionarie», ma il calore umano di un’anima che comprende, che aiuta, che ama, che sa anche soffrire in silenzio. Compitelo questo dovere, imitando Maria Santissima, che nella povera casa di Nazareth è stata esempio unico di dedizione, accanto al Figlio di Dio, nelle più nascoste funzioni domestiche. Essa vi interceda dal Signore la pace, la gioia, la carità, e il proposito di rimanere sempre fedeli a Cristo e alla Chiesa.

Con la nostra Benedizione Apostolica.

Un saludo especial a vosotras, las participantes de lengua española en el Congreso International de las Colaboradoras Familiares, exhortándoos a mantener conscientemente una presencia cristiana en vuestro campe específico de acción, en el que tanto bien podéis derramar.

Sabed inspirar vuestra vida en los principios básicos de la fe y en ellos encontraréis guía y aliento para perfeccionaros cada vez más en vuestra tarea.

Que os acompane Nuestra Bendición Apostólica.

Visitatori austriaci

Mit besonderer Freude begrüssen Wir die Vertreter des «Hauptverbandes Katholischer Elternvereine Österreichs».

Sie feiern in diesen Tagen das fünfundzwanzigjährige Bestehen Ihres verdienten Verbandes und Wir sprechen Ihnen Unsere herzlichen Glückwünsche aus.

Wir wissen um Ihren Einsatz im privaten und öffentlichen Leben für die Werte der christlichen Familie. Sie sind überzeugt: Wahres Eheglück, echtes Familienglück ist nur möglich auf der Grundlage eines gelebten Glaubens und opferstarker Liebe. Pflegen Sie darum durch Ihr eigenes Beispiel in Ihren Familien den religiösen Geist, das heisst die Ehrfurcht vor Gott und seinen Geboten. Mit dem Apostel beten Wir für Sie: «Der Herr lasse euch wachsen und reich werden in Liebe und Friede zueinander und zu allen Menschen» (Cfr. 1Th 3,12).

Von Herzen erteilen Wir Ihnen und jedem der Anwesenden Unseren Apostolischen Segen.



Mercoledì, 12 giugno 1974

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Mentre ancora la Pentecoste, cioè la festa che commemora l’animazione della Chiesa per opera dello Spirito Santo, ci illumina e ci rallegra, un aspetto essenziale e vitale di questo avvenimento ci si presenta, ed è quello della sua permanenza. La Pentecoste non è un fatto lontano e ormai passato alla storia; è un fatto che resta, è una storia perenne. La Chiesa vive tuttora in virtù di questa prodigiosa infusione della grazia divina, di questa Carità diffusa nei nostri cuori (Cfr.
Rm 5,5); l’umanità, che compone la Chiesa, è vivificata dallo Spirito, che Cristo salito nella gloria del Padre, manda come Capo al suo corpo rimasto sulla terra e nel tempo (Cfr. Jn 16,7): «Se Io vado, Egli disse nella memorabile notte dell’ultima Cena, manderò a voi» il Paraclito, lo Spirito di verità «perché rimanga in eterno con voi» (Jn 14,16 Jn 14,17). È il grande mistero del Corpo mistico, mistero centrale del cristianesimo vivo e vero, da meditare e da custodire gelosamente. S. Agostino ancora ci è maestro: «Solo la Chiesa cattolica, egli scrive e ripete, è il corpo di Cristo, di cui Egli è il Capo e il Salvatore (Ep 5,23). Fuori di questo corpo lo Spirito Santo non vivifica alcuno . ..; non è partecipe della divina Carità chi è ostile all’unità. Non hanno lo Spirito Santo coloro che sono fuori della Chiesa . . . Chi vuole avere lo Spirito Santo, badi bene di non rimanere fuori della Chiesa» (S. AUG. Epist. 185, c. XI, 50; PL 33, 815; cfr. Tract. in Io. 27, 6; PL 35, 1618: «nulla deve tanto temere un cristiano quanto l’essere separato dal corpo di Cristo; se infatti è separato dal corpo di Cristo, non è suo membro; se non è suo membro, non è alimentato dallo Spirito di Lui»).

Questo ci porterebbe a riflettere sulla necessità d’essere debitamente inseriti nelle strutture istituzionali che dànno consistenza di corpo alla Chiesa, e che sono qui proclamate come condizione di fruire dell’animazione dello Spirito Santo, che è propria del corpo stesso della Chiesa, il corpo mistico di Cristo.

