Paolo VI Catechesi 30104

Mercoledì, 30 ottobre 1974

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Per noi, che in questo colloquio empirico, ma sostanziale, andiamo cercando d’individuare quali sono i bisogni maggiori e vitali della Chiesa ai nostri giorni burrascosi e decisivi, uno dei significati emergenti del Sinodo Episcopale, che si è concluso la scorsa settimana, è quello che punta al cuore del tema studiato dal Sinodo stesso, e cioè l’Evangelizzazione nel mondo contemporaneo, e che risponde alla domanda: in fondo, di che cosa ha bisogno questa Evangelizzazione, la quale ci è prospettata come la missione essenziale e primaria della Chiesa, come la sua ragion d’essere, in senso strumentale, dell’economia soprannaturale, divina, della epifania religiosa in questo e nel mondo futuro, cioè della gloria stessa di Dio, e della salvezza vera e definitiva dell’umanità? Di che cosa ha bisogno, di che cosa si serve, di che cosa si arricchisce e di che cosa difetta?

È chiaro che questa elementare, quasi banale domanda non mira ad individuare la causa prima dell’Evangelizzazione, ch’è, come sappiamolo, lo Spirito Santo, procedente dal Padre, fonte prima della Verità, della Parola, che si è incarnata in Gesù Cristo, il Quale insieme col Padre manda appunto il Paraclito agli Apostoli (
Jn 16,7) e alla Chiesa (Ac 2,4); ed è chiara anche da parte nostra l’accettazione del mistero dell’Evangelizzazione, cioè del sistema, scelto da Dio, per diffondere il suo messaggio di verità e di grazia nell’umanità, un sistema, diciamo così, non automatico, né puramente carismatico e autonomo, o meglio, non dotato, dopo il suo primo annuncio evangelico, di autosufficienza, come potrebbe essere un insegnamento di dottrina, o di prassi dotate d’intrinseca e obbligante evidenza, che quindi potrebbe diffondersi da sé, per virtù appunto della propria evidenza empirica o scientifica, accessibile all’intelligenza naturale di chi lo studia, lo comprende e lo comunica; ma di un sistema fondato sulla testimonianza personale di chi annuncia tale messaggio, fondato cioè, da un lato, sopra un magistero testificante in virtù dello Spirito Santo, ed esteso ad una intera comunità di discepoli e di fedeli animata dallo stesso Spirito, e, dall’altro lato, fondato sulla fede, cioè sull’assenso intellettuale, sorretto dalla libera volontà, al messaggio in questione, messaggio, dicevamo, di verità e di grazia, cioè di pensiero illuminante e di grazia operante, messaggio di vita.

In altre parole, noi ammettiamo che la diffusione del Vangelo ha, praticamente e storicamente, bisogno d’una Evangelizzazione, d’una mediazione umana; e precisamente d’una causa cooperante (Cfr. 1Co 3,9), ministeriale umana, gerarchica in senso proprio, e comunitaria, cioè solidale e coefficiente; ha bisogno d’un sacerdozio sacramentale e d’un sacerdozio comune, come il Concilio ci ha chiaramente insegnato (Lumen Gentium LG 10 LG 11 LG 28). Così la risposta alla questione, che ci siamo proposta, è data: la Evangelizzazione ha bisogno di uomini. Ed è risposta così semplice, che può provocare una risposta deludente: lo sapevamo! Attenzione: se ciò era saputo, perché gli uomini sono mancati? o almeno, non sono bastati? Ed oggi che la riflessione sul sacerdozio comune ci avverte che ogni cristiano, ogni battezzato porta dentro di sé una vocazione missionaria, una chiamata all’apostolato, all’onore cioè e alla responsabilità della diffusione del Vangelo, com’e mai l’Evangelizzazione ancor oggi si afferma con tanto stento e con tanta fatica?

S’e lo sapevamo che l’economia del Vangelo si fonda sul concorso libero e volenteroso, ma moralmente esigente, da parte d’ogni cristiano, la carenza di uomini che facciano dell’apostolato un programma di vita non si risolve in un’accusa contro l’ignavia e l’infedeltà di tanti seguaci di Cristo, che di Cristo sono incuranti, sono forse disertori?

Se noi meditiamo su questo aspetto della vita cristiana, segnata dall’obbligo d’una professione militante della fede, non ci appaiono forse sconfortanti le difficoltà incontrate da tante Chiese locali, e dall’insieme stesso della Chiesa cattolica nello sforzo di Evangelizzazione, sia interiore alla comunità di coloro che si professano cattolici, sia esteriore nell’area circostante di tanti e tanti concittadini, spesso non solo passivi, ma ostili alla vita religiosa e alla carità sociale, che ne deve risultare?

