Paolo VI Catechesi 26674

Mercoledì, 26 giugno 1974

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La Pentecoste ha offerto alcuni temi ai nostri discorsi settimanali per le Udienze del mercoledì; molti altri ne potrebbe offrire, ma basti a noi soffermarci ancora sopra un tema, che per ora consideriamo conclusivo, e che vorrebbe rispondere ad una difficoltà insorgente contro l’affermazione ottimistica circa le condizioni della vita umana, quando essa è pervasa dall’azione dello Spirito Santo, il Quale, come sappiamo, fu mandato in forma strepitosa ed in misura esuberante ad animare di Sé, cioè della sua grazia, dei suoi doni, dei suoi carismi, il primo nucleo dei fedeli seguaci di Cristo, dopo la sua Ascensione, e a dare a quel nucleo l’essere e il respiro di Corpo mistico di Cristo stesso, la sua Chiesa nascente.

Tutto vitale, tutto possente, tutto felice, tutto compatto, tutto santo ci appare quel gruppo privilegiato. Si trattava di circa centoventi persone (Cfr.
Ac 1,15), di composizione omogenea, con la Madonna e le pie seguaci del Signore, in perseverante unione di preghiera, alternata da qualche discorso di Pietro e degli Apostoli; e subito, al compiersi dei giorni di Pentecoste, il gruppo si fa esultante ed acclamante per la veemente irruzione dello Spirito, con vento, fragore, scotimento della casa e aleggianti fiamme di fuoco sopra ognuno dei presenti.

Accorre una folla cosmopolita, di nazioni diverse; e tutti comprendono le varie lingue, che quei posseduti dalla vivace presenza misteriosa andavano improvvisando. Non mai festa religiosa, non mai cerimonia spirituale fu, come quella del cenacolo, altrettanto inebriante ed esaltante. Ecco: parla Pietro e con lui gli Apostoli; il discorso trascina; immediatamente circa tremila persone si convertono e si fanno battezzare. Così la Chiesa inaugura trionfalmente la sua vita, la sua storia. Ecco dunque la nuova espressione della religione, assurta a comunione di Dio con l’uomo, a inabitazione di Dio, Uno e Trino, nell’anima del seguace di Cristo (Cfr. Jn 14,17 Jn 14,23); un’intimità senza pari, donde sgorgherà la vita mistica del cristiano, fatto tempio, santuario di Dio (Cfr. 1Co 3,16-17 1Co 6,19 2Co 6,16 Ph 4,7 etc.), con i «sette doni» famosi e con un’abbondanza di «frutti dello Spirito», di cui è lungo l’elenco (Cfr. Ga 5,22 S. TH. I-II 68,0 cfr. S. TERESA, Il Castello interiore; ecc ). Questo per la vita personale del cristiano; ma poi v’è tutta l’epifania dei carismi, cioè delle forze che lo Spirito Santo suscita nelle membra del corpo ecclesiale per l’esercizio di particolari funzioni e ministeri, a vantaggio della collettività (1Co 12,4-11 S. TH. I-IIae, III).

La Chiesa appare viva, attiva, possente, sapiente, incomparabile (Ap 12,1). Ricordate Stefano, il primo diacono, irresistibile (Ac 6,5 Ac 6,8 Ac 6,15). Ricordate la promessa di Cristo a Pietro: i nemici della Chiesa «non prevarranno»; essa è, in un certo senso, invincibile (Mt 16,18); e la promessa agli Apostoli: «sarò con voi fino alla fine del mondo» (Mt 28,20); essa, la Chiesa, è immortale.

Ma dobbiamo subito integrare questa visione con un’altra, non meno attestata dalle parole del Signore, dal suo esempio, dall’economia della salvezza; ed è la visione del dolore, della persecuzione e della morte, che rende drammatica la biografia d’ogni seguace di Cristo, e la storia intera della salvezza, che si svolge nel tempo. La croce domina questa altra visione. La venuta dello Spirito Santo non toglie la croce dalla realtà umana. Essa non è un talismano, che immunizza la vita umana dalle sofferenze e dalle disgrazie; non un rimedio preventivo, assicurativo, fisicamente terapeutico contro i malanni della nostra presente esistenza (Cfr. Mt 10,14, non pacem, sed gladium). Anzi la grazia sembra essere in segreta simpatia con la sofferenza umana: perché? Ce lo ha insegnato il Signore con tante sue parole gravi, che non ammettono dubbio. A suo riguardo, innanzi tutto: «Non doveva forse il Cristo patire, Egli ammonisce gli afflitti viandanti verso Emmaus, e così entrare nella sua gloria?» (Lc 24,26). Che cosa resterebbe del Vangelo senza la Passione e la Morte di Gesù? E si può concepire la Chiesa, che è la continuazione vivente di Lui, senza la partecipazione al dramma della sua sofferenza? «In verità vi dico, Egli dichiarò all’ultima Cena, che voi piangerete e gemerete, e il mondo godrà» (Jn 16,20).

