Paolo VI Catechesi 31125

Mercoledì, 31 dicembre 1975

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Eccoci di nuovo in conversazione con i Visitatori della nostra Udienza generale settimanale. E finito l'Anno Santo, ma la vita continua; anzi essa vorrebbe derivare da quel momento di pienezza spirituale e di impegno morale, chrè stato l'Anno Santo un certo logico orientamento ed una certa feconda ispirazione.

Noi cominceremo col dire a voi, Fratelli e Figli carissimi, che oggi siete accorsi a questa Udienza, che noi non vi consideriamo visitatori tardivi ed esclusi da quella perfetta comunione, a cui questo familiare incontro è sempre destinato. Vengono alla nostra memoria le parole di San Paolo, nella seconda lettera ai Corinzi, le quali risuonano piene di affettuosa accoglienza: "... il nostro cuore si è tutto aperto per voi ... Io parlo come a figli; rendeteci il contraccambio; aprite anche voi il vostro cuore" (
2Co 6,11-12).

Dunque, anche nelle nuove circostanze, il discorso continua, e vuole riallacciarsi a quella espressione programmatica, che venne alle nostre labbra proprio alla chiusura dell'Anno giubilare, quando esortammo tutti a promuovere, quasi a suo felice coronamento, "la civiltà dell'amore r. Si, questa vorrebbe essere, specialmente sul piano della vita pubblica, la conclusione dell'ora di grazia e di buon volere, che fu l'Anno Santo, anzi il principio della nuova ora di grazia e di buon Volere, che il calendario della storia ci apre davanti: la civiltà dell'amore!

Da quale pensiero cominciamo ? Non presiede a questo nostro colloquio un disegno razionale e organico. Dovremmo, in questo caso, cominciare da Dio, chrè Lui stesso Amore (1Jn 4,16), per infinita eccellenza, e che dell'amore a Lui ci fa precetto primario e totale (Cfr. Mt 22,37), come dell'amore al prossimo enuncia il precetto derivato e comprensivo, col primo, di tutti i nostri doveri (Ibid. 39-40). Ma ora, cio fermo restando, noi, quasi per necessità didattica e pratica, ci poniamo sul piano concreto e immediato, ripetendo a noi la domanda: se vogliamo promuovere la civiltà dell'amore quale sarà il primo, il principale oggetto del nostro programma rinnovato e rinnovatore? Noi guardiamo alla vicenda storica, nella quale ci troviamo; e allora, sempre osservando la vita umana, noi vorremmo aprirle vie di migliore benessere e di civiltà, animata dall'amore, intendendo per civiltà quel complesso di condizioni morali, civili, economiche, che consentono alla vita umana una sua migliore possibilità di esistenza, una sua ragionevole pienezza, un suo felice eterno destino.

Ed ecco che subito noi siamo messi in stato di timore e di difesa. La vita oggi è minacciata. Se vogliamo difenderne le sorti e assicurarle benessere, non possiamo non essere, fin da questo momento, in uno stato di vigilanza. Invece di celebrarne la bellezza e la fortuna noi dobbiamo avvertirne i pericoli ed i mali. l'amore è vigilante, e si avvede delle condizioni infelici, in cui, ancor oggi, la vita si trova.

Ahimé! non un solo malanno pesa sull'umana esistenza: e noi che sognamo per essa unratmosfera di dignità e di benessere, ci troviamo subito impegnati in una diagnosi, assai vasta e assai complessa, che denuncia dolori, disordini, pericoli, ai quali non possiamo essere indifferenti.

Facciamo immediatamente una domanda a noi stessi: se questo fosse il nostro destino di professarci "medici" di quella civiltà che andiamo sognando, la civiltà dell'amore? Il nostro primo dovere è appunto questo: di dedicarci alla cura, al conforto, all'assistenza, anche con sacrificio nostro, se occorre, per il bene di quell'umanità, che vorremmo vedere civile e felice; e se cosi, non sarebbe bene orientato il nostro programma?

Si, fratelli! Allora la patologia sociale è il primo campo del nostro cristiano interesse. Bisogna avere sensibilità ed amore per l'umanità che soffre, fisicamente, socialmente, moralmente.