Ma noi ora lasciamo correre il nostro pensiero, dicevamo, ad un altro effetto proprio della Pentecoste, di questa misteriosa e meravigliosa animazione soprannaturale, prodotta dall’infusione dello Spirito Santo nel corpo visibile, sociale, umano dei seguaci di Cristo; ed è questo: la perenne giovinezza della Chiesa. Come in una fontana lo zampillo d’acque resta sempre alto, vivace e fresco, finché la corrente irrompente dell’acqua lo nutre, anche se l’acqua stessa cade e si diffonde sul piano, così l’umanità che compone la Chiesa, subendo la sorte del tempo è sepolta nella morte temporale, ma con ciò non si sospende, non si interrompe la testimonianza della Chiesa nella storia per il passare dei secoli; lo ha profetato e promesso Gesù: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Lo aveva lasciato capire anche a Simone, quando gli impose un nome d’immortalità: «Tu sei Pietro, e su questa Pietra edificherò la mia Chiesa, e le potenze degli inferi non potranno prevalere contro di essa» (Mt 16,18).

Si può subito obiettare, con tanta gente del giorno d’oggi: che la Chiesa sia permanente, può essere; dura da quasi venti secoli; ma proprio per questa sua durata, essa è antica, è vecchia. La perennità non è giovinezza. E gli uomini d’oggi amano le cose moderne, mobili, effimere piuttosto; non le cose vecchie. Rispettano la storia, se volete; ammirano l’archeologia; ma essi scelgono l’attualità.

Ora la Chiesa sarà venerabile per la sua antichità, per una certa sua immobilità nel passare del tempo; ma, essi dicono, non è viva di quel respiro odierno ch’è sempre nuovo; non è giovane.

L’obiezione è forte, e meriterebbe un lungo trattato, dalle molte pagine, cosmiche, teologiche, filosofiche, storiche, antropologiche, fenomenologiche, eccetera, per rispondervi. Ma poi l’equazione perennità-giovinezza può bastare da sé alle menti aperte alla verità.

Perché è proprio così, e «questo è cosa meravigliosa ai nostri occhi» (Mt 21,42): la Chiesa è giovane. E ciò che stupisce ancor più si è che i nervi della sua gioventù derivano dalla sua inalterabile persistenza nel tempo. Il tempo non fa invecchiare la Chiesa; la fa crescere, la provoca alla vita, alla pienezza. Siamo più precisi: la parte umana della Chiesa può subire, e di fatto subisce, le inesorabili leggi della storia e del tempo: la sua manifestazione umana può decadere, può invecchiare, può morire; e muoiono difatti tante membra della Chiesa; nazioni intere sono riuscite a soffocare la sua vita temporale, a sopprimere la sua presenza storica; e poi, è chiaro, muoiono, come tutti i mortali (e forse per più facili e aggressivi motivi) tutti coloro che umanamente compongono la Chiesa; ma essa, la Chiesa, non solo ha in se stessa un invincibile principio soprannaturale, ultrastorico, di immortalità, ma possiede altresì energie incalcolabili di rinnovamento. Di che cosa s’è parlato in questo periodo del Concilio, se non di «aggiornamento», che vuol dire ringiovanimento? e che cosa propone a noi l’Anno Santo, se non un programma di rinnovamento?

Tanto che oggi la Chiesa deve ammonire tanti suoi figli di non cadere in equivoco, cioè di non pensare che sia rinnovamento l’acquiescenza alla moda del mondo, il quale non sa più come sfuggire alla legge della morte, che assale e consuma ogni suo valore puramente temporale, se non accelerando il suo moto, un moto spesso di fuga dalle cose che lo qualificano; ed ecco la rivoluzione come programma inesauribile della vita politica e sociale; ecco la «moda» in ogni cosa a cui non è più concesso di vivere, che l’espace d’un matin . . . Certo la Chiesa, quando parla di rinnovamento, quando provvede al suo ringiovanimento, non può senz’altro uniformarsi alla vertigine dei cambiamenti del mondo esteriore, in cui tuttavia si svolge la sua esistenza storica e temporale; potrà accogliere e scegliere tante forme umane di vita moderna; potrà camminare al passo del costume sociale, quando questo non offenda i criteri di vita, ch’essa deve a sé ‘derivare dal Vangelo e da certa sua inviolabile e sempre feconda tradizione.

Ma è altrettanto certo che la Chiesa, fedele alla sua interiore ispirazione religiosa, capisce l’uomo, sì, anche l’uomo moderno, ed è, oggi più che mai forse, in grado di avvicinarlo, di ascoltarlo, di confortarlo e di consegnargli quel messaggio di verità, che solo ha il segreto, per ogni tempo, per ogni popolo, per ogni umana esistenza, il segreto della Vita (Cfr. Gaudium et Spes ). Questa è la giovinezza della Chiesa.