Lo aveva già detto più volte con tante altre espressioni: «Chi non prende la sua croce, e non mi segue non è degno di me!» (Mt 10,38 Mt 16,24). E gli Apostoli non sono forse della stessa scuola? Celebri sono le parole di S. Paolo: «Io mi rallegro nelle sofferenze che sopporto per voi, e compio così nella mia carne ciò che manca alle sofferenze di Cristo, a vantaggio del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). Non finiremmo più se volessimo fare un’antologia degli insegnamenti scritturali sopra la necessità (Ac 9,16), la dignità (Ac 5,41), la normalità, potremmo dire, della sofferenza nel seguace di Cristo (Cfr. 1Co 4,12 2Co 4,8 2Tm 3,12 1P 2,21 1P 5,9 etc.). E questa facile documentazione trova nella storia della Chiesa la sua ripetizione, la sua dolorosa verifica. Anche sotto i nostri occhi. Chi non conosce in quali condizioni si trova la Chiesa, le persone che ancora vi aderiscono, in non pochi Paesi del mondo?

Non ne parliamo di più per non aggravare l’opprimente situazione di tanti nostri fratelli e figli cattolici, a cui solo la loro fede si può imputare a colpa. E che diremo del triste fenomeno di cattolici, oggi intenti ad affliggere la Chiesa di Dio, quasi facendo propria la profetica ed amara parola del Signore: «i nemici dell’uomo saranno i suoi familiari»? (Mt 10,36)

Il nostro problema si fa più difficile: perché? Noi ci poniamo la questione sempre in ordine al fatto della Pentecoste, che domina, come dicevamo, tutta la vita della Chiesa. Come mai queste contrarietà, queste opposizioni, queste sofferenze?

Rispondere ad una domanda simile vorrebbe dire che possiamo penetrare nei segreti della Provvidenza, cioè dell’economia della redenzione. A noi ora basti proporre a consolazione di chi sperimenta l’ineffabile fortuna della grazia e quella, spesso non meno misteriosa, della sofferenza che le due esperienze sono non solo compossibili, ma compatibili, cioè coordinabili in un disegno di bontà e di salvezza, di cui un giorno, speriamo, il Signore ci svelerà la sapienza e l’armonia, in virtù d’un duplice principio: quello della simultaneità e quello della successione. Della simultaneità: cioè il cristiano può avere, al tempo stesso, due esperienze diverse, opposte, che diventano complementari: il dolore e la gioia. Due cuori: uno naturale, l’altro soprannaturale. Ricordate, ad esempio, la meravigliosa espressione di San Paolo: «Io sono sovrabbondante di gioia pur in mezzo a tutte le nostre tribolazioni» (2Co 2,4 cfr. 2Th 1,4 Ac 5,41). Vi sarebbe molto da dire su questo complesso fenomeno psicologico e spirituale (Cfr. SIMONE WEIL La pesanteur et la grâce; EDITH STEIN, Scientia Crucis, etc.).

L’altro principio, si diceva, è quello della successione; cioè quello che ammette la sofferenza, anche nei Santi e specialmente nei Santi, durante questa vita, alla quale succede poi l’altra vita, nella felicità.

Come diceva S. Francesco: «Tanta è la gioia che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto».

A conclusione invochiamo lo Spirito Santo come il Consolator optime!



Capitolo generale delle Figlie della Carità

Pellegrini di lingua inglese

We wish to extend our greetings to the deacons from the Pontifical North American College. Some of you will be ordained priests tomorrow, and some of you later on. To all of you we express our paternal affection in the Lord. For this reason we urge you on this happy occasion to renew the commitment of your lives to Jesus Christ-a commitment that you have made in faithand to guard this consecration with Christian and priestly discipline.