Oggi? oh! come vibrano gli strumenti segnaletici del deterioramento del nostro comportamento civile! Limitiamoci a qualche ovvia e grave segnalazione: la delinquenza organizzata, premeditata per estorsione di somme spesso favolose di denaro, sotto minaccia di morte di persone innocenti: non è questa diventata unrepidemia di malvagità, avida e crudele, che accusa un vuoto di principii nobili e morali, che ha scavato un crollo pauroso nella coscienza di tanti figli del nostro tempo? E che diremo della propaganda in favore della liberalizzazione o legalizzazione dell'aborto procurato, senza che i cuori materni insorgano a difesa delle loro nascenti creature e della loro vocazione al servizio della vita? E non avremo almeno sentimenti di pietà e di speranza per popolazioni intere, che ancora languiscono nella fame e nella miseria? E non proveremo un fremito almeno di sdegno e di paura per gli armamenti, che estendono i loro lucrosi mercati fra le nazioni, e per gli episodi tremendi di guerre civili, prodromi possibilmente fatali di ancora conflagrazioni, di cui parlano le radio e i giornali del mondo, non avremo noi almeno una troppo esperta implorazione a scongiurare oggi, in radice, le guerre che domani, con incalcolabile furore, possono di nuovo insanguinare la faccia della terra?

Sogniamo noi forse quando parliamo di civiltà dell'amore? No, non sogniamo. Gli ideali, se autentici, se umani, non sono sogni: sono doveri. Per noi cristiani, specialmente. Anzi tanto più essi si fanno urgenti e affascinanti, quanto più rumori di temporali turbano gli orizzonti della nostra storia. E sono energie, sono speranze. Il culto, perché tale diventa, il culto che noi abbiamo dell'uomo a tanto ci porta, quando ripensiamo alla celebre, antica parola di un grande Padre della Chiesa, S. Ireneo (t 202): Gloria . . . Dei vivens homo, gloria di Dio è l'uomo vivente (S. IRENAEI Contra haereses, IV, 20, 7: PG 7, 1037).

Pensiamoci con coraggio. E con la nostra Apostolica Benedizione.



SALUTI DEL SANTO PADRE

Ai novelli sacerdoti dei Legionari di Cristo

Queremos dirigir unas palabras con particular afecto a vosotros, Legionarios de Cristo, que habéis recibido en estos dias la ordenacion sacerdotal.

La Navidad de este ano ha significado para vosotros un singular desbordamiento de gracia, que el Espiritu Santo ha difundido en vuestros corazones mediante la participacion en el sacerdocio de Cristo. Consagraos con todas vuestras fuerzas juveniles al servicio de las almas, en plena fidelidad a Dios y a la Iglesia. Y para que nunca se extingua la llama ahora encendida, avivad cada dia en vuestro interior la gracia que se os ha dado con la imposicion de las manos.

A vosotros, a vuestros familiares, a los superiores y estudiantes del Centro de Estudios Superiores de los Legionarios de Cristo que celebra sus veinticinco anos de fundacion en Roma, impartimos de corazon una especial Bendicion Apostolica.

Al Coro canadese "Les Montéchos"


Gruppo di giovani di varie Nazioni, che hanno collaborato con la Commissione Giovanile del Comitato Centrale per l'Anno Santo

Sappiamo presente anche un gruppo di giovani del noto movimento GEN (Generazione Nuova), dei "Focolarini" - provenienti da varie parti del mondo - che stanno per lasciare Roma dopo essersi dedicati all'accoglienza e all'assistenza dei loro coetanei durante l'Anno Santo.

Vi ringraziamo paternamente per quanto avete fatto in tale occasione, prodigandovi con l'entusiasmo proprio della vostra età e con lo spirito caratteristico del vostro movimento.

Il recente Giubileo, in cui la partecipazione dei giovani è stata una delle note salienti e più confortanti, vi ha fatto incontrare tanti colleghi e vi ha confermati nella certezza che Cristo presenta agli uomini un ideale avvincente anche oggi, e che la sua Chiesa è una comunità di fratelli nella quale è bello, è grande, è doveroso impegnare la propria vita.

Ritornando ora nei vostri Paesi e alle vostre occupazioni, continuate ad essere portatori di questo lieto annuncio, sostenuto anche dalla vostra privilegiata esperienza.

Vi accompagni e vi sia di incoraggiamento la nostra particolare Benedizione Apostolica.