A voi, giovani specialmente, affinché abbiate nella Chiesa fiducia.

Con la nostra Apostolica Benedizione.

Pontificio Collegio Beda

Vogliamo dire una parola speciale al Collegio Beda. Noi volevamo venire personalmente a farvi visita, ma non perdiamo questa speranza. Gran e d è la nostra comprensione per la vostra presenza a Roma e per la vostra storia spirituale. Noi pensiamo, proprio collegandoci al nome del vostro Collegio, che voi siete la continuazione della tradizione cattolica della vostra patria. Noi vogliamo assicurarvi che la Chiesa Cattolica Romana, antica e sempre giovane, vi accoglie con grande affezione: sia con voi la nostra preghiera e la nostra Benedizione.

We wish to say a special word to the Rector and community of the Pontifical Beda College, especially to those who have recently been ordained during this year of celebration of the thirteenth centenary of the birth of Saint Bede. Two things stand out in the life of Venerable Bede, and they are things which we know you will be proud to imitate: a dedication to priestly prayer and learning, and a deep and affectionate loyalty to the See of Rome.

You who have studied for the priesthood here in Rome can follow the example of Venerable Bede by being faithful to prayer and study, and by constantly assuring those in your pastoral care that the Pope is close to them, prays for them and loves them. In this way you will strengthen the bonds of unity within the Church, and prove yourselves worthy heirs to Saint Bede and to his spiritual brothers, to Cuthbert and Benet Biscop, Augustine, Columba and Aidan, whose names alone are a chapter of priestly virtues and a litany of loyalty to the Church.

Cattolici svedesi

We are happy to offer a word of greeting to a group of Catholic pilgrims from Goteborg in Sweden together with their parish clergy. It is always a pleasure for us to receive visitors from Scandinavia, and in particular our own sons and daughters from those northern lands. We pray that your stay in Rome will be an occasion of many graces, enabling you to give an ever stronger example of Christian faith and practice in your free and ancient homeland. We also ask you to carry our greetings to your families and friends.

Ammalati inglesi

Once more we have the pleasure of welcoming a group of the sick and handicapped from England whose journey to Rome has been made possible by the Across Trust. We greet you and we express the hope that your pilgrimage will be filled with joy.

May you take home many happy memories that will help you in the future. Always remember that God loves you in a special way and that you have an important part to play in God’s plan.



Mercoledì, 19 giugno 1974

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La vita cristiana è lieta o triste? Questione elementare, ma fondamentale. E per noi, che siamo abituati a classificare il merito delle cose secondo una valutazione soggettiva, cioè utilitaria, la questione può dirsi decisiva. Cioè: l’essere cristiani ci rende felici, ovvero ci impone limiti, doveri, oneri che rendono triste e infelice la vita, o meno felice, meno piena di quella che non si qualifica cristiana?

La questione assume una sua importanza preponderante specialmente in un periodo caratteristico della vita, ch’è la gioventù, il periodo della coscienza che si sveglia, e dapprima si sveglia alla esperienza sensibile delle cose e delle condizioni in cui si svolge l’umana esistenza, che non al giudizio ponderato sulle cose e sulle condizioni stesse.

La vita vuol essere subito goduta; la felicità attrae come un diritto sovrano; e la felicità sembra essere il piacere, il godimento delle esperienze istintive, facili, egoiste. Questo è il paradigma consueto dello sviluppo giovanile, che porta alla scoperta di sé e del mondo, e pone l’urgente ricerca delle vie più rapide e più dirette alla felicità libera, sensibile, passionale. Tentazione, o soluzione?

Ricordiamo la storia emblematica del «figliol prodigo», di cui il Vangelo traccia in poche, ma sicure linee la figura notissima (
Lc 15,11 ss.).

Potremmo accennare, a questo punto, alla tendenza di certa pedagogia moderna, che cerca di giustificare questo stile istintivo di vita, come il più logico e davvero il più felice: abolire i doveri, i freni, i limiti e dare libertà, espansione, godimento agli istinti e agli interessi soggettivi sarebbe la formula liberatrice per l’uomo moderno, il riscatto dai tanti tabù dell’educazione tradizionale e puritana dei tempi ormai superati; purché siano salve le norme dell’igiene (e pur troppo non sempre nemmeno queste!), e quelle d’un certo comportamento sociale, tutte le altre strutture etiche e spirituali non servono che a rendere infelice la vita. Ritorna in auge trionfante il naturalismo innocentista dei tempi passati con le sue espressioni epicuree, o con le sue apologie del primato della vita edonistica, fisica e pagana. Qui sarebbe la felicità?