By means of both a strong faith and that persevering discipline which is an expression of real love, your lives will indeed be filled with deep joy. In this way-and only in this way-will you accomplish something great and something lasting. Only in this way will your service be authentic and your hearts fulfilled. In this regard we say to you: Keep your eyes fixed on Jesus and remember that discipline brings forth the fruit of peace and justice (Cfr. He 12,2 He 12,11). We are grateful to the priests of the College and to your beloved parents and families, who have helped you reach this goal. They too must continue to pray for you, and you must continue to render before them and before the entire ecclesial community the witness of faith and discipline, for the building up of the Body of Christ in love.

We are always happy to welcome young people at these audiences, and today we welcome the children of the Lan Yang Catholic Center for Youth, accompanied by Father Gian Carlo Michelini. Your present journey will bring to you a new knowledge and appreciation of people and places so far unfamiliar to you. We pray that this enrichment of your minds may also deepen your faith and your love of all men in our common brother, Jesus Christ.

Here we wish to extend a warm welcome to the lecturers and students from the Summer Course of the Pope Saint Clement Centre of Ukrainian Higher Studies. You have come to Rome from different countries for a course of renewal. We share your love of your spiritual and cultural heritage, and we are especially happy that you have chosen to study it here in Rome, the centre of the communion and unity of all Christians. We assure all of you of our good wishes and prayers.

La rivista «Ave María» di Barcellona

Saludamos especialmente a vosotros, los componentes de la peregrinación de suscriptores de la revista Ave María, que celebra su 50° aniversario de publicación.

Deseamos agradeceros vuestra visita, mientras os exhortamos a renovar siempre vuestros espíritus a la luz de las directrices marcadas por el Concilio Vaticano II y a cultivar siempre con esmero la auténtica devoción e la Santísima Virgen, siguiendo las enseñanzas de nuestra reciente Exhortación Apostólica Marialis cultus.

Os acornpañe a todos nuestra Bendición Apostólica.

Settimana di aggiornamento pastorale

Desideriamo ora rivolgere una parola di benvenuto e di augurio al qualificato gruppo dei partecipanti alla 24° Settimana di Aggiornamento Pastorale, che si sta svolgendo in questi giorni a Roma.

La vostra presenza a questa Udienza ci procura un grande piacere non solo per la partecipazione di Ecc.mi Confratelli nell’Episcopato, di zelanti sacerdoti e laici impegnati nella ricerca di una più efficace azione pastorale, ma anche per i vostri ben noti sentimenti di devozione e di fedeltà alla Santa Sede.

L’augurio che noi vi esprimiamo lo desumiamo dalle pagine del Concilio Vaticano II, il quale auspica incontri di aggiornamento pastorale affinché sia data la buona opportunità «di apprendere migliori metodi di evangelizzazione e apostolato . . . di rafforzare la vita spirituale . . . e di consentire un proficuo scambio di esperienze apostoliche con i confratelli» (Presbyterorum Ordinis PO 19).

Questo triplice voto noi rinnoviamo per il vostro incontro, in modo che i frutti che da esso scaturiranno riescano di utilità a tutti coloro che operano direttamente nella comunità ecclesiale al servizio dell’uomo moderno, che aspira a vivere sempre più consapevolmente la sua fede cristiana.

All’augurio aggiungiamo ben volentieri la nostra speciale Benedizione Apostolica.

Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù

Sono presenti a questa Udienza un centinaio di rappresentanti dell’Istituto Secolare dei Sacerdoti del Sacro Cuore, insieme al Superiore Generale don Francesco Gerosa, convenuti a Roma per il loro Convegno Nazionale.

Per voi, diletti sacerdoti, il nostro saluto è particolarmente cordiale e paterno. Possa questo incontro essere per voi di incoraggiamento e di stimolo, come per noi è di conforto accogliervi a questo appuntamento e sapervi sparsi per l’Italia, impegnati in una vita di apostolato che arricchisce di tante energie le comunità alle quali vi dedicate.

Con grande benevolenza noi formiamo voti per voi, affinché vi sentiate sempre legati alla Chiesa, per esprimerne l’inesauribile vitalità!

Appartenendo al presbiterio diocesano, e al tempo stesso ad un Istituto che vi offre particolare vigore e protezione spirituale, siate pastori e animatori di comunità cristiane nelle parrocchie e nelle diverse iniziative ecclesiali, e insieme sappiate vivere la vostra consacrazione, imperniata sui consigli evangelici, per testimoniare agli uomini l’assoluta supremazia delle Beatitudini.