Due questioni qui sorgono bisognose di studio e di conclusioni più positive di quelle che oggi ordinariamente vi sono date. E cioè, prima, è oggi ancora ammissibile il proselitismo, l’apostolato, lo sforzo missionario? La libertà di coscienza e il pluralismo delle opinioni non annullano ormai ogni preoccupazione apologetica della nostra fede? Risposta: no, non annullano, ma piuttosto sollecitano il dovere dell’evangelizzazione da compiersi, nel rispetto dell’altrui coscienza e opinione, ma con altrettanto cresciuta sollecitudine di testimonianza, di esempio e di assistenza, e con altrettanto aumentata sapienza di motivi e di mezzi persuasivi: l’evangelizzazione sarà pedagogicamente più riguardosa e più attraente, ma non mai rinunciataria.

E seconda questione: e come mai oggi l’evangelizzazione manca quasi dappertutto, nel confronto statistico, di chi ne faccia una propria missione? Ecco il problema delle vocazioni, sia comuni d’ogni laico cattolico, che voglia essere autenticamente fedele, sia specifiche di chi ascolti in sé e fuori di sé l’invito eroico e gioioso a consacrare la propria esistenza alla sequela di Cristo, e più propriamente alla vita religiosa e alla vita sacerdotale. Problema aperto! aperto per la scarsezza di chi vi dia la risposta interrogante di San Paolo, folgorato sull’a via di Damasco: «Signore, che cosa vuoi ch’io faccia?» (Ac 9,6); aperto per l’ampiezza e per la complessità del mondo contemporaneo, che quanto più si allontana da Cristo, tanto più, come gregge senza pastore (Mt 9,36), ne sperimenta la struggente mancanza. Aperto alla generazione anziana, che piegando verso il tramonto sente talora la strana, ma non mai tardiva chiamata alle grandi cose dello spirito e della carità; aperto specialmente all’a generazione nuova che, non tutta cauterizzata dai fuochi fatui del mondo esteriore della fortuna e dei sensi, ma sensibilizzata da più misteriose luci del mondo interiore della verità e del sacrificio, sta per rispondere: «Eccomi, poiché tu mi hai chiamato» (1R 3,6).

Aperto, diciamo; ma intanto concludiamo con la nostra ovvia ed ora viva affermazione: l’evangelizzazione, il regno di Dio, la Chiesa ha bisogno di anime, uomini e donne, che ne facciano la formula, il programma, la beatitudine della propria vita.

Noi preghiamo, e tutti benediciamo.

Il Capitolo Generale dei Padri Bianchi



Mercoledì, 6 novembre 1974

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Ancora una volta noi ci proponiamo la domanda: di che cosa ha bisogno oggi la Chiesa? e questa volta noi rispondiamo: la Chiesa ha bisogno d’essere amata!

Il discorso si pone a differenti livelli. A quello per primo di coloro che avversano la Chiesa a priori, per partito preso, quasi per istintiva repulsione; e già questi sono legione. E partono da essi ondate di avversione, di negazione, di ateismo, di anticlericalismo, o, come oggi si dice, di secolarismo. Non certo l’amore, ma l’antipatia, l’odio perfino, come se la Chiesa fosse un morbo, un pericolo per l’umanità. E la patologia di questo atteggiamento va dal tipico volterriano Signor Homais (del Flaubert) all’anonimo fanatico, di cui ci parla Gesù stesso, e a cui è attribuita la convinzione di rendere omaggio a Dio mandando a morte i seguaci di Cristo (
Jn 16,2). Questa inimicizia verso i seguaci di Cristo, cioè verso la Chiesa ha una storia perenne, parallela alla storia profana: è la storia delle persecuzioni; è il destino riservato al Figlio di Dio fattosi concittadino dell’umanità, e da questa, rivoltatasi contro di Lui, reso bersaglio di contraddizione: signum cui contradicetur (Lc 2,34); destino che si estende dal Capo alle membra, ai fedeli cioè che compongono il Corpo mistico di Cristo (Cfr. Col 1,24). Dobbiamo perciò disperare che da questa falange di nemici della Chiesa venga mai a lei un segno di resipiscenza, di giustizia e di amore?

Il bisogno, staremmo per dire il diritto, ad essere riconosciuta per quello che è e per quello che fa, in ordine alla gloria di Dio e al bene dell’umanità, non sarà mai soddisfatto? No, non dobbiamo disperare, pensando al caso, modello primo fra tanti altri, di San Paolo, la cui conversione c’insegna quanto può essere potente e felice l’azione della grazia, così da indurre lui a scrivere di sé: «Io sono il minimo degli apostoli, che non sono degno d’essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio» (1Co 15,9 1Tm 1,15 Ga 1,13 Ac 26,9-20). E sarà poi lui stesso a dare altra testimonianza di sé: «Sono stato crocifisso con Cristo; e vivo non più io, ma vive in me Cristo» (Ga 2,19-20); e sarà lui ancora a fare di sé un’apologia autobiografica, quale altra non conosciamo (Cfr. 2Co 11,22-12,10).

Ma ora il discorso vorrebbe giungere a ben altra schiera di interlocutori, a quei cristiani, a quei cattolici anzi, e a quei fratelli, che sembrano dimentichi del bisogno che la Chiesa ha, oggi specialmente, pellegrina e paziente, d’essere amata con filiale fedeltà e così diventano incuranti del privilegiato dovere loro proprio, per educazione, per amicizia, per vocazione, di dimostrare alla Chiesa medesima in ben altra maniera che essi ora non facciano, il loro amore, un loro prepotente amore a cui pur sarebbero candidati.