È chiaro che la concezione cristiana della vita si oppone nettamente, profondamente a tale genere di felicità. Diciamo per ora tutto in una parola: il fulcro della vita cristiana è la croce. Scandalo e stoltezza è considerata la croce dal mondo non cristiano, ma per noi, c’insegna S. Paolo fino dal primo confronto del suo messaggio col mondo circostante, Cristo crocifisso è potenza di Dio, è sapienza di Dio (Cfr. 1Co 1,23 ss.).

Ma riprendiamo la domanda, con qualche ansietà: la vita cristiana è lieta, o triste? La risposta è luminosa e beatificante: la vita cristiana è lieta, di natura sua; è felice, per un suo genio originale ed eccedente la comune concezione dell’esistenza umana; è beata, perché così la proclama il messaggio evangelico delle beatitudini, e così la promette, e fin d’ora la assicura la parola di Cristo: «Vi ho detto queste cose affinché il mio gaudio sia in voi, ed il vostro gaudio sia pieno» (Jn 15,11).

Questo punto è molto importante. Bisogna davvero formare in noi la concezione dominante che la vita cristiana è felice. Diciamo la vita cristiana autentica; e diciamo felice nel senso superiore, intangibile e inesauribile, che ci è dato dalla carità, cioè dall’azione dello Spirito Santo nelle nostre anime.

Ricordiamolo bene: chi vive in grazia di Dio possiede per ciò stesso una sorgente di felicità, che nessun malanno esteriore e neppure nessuna depressione interiore può estenuare ed estinguere.

La vocazione cristiana è un invito alla beatitudine. Nessuna condizione di spirito può renderci intimamente felici quanto la pace della coscienza. Diciamo meglio: quanto la grazia, cioè la carità. La gioia è un dono della carità, come la pace. Non si distingue dalla carità, ma emana da essa (Cfr. Ga 5,22 S. TH. II-II 28,1 II-II 28,4). Ricordiamo sempre: «il regno di Dio non consiste né nel mangiare, o nel bere, ma nella giustizia, nella pace e nella gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17). Ci ha condotto allo studio di questo tema, della gioia propria della vita cristiana, la proiezione liturgica e teologica della Pentecoste, ormai celebrata da parecchie settimane, ma tuttora e sempre operante nel pensiero e nel comportamento di chi vuol essere fedele alla realtà della spiritualità cristiana. Tanto che vogliamo noi pure esortare voi, Figli e Fratelli nella Chiesa cattolica, a vivere nella serenità e nella letizia, con le ben note parole dell’Apostolo: «Siate lieti sempre nel Signore; lo ripeto siate lieti» (Ph 4,4 Ph 3,1 Ph 2,18 2Co 6,10 I Io 2Co 1,4 etc. ). E sia la vostra pura e allegra letizia essa pure una testimonianza dell’autenticità della vita cristiana: essa è felice.

Con la nostra Apostolica Benedizione



Piccoli cantori di Goteborg

We are very happy to welcome here today a group from Sweden, the members of the Goteborg Cathedra1 Boys Choir, together with their director and those assisting with the visit. We are particularly pleased that you have wished to come to see us during your stay in Rome, and we pray that God will reward you for your singing with his abundant blessings and bring you ever nearer to himself. Through you we also wish to send our greeting to those at home, your families and friends and the other members of the Choir.

Pellegrini ucraini

We wish to say a special word of welcome to the Ukrainians present here today, particularly to Bishop Gabro. You who are celebrating ‘the three hundred and fiftieth anniversary year of the death of Saint Josaphat have chosen well to come to Rome during these festivities. Rome is the centre of unity in the Church, and Saint Josaphat by his prayers, his preaching, his example and his martyrdom was a great apostle of unity. Let us pray to him today to strengthen and renew the bonds of unity within the Church.

Fedeli della diocesi di Hiroshima

It is always a pleasure for us to welcome visitors from Japan, and today we greet the pilgrims from Hiroshima. Your journey to the Holy Land, to Rome and to different shrines in Europe is indeed a spiritual one. We pray that it may be a fruitful one, and that you may return safely to your own country enriched with many graces and blessings.

Gruppo del Sud-Africa

We extend a cordial welcome this morning also to members of the South African Legion Pilgrimage. To these war veterans, who have come to Europe to honour the graves of victims of war, we have but one word of greeting: peace! Peace in your hearts.

Peace in your homes. Peace in your homeland. May God always grant you his peace!



Mercoledì, 26 giugno 1974


Paolo VI Catechesi 29574