La vostra esperienza spirituale ci fa ammirare ancora una volta quanto sia bella la Chiesa nella multiformità delle sue espressioni; così noi vi vediamo, cari Sacerdoti. Così vi esortiamo ad essere sempre meglio, uniti ai vostri Vescovi e braccio destro delle loro sollecitudini pastorali. E così di tutto cuore impartiamo alle vostre persone e alle vostre attività la nostra Apostolica Benedizione.



Mercoledì, 3 luglio 1974

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Uno dei temi ricorrenti del pensiero cristiano nel tempo nostro è quello del rapporto fra la Chiesa e il mondo. Ne abbiamo parlato anche noi tante volte. E si spiega: da un lato la Chiesa afferma ed approfondisce la coscienza di sé; dall’altro lato il mondo, cioè la vita degli uomini, si evolve sempre di più, si trasforma e si organizza, e tende a raggiungere una concezione autonoma, autosufficiente, aliena da ogni relazione religiosa, si secolarizza in senso radicale e profano. Che cosa avviene? avviene che la Chiesa non trova più nel mondo la considerazione che le compete in virtù della sua essenza e della sua missione. Donde può derivare uno stato di conflitto, ideologico e pratico, il quale potrebbe trovare una specie di tregua, un «alibi», nel principio della libertà religiosa.

Ma tante difficoltà restano nella definizione della sfera entro la quale la libertà religiosa possa esercitarsi, per il fatto specialmente che tale sfera è compenetrata in quella del mondo.

Limitiamoci ora a considerare questo problema sotto l’aspetto ideologico, che presenta all’uomo religioso una situazione molto complessa. Facciamo il caso nostro, quello del cristiano, che avverte logicamente e profondamente le esigenze della sua fede, ed avverte insieme come a tali esigenze si opponga la mentalità, il costume, la filosofia teorica e pratica del mondo, nel quale il cristiano deve pur vivere.

Che cosa deve fare il cristiano in tale situazione? straniarsi? adattarsi? rinunciare alle proprie riserve ideali e morali, e immergersi nel mondo con abdicazione permissiva, senza tenere conto né della coerenza con i propri principii religiosi e morali, né delle degradazioni speculative e pratiche in cui si svolge l’esistenza profana e mondana? Tocchiamo uno dei problemi più complessi e più gravi della storia del cristianesimo, e specialmente della vita moderna.

Noi vogliamo pensare che nessun cristiano cosciente voglia tradire il suo impegno battesimale, che nessun fedele voglia essere infedele alla croce di Cristo, in virtù della quale deriva a noi la vera salvezza. Nessuno vorrà, noi speriamo, «evacuare», come diceva S. Paolo (
1Co 1,17), cioè rendere vana la croce di Cristo. E allora, ripetiamo, che cosa dobbiamo fare?

Abbiamo certo sentito parlare della severità dei Santi circa i mali del mondo; è tuttora a molti familiare la lettura di libri ascetici circa il giudizio negativo globale della corruzione terrestre; ma è pur certo che noi ora viviamo in un clima spirituale diverso, invitati come siamo, specialmente dal recente Concilio, ad una visione ottimistica sul mondo moderno, sui suoi valori, sulle sue conquiste. Possiamo guardare con amore, con simpatia all’umanità che studia, che lavora, soffre, progredisce; anzi siamo noi stessi invitati a favorire lo sviluppo civile del nostro tempo, come cittadini che desiderano associarsi allo sforzo comune per un migliore e più diffuso benessere di tutti. La ormai celebre Costituzione Gaudium et Spes tutta ci conforta a questo nuovo (si può dire) atteggiamento spirituale. Ma a due condizioni, che noi, tutto ora semplificando, ricordiamo.

La prima condizione è quella di mantenere una linea di demarcazione fra la vita cristiana e la vita profana. Fra lo spirituale e il temporale non può esistere quella comunione, o meglio confusione d’interessi e di costumi, che l’antica concezione unitaria della cristianità rendeva più facile e abituale. E quanto più il cristiano saprà mantenersi libero e povero rispetto al regno della terra, tanto più autentica sarà la sua personale qualifica religiosa, e più efficace anche sarà la sua azione per dare o ridare a certi aspetti della vita, naturale e sociale un loro valore spirituale e morale.

La seconda condizione di questa visione ottimistica è il perfezionamento critico del giudizio morale cristiano. Ci bastino adesso alcune citazioni scritturali. Non si può vivere alla cieca, guidati dalla passività, talora servile, all’opinione dominante, non sperimentata da una riflessione critica e responsabile: «Se un cieco, dice il Signore, fa da guida ad un cieco, entrambi finiranno nel fosso» (Mt 15,14). E S. Paolo ci avverte (specialmente a riguardo dei carismatici): «Non spegnete lo spirito. Tenete in conto le profezie. Ma tutto sottoponete ad esame, e ritenete ciò che è bene. Astenetevi da ogni specie di male» (1Th 5,19-22).

«Esaminate tutto quello che è accetto al Signore» (Ep 5,10). «Non vogliate credere ad ogni spirito, ma provate gli spiriti, per accertarvi se sono da Dio» (1Jn 4,1). Eccetera (Cfr. Ga 6,4). Così che se oggi viviamo in clima di libertà pubblica e di responsabilità personale, avremo un accresciuto dovere d’esercitare il nostro proprio giudizio critico morale con vigilante assiduità. Le tentazioni, o le occasioni di peccato, come le chiamano i maestri della scienza morale, sono oggi assai diffuse e aggressive; occorre sapersene difendere per virtù propria (Cfr. DENZ.-SCHÖN. DS 2161 DS 2163; S. ALPHONSI Theol. mor. VI, 454). Bisogna sapersi immunizzare anche da sé, continuamente; altrimenti, come avvertiva S. Paolo, fin dai suoi tempi, si dovrebbe « uscire addirittura dal mondo» (1Co 5,10).

E allenati da questa autodisciplina potremo vivere nel nostro mondo, sapendo «ripudiare il male e aderire al bene» (Rm 12,9), traendo cioè da questa posizione dialettica da un lato la nostra fedeltà a Cristo crocifisso, e dall’altro la nostra ammirata e generosa attitudine a vivere in sapiente pienezza l’ora moderna.

Con la nostra Benedizione Apostolica.

Corso di assistenti ed animatori dei pellegrinaggi dell’Anno Santo

Coro sacro di Bruges

Giovani visitatori svedesi

We offer a word of greeting to a group of Young people from Sweden, who are spending two weeks in Assisi. We are pleased that you have wished to come to Rome and pay us this visit, and we hope that your stay in the hometown of Saint Francis Will bring you many spiritual benefits and help you to meet the coming years with strong faith and a desire to help others. Please take our good wishes also to your families and friends at home.

May the Lord bless Sweden.

Scuola di «Nuestra Señora de los Desamparados»

Unas palabras de saludo para los «Pueri Cantores» de la Escolanía «Nuestra Señora de los Desamparados» de Valencia.

Amadísimos niños: Habéis venido a Roma, deseosos de venerar las Tumbas de los Apóstoles, en este Año Santo. ¿No os llena ya de gozo el encontraros aquí? Vuestra dicha será aún mayor, si en vuestras personas y en vuestro ambiente lográis grabar la lección de vida que nos legaron San Pedro y San Pablo: seguir a Cristo, incondicionalmente.

Una lección maravillosa, que os hará gustar cada vez más los acordes misteriosos de la gracia que salva, el ardor de la caridad silenciosa, la armonía completa de un espíritu volcado en la alabanza a Dios y en el servicio a los hermanos.

A vosotros, a vuestros familiares y maestros que os acompañan, otorgamos de corazón la Bendición Apostólica.

Sacerdoti pugliesi

Salutiamo con viva benevolenza il gruppo di sacerdoti, già alunni dei Pontificio Seminario Regionale Apulo Pio XI di Molfetta, i quali, accompagnati a questa Udienza dal nostro venerato Fratello Cardinale Corrado Ursi, Arcivescovo di Napoli, hanno voluto ricordare con l’odierno pellegrinaggio romano i venticinque anni del loro sacerdozio.

Vi esprimiamo, figli carissimi, il nostro sincero ringraziamento per la vostra visita, per la vostra testimonianza di filiale pietà e per quanto avete compiuto a servizio della Chiesa.

Questa importante tappa della vostra vita, come suscita in voi commossa letizia ed intima riconoscenza al Signore, così vi sia motivo di riflessione e di stimolo, per approfondire sempre più il significato autentico del carisma e del ministero sacerdotale, per mantenere alto il vostro impegno di fedeltà ai sacri doveri assunti, e per vivere in maniera sempre più degna e generosa la grazia della vostra vocazione.

Noi vi assicuriamo un particolare ricordo nella preghiera e con paterno affetto vi benediciamo.

Congresso annuale della sezione femminile GEN

E ora il nostro saluto va alle seicento ragazze GEN, che partecipano al loro congresso annuale a Mariapoli, di Rocca di Papa! Vi diciamo: brave! perché vi dedicate allo studio di uno dei problemi più vitali, che oggi possano interessare l’animo giovanile: «Le leggi di Dio nel mondo contemporaneo». Vi auguriamo di comprendere bene, per porre le giuste basi della vostra maturazione cristiana, il valore, la bellezza, il premio che i Comandamenti portano con sé, garantendo la libertà e l’onore della personalità umana, anzitutto nei rapporti con Dio, poi in quelli con la comunità dei fratelli, perché tutto sia ordinato al retto fine: che è quello di amare Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutta la forza, e di amare il prossimo come noi stessi (Cfr. Marc. Mc 12,29-31).

Tutta la Legge e i profeti si compendiano qui, nel comando dell’amore, che Gesù ha portato ai vertici della perfezione: «Vi do un comando nuovo: di amarvi gli uni gli altri: come io ho amato voi, così amatevi gli uni gli altri» (Jn 13,34). Questo aspetta dai cristiani il mondo contemporaneo per risolvere le sue crisi: e noi dobbiamo esser capaci di dare questa testimonianza. Se così farete, sarete certo la «Generazione nuova», di cui portate il nome: una generazione che ama il Signore, e fa di tutto per essere degna di Lui, Così vi vediamo oggi, così vi auguriamo di essere domani: con la nostra Benedizione Apostolica.


Mercoledì, 10 luglio 1974

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Il Santo Padre durante la notte ha avuto una riacutizzazione del processo artrosico, che tempo fa lo aveva colpito al ginocchio destro; e pertanto l’udienza generale prevista per oggi è sospesa. Alle ore 11 Sua Santità si affaccia alla finestra del suo studio per benedire i pellegrini, riuniti in Piazza San Pietro. Paolo VI dice:

Figli carissimi, noi ci dobbiamo scusare se non ci è dato venire questa mattina in mezzo a voi: ne siamo noi altrettanto e più che voi stessi dolenti, perché questo malanno, che ci impedisce liberi movimenti, non ci consente di presiedere alla consueta udienza generale; ma tutti gli auguri, i voti, le esortazioni, le assicurazioni della nostra presenza affettuosa e cordiale nella fede e nella carità, sappiate che vi sono ugualmente, anzi maggiormente, assicurati.

Vi daremo adesso la Benedizione Apostolica, e supplirà questa al mancato incontro immediato che c’eravamo ripromessi.

A queste parole il Santo Padre fa seguire la sua Benedizione, ripetuta in francese, inglese, tedesco e spagnolo. Nella stessa giornata è pubblicato il testo del Discorso che il Santo Padre si riprometteva di rivolgere ai pellegrini nel corso dell’udienza generale:

Coraggio, Fratelli e Figli carissimi, coraggio! Diciamo questo pensando ad un certo stato d’animo che s’è insinuato in molti fedeli, tuttora aderenti con fiducia e con semplicità alla vita normale della Chiesa, anzi con certo nuovo ottimismo e con certo promettente fervore dopo la magnifica palingenesi inaugurata e programmata dal recente Concilio, e adesso ridestata nelle coscienze e nei propositi dall’avvento dell’Anno Santo. Coraggio, ripetiamo, per scuotere dai nostri animi quel senso d’incertezza, di timidezza, di timore, che il clamore e l’audacia di inattese e spesso indebite contestazioni di nostri fratelli cattolici, talvolta nella funzione di maestri della dottrina, hanno diffuso nell’opinione del Popolo di Dio, quasi che il Concilio segnasse tale novità nella storia e nella vita vissuta della Chiesa da squalificare il passato, e da iniziare un periodo talmente nuovo per la Chiesa stessa da riformarne le formule della sua fede, da sovvertirne la obbedienza alla sua funzione magistrale e pastorale, da autorizzarne una trasformazione di norme e di costumi, che avesse la duplice e simultanea virtù di ricondurla a genuine espressioni evangeliche, ed insieme di concederle una fusione ormai incondizionata con le istanze ideologiche e sociali prevalenti del nostro secolo, anche se finora, a rigore di principii ed a lume di evidenti e dolorose esperienze tuttora in atto, giudicate negative e inammissibili per il cattolicesimo. Non ci si attendeva questo fenomeno di intollerante inquietudine, e perfino di auspicata sovversione da parte di membri di casa nostra (Cfr. «inimici hominis domestici eius»:
Mt 10,36); e cioè nella nostra amatissima Chiesa cattolica, proprio in un’ora di suo generoso e attuale risveglio, e proprio quando ella si manifesta pronta a riconsiderare le questioni ecumeniche con umile, serena, e longanime obiettività: come fare dell’ecumenismo serio con la discordia in casa nostra?

Anche qui, riassumiamo in due parole la reazione dei nostri sentimenti : sorpresa e dolore, rispetto al contegno autolesionista di questi imprudenti e forse insipienti fratelli; aggiungendo ora un altro sentimento, un dubbio, rispetto al contegno della Chiesa stessa: forse ella è in errore? forse ella sostiene posizioni anacronistiche?

forse ella non comprende i tempi nuovi? forse ella, per scrupoli di fedeltà dogmatica, dimentica la sua missione di aperta carità evangelizzatrice? È a questo dubbio che adesso, questa volta, invitiamo la vostra riflessione, e, per tutta risposta, diciamo ai Fratelli ed ai Figli: coraggio! Non possiamo in questa sede concederci delle discussioni adeguate alle formidabili questioni sollevate dalla contestazione; essa poi, sotto vari aspetti, ci sembra echeggiare così istintivamente le controversie della polemica riformista anticattolica, che potremmo rimandare coloro che desiderano competenti soluzioni ai classici della apologia cattolica, la quale inoltre con nuova freschezza per merito di tanti bravi autori dei nostri giorni è stata sapientemente riespressa.

Ma qui, come al solito, ci contentiamo di accennare ad un solo punto; e sarà quello positivo, della verità, che può trovarsi nella cultura, nelle opere, nelle polemiche, che oggi cercano di colpire la nostra Chiesa e di disorientare perciò il popolo ed il clero, non che il campo della vita religiosa nella sua tradizionale (che non vuol dire supina), fedeltà. Il punto è questo: ciò che vi è di vero nella controversia contestatrice è nostro, è già nostro. Già la Chiesa lo possiede e non lo lascia sterile ed inerte, ma ella, pur forse con certa umana debolezza di alcuni, cerca di metterlo in luce e di valorizzarlo, come e più di chi se ne vale per muoverle rimprovero e per sconvolgerne l’ordine dottrinale e comunitario.

Allora, dove sta la differenza fra la posizione della Chiesa ufficiale e quella di questi figli, improvvisati avversari? La differenza consiste, di solito, nella collocazione di un dato tema, scelto come argomento di controversia: se la collocazione è inserita nel contesto integrale e armonico della dottrina, quel tema non solo cessa d’essere pericoloso e d’essere fonte di amare recriminazioni, ma rimane e diventa dinamico mediante il suo potenziale di verità e di azione, che allieta e rinvigorisce la Chiesa e che esercita un influsso benefico nella intera società. Se invece quel tema è isolato dalla compagine organica e totale del pensiero cattolico, esso diventa esplosivo e centrifugo, e può produrre più danni che vantaggi. È un criterio errato di metodo, che noi spesso dobbiamo, a nostra volta, contestare ai nostri contestatori: non si può usare, anzi abusare d’una distaccata verità, contenuta nel grande quadro della sapienza cristiana, senza tener conto delle altre verità che le sono connesse; uno squilibrio allora si produce, un sistema unilaterale ne deriva; gratuite conseguenze, spesso negative anche nel campo del bene, ne seguono con una logica che sembra rigorosa, ma è viziata in radice dalla trascuranza di insegnamenti, che dovevano armonizzarsi con quel tema di verità, il quale, reso parziale ed esclusivo o prevalente, genera errore. Il discorso può sembrare difficile; ma gli esempi, con cui lo potremmo documentare, lo renderebbero subito comprensibile. Prendiamone uno di questi esempi, e limitiamoci ora a farne una semplice citazione; quello della libertà. Quanto se ne è parlato, e se ne parla! Ma ora il riferimento ad essa ci serve soltanto a rendere l’idea della nostra su accennata osservazione, La libertà! essa è oggi spesso declamata in sede polemica contro la Chiesa, come se la Chiesa fosse contraria alla libertà, fosse repressiva e retrograda, fosse solo autoritaria e antidemocratica, ecc.

Questo perché? perché, innanzi tutto, non si vogliono considerare obiettivamente i fatti; ma specialmente perché si vuol ignorare ciò che la libertà comporta nativamente con sé, e cioè la sua intrinseca relazione con l’obbligazione morale, la quale deriva dalla scoperta e dalla intimazione che l’intelligenza fa e deve umanamente fare alla volontà; è da questo, diciamo così, dialogo fra l’intelligenza (fedele alla verità, cioè all’ordine delle cose), e la volontà (per sé non determinata se non genericamente al bene), che nasce la libertà autentica, l’autodeterminazione all’azione, alla scelta del fine, a ciò che la mente propone come vero e come bene, e che in determinati casi, all’occhio della coscienza, appare come dovere, come obbligazione morale. Parola di Cristo: veritas vos liberavit; la verità vi farà liberi (Jn 8,31). Questo modo, questo processo di liberazione mediante la verità è originale nel Vangelo, e sembra, a prima vista, contraddittorio. Perché la verità, di per sé, è vincolante; come può essere liberatrice? È liberatrice, perché affranca dall’errore, il quale, se diventa principio di azione, induce la volontà a scelte sbagliate, e alla fine dannose e oppressive per l’uomo, come sono quelle non guidate dalla luce della verità, ma da altri motivi, come la passione, l’interesse egoistico, l’abulia, la paura, l’opportunismo, il conformismo, ecc. La pura indeterminazione, a cui spesso si tende come fosse vera emancipazione, non è autentica libertà, o almeno non è libertà completa.

La libertà puramente fisica non è piena espressione dell’uomo; la libertà morale, quella cioè che spontaneamente e vigorosamente segue la luce della verità, è l’uomo vero. Parliamo della libertà psicologica, per ora; ed è a questa che la Chiesa ci educa con la sua magistrale sapienza.

Facciamole fiducia, con sereno coraggio! Con la nostra Benedizione Apostolica.

Il Movimento GEN

Abbiamo la gioia e la consolazione di vedere davanti a noi i 650 A giovani del Movimento GEN, magnifica fioritura di gioventù venuta da tutta Europa, dagli Stati Uniti d’America, dal Canada, dal Cameroun, dal Libano e da Hong Kong per partecipare al loro annuale Congresso presso il Centro Mariapoli di Rocca di Papa.

Vi esprimiamo la nostra ammirazione per lo spettacolo che ci offrite con questa presenza, e con l’impegno che ponete nell’approfondire la vostra fede. Stupendo è il tema sul quale arricchite la vostra intelligenza e cultura religiosa, e confrontate in questi giorni le vostre esperienze spirituali: «Dio amore». È questa la grande parola dell’Apostolo Giovanni, eco di quella di Cristo. Lode a voi che considerate i grandi temi della religione cristiana, incentrati in questo, unico e straordinario, come i soli capaci di dare una direzione vera e giusta alla vita di un giovane, pensoso del significato della propria esistenza. E facciamo voti che, nell’approfondimento delle verità rivelate e nella docilità al Magistero della Chiesa - com’è negli ideali del vostro Movimento - voi sappiate scoprire il segreto della vera felicità: che è quella di conoscere, servire, amare Dio-Trinità, che ha lasciato nell’uomo l’orma potente del suo pensiero, della sua volontà, del suo amore; di aprirsi a Dio-Carità in Cristo, Figlio del Dio vivente (Mt 16,16), nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza (Col 2,3), la cui missione continua perennemente nella Chiesa.

Se saprete tosi impostare la vostra vita sarete senza dubbio la «Generazione nuova» che rappresentate: una generazione che studia, che si impegna, che si dona ai fratelli - mossa dall’amore di Dio - per prepararsi ad essere domani il lievito nella pasta.

È il nostro augurio, la nostra preghiera, a cui si accompagna la Benedizione Apostolica.

Religiosi Servi di Maria

Terziari dello stesso Ordine

Our special greetings to a group of members of the Servite Third Order who are pilgrims from Belfast to Rome. We are happy to welcome you today and to express our paternal solicitude for all the people of your land. We pray constantly that harmony will reign there and that the peace of Christ will fill the hearts of all.


Mercoledì, 17 luglio 1974


Paolo VI Catechesi 26674