Paolo VI Catechesi 27114

Mercoledì, 27 novembre 1974

27114
Per giungere sul piano - un altipiano -, che deve servire di base per la celebrazione dell’Anno Santo, ormai vicino alla sua stazione romana, noi dobbiamo salire ancora un gradino preventivo, dopo quelli dell’identità della nostra personalità cristiana e della nostra autenticità nell’ortodossia cattolica, già idealmente sormontati in precedenti incontri; ed ora è il gradino della credibilità. Veramente questo termine di credibilità ha un significato diverso nella terminologia teologica abituale da quello ora invalso nel linguaggio corrente. La credibilità, in teologia, è «l’attitudine d’un’asserzione rivelata da Dio ad essere creduta di fede divina, cioè perché Dio l’ha rivelata» (A. GARDEIL, D. Th. C, III, II, 2202; DENZ.-SCHÖN.
DS 3008 DS 3033). Si tratta d’una proprietà relativa ad una verità di per sé non evidente, ma degna d’essere creduta, perché suffragata dall’autorità rivelante di Dio, e resa palese da ,motivi estrinseci che ne rendono ragionevole l’accettazione. Il credente «non crederebbe, se non vedesse che sono da credere» le cose proposte al suo atto di fede. «La fede infatti esige un assenso della mente confortata da ragioni sufficienti» (Cfr. S. TH. II-II 1,4). Dice bene S. Agostino: «la fede infatti ha i suoi occhi, con i quali in certo modo vede essere vero ciò che ancora non vede, e con i quali vede con tutta certezza di non vedere ancora ciò che crede» (EP 120,8, PL 33, 456; cfr. anche Sermo 88, 4: PL 38, 541; e de Praed. sanct. 2, 5: PL 44, 962: nullus quippe credit aliquid, nisi prius cogitaverit esse credendum).

È questo uno dei capitoli maggiori e più delicati circa i preamboli alla dottrina sulla fede: possibilità ragionevole di credere, cioè credibilità; e dovere ragionevole di credere, cioè credendità (Cfr. P. ROUSSELOT, Les yeux de la foi, Rech. sc, rel., 1910).

Ma noi ora consideriamo il significato morale e sociale della credibilità, cioè il titolo che una persona, o un’istituzione, o la chiesa stessa possiede, perché si presti fede a ciò che essa è, o a ciò che essa dice, desumendo questo titolo dal suo comportamento pratico, dalla sua condotta. Il ricorso a questo titolo per trarne argomento di fede, o di fiducia introduce nella logica religiosa un criterio reduttivo discutibile, perché limita il campo delle prove che possono suffragare l’adesione della fede e della fiducia ad un criterio per sé estrinseco alla logica della verità, e ad una misura soggettiva, facilmente arbitraria e restrittiva; ma tuttavia non è in pratica illegittima. L’autorità persuasiva d’un maestro non è forse spesso desunta dalla stima per le sue qualità morali? La forza apologetica d’una testimonianza non è spesso derivata dalla virtù di chi la proferisce? non facciamo noi forse giustamente grande conto di quella estrema testimonianza, che si chiama martirio? Ed al contrario, non perde forse di valore una propaganda, una predicazione, una professione ideologica, che non sia suffragata da una concomitante onestà morale?

Un’idea dev’essere vissuta, se pretende di convincere chi ne ascolta l’annuncio. Ricordiamo la ricorrente polemica del Signore, nel Vangelo, per riguardo ai Farisei da Lui accusati, nell’invettiva finale della sua pubblica predicazione: «dicono e non fanno» (Mt 23,3 ss.). il distacco della dottrina dalla condotta è un disordine che Cristo ha più ripetutamente e fortemente biasimato; l’ha qualificato d’ipocrisia, di offesa alla verità, d’intollerabile peccato.

La sequela di Cristo è governata da una logica altrettanto severa, che popolare. Un Vescovo Indiano, durante il recente Sinodo Episcopale citava una sentenza del Mahatma Gandhi: I like Christ; I dislike christians for they are unlike Christ, «a me piace Cristo, non mi piacciono i cristiani perché essi non sono simili a Cristo».

Tutto questo ci ammonisce che pensiero e azione devono camminare insieme, che fede e morale devono essere consonanti, che la professione d’un’idea implica una condotta pratica. E ciò vale innanzitutto per l’unità interiore, per l’armonia esteriore della coscienza personale. Chiamiamo comunemente serietà questa coerenza di comportamento, questa corrispondenza fra la verità professata, e la vita vissuta (Cfr. Ep 4,15): la santità, a ben guardare, è appunto questa sintesi di fede convinta ed operante e di carità attiva e generosa.