Sono quei fratelli che hanno lasciato vuoto il posto loro assegnato nella casa del Signore; fratelli e figli che hanno trasformato la positiva testimonianza, che il Popolo di Dio si attendeva da loro, in arrogante funzione di giudici e di critici della pur sempre santa Chiesa di Dio, e talora, usurpando per sé una facoltà di libero esame della sua dottrina e della sua vita, si sono allineati tranquillamente nelle file avversarie a quelle loro proprie, donde, con l’amarezza non più con l’amore, si sono silenziosamente allontanati, protestando forse di voler restare nella comunione ecclesiale, ma non più per condividerne le gioie e le pene, sì bene per riformarne, o piuttosto per disintegrarne a loro modo la compagine.

Oh! noi vorremmo riaverli e risentirli ancora vicini questi Fratelli e Figli per amare insieme quella Chiesa, quella nostra Chiesa, che sola ci introduce nella pienezza di Cristo. Attenuata, o infranta l’unità cattolica nella Chiesa, come potremo ricomporre l’unità ecumenica della Chiesa? Privati della solidarietà e della collaborazione di codesti Fratelli e Figli, allenati alla cultura e alla discussione del mondo contemporaneo, come potremo agevolmente comunicare agli uomini del nostro tempo un convincente messaggio di pace e di salvezza?

Bisogna che noi tutti accresciamo il nostro amore alla Chiesa, affinché essa sia degna d’essere amata da chi non la conosce, o ne conosce i difetti umani, e ne ignora lo sforzo di fedeltà al Vangelo, le sofferenze, le necessità, e soprattutto non sa intravedere nel suo volto terreno il mistero divino, ch’esso contiene, e che, rispecchiando la bellezza di Cristo, di Cristo stesso si attrae l’amore . . . «Egli amò la Chiesa e sacrificò la sua vita per lei» (Ep 5,25-26). E così amata, un titolo essa si merita ed è un titolo d’amore, il titolo di Sposa di Cristo (Cfr. 2Co 11,1-3 Ep 5,21-22 Ap 19 Ap 21).

Sì, la Chiesa, amata da Cristo, dev’essere amata da noi. E lo sia con la nostra Benedizione Apostolica



Complesso corale «Idica» di Elusone

Una parola di elogio va ora ai bravi componenti del complesso corale IDICA, di Clusone in diocesi di Bergamo, e al loro maestro, i quali ci hanno portato il saluto della loro terra generosa, e come l’eco dei canti delle pittoresche valli montane, che essi sanno eseguire con riconosciuta maestria. Voi interpretate le espressioni dell’animo popolare, affidate alle melodie del folclore alpino, ora liete, ora dolenti, ora appassionate, ora melanconiche: e ciò facendo, ridate vita a quei sentimenti che le hanno ispirate, sorti dalle umili vicende di una trita semplice e buona. Ebbene, questo patrimonio, che voi avvalorate, è anche espressione di bontà, di religiosità, di fede: fa scoprire l’incanto della natura, rasserena lo spirito, suscita sensi di fratellanza, e avvicina a Dio.

Noi facciamo perciò voti affinché sappiate far onore alle autentiche e sane tradizioni della vostra terra con una vita sempre profondamente e autenticamente cristiana, che dia il suggello alla vostra arte: sappiamo che in questo volete farvi onore, e ce lo dice del resto il vostro desiderio di venire a Roma insieme col vostro Parroco per vedere il Papa. Fate della vostra esistenza un’offerta gioiosa a Dio, per lodarlo degnamente, non solo col canto, ma altresì col fervore di una fede cristallina. E siamo certi, inoltre, che porterete un valido contributo alla vita liturgica della vostra parrocchia, animando la pietà del popolo con l’esecuzione di canti appropriati.

Vi accompagna nella vostra attività artistica la nostra Benedizione, che estendiamo di cuore ai vostri familiari, qui presenti, e ai vostri concittadini.

Pellegrini di Nagasaki

We greet with special joy the pilgrims from the Archdiocese of Nagasaki in Japan. You have already been to the Holy Land, where Christ founded the Church. Now you have come to pray at the tomb of Saint Peter. We know of the wonderful devotion to the See of Peter which your ancestors retained during the days of persecution and the long years of the hidden Church in Nagasaki. We thank you from our heart for giving new testimony to this devotion. With spiritual affection we impart our Apostolic Blessing to al1 of you, and in particular to the Ancilla Domini Sisters, who are celebrating the centenary of their Congregation.




Mercoledì, 13 novembre 1974

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L‘Anno Santo, anche per Roma, sua sede tipica e centrale, è alle porte. Bisogna disporre i nostri animi a recepire le sue grandi lezioni e a compiere effettivamente la disciplina sua propria. I nostri animi! sono predisposti? sono preparati? A nessuno di noi sfugge la condizione psicologico-morale in cui essi generalmente si trovano, condizione poco propizia ad accogliere questo esercizio spirituale, ch’è l’Anno Santo, con piena e salutare rispondenza.

Vogliamo esaminare semplicemente e sommariamente perché? La riflessione si fa innanzi tutto soggettiva. Ciascuno esamina se stesso, in ordine agli influssi spirituali dell’atmosfera religiosa ed ecclesiale oggi circostante. Fortunati coloro che godono una normale padronanza di sé, e che possono senz’altro intraprendere lo sforzo ascetico, che il programma dell’Anno Santo presenta a ciascuno ed a tutti per infondere nei singoli animi e nella Chiesa intera quella nuova vitalità cristiana, che dovrebbe caratterizzare quest’ultimo quarto del secolo ventesimo, e preparare la nuova generazione ai grandi problemi del cristianesimo del secolo venturo.

Ma non tutti, anche in seno alla Chiesa, sono in tale stato favorevole. Pare infatti che uno stato di incertezza, una incertezza interiore, una incertezza sopra la stessa definizione personale propria, impedisca un facile e fiducioso accoglimento del piano spirituale dell’Anno Santo. Come classificare questa incertezza? Ciascuno può tentare un’analisi propria, e fare da sé la propria diagnosi interiore. Noi ci limitiamo all’indicazione d’un fenomeno oggi abbastanza diffuso, che dà un titolo a codesta incertezza; chiamiamolo una «crisi di identità».

Che cosa vogliamo dire? Vogliamo dire che spesso quest’analisi soggettiva sopra la propria esistenza sfocia nel vuoto, cioè in un dubbio. E il dubbio, quando non sia semplicemente metodico e ipotetico, cioè un mezzo di ricerca e di processo cogitativo, ma sia una contestazione interiore, pessimista, della propria abituale certezza, può diventare una voragine che scuote ed inghiotte il castello logico e morale della propria consueta mentalità. Il dubbio, in questo caso, invece di portare all’esplorazione della verità, porta all’oscurità spirituale, alla tristezza, alla noia, all’audacia iconoclasta contro la stessa propria personalità. Il dubbio, strano a dirsi nel nostro secolo illuminista, fiero e sicuro delle proprie conquiste scientifiche, è un morbo contagioso e assai diffuso nel pensiero speculativo, e perciò anche religioso, del nostro tempo. Sarebbe lungo rintracciarne le origini filosofiche, le quali non potranno non imputare ad un famoso filosofo, Cartesio, la svolta impressa alla ragione, in cerca di certezza, dalla via maestra dell’evidenza intellettuale a quella ristretta e soggettiva dell’esperienza psicologica (ricordate? «io penso, dunque io sono: cogito, ergo sum», dando poi, quasi in compenso, grande e meritato credito alla certezza del pensiero matematico). Ma il fatto è che lo stato mentale del dubbio è diventato comune e ancor oggi di moda, quasi un’elegante modestia del pensiero, pago di opinioni, più che di verità, e disponibile a sostituire empiricamente i «luoghi comuni» della mentalità corrente alle esigenze logiche di una più sicura dottrina; produce perciò effetti gravi e imprevisti.

La contestazione negativa della gioventù odierna può derivarsi anche dalla scoperta dell’infermità logica del pensiero profano moderno, e dalla usurpata autorità dei comodi e pseudo-dogmi di un dato costume sociale. Il giovane intuisce che alla base di questo comune sistema mentale v’è l’incertezza, v’è il dubbio; è sistema costruito sulla sabbia; e perciò egli protesta.

Così che dubitare oggi è diventato atteggiamento abituale e generale; tutto è messo in questione. La smania del cambiamento sembra offrire rimedio alla incertezza e alla sfiducia, che invadono la pubblica mentalità; e ciò spesso non senza giovamento operativo e progresso pratico: il mondo così cambia e progredisce; ma il cuore dell’uomo piuttosto ne soffre, e inconsciamente sospira a quella verità e a quell’amore, che non gli può dare il mondo esteriore, ma solo il Maestro interiore, che viene in cerca di noi sulle vie della ragione, illuminate dalla fede (Cfr. S. AUG. De vera religione, 39, 73: PL 34, 154; e De civ. Dei, 11, 26: PL 41, 340). E per ciò che ora a noi interessa ricorderemo come sia contrario al genio del cattolicesimo, al regno di Dio, indugiare nel dubbio e nell’incertezza circa la dottrina della fede, la quale invita, sì, a studio continuo e progressivo, ma partendo da alcune verità sicure per arrivare ad altre verità, che ne sono l’approfondimento e il godimento.

Sarebbe necessario, per quanto adesso ci riguarda, riconquistare fiducia nella antropologia propria del nostro pensiero cristiano (Cfr. G. BEVILACQUA, La luce nelle tenebre, c. IV); e intraprendere così il cammino di questa nuova tappa della nostra vita con una lampada in mano, vogliamo dire con la certezza di noi stessi, di chi noi siamo, donde veniamo e dove andiamo. Chi è l’uomo? che cosa significa la vita umana? Bisognerebbe aver superato le fatali teorie della degradazione materialista e dell’unilateralità idealista per ricostruire una positiva e dinamica scienza della nostra vita. Non possiamo essere, secondo l’immagine dell’Apostolo Paolo, «come bambini sbattuti da ogni vento di dottrina per gli inganni degli uomini e la malizia loro a rendere seducente l’errore, ma, seguendo la verità con amore, noi possiamo progredire in tutto verso di Lui ch’è il nostro capo, Cristo» (
Ep 4,14-15).

Bisogna riacquistare fiducia nella razionalità umana, che fonda la sua certezza sull’evidenza dei principii, sul rigore logico del processo mentale e sull’apporto decisivo di una fede credibile (Cfr. Actualité de St. Thomas, Desclée 1972).

Bisogna superare la crisi circa la propria identità. Chi sono io? E a rispondere a questa radicale domanda viene in nostro aiuto la dottrina della grazia. Ciascuno può dire: io sono figlio di Dio, io sono un «cristiano», io sono un tempio dello Spirito Santo, io sono un membro della Chiesa; sono un povero uomo della terra, ma in cammino verso il cielo . . . Anzi io sono un essere, una persona, un «santo», su cui è stampato un carattere sacramentale indelebile, che, col battesimo, con la confermazione, e - se ne ho avuto la somma fortuna - con l’ordine sacro, sono configurato al sacerdozio di Cristo (Cfr. S. TH. III 63,3); e se poi un vincolo speciale, il voto, mi ha francamente impegnato alla sua sequela, vedo penetrata la mia vita, la mia personalità, da coefficienti perfettivi, dei quali non è più lecito dubitare, e dai quali non è più possibile, senza violenza al mio essere naturale e soprannaturale, recedere.

«Eravamo una volta tenebre, dice ancora S. Paolo, ma ora siamo luce nel Signore: avanti, camminate come figli della luce» (Ep 5,8).

Ora possiamo muovere il passo sulla via dell’Anno Santo.

Con la nostra Benedizione Apostolica.



I Rettori dei Santuari Mariani d’Italia

Paolo VI saluta quindi i gruppi, iniziando con quello dei Rettori dei Santuari Mariani d’Italia partecipanti al decimo Convegno nazionale svoltosi a Roma. Con essi sono il presidente del Collegamento Mariano Monsignore Francesco Maria Franci, vescovo ausiliare di Novara e il vescovo di Fabriano Monsignore Macario Tinti.

Un cordiale saluto desideriamo ora rivolgere al folto gruppo dei Rettori dei Santuari d’Italia, partecipanti al Congresso promosso dal Collegamento Mariano Nazionale sul tema: «Il servizio dei Santuari nella pastorale della Penitenza».

Ben volentieri abbiamo aderito al vostro desiderio di incontrarvi con noi, figli carissimi, e vi siamo riconoscenti del costante impegno con cui vi adoperate ad assolvere la provvidenziale funzione che compete ai Santuari nel quadro della pastorale normale delle diocesi e delle parrocchie. Per quanto poi riguarda il sacramento della Penitenza, che voi avete fatto oggetto delle vostre riunioni, è facile comprendere il contributo prezioso che voi potete apportare all’opera di rinnovamento che si sta svolgendo. Il richiamo alla penitenza e alla conversione, infatti, costituisce quasi universalmente l’intima sostanza del messaggio spirituale che ogni Santuario porta fin dalla sua origine.

Accentuando questo stesso richiamo, il pellegrinaggio e il sacramento della Penitenza specialmente potranno dare senza dubbio un significato più pieno ed una vera continuità al momento importante dell’incontro del fedele col Santuario, e questo incontro non rimarrà un atto isolato di devozione, ma concorrerà a maturare quella « vita di conversione » che deve caratterizzare l’autentica sequela di Cristo. La ricorrenza dell’Anno Santo sia un motivo che spinga i responsabili dei Santuari a prestare questo loro servizio con sempre maggiore generosità a favore dei fedeli per quel rinnovamento spirituale a cui sono chiamati durante il periodo giubilare. Noi chiediamo pertanto al Signore che benedica i vostri propositi e faccia fruttificare i vostri sforzi, sostenendovi continuamente in quanto vi è di arduo nel vostro mobilissimo compito; e a tal fine vi impartiamo di cuore la nostra Apostolica Benedizione.

Centro medico psico-pedagogico di Roma

Ci rivolgiamo ora ai carissimi ospiti del Centro Medico Psico-Pedagogico di Via Vitellia, in Roma, venuti tanto numerosi a questa Udienza, insieme con i loro bravi insegnanti. Siamo tanto contenti di vedervi e di salutarvi, perché sappiamo che vi siete disposti con entusiasmo all’incontro col Papa. Vorremmo fermarci con voi, e parlarvi ad uno ad uno, perché siete i prediletti di Gesù.

Vi diciamo il nostro «grazie» per i doni che avete preparato per noi con le vostre stesse mani nei reparti di maglieria, di falegnameria e di meccanica del vostro Istituto. Li daremo a nostra volta a persone bisognose, che avranno così un segno tangibile del vostro amore. Ne siete contenti, vero? Questi bei lavori, fatti da voi, ci dicono che sapete imparare molto bene quanto vi insegnano con tanta dedizione i vostri maestri, dimostrando così che avete una grande volontà di inserirvi degnamente nella vita, con un’ottima preparazione. Proseguite sempre così!

In questo sforzo noi vi accompagnamo col nostro affetto e con la nostra preghiera, nei momenti faticosi della vostra giornata ricordate sempre: «Il Papa pensa a noi; il Papa prega per noi!». E, certo, noi penseremo a voi, chiedendo al Signore che vi conforti e vi allieti. Diciamo il nostro compiacimento a quanti si prodigano in una missione tanto nobile e meritoria, davanti a Dio e alla società; e diciamo una parola di grande e commossa benevolenza ai genitori, affinché abbiano sempre coraggio, sempre Fede. A tutti, la nostra Benedizione Apostolica.

I movimenti cattolici per la famiglia

Gli assistenti dei pellegrini per il Giubileo

L’Unione internazionale delle Superiore Generali di Religiose

Associazione Ecclesiastica «San Pedro» di Buenos Aires

Damos ahora nuestra paterna y cordial bienvenida al grupo de sacerdotes argentinos, miembros de la Asociación Eclesiástica «San Pedro» que ha cumplido ayer el primer centenario de su fundación.

Amadísimos sacerdotes: Conocemos muy bien los fines específicos de asistencia mutua, sobre todo espiritual, que animan a vuestra asociación. Ello constituye un testimonio ejemplar de solidaridad fraterna y ministerial, reflejo a su vez de una exquisita sensibilidad ante la urgencia de aunar esfuerzos para mejor servir personalmente al Evangelio. Brille siempre cristalina vuestra consagración sin reservas, como mediadores de reconciliación y portadores de la paz, ante vuestros fieles.

Sabemos que os acompaña en esta ocasión un numeroso grupo de peregrinos. A vosotros y a ellos nuestra gratitud por esta visita, con el deseo de que la peregrinación a las tumbas de los Apóstoles os afiance más en vuestra fe y vuestra caridad. Con nuestra Bendición Apostólica.


Mercoledì, 20 novembre 1974

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Per intraprendere lo sforzo religioso che la celebrazione dell’Anno Santo domanderà a ciascuno di noi occorre una certa spirituale sicurezza, senza la quale la pedagogia propria di questo periodo difficilmente avrebbe presa sui nostri animi. Noi abbiamo accennato, in un precedente elementare discorso, allo stato d’incertezza soggettiva, di dubbio sopra la propria identità, che, se non è superato da uno stato logico, psicologico, morale di normale sicurezza interiore, renderebbe vano il tentativo di un proprio esplicito e progressivo rinnovamento. Non si può costruire sulla sabbia.

Il dubbio scettico e pessimista circa la propria identità, circa la propria vita, vanifica ogni positiva efficienza di sviluppo religioso e morale. Così dicevamo. Ma dobbiamo completare questa analisi soggettiva facendo menzione d’un’analisi oggettiva, non meno generale e indispensabile; ed è quella che potremmo intitolare alla «autenticità» del nostro pensiero religioso. Siamo sicuri di possedere una verità sufficiente per costruirvi sopra l’edificio della nostra fede?

Questa osservazione ha una estensione panoramica, perché estende la sua interrogazione a tutte le questioni relative alla realtà delle nostre credenze religiose. Tutto oggi è investito da una problematica inesorabile, che sembra scoraggiare la nostra pretesa di darvi, in qualche adeguata misura, una sufficiente e persuasiva risposta. Il dubbio nostro, da interiore che era, si fa esteriore. È come se il nostro cammino, anche se franco e coraggioso, procedesse all’oscuro.

Il dubbio da psicologico si fa ontologico. Il problema della verità assale la nostra conoscenza, non più solo nella sua capacità di afferrare la realtà, ma nella effettiva conquista e nella concreta definizione, che noi diamo di questa realtà. Anche su questo fronte la mentalità moderna, riferita alla religione, sembra vacillare nelle tenebre: che cosa c’è mai di vero - esso commenta - in questo campo misterioso? Ma è interessante notare due cose: triste l’una, felice l’altra. E cioè: la mentalità moderna rifugge, non certo a suo merito, da quella esposizione della verità religiosa, che nel linguaggio del nostro sistema, chiamiamo apologetica. La difesa logica e programmatica della religione non ci trova ascoltatori attenti ed assidui. La nostra religione non potrà invece fare a meno, in qualunque momento del suo contatto col nostro spirito, di giustificare se stessa con titoli probativi, anche di fronte alle controversie avversarie; noi dobbiamo essere, dice S. Pietro nella sua prima lettera, «sempre pronti a dare soddisfazione a chiunque (ci) domandi ragione della (nostra) speranza» (
1P 3,15).

L’apologetica rimane, e non rifiuta il suo indispensabile e tacito servizio, anche quando non è esplicitamente richiesto; ma oggi nel campo religioso non tanto si preferisce il ragionamento quanto l’esperienza. Lo spiritualismo carismatico è preferito al dogmatismo razionale. E non saremo noi a svalutare questa possibile e mirabile via di ricupero della verità religiosa, purché questa via stessa sia autentica; a questo proposito ascoltiamo S. Paolo, il dottore dei carismi: «Fratelli, cercate pure di profetare, e non vogliate impedire che si parlino le lingue; ma tutto si faccia decorosamente e con ordine» (1Co 14,39-40). Ed è questa la seconda cosa interessante: la nuova generazione della gioventù, cosciente delle profonde esigenze del pensiero, disillusa del materialismo imperante, e tanto più avida d’una certezza, che sia pane del suo spirito, quanto più la certezza scientifica vi celebra un indiscusso trionfo, che però non lo sazia, ma più lo affama, aspira alla verità, inconsciamente forse a quelli Verità, che Cristo ha messo nella propria definizione: «Io sono la via, la verità e la vita . . .» (Jn 14,6); «Io sono la luce del ‘mondo . . .» (Jn 8,12).

Bisogno di verità? allora sorge il quesito dell’autenticità, che oggi come un ricorrente luogo comune mentale assilla l’uomo moderno, il quesito della « verità vera ». Tanta è la facilità dello spirito umano a lasciarsi ingannare, «immagini di ben seguendo false» (DANTE, II, 30, 131), che l’atteggiamento critico, anch’esso caratteristico dell’odierno pensiero, sembra precludere la fiducia di mai raggiungere la «verità vera», cioè quella autentica, comprovata dai titoli inoppugnabili, che la dicono pari alla realtà.

Ebbene, si prenda atto dell’ottimismo del pensiero cattolico. Esso è sicuro, per dono di Dio, dell’autenticità delle sue privilegiate conquiste. La commemorazione recente del settimo centenario di S. Tommaso d’Aquino, ce ne ha ripetuto la perenne certezza; ne dovremo presto riparlare. Bisogna ritornare alla scuola, come a quella di altri sapienti del suo e del nostro tempo per riacquistare arte e fiducia dell’intelligenza umana: travaillons donc à bien penser . . . . ci esorta Pascal.

Ancora due parole, anch’esse suggerite dalle cronache del nostro tempo in ordine all’autenticità del nostro pensiero, in ordine a quello religioso. Si è parlato della fede, come unica base della nostra certezza religiosa; sola fides, insegnava la tradizione protestante; e per la fede: sola scriptura, rifiutando così la Tradizione ed il Magistero ecclesiastico. Ricordiamo, invece, per ricorrere subito alla soluzione che ci interessa, le parole del recente Concilio: «la sacra Tradizione, la Sacra Scrittura, e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti da non potere indipendentemente sussistere, e tutti insieme, secondo il proprio modo, sotto l’azione d’un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime» (Dei Verbum DV 10).

Siamo gelosi di questa autenticità della nostra dottrina, che deve essere la base del nostro pensiero e della nostra vita; e non crediamo che l’autenticità immobilizzi la ricerca, cioè la facoltà di studio e di approfondimento della verità religiosa; essa piuttosto è la riserva e lo stimolo del nostro amore per la divina Sapienza, la quale, come dice S. Agostino: «amore petitur, amore quaeritur, amore pulsatur, amore revelatur . . .» (S. AUG. De Mor. Ed. cath. 1, 17, 31: PL 32, 1324).

Con la nostra Apostolica benedizione.

Dirigenti dell’Ordine dei Frati Minori

Ecco una importante e numerosa rappresentanza della famiglia Francescana dei Frati Minori.

Oh! Figli carissimi! siate i ben venuti! Noi saremmo in grado e forse in dovere di fare la vostra apologia e additare ad esempio della Chiesa e del mondo la vostra storia, la vostra testimonianza, il vostro servizio per la causa della fede e della glorificazione della Povertà, intesa come libertà dal peso e dal vincolo che la ricchezza economica impone a chi per se stessa la ricerca e la possiede, e intesa come affettuoso e pratico interesse per i Poveri, i sofferenti, gli affamati, che nel mondo sono ancora immensa legione e attendono un soccorso fraterno ed efficace per essere liberati dai loro bisogni e elevati alla condizione di uomini liberi e civili.

Ma un altro pensiero ora occupa il nostro spirito a vostro riguardo o eredi di San Francesco! Noi abbiamo bisogno di voi! della vostra spiritualità, della vostra umiltà, della vostra obbedienza! cioè della vostra attitudine a vivere e a testimoniare il Vangelo, con lo stile genuino e paradossale proprio di San Francesco! Cotesto servizio alla Chiesa di Dio è certamente un sacrificio grande lungamente vissuto, lo sappiamo; ma di questo ha bisogno la Chiesa; questo noi chiediamo alla vostra fedele e genuina professione francescana.

Uno dei vostri Confratelli, rivestito della dignità e della missione episcopale in una terra inospitale, e costretto ad amare rinunce e contestabile privazione di tutto ciò ch’era della sua Chiesa, mi diceva candidamente, e meravigliosamente: «Un Francescano non può lamentarsi. Egli non ha più alcun diritto; non ha che doveri e sacrifici da compiere, amorosamente!». Sì, proprio come Gesù Cristo. Ebbene questo noi dovremo chiedere ancora a voi, per la fiducia che abbiamo nella vostra vocazione e per l’affezione che anche noi portiamo a San Francesco. Voi non deluderete le nostre speranze! Con la nostra Benedizione Apostolica!

Sacerdoti Salesiani

Sono qui presenti quaranta sacerdoti salesiani, venuti da ogni parte del mondo per approfondire insieme durante vari mesi di permanenza nella Casa Generalizia di Roma, il significato e il valore della consacrazione a Dio nella vita sacerdotale e religiosa, secondo la fisionomia propria dell’appartenenza alla Congregazione di S. Giovanni Bosco, e in conformità all’aggiornamento voluto dal Concilio Vaticano II.

Diletti figli! Voi vi preparate ad essere, nelle rispettive Nazioni, animatori e maestri di formazione permanente: è una delicata responsabilità, quella a cui vi chiamano i vostri Superiori. Nelle molteplici incombenze a cui ciascuno di voi attenderà, dovrete tenere alta la luce dell’insegnamento, dello stile, dello spirito di Don Bosco, farne rivivere il carisma, diffonderne l’ideale di apostolato.

Quanto ve n’è bisogno, carissimi sacerdoti, in un momento in cui la gioventù deve trovare al suo fianco guide sperimentate, sicure, serene, per non sbandarsi dietro i miraggi illusori delle ideologie di moda, salvarsi nel momento cruciale della propria formazione, e mettere le basi per un domani valido e costruttivo!

Ci rallegriamo con voi: vi incoraggiamo a seguire questi corsi di ritempramento sacerdotale e religioso con ogni più lieto frutto, e vi auguriamo di essere nelle vostre Case seminatori di luce e di sapienza, di fiducia e di ottimismo, di forza e di abnegazione.

Vi illumini la Vergine Ausiliatrice, vi assistano Don Bosco e i vostri Santi e Beati: noi li preghiamo per voi, che rappresentate ai nostri occhi tutta la grande Famiglia Salesiana, sparsa nel mondo: e invocando su di essa la particolare protezione del Cielo, impartiamo di cuore la nostra Benedizione.

Premio nazionale di bontà «Livio Tempesta»

Diamo con gioia il nostro benvenuto agli alunni della Scuola Elementare «Simone Martini» di Siena, i quali, insieme con i loro Insegnanti e con i Dirigenti del «Centro Nazionale dell’Apostolato della bontà nella Scuola», hanno desiderato di renderci visita per manifestare il loro filiale ossequio in una circostanza che ce lo fa ancor più apprezzare: l’essere stati, cioè, prescelti dalla benemerita Istituzione nell’assegnazione del I Premio Nazionale di Bontà intitolato al giovanetto Livio Tempesta.

Ci congratuliamo con voi, carissimi fanciulli, per codesta vostra affermazione dovuta ad umana e cristiana sensibilità, con cui avete saputo intuire le necessità di alunni meno provvisti di beni di natura ed operare, con silenziosa abnegazione, a loro profitto in modo che essi, grazie alla vostra fraterna generosa sollecitudine, possono oggi guardare con maggiore serenità al loro avvenire.

Alla lode aggiungiamo l’esortazione a continuare sempre meglio nelle vostre buone iniziative; siano sempre ispirati dall’amore di Dio, nel progresso degli studi, i vostri comportamenti destinati, nella luce della carità che li avviva, ad essere di stimolo e di incitamento ai vostri coetanei.

Vi accompagna in questa testimonianza la grazia del Signore; vi seguono la nostra preghiera e il nostro affetto.

Con tale auspicio, e come pegno di benevolenza, vi impartiamo la Benedizione Apostolica, che volentieri estendiamo alle vostre rispettive famiglie.

Delegazione Provenzale nel centenario del Petrarca

Cattolici di Nagasaki

Once more we welcome with particular affection a group of pilgrims from Nagasaki in Japan, In you we recognize and greet the descendants of the famous Catholic community of Nagasaki.

For over two hundred years they preserved the faith in their hearts. Today you practise it openly. It is good also to recognize the value of hidden and silent apostolates. For this reason we rejoice to see with you today the Sisters of the Ancilla Domini Congregation. Dedicated to works of charity, they are celebrating the centenary of their Congregation. To the Sisters and to all of you we impart our Apostolic Blessing.

La scuola internazionale «Marymount» in Roma

We are happy to have with us today a group from Marymount International School in Rome. Our special greetings to you all! To the Sisters and teachers we say: remember that the spiritual aim of your work is to enkindle in your students a response to Christ and to provide them with an antidote to the materialism of this age. To the students we say: while you have this wonderful opportunity, make your own the Christian wisdom that is offered to you now in your formation and training for life.

With affection in the Lord we bless you all.

Mercoledì, 27 novembre 1974


Paolo VI Catechesi 30104