Al "Piccolo Coro dell'Antoniano" di Bologna

Ed ora con paterna commozione salutiamo i fanciulli del "Piccolo Coro dell'Antoniano" di Bologna. Hanno espresso il desiderio di eseguire alla nostra presenza alcuni passi del canto Tu scendi dalle stelle. Questo vostro gentile pensiero, figlioli carissimi, ci è assai gradito e ve ne ringraziamo di cuore. Esso ci manifesta il vostro amore a Colui che si è fatto bambino per salvarci, che tanto vi ama e che specialmente in questo tempo natalizio vi tende le braccia con un sorriso di letizia e di pace. Questo amore a Gesù ravvivatelo sempre più nei vostri animi, figlioli, soprattutto con la preghiera, che sarà senza dubbio ascoltata dal Signore, perché la vostra voce innocente possiede sul Suo Cuore una forza tutta particolare. PregateLo per il Papa, per la Chiesa, per la pace nel mondo, per tanti bambini che soffrono. Ecco il nostro ardente desiderio. E noi, nel nome di Gesù, di cui facciamo le veci, vi diciamo il nostro incoraggiamento pieno di tenerezza, mentre con tanto affetto vi benediciamo insieme con i vostri genitori, i vostri educatori e tutti i vostri cari.





Mercoledì, 7 gennaio 1976

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Nel momento di pausa e di silenzio, che succede alla chiusura dell’Anno Santo, sorge nell’animo della Chiesa, cioè del Clero e del Popolo fedele, una tacita domanda interiore: «ed ora che cosa si fa?». Si direbbe che, esaurito un programma, quello appunto dell’Anno Santo, un periodo di riposo e di ripensamento debba succedere; stiamo a vedere come si mettono le cose, si dice; e poi riprenderemo il cammino delle idee e dell’azione. Par di ascoltare le parole del Maestro: «requiescite pusillum, riposatevi un po’» (
Mc 6,31). Ma così non è! anzi un nuovo periodo d’intensa attività religiosa e pastorale si apre subito per tutti noi, che vogliamo essere attenti ai « segni dei tempi », e che vogliamo innanzi tutto valerci delle grazie e dei propositi dell’Anno Santo per dare impulso ad una nuova e più fervorosa fase della vita ecclesiale; abbiamo perfino accennato alla promozione d’una nuova, più coerente e più operosa vita cristiana, la quale dovrebbe riflettersi, anche pubblicamente, in una maniera migliore di concepire e di gestire la nostra esistenza collettiva, quella maniera, che ha assunto un titolo ardimentoso di «civiltà dell’amore». Avremo forse occasione di riparlarne.

Ma intanto incominciamo subito ricordando un documento che abbiamo pubblicato proprio alla fine dell’Anno Santo, in data 8 dicembre 1975, dedicato alla «evangelizzazione nel mondo moderno». Questo documento deriva dal Sinodo dei Vescovi del 1974, ne riassume e ne consegna le idee alla Chiesa intera, quasi ad impegnarne il fervore suscitato dall’Anno Santo per un rinnovato, organico ed intenso sforzo di evangelizzazione. Ed è bene che sia così.

Il risveglio della vocazione fondamentale è specifica della Chiesa fedele e responsabile, quella della sua missione di annunciare il Vangelo in tutte le direzioni della terra, e la cresciuta consapevolezza dei bisogni spirituali e morali del mondo moderno conferiscono al tema un’attualità, che sembra coronare perfettamente la maturazione religiosa dell’Anno Santo. Esso ci ha aperto gli occhi: il mondo ha bisogno di Vangelo; il patrimonio di sapienza dottrinale e pastorale del recente Concilio ecumenico attende la sua incisiva e coerente applicazione; la coscienza personale della corresponsabilità che ogni cattolico deve avvertire relativamente ai bisogni del nostro tempo; l’incontro dialettico della Chiesa odierna con i problemi, le polemiche, le ostilità, le possibili catastrofi d’una società senza Dio, per cui la Chiesa sperimenta il dramma oggi in piena tensione della sua storia; la scoperta poi di insospettate possibilità evangeliche nelle anime umane, provate da laboriose e deludenti esperienze del progresso moderno; e infine certi segreti della misericordia divina, in cui si rivelano commoventi risorse del regno di Dio; tutto ci dice che questa è un’ora grande e decisiva che bisogna avere il coraggio di vivere ad occhi aperti, e con cuori impavidi. I giovani, alcuni più intelligenti ed animosi almeno, comprendono e si pongono all’avanguardia; non bisogna aver paura a ricominciare da capo la complicata ed estenuante missione della evangelizzazione.

Concludiamo con una citazione finale del documento, che abbiamo ricordato ai vostri animi desiderosi di dare all’Anno Santo una conclusione logica e degna di così alto e pieno momento spirituale. Noi infatti terminavamo la nostra esortazione, che dalle prime parole latine si intitola «Evangelii Nuntiandi», l’evangelizzazione cioè, con questo grido apostolico: «Ecco la consegna che abbiamo voluto dare alla fine dell’Anno Santo, che ci ha permesso di percepire più che mai la necessità e le invocazioni di una moltitudine di fratelli, cristiani e non cristiani, che attendono dalla Chiesa la Parola della salvezza. Possa la luce dell’Anno Santo, che si è levata nelle Chiese particolari e a Roma per milioni di coscienze riconciliate con Dio, irradiarsi egualmente dopo il Giubileo attraverso un programma di azione pastorale, di cui l’evangelizzazione è l’aspetto fondamentale . . .» (PAULI PP. VI Evangelii Nuntiandi, 81).

Così sia, con la nostra Benedizione Apostolica.

Mercoledì, 14 gennaio 1976

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Noi abbiamo celebrato l’Anno Santo. Noi vogliamo supporre che la celebrazione di questo avvenimento abbia davvero interessato gli animi di ciascuno di noi e che esso debba continuare ad esercitare sopra di noi il suo influsso benefico. L’Anno Santo ci ha parlato di rinnovamento e di riconciliazione. Dio voglia che queste due parole rimangano scolpite nel nostro ricordo, ed abbiano ad imprimere una direzione costante, una spinta sempre operante nella nostra vita spirituale. E se così è, se così sarà, noi vedremo germinare da esse altre parole, altre formule feconde, che ci piacerà coltivare e far presiedere allo stile e al programma del nostro rinnovamento cristiano. La ricerca e la scelta di qualche formula semplice e sintetica è nel genio del nostro tempo.

Una formula è stata da noi già fugacemente lanciata, quando ci proponemmo di cercare nella «civiltà dell’amore» il frutto religioso, morale e civile dell’Anno Santo. Se piace, questa formula può rimanere; noi la crediamo valida per sinceri sviluppi, tanto individuali, quanto, e specialmente, sociali, a ricordo vivo ed operante dell’anno di grazia testé concluso, ma non ormai sorpassato e vano per la storia spirituale del nostro tempo. Dovremo tuttavia ricordare il pericolo circa l’ambiguità dell’amore, come c’insegna S. Agostino, potendo l’amore coincidere con l’egoismo, cioè l’amore di sé, e farsi fondamento d’una «città» terrena, contraria all’amore di Dio, il quale solo può essere fondamento della «città» celeste (Cfr. S. AUGUSTINI De Civitate Dei, XIX, 28: PL 41, 436), quella che sola può, nel nostro pensiero, realizzare la civiltà dell’amore.

Ma ci sono altre formule, ottime e feconde, nelle quali noi possiamo condensare, come in semi destinati a meravigliosi sviluppi, la forza genetica d’un cristianesimo sempre nuovo e vivo. San Paolo ci potrà suggerire una quantità di queste formule originali e comprensive (Cfr.
Rm 1,17 Ep 4,15 Col 3,11 etc.). Del resto ogni Famiglia religiosa ha il suo motto, che ne dice il carattere interiore ed il suo proprio dinamismo.

Noi possiamo, in questo momento importante della nostra maturazione spirituale, risalire alla formula originaria stessa dell’annuncio evangelico, formula, che abbiamo poi sempre sulle labbra e nel cuore ogni volta che recitiamo la grande, la consueta preghiera del «Padre nostro», e facciamo nostro il tema della prima predicazione di Gesù Cristo stesso: «venga il Tuo regno». Questa espressione meriterebbe una lunga riflessione: che cosa in realtà chiediamo a Dio Padre quando lo supplichiamo che venga il suo regno? È tema biblico e tema spirituale sempre degno di studio. Noi ci limitiamo a ricordare che questa espressione, caratteristica nei primi discorsi del Signore, risuona come inaugurale dell’avvenimento messianico. Gli esegeti osservano che di questo regno di Dio (o regno dei cieli) è menzione per oltre cinquanta volte nel Vangelo di Matteo (Cfr. LAGRANGE, St Matthieu, CLVI ss.); lo proclama per primo il Precursore, Giovanni Battista (Mt 3,2); e poi esso diventa il tema della prima evangelizzazione di Gesù, che «cominciò a predicare e a dire: convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4,17). Che cosa voleva dire il Signore con questa formula, non ignota al Popolo di Dio?

Voleva dire molte cose, non sempre facili a bene decifrarsi. Ma per ora a noi basti indicare la novità messianica apportata da Cristo, il nuovo destino religioso dell’umanità, un nuovo piano di rapporti fra Dio e la storia umana (L. DE GRANDMAISON, Jésus Christ, I, 376 ss.); un disegno d’amore, di misericordia, di salvezza, che per iniziativa divina si insinua nel mondo naturale e decaduto per risollevarlo e per conferirgli una vita nuova, un’adozione soprannaturale, proveniente da una comunione con Cristo, solo che noi la accogliamo e la viviamo (Cfr. Ep 1).

Così si inaugura nel corso dei secoli questo nuovo regno di Dio. Cristo lo apre, e, Lui vivente, è già in mezzo a noi (Lc 11,20 Lc 17,21). Ma un regno che qui comincia, ma non è completo, non è in uno stato definitivo; è piuttosto «in fieri»; bisogna pregare che «venga» (Mt 6,10); è ora nel campo della fede (Cfr. 1Co 13,8 ss.) e della speranza (Rm 8,24), ma già, in certo modo, sperimentabile nell’amore (Cfr. tutta la dottrina dell’Eucaristia; Jn 6,54 ss., della carità e della Chiesa).

Bisogna che questa dottrina del Regno di Dio sia da noi acquisita con pienezza di adesione, pronti a goderne la gioia che gli è propria (Cfr. PAULI PP. VI Gaudete in Domino), a soffrirne la croce che parimente la fedeltà al Regno di Dio ci riserva, a derivarne la sapienza pratica, morale e sociale di cui essa è sorgente, a farne argomento del nostro dialogo col mondo profano circostante (Cfr. Gaudium et Spes ).

Sì. «Venga il Tuo Regno», o Cristo; «il Tuo Regno», o Dio; dovremo sempre dire pensando, operando, e pregando. Con la nostra Apostolica Benedizione.


Mercoledì, 21 gennaio 1976

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Noi siamo ancora nel cono di luce, che dalla celebrazione dell’Anno Santo, conclusa a Natale lo scorso mese, si proietta sul tempo fuggente, che ci allontana cronologicamente da quell’avvenimento religioso-morale, ma che porta con sé, non come ricordo che si va sbiadendo, ma come fascio luminoso che si va allargando in un mondo di ombre e di confusi bagliori, la traiettoria nuova e diretta per il nostro presente e futuro cammino, alla quale abbiamo dato un titolo pregnante di significato e di programmi: la civiltà dell’amore. Sì, vorremmo che la cronaca di questi giorni successivi all’Anno Santo, e così pure la storia degli anni venturi fossero caratterizzate da questa folgorante e animatrice corrente dell’amore evangelico, riscoperto, riacceso dal rinnovamento e dalla riconciliazione, di cui l’Anno Santo ci ha dato qualche felice esperienza.

Se non che le condizioni morali, sociali e politiche, nelle quali gli uomini sono ora coinvolti in diversi punti del mondo, sembrano contraddire quel nostro candido presagio ottimista, e spegnerne subito le speranze: la terra è solcata da problemi, da agitazioni, da conflitti tutt’altro che forieri di civiltà e di amore, ma piuttosto di sentimenti e di propositi di odio e di guerra.

Ecco: noi dobbiamo subito prendere posizione spiritualmente: rinunciamo forse, come ad un’innocente, ma fatua ingenuità, alla nostra auspicata civiltà dell’amore? ovvero la riaffermiamo con una impavida volontà? Sì: noi dobbiamo riaffermarla con una nuova consapevolezza, con una nuova energia. Non è un irenismo illusorio, che ci guida; è una volontà cosciente della sorte destinata a chi fa dell’amore sociale, della carità, il proprio impegno prioritario. La sorte è la milizia cristiana, è l’urto con le persistenti e rinascenti difficoltà. L’amore, a cui alludiamo, non è idillio piacevole, non è automatico scioglimento delle difficoltà, che il progresso stesso della umanità genera e inasprisce. E non è certamente orientato ad una lotta artificiosa e congenita con lo sviluppo dei fenomeni umani. Esso tende alla pace, tende alla fratellanza, tende, dicevamo, alla civiltà. Noi possiamo ripetere le incisive parole dell’antico e magnifico Ignazio d’Antiochia, nella sua lettera agli Efesini: «niente è migliore della pace, nella quale ogni guerra si scioglie» (S. IGNATII ANTIOCHENI Ad Ephesios, c. 13). Sì, ma si tratta appunto d’una pace operante e coraggiosa, qual è quella animata dalla carità, non d’una pace statica ed imbelle.

Se questo noi abbiamo compreso, possiamo renderci conto della natura della civiltà, che vorremmo far sorgere dall’amore; una civiltà, che proprio perché originata dall’amore per l’umanità e protesa a fargliene godere la beata esperienza, dovrà essere rivolta alla ricerca e all’affermazione dei veri e completi valori della vita, anche se ciò solleverà contro la saggia e generosa impresa incomprensioni, difficoltà, opposizioni.

Volete un esempio ? Esso ci è dato da un episodio molto triste e significativo. L’episodio di cui hanno parlato i giornali di questi giorni; quello della indecorosa e sacrilega invasione, da parte di gente schiamazzante, del Duomo di Milano, la celebre, la nostra Cattedrale, su cui svetta nel cielo la «Madonnina», la volante e inneggiante figura della Vergine-Madre di Cristo, simbolo del trionfo della santissima Donna, species castitatis et forma virtutis, come dice S. Ambrogio (S. AMBROSII De Virginibus, 11, 2). Perché questa inverosimile e deplorevole manifestazione? Si è detto: perché la Chiesa è contro l’aborto, perché la Chiesa ha ribadito le norme della sua moralità sessuale. Incredibile! ma così si dice.

Ebbene, proprio in ordine alla logica della «civiltà dell’amore», noi vi pregheremo di riflettere sopra uno degli aspetti di questa civiltà, di cui il nostro tempo ha così grave e generale bisogno, l’austerità del costume. Cioè la difesa e la promozione dei veri valori della vita, dell’amore, della felicità. Non è questa austerità auspicata dal costume un moralismo sorpassato, non è un così detto tabù oggi intollerabile, non è una repressione autoritaria e abusiva. Leggete il documento, preso a bersaglio da certe correnti ribelli dell’opinione pubblica, pubblicato in questi giorni dalla nostra Congregazione per la Dottrina della Fede (succeduta all’antico S. Offizio), e intitolato, dalle parole iniziali «Persona humana»; e vedrete emergere l’amore sapiente e provvido della Chiesa, veramente madre e maestra, tutto rivolto al riconoscimento dei valori della vita, analizzati dalla scienza, dalla storia, dalla pedagogia, definiti dalla Bibbia con divina, ineffabile sicurezza, interpretati e confermati dal Magistero della Chiesa.

La «civiltà dell’amore» ha in questo documento una pagina d’apologia umana e cristiana, che lascia bene sperare del suo avvenire.

Con la nostra Benedizione Apostolica.




Ai Vescovi missionari salesiani convenuti a Roma per celebrare il centenario della partenza dei primi missionari della Congregazione inviati da Don Bosco in Patagonia

Venerati Confratelli nell’Episcopato, dal più profondo del cuore rendiamo grazie al Signore che, dopo averci dato la gioia di incontrare nello scorso novembre i missionari novelli salesiani, ci offre ora la consolazione di vedere qui riuniti davanti a noi anche i degnissimi e carissimi Vescovi missionari della grande famiglia religiosa di Don Bosco.

Questi incontri, a ricordo di una data storica nella vita del vostro Istituto, ci permettono di misurare in tutta la loro ampiezza e ricchezza i frutti di cui la Chiesa ha beneficiato da quando, cent’anni or sono, il primo nucleo dei vostri Confratelli dava inizio alla stupenda avventura missionaria voluta da Don Bosco.

L’occasione, pertanto, è propizia per esprimere anche e soprattutto a voi, venerabili Fratelli, i sentimenti del nostro animo grato, e per dirvi la soddisfazione e l’interesse con cui seguiamo il lavoro pastorale da voi svolto con saggezza ed esemplare spirito di fede e di abnegazione. Lavoro di cui facciamo gran conto, perché vediamo in esso riflessi i bisogni, le attese e le necessità della Chiesa in terra di missione.

Conosciamo le ansie e i gravi problemi che il vostro zelo deve affrontare in un momento che segna un’era nuova, una svolta decisiva nel campo dell’attività missionaria. Nuove prospettive, ma anche nuove difficoltà si aprono oggi ai magnanimi ardimenti dei pionieri del Vangelo. Tutto ciò significa che l’apostolato missionario dev’essere oggi concepito con vedute più larghe e moderne. Un rinnovamento si impone nella propaganda, nel reclutamento e nella preparazione delle nuove reclute, nei metodi, nelle opere, nell’organizzazione. Tutto ciò non avviene senza rischio. Occorre, pertanto, un’oculata vigilanza da parte vostra, soprattutto per stabilire un armonico equilibrio nei rapporti che devono intercedere fra l’evangelizzazione e lo sviluppo, binomio con cui si definisce oggi e si distingue l’orientamento generale dell’attività missionaria. Pur sensibili ai bisogni e alle aspirazioni dei Popoli in via di sviluppo, e senza mai dimenticare la solenne lezione del Vangelo sull’amore del prossimo sofferente e bisognoso (Cfr.
Mt 25,31-46), ripetuta dall’insegnamento apostolico (Cfr. 2 Io. 4, 20; Iac. 2, 14-18) e confermata da tutta la tradizione missionaria della Chiesa, voi tuttavia abbiate sempre ferma la convinzione che l’azione missionaria verrebbe meno alla sua ragion d’essere se si scostasse dall’asse religioso che la governa. In essa l’evangelizzazione deve mantenere sempre la sua priorità, il regno di Dio deve venire prima di ogni altra cosa: qui sta la sua forza, qui è la sua sapienza, come del resto erano le lungimiranti direttive del vostro santo Fondatore. E questo, oggi non meno di ieri, la Chiesa attende da voi.

Che il Signore, venerabili e diletti Fratelli, guidi i vostri passi su questo arduo cammino. Intanto sappiate che con voi è la nostra preghiera che implora dal Signore, per l’intercessione di Maria Santissima Ausiliatrice, lumi e conforti adeguati sui vostri sforzi generosi; con voi è il nostro pensiero e il nostro affetto; con voi è la nostra Benedizione, che di cuore estendiamo in questo momento anche a tutti i vostri fedeli, in pegno delle più elette grazie divine.

Ai partecipanti al XIX Congresso internazionale dello «Spettacolo viaggiante»

Un particolare saluto desideriamo rivolgere anche ai numerosi partecipanti al XIX Congresso internazionale dello Spettacolo viaggiante, i quali hanno chiesto, con filiale devozione, di farci una visita per ricevere la Benedizione Apostolica.

Abbiamo ancora presente nel nostro ricordo, figli carissimi, l’incontro lieto e cordiale che avemmo con la vostra organizzazione nel febbraio del 1966. A voi tutti, specialisti degli spettacoli viaggianti, desideriamo rinnovare oggi il nostro apprezzamento per il vostro lavoro, col quale intendete offrire, non soltanto ai bimbi ma anche ai giovani e agli adulti, una pausa di autentica serenità e di sano divertimento, in mezzo al ritmo quasi sempre vorticoso dell’odierna vita quotidiana.

Tale finalità umanitaria e sociale animi la vostra attività, che può diventare preziosa anche di fronte a Dio, quando la compite nel pieno rispetto dell’età e della sensibilità degli spettatori, e dei vostri doveri professionali.

Con questi voti, invochiamo su di voi, sulle vostre famiglie e sulle persone che vi sono care, larga effusione di favori celesti, in pegno dei quali vi impartiamo di cuore la propiziatrice Benedizione Apostolica.

Al gruppo degli alunni del Seminario Arcivescovile di Meinrad in Indiana

We extend our special greetings to the group from Saint Meinrad’s Seminary in Indiana. During these days in Rome we exhort you to rededicate yourselves to Jesus Christ and to the priestly vocation, which calls you “to concentrate on prayer and the ministry of the word” (Ac 6,4). Dear sons, may you live your faith intensely, and fulfill with loving effort and joyful self-sacrifice the practical exigencies of the word of God. May this be your resolution today, in honor of Saint Meinrad.




Mercoledì, 28 gennaio 1976

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Noi ritorniamo al pensiero che ha guidato la spiritualità dell’Anno Santo, pensiero che deve sopravvivere nel tempo che gli succede, e che deve caratterizzare questo nuovo periodo della vita della Chiesa; ed è il pensiero del rinnovamento della nostra mentalità cristiana. Rileggiamo insieme una pagina di San Paolo, dalla quale possiamo derivare molti insegnamenti utili alla guida del momento attuale che si evolve nel prossimo futuro, ringiovanito, come in una primavera Post-conciliare e Post-giubilare. Scrive, infatti, San Paolo al capo decimo secondo della sua lettera ai Romani: «Vi esorto, dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale». Come potrebbero queste sole parole, diciamo quasi tra parentesi, servire da commento alla recente Dichiarazione della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede su alcune questioni di etica sessuale, se davvero vogliamo entrare nello spirito superiore e originale della concezione cristiana della vita! Proseguiamo nella lettura del nostro testo: «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto . . . La carità non abbia finzioni; fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda» ().

Quante cose splendide, in termini così semplici e chiari! Sembra superfluo farvi commento. Basta meditare con animo sereno e fedele. Esse ci riconducono a quella preziosa notizia degli Atti degli Apostoli, che scolpisce l’aspetto caratteristico, spirituale e sociale, della prima comunità cristiana: «la moltitudine di coloro che erano venuti alla fede, aveva un Cuor solo e un’anima sola» (
Ac 4,32). Cioè ci fanno pensare ad un primo aspetto di quell’auspicato rinnovamento, che noi abbiamo chiamato «la civiltà dell’amore», e che altro non è se non l’agape, l’amore, la carità animatrice prima del nostro stile di vita.

Ebbene questa animazione della vita individuale e comunitaria della Chiesa produce dapprima e suppone poi, come suo fondamento costituzionale, l’unità nella Chiesa. Se la Chiesa non è interiormente una, nel suo mistero che la fa vivere di Cristo, ed unita, nella sua compagine strutturale e sociale, che la rende mistico e visibile corpo di Cristo, non è più Chiesa. Chi lo vuole, chi lo può rilegga, fra i tanti documenti che illustrano questa verità, il celebre scritto di S. Cipriano circa «l’unità della Chiesa cattolica» (PL 4, 495-520; BREPOLS, series lat., 3, 243 ss.; cfr. D. TH. C. III, II, 2467 ss.), ovvero veda S. Agostino (Cfr. S. AUGUSTINI De utilitate credendi: PL 42, 65 ss.; ed anche l’opera tuttora attuale di J. A. MOEHLER, Die Einheit in der Kirche, L’unité dans l’Eglise, Cerf, 1938).

A noi, anche senza ricorrere a questa aurea letteratura, sarà più facile documentarci circa le vie che divergono dall’unità della Chiesa, e quindi dalla capacità di costruire una nuova civiltà dell’amore. Tutti possono farsi una diagnosi della moderna tendenza a dissolvere una vera, solida, operante unità ecclesiale, rilevando come uno spirito di disgregazione, di contestazione, di libero pluralismo, di facile critica, di interpretazione personale e spesso polemica rispetto al magistero della Chiesa, autorevole e indispensabile interprete e tutore dei fattori dell’unità ecclesiale, sia penetrato in diverse espressioni della mentalità del corpo mistico, della stessa comunione cattolica (Cfr. L. BOUYER, La décomposition du catholicisme, 1968; Religieux et Clercs contre Dieu, 1975). Un influsso centrifugo del libero esame di provenienza protestante, un concetto di libertà assoluta, isolato da un rispettivo concetto di dovere e di responsabilità, una rassegnata trahison des clercs, cioè un relativismo storico, e un opportunismo sociale e politico spesso di moda, hanno alquanto indebolito il senso dell’unità, della solidarietà, della carità in seno alla Chiesa di Dio, senso stimolato, sì, per fortuna dal movimento ecumenico, ma non ancora e non sempre sufficiente alla riconquista d’una autentica ed organica unità, quale voluta da Cristo e animata dallo Spirito Santo.

Che cosa faremo noi?

Riprenderemo il cammino verso la edificazione dell’unità, se mai alcune volte avessimo ceduto ad una gelosa ed ostile affermazione della nostra autonomia spirituale e religiosa, con danno della docile e virile obbedienza all’esigenza della concordia e della solidarietà proprie della comunione cattolica; e saremo insieme, tutti e fraternamente, fortemente, con lo sguardo dell’anima teso verso Gesù crocifisso, che dilexit ecclesiam, «amò la Chiesa e diede Se stesso per lei» (Ep 5,25).

Così; con la nostra Apostolica Benedizione.



Alla Famiglia Missionaria Salesiana

Un particolare saluto desideriamo rivolgere anche ai componenti della «Famiglia Missionaria Salesiana», sacerdoti, Figlie di Maria Ausiliatrice, membri di Congregazioni e Istituti Secolari fondati da Salesiani in terra