E se vogliamo che il rinnovamento prospettato dall’Anno Santo per la nostra vita cristiana sia effettivo e duraturo dobbiamo innanzitutto renderlo credibile a noi stessi, cioè risultante da una nuova coerenza interiore ed esteriore, che chiamiamo conversione, metanoia (e che dovremo poi riconsiderare). Ma la credibilità si riferisce di solito all’opinione pubblica, che ci giudica, non sempre saggiamente, ma sempre severamente. Questo giudizio altrui non deve certo paralizzare la nostra libertà, ma può giovare alla nostra autocritica: esso ci vuole coerenti tanto nella parola che nella condotta: lo siamo? ci vuole onesti e disinteressati: lo siamo? ci vuole semplici e sinceri: lo siamo? «Sia il vostro linguaggio», dice il Signore: «sì, si; no, no» (Mt 5,37), e basta; e se noi, forse proprio in occasione dell’Anno Santo, lodevolmente ci profondiamo in espressioni religiose pubbliche e prolungate, ascoltiamo ancora una volta il divino Maestro: «Non chiunque mi dice: Signore! Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi farà la volontà del Padre mio, ch’è nei cieli» (Mt 7,21); la religiosità stessa, isolata dall’osservanza della legge morale, non basta; per essere accetta a Dio, e credibile al nostro prossimo, essa deve documentarsi da concomitanti virtù morali e sociali (Cfr. Mt 5,24).

L’amore a Dio, cioè la carità religiosa, primissimo comandamento, non può disgiungersi dall’amore al prossimo, cioè dalla carità sociale, specialmente verso i familiari, verso chi riveste legittima autorità, verso le necessità dei poveri, degli umili, dei sofferenti, e di ogni fratello, cioè, in una parola, verso l’uomo bisognoso di pane, di affetto, di onore. «Che giova, scrive l’Apostolo Giacomo, che giova, fratelli miei, se uno dice di aver fede, ma non ha le opere? . . . Se un fratello, o una sorella sono spogli e bisognosi del vitto quotidiano, e uno di voi dica: andate in pace, riscaldatevi, e satollatevi, senza dare loro le cose necessarie al corpo, che gioverà?» (Jn 2,14-16).

Cosi dunque la credibilità della nostra professione cristiana deve autenticarsi con un’esemplarità personale, perfetta, per quanto è possibile, sotto ogni riguardo, e con speciale riferimento allo spirito di amore e di sacrificio in favore dei nostri fratelli; e, ricordiamolo, tutti, almeno potenzialmente, ci sono fratelli! (Cfr. Mt 23,8)

Che il Signore ci aiuti a vedere l’Anno Santo in questa prospettiva di credibilità.

Con la nostra Apostolica Benedizione.

Le Famiglie religiose della Pia Società San Paolo

Salutiamo ora, con particolare paterna affezione, la bella schiera dei rappresentanti la grande «Famiglia Paolina», qui convenuti nella fausta ricorrenza del 60° anniversario della fondazione della «Pia Società San Paolo».

Su di voi, diletti Figli e Figlie, sentiamo aleggiare l’anima benedetta e benedicente di Don Alberione, e da lui traiamo ispirazione per raccomandarvi di essere fedeli al suo insegnamento e al suo esempio, entrambi profondamente segnati, tra l’altro, da uno speciale vincolo di attaccamento e di adesione al Vicario di Cristo in terra.

La fedeltà! Parola grave e insieme suggestiva, evocatrice di una certa innegabile crisi, ma anche, e proprio per questo, stimolante il risveglio di una comprensione e di una accettazione più profonde e più generose. Un tema, che fa pensare alla «Virgo fidelis», alla Chiesa «sposa fedele di Cristo», a tutti e a ciascuno di noi, membri del Popolo di Dio, che siamo - e dobbiamo essere -, appunto, «i fedeli»: qualifica, questa, non soltanto esteriore, anagrafica, ma penetrante e sommamente impegnativa di tutto l’essere nostro.

Un argomento, che si ricollega, anche etimologicamente, alla fede; che invita a sviluppi ampi ed esaurienti, non consentiti in questo momento, ma che volentieri lasciamo e affidiamo alla vostra meditazione; un argomento - dicevamo -, che comunque sospinge ad una «riscoperta», come oggi si suol dire, sul piano del pensiero e della condotta, di tutti quei valori di cui la fedeltà è somma e sintesi, quali la solidità, la serietà, la costanza, la fortezza, la certezza, la docilità, l’obbedienza: valori tutt’altro che mortificanti, ma al contrario caratteristici della personalità vera, matura e responsabile, che non cede alle passioni, all’interesse, all’umano rispetto, alle mutevoli e frivole sollecitazioni della moda e del mondo.

Siate dunque fedeli, vi diciamo, alla vostra santa vocazione: di appartenenti agli Istituti religiosi, 0 agli Istituti secolari, o alle altre Associazioni, che sono usciti, così numerosi e fiorenti, dal cuore del vostro Fondatore. Fedeli alla vostra identità e agli impegni assunti dinanzi a Dio e dinanzi alla Chiesa, vivendoli nella loro profonda incidenza interiore e nelle loro espressioni visibili, esterne, peculiari - anch’esse - dell’una o dell’altra forma della vostra consacrazione.

Siate fedeli all’unità che tutti insieme vi caratterizza, e al tempo stesso a quell’unità che è propria di ciascuno dei vostri Istituti, così da mantenerne le varie fisionomie e da promuoverne i rispettivi carismi, nell’ambito della comune e vasta «Famiglia Paolina».

Siate fedeli, ancora, alle esigenze del vostro apostolato: di Religiosi e di Religiose autentici, di membri di Istituti secolari o di altre Associazioni; apostolato che molto perderebbe della sua genuinità e della sua efficacia, o che addirittura tale più non sarebbe, se vi lasciaste fuorviare da preoccupazioni non squisitamente e non fortemente spirituali, morali, soprannaturali, e che domanda, invece, una intensa vita interiore, alimentata quotidianamente dalla preghiera e dalla adorazione, ed una perfetta coerenza con la dottrina cattolica, quale proposta dal Magistero ecclesiastico. Ciò diciamo, pensando - in particolare - all’apostolato della stampa e delle comunicazioni sociali, che vi ha visti pionieri, e nel quale mai vorrete discostarvi da una chiara linea di ferma adesione alle verità della fede e della morale cristiana e alla disciplina della Chiesa.

Perché non confidarvi, a tale proposito - con paterna franchezza, per il bene che portiamo a voi e alle anime, ed anche a prova della speciale attenzione con cui amiamo seguire il vostro lavoro -, che talune pubblicazioni ci sono state e ci sono talvolta motivo di perplessità e di amarezza, e che Pastori e fedeli hanno manifestato a noi la loro pena e la loro preoccupazione? Libri e riviste comportano una grossa responsabilità, tanto più grave quanto più larga è la loro diffusione; e voi, evitando ciò che può esser causa di turbamento, di compiacente e deleterio permissivismo, dovete porre ogni cura nel formare sanamente e cristianamente i lettori ad un profondo senso religioso, alla purezza dei costumi, alle austere e nobilitanti esigenze del messaggio evangelico. Così diffonderete anche la vera felicità.

Abbiate, dunque, sempre più profondamente ed in tutto, il coraggio e la gioia della fedeltà, virtù fondamentale e insostituibile, per il vostro progresso personale, per la crescita dei vostri Istituti, per gli altri, a cui sarete così di esempio costruttivo, e per l’intero Popolo di Dio alla cui edificazione dovete contribuire.

Sappiamo e ci consola grandemente il bene che compite. A proseguire, e a fare sempre di più e sempre meglio, paternamente vi incoraggiamo con la nostra esortazione e con la nostra Benedizione Apostolica.

L’«Associazione Cattolica Esercenti Cinema»

Ci è gradito salutare, presenti a questa Udienza, i delegati e i collaboratori dell’Associazione Cattolica Esercenti Cinema (A. ), guidati dal loro Presidente, in occasione del 25° anniversario di fondazione e del 111 Congresso nazionale dell’organismo.

Facciamo voti che gli ideali schiettamente educativi e di apostolato per cui l’associazione è sorta siano sempre la spinta animatrice del vostro lavoro.

Noi sappiamo che questo oggigiorno non è agevole, anzi diventa sempre più difficile in un mondo dove una certa concezione de «l’arte per l’arte » pretende di poter fare astrazione da ogni principio morale e finisce per manipolare l’uomo nella sua interiore coscienza morale e dignità spirituale. La vera arte cinematografica, invece, così ricca di mezzi di espressione, deve, come ogni autentica arte, tendere alla promozione dell’uomo verso i valori più elevati, che lo nobilitano intrinsecamente, e avvincerlo maggiormente all’incommensurabile dono di Dio.

Voi sapete bene di avere nelle mani un potente mezzo – ed avete coscienza delle corrispondenti terribili responsabilità – per svolgere una vera opera di educazione e di promozione. Ci auguriamo che sappiate sempre essere ad un tempo aperti alle correnti di una autentica cultura moderna, e fermi circa le esigenze della saggezza evangelica.

Questi sono i nostri voti per la vostra Associazione e noi vogliamo ravvivarli con una particolare Benedizione Apostolica per ciascuno di voi, dirigenti e collaboratori.

Gli incontri «Veritas» a Montecassino

Si ripete questa mattina una manifestazione di fede che allieta sempre, in modo particolare, il nostro cuore: vediamo intorno a noi un folto gruppo di giovani studenti delle Scuole Medie e Superiori della Comunità ecclesiale di Montecassino, distintisi nello studio della religione negli «Incontri Veritas» del decorso anno, venuti insieme col Rev.mo Padre Abate, con le Autorità scolastiche e gli Insegnanti, che hanno contribuito al felice esito della benemerita iniziativa, ad esprimerci il loro affetto.

Nel dirvi, carissimi figli, il nostro sentito ringraziamento, vi manifestiamo la nostra compiacenza per l’amore che avete dimostrato a Cristo e alla Chiesa, auspicando che l’approfondimento delle verità rivelate significhi per voi l’impegno di testimoniarle sempre mediante l’esemplare comportamento di figli di Dio.

Esortandovi a progredire continuamente nell’apprendimento della divina sapienza, non vi nascondiamo le difficoltà della faticosa ricerca della ragione; ma le potrete, tuttavia, superare con l’umile ricorso al Signore nella preghiera, con la docilità agli insegnamenti della Chiesa e la fedele osservanza ai doveri religiosi. Vi sia di stimolo e d’incoraggiamento l’esempio di S. Benedetto, il quale trasformò, con l’orazione, con lo studio e col lavoro, le terre da voi abitate in centro d’irradiazione cristiana.

Con tale auspicio vi impartiamo la propiziatrice Benedizione, che volentieri estendiamo alle vostre rispettive famiglie e a quanti vi sono cari.

Centro di spiritualità francescana in Firenze

Rivolgiamo il nostro saluto al gruppo del «Centro di Spiritualità Francescana», di Firenze, che vuole esprimerci la vicinanza di tanti movimenti (dei giovani, dei professionisti, degli artisti, degli operai, degli amici di San Francesco, dell’Opera Giosuè Borsi, dei Sacerdoti) facenti capo a questa fiorente iniziativa.

La spiritualità francescana a cui vi ispirate, cari figli, non vi ha certo trovati impreparati dinanzi alle esigenze di vita interiore e di apostolato a cui il Concilio ha richiamato energicamente tutti i laici.

La vitalità religiosa della vostra tradizione e la ricchezza dell’attuale momento ecclesiale, sia nel campo della dottrina che in quello dell’attività pastorale, vi offrono ora la possibilità di una sintesi meravigliosa, che può fare della vostra presenza nelle comunità cristiane una forma veramente privilegiata di testimonianza dei valori evangelici, per il nostro mondo che ne ha così vivo bisogno.

A questo vi incoraggiamo, mentre di tutto cuore benediciamo voi e tutta la grande famiglia che rappresentate.


Mercoledì, 4 dicembre 1974

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Noi siamo nel periodo liturgico che precede la celebrazione del Natale, cioè della venuta del Salvatore nel mondo, della Incarnazione del Verbo di Dio, di Colui che avrà nome Gesù il Cristo, il Messia; siamo nel periodo chiamato Avvento, che significa aspettativa, preparazione, desiderio, speranza dell’arrivo nel mondo, nel tessuto storico del Popolo eletto e nel disegno universale dell’umanità di Colui verso il quale, per secoli ed in mezzo alle più tormentate esperienze, si è tesa l’ansia della salvezza, la visione del Re vincitore, dell’instauratore della giustizia e della pace: «sarà un bambino, profetizza Isaia, sarà un figlio (della nostra stirpe); e il principato è stato posto sulle sue spalle, e sarà chiamato col nome di Ammirabile, di Consigliere, Dio, forte, padre del secolo venturo, principe della pace. Il suo impero crescerà, e la pace non avrà più fine . . .» (
Is 9 Is 6-7).

Questa spiritualità, rivolta verso un avvenire nuovo, felice, indescrivibile, e verso un Personaggio straordinario, che riassume in sé la figura di Davide, il re ideale, e la trasfigura in una personalità trascendente, liberatrice, salvatrice, e misteriosa, percorre l’Antico Testamento, facendosi sempre più chiara e sempre più librata sulla infelice e deludente realtà storica della Nazione, da cui era coltivata, e la sorregge questa Nazione in una fiducia, che sembra sfidare gli avvenimenti più avversi: è la speranza messianica, la quale mantiene viva nel Popolo la memoria delle vicende secolari passate, gli impegni religiosi e morali ereditati dai Padri, fa della legge da loro ricevuta la norma testuale del proprio costume, e trae dalla fedeltà alla tradizione l’energia per vivificare la propria identità.

Così è stato aspettato Gesù. Conosciamo il Vangelo. Le promesse furono, nelle apparenze umane, deluse dalla figura e dalla missione che Gesù rivestì, sebbene anche questa kenosis, cioè questa umiltà del Signore fosse stata anch’essa documentata dalle celebri profezie del «Servo di Jahve» (Cfr. Is Is 53), ma furono sorpassate nella realtà esistenziale di Cristo, vero Figlio di Dio e vero Figlio dell’uomo, che proprio in virtù di questa sua duplice natura, divina ed umana, viventi nell’unica Persona del Verbo, Figlio di Dio, consumò l’opera della redenzione, morendo e risuscitando per la nostra salvezza.

Ora questo Vangelo è tal cosa che dovrebbe alimentare in ciascuno di noi e in tutta la comunità universale della Chiesa una analoga spiritualità, quale ci è illustrata dall’antico Testamento, cioè la spiritualità della nostra convergenza in Gesù, nostro Signore, Salvatore, Redentore, nostro Maestro, Pastore ed Amico, nostro centro, nostro cardine dei destini umani, nostro Messia unico, necessario e sufficiente, nostro amore e nostra felicità. Per noi l’attesa ha solo valore pedagogico; è reminiscenza della secolare economia preparatoria alla venuta di Cristo. Ma Cristo è venuto. La realtà messianica per noi è compiuta.

Questa è la spiritualità del Natale, nella quale la storia, la teologia, il mistero dell’Incarnazione, il nostro destino umano e soprannaturale si fondono e diventano celebrazione, cioè liturgia, una liturgia che si alimenta di tutta la terra, di tutta la storia, e che s’innalza, con ampiezza cosmica, nei cieli, nella gloria divina.

Ed è tutto per sé, se non sentissimo l’obbligo di aggiungere due osservazioni. La prima è questa. Sì, Cristo è venuto; ma per una misteriosa e terribile sventura non tutti l’hanno conosciuto, non tutti lo hanno accolto: il prologo del Vangelo di San Giovanni lo dice drammaticamente: «. . . Egli era la luce vera, che illumina ogni uomo che viene a questo mondo, . . . e il mondo non lo conobbe. Egli è venuto nella sua proprietà, ed i suoi non lo accolsero» (1, 9-11). È il quadro dell’umanità, quale noi, dopo venti secoli di cristianesimo, abbiamo davanti. Come mai? che cosa diremo? Non pretenderemo di sondare una realtà immersa in misteri che ci trascendono: il mistero del Bene e del Male. Ma possiamo ricordare che l’economia di Cristo, per la diffusione della sua luce, si dispiega in una subalterna, ma necessaria cooperazione umana: quella della evangelizzazione, quella della Chiesa apostolica e missionaria, che, se registra risultati incompleti, tanto più deve da tutti essere aiutata e integrata.

E possiamo concedere alle nostre curiosità storico-sociologiche di indagare se questo nostro mondo moderno, come quello indicato nella Bibbia, non riveli da sé, inconsciamente, sintomi d’un messianismo insoddisfatto e angosciosamente teso verso una insaziata speranza d’una venuta messianica.

Che cosa significa questa implacata inquietudine verso le mutazioni economico-politiche, verso il miraggio di sempre nuove rivoluzioni se non la disperata attesa d’un ordine superiore che l’uomo da sé non sa creare se non mortificando la libera espressione dell’uomo stesso? E che cosa significa questa nausea della prosperità, risultante dal progresso tecnico-scientifico e respinta dalle giovani generazioni, se non il bisogno d’un messianismo dello spirito e non della abbondanza materiale?

E la tendenza, quasi di moda, di esaltare il Povero come il tipo bisognoso d’una nuova giustizia, che lo sviluppo economico non sa di per sé generare, ma piuttosto trascurare ed offendere? quando viene il Vangelo dei Poveri? Eccetera. Un mito messianico sembra denunciare follemente, ma non senza segreta sapienza, un bisogno autentico, quello di Uno che dice con forza di verità: «Io verrò, e lo guarirò!» (Mt 8,7)

E la seconda osservazione è quest’altra. Cristo è venuto, sì; ma questa sua venuta, piena e felice sotto certi aspetti sostanziali, non è definitiva, non è l’ultima. Gesù verrà alla fine di questo mondo «a giudicare i vivi ed i morti». Un avvento escatologico, la «parusia», è ancora nelle attese del tempo e delle nostre anime. L’avvento che stiamo celebrando diventa, a sua volta, profetico e preparatorio.

A che cosa? al desiderio di Cristo, all’amore di Cristo, all’estimazione giusta e saggia di questa vita presente, che tanto vale quanto ci guida e ci prepara per quella eterna e futura.

Da ricordare sempre; con la nostra Apostolica Benedizione.

Corso di rinnovamento giudiziario alla Gregoriana

Una parola speciale meritano gli 80 partecipanti al quarto «Cursus renovationis canonicae pro Iudicibus aliisque Tribunalium administris», venuti a questa Udienza insieme col benemerito Decano e con gli Studenti della Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana, che organizza il Corso.

Avremmo voluto, diletti figli, ricevervi in una Udienza a parte, per intrattenerci a nostro agio con ciascuno di voi, che venite un po’ da tutti i continenti, e tra i quali sappiamo che vi sono anche due nostri Confratelli nell’Episcopato. Se ciò non ci è purtroppo possibile, vogliamo tuttavia che non vi manchi la nostra sia pur breve parola di particolare compiacenza e di incoraggiamento. Ci fa piacere vedervi in numero così cospicuo: segno che l’interesse per una formazione, continuamente aggiornata, sul diritto canonico non solo è vivo, ma aumenta continuamente.

Lode alle vostre diocesi di origine, che si preoccupano di avere nei quadri dei Tribunali ecclesiastici Giudici e Officiali particolarmente preparati. E lode a voi che vi date a questo severo tirocinio. Facciamo voti che ne sappiate ricavare tutto il miglior frutto.

La Chiesa, anche nell’esercizio del diritto che le compete in forza del suo divino mandato, si dimostra ed è madre: mediante esso segue l’ordinato svolgimento della vita dei suoi figli, si china su di essi per guidarli sulla via della salvezza, e assicurando i diritti di Dio non fa altro che tutelare e garantire quelli degli uomini, ad essa affidati. Sappiate vedere sempre, come in trasparenza, attraverso la complessità delle varie procedure, il mistero santificatore della Chiesa: e un soffio vivificatore, pastorale, apostolico renderà più lievi le vostre fatiche.

Noi vi seguiamo con la preghiera e con l’augurio, mentre a tutti impartiamo la nostra Benedizione.

Capitolari degli Oblati di Maria Immacolata

“Christian Brothers”

We warmly welcome to the audience today a group of Christian Brothers who have come to Rome from many parts of the English-speaking world to find fresh inspiration for their apostolic work. Certainly the youth in the countries where you teach need the light of your spiritual guidance now more than ever. Do not be worried how you will carry out your task. The Divine Master has given you a simple formula: “It is enough for the disciple that he should grow to be like his teacher” (Mt 10,25). We pray that through your own imitation of Christ you may lead youth to God.



Mercoledì, 11 dicembre 1974

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Quando sul quadrante del nostro calendario ritorna il Natale una questione si presenta allo spirito dell’umanità: dunque Gesù: chi era Gesù? La nostra fede esulta, e grida: è Lui, è Lui, il Figlio di Dio fatto uomo; è il Messia che aspettavamo: è il Salvatore del mondo, è finalmente il Maestro della nostra vita; è il Pastore che guida gli uomini ai suoi pascoli nel tempo, ai suoi destini oltre il tempo, è la gioia. del mondo; è l’immagine del Dio invisibile (
Col 1,15); è la via, la verità, la vita (Jn 14,6); è l’Amico interiore (Jn 15,14-15); è Colui che ci conosce anche da lontano (Cfr. Jn 1,48); sa i nostri pensieri (Lc 6,8 Jn 2,25); è Colui che ci può perdonare (Mt 9,2), consolare (Jn 20,13 Mc 5,39), guarire (Lc 6,19), risuscitare perfino (Lc 7,14 Mt 9,25 Jn 11,43); ed è Colui, che ritornerà, Giudice di tutti e di ciascuno (Mt 25,31),o nella pienezza della sua gloria (Ibid.) e della nostra eterna felicità. E questa litania potrebbe continuare, assumendo l’onda d’un canto cosmico, senza fine e senza confine (Cfr. Col 2).

Ma esplosa la nostra anima in questo inno di gloria e di fede, possiamo noi dirci del tutto soddisfatti? o non rimane in fondo al nostro spirito un bisogno di conoscere meglio, di dire di più? Certamente, perché Gesù Cristo è mistero, cioè un Essere che supera la nostra capacità di comprendere e di esprimere; Egli c’incanta, ci inebria, e proprio così ci istruisce circa i nostri limiti e circa le necessità di studiare ancora, di approfondire di più, di esplorare meglio «quale sia la larghezza, e la lunghezza, e l’altezza, e la profondità» del suo mistero (Cfr. Ep 3,18).

Questo è l’invito che ogni anno la Chiesa propone ai fedeli, iniziati alla scienza della divina rivelazione, invito che non ci distoglie dalla visione e dal godimento del quadro delizioso e ingenuo dei nostri presepii, né dalla serena e lieta conversazione della festa domestica. Che cosa v’è di più umano, di più bello, di più autentico che una celebrazione del Natale, come questa, in cui, per chi ha l’intelligenza della fede humana et divina iunguntur, le realtà umane e quelle divine si toccano e insieme si fondono?

Proponiamo dunque .a noi stessi di dare al Natale il senso d’una ricorrente iniziazione alla comprensione, per quanto è possibile, alla dottrina su Cristo, nella sua duplice fondamentale questione: chi è veramente Gesù? (ecco la cristologia); e, seconda questione, che cosa significa la sua venuta fra noi; che cosa ha fatto Gesù? (ecco la soteriologia, cioè, la dottrina della salvezza operata da Lui).

Facciamo l’ipotesi che nessuna vana opinione, nessuna falsa teoria sia venuta a turbare la nostra fede in Gesù Cristo nostro Signore; noi proveremo allora tanto di più il desiderio e la pienezza, con la relativa gioia spirituale, di far risuonare nelle nostre anime le gravi, precise, solenni definizioni, che la Chiesa, con faticoso travaglio e con immenso ed unico amore di verità, ha formulato per il nostro pensiero, la nostra preghiera e la nostra conseguente condotta.



Rileggiamone una di queste formule, che altro non è se non il commento alla sentenza evangelica: «il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi» (Jn 1,14); e suona così: «Gesù Cristo . . . è Dio vero e uomo vero» (DENZ-SCHÖN. DS 301-302). Questa è la vera definizione di Lui, è per noi la vera teologia. Restare ancorati a questa interpretazione di Gesù è la nostra fede, è la nostra sicurezza. Essa non duplica la figura di Gesù, quasi che il Gesù del Vangelo sia diverso dal Gesù dell’autentica dottrina teologica, ma difende gelosamente il tesoro misterioso di verità, che è in Lui e ci autorizza a penetrarne la profondità; essa non esaurisce la nostra avidità di ricerca e di sapere, ma le apre la strada e la guida; essa non inaridisce il linguaggio del cuore e della poesia, ma lo provoca e lo accende; esso non inorgoglisce il nostro pensiero, ma piuttosto umilmente lo innalza al piano della comunione con i fratelli in unica armonia di fede e di carità.

Ma purtroppo sappiamo che ancora oggi, e forse oggi più che mai, Cristo Gesù, quale la Chiesa lo confessa e lo esalta e lo difende e lo ama, è «oggetto di contraddizione: signum cui contradicetur» , come disse a Maria, nell’atto della presentazione di Gesù al tempio il vecchio Simeone. Tutta una letteratura erudita e talora artistica, dal secolo scorso ad oggi, si è affaticata a vivisezionare il Vangelo per mettere il dubbio su Gesù, perfino su la sua esistenza: «Se Cristo sia o no esistito, non verrebbe a nessuno in testa di domandarlo, se per spingerlo a questa domanda non l’oscurasse il desiderio della ragione, e cioè che Cristo non fosse» (Cfr. D. MEREZKOVKSKIJ, Gesù Sconosciuto, 8).

E questa osservazione radicale ci dà la chiave per valutare gran parte di codesta letteratura, anche moderna; essa parte da presupposti soggettivi, sotto i quali piega la schietta e obbiettiva testimonianza del Vangelo.

L’ipotesi, l’opinione, l’artificio letterario, ambiguità scientifica, la subdola lode umanistica, la superficialità sentimentale, la trovata esegetica o ermeneutica, o quale altro virtuosismo, proprio di chi sostituisce un libero esame alla meditata e ispirata riflessione del magistero preposto da Cristo stesso alla divulgazione del suo Vangelo, conducono il lettore, diventato inconsciamente discepolo, a fermare lo sguardo su quel certo aspetto opaco (pur irradiante di luce e di segni), di cui Gesù ha voluto rivestire la sua presenza nel mondo, affinché la visione vera e penetrante di lui rimanesse nell’economia della libertà e della grazia, così che «videntes non vident et audientes non audiunt; coloro che guardano non vedono, e coloro che ascoltano non comprendono» (Cfr. Mt 13,13 ss.; Jn 12,40).

Questo diciamo, Figli e Fratelli, col voto che il Natale sia per tutti voi epifania del Signore, cioè manifestazione autentica di Chi Egli è e di ciò che Egli ha operato per noi, risvegliando nei vostri animi il desiderio, il bisogno, il dovere di conoscerlo bene, di conoscerlo meglio, «nello Spirito e nella Verità» (Jn 4,23).

Con la nostra Benedizione Apostolica.

Cappellani degli aeroporti

Today we extend a special welcome to a number of Airport Chaplains. You have come to Rome to study the problems of providing pastoral care in the world’s largest airports. We cannot but praise your apostolic efforts in regard to this sector of modern society. We appreciate the fact that it is not easy to establish pastoral programmes in an area so full of movement and travel. You can be sure, however, that your testimony is a living sign of God’s abiding presence among men, a reminder that it is in him that “we live and move and have our being”, (Ac 17,28) that he is the centre of the World, the axis on which our lives turn. We pray that through your work you will show to other their eternal destiny, and that by your openness to the stranger and your charity to all you will witness to the Christ who makes us one.

Istituto Italiano di Cultura di Madrid

Amadisimos hijos: Una vez más habéis querido organizar un viaje especial a Roma bajo los auspicios del Instituto Italiano de Cultura de Madrid. Os expresamos ante todo nuestro agradecimiento por esta visita, con la que os proponéis testimoniar vuestra adhesion al Vicario de Cristo.

Sabemos que una de las finalidades de vuestro viaje es la de asociaros al homenaje que Roma tributa a la Virgen Inmaculada en el día de su fiesta.

Es para Nos motivo de complacencia constatar en vosotros el deseo de unir armónicamente el culto de los valores culturales y artísticos con los valores superiores del espíritu, haciéndoos promotores de ese verdadero humanismo, que no puede olvidar ninguna dimensión del hombre.

En prenda de benevolencia y de aliento en vuestra importante misión, nos complacemos en otorgaros una especial Bendición Apostólica.

Missionari dello Spirito Santo

Con gran complacencia dirigimos hoy nuestro saludo al grupo de estudiantes de teología pertenecientes a la Congregación de los «Misioneros del Espíritu Santo», que cursan sus estudios en las Universidades Pontificias de Roma. Vemos en vosotros, amados hijos, no solo un deseo de aprender profundamente la ciencia sagrada, sino también de asimilar, con renovado espíritu, aspectos importantes de la realidad eclesial, como la universalidad de la Iglesia, el valor de la tradición cristiana, la fidelidad al Magisterio, la veneración y la lealtad al Papa.

Las privilegiadas circunstancias en las que se desarrolla vuestra formacion sacerdotal os deben animar a ser siempre fieles al Señor que os llama, a la Iglesia que pone en vosotros su esperanza y a las almas cuya salvación os será un día encomendada.

Sirva de aliento a estos propósitos nuestra Bendición Apostólica, que de corazón impartimos a vosotros y a vuestros Superiores.


Mercoledì, 18 dicembre 1974


Paolo VI Catechesi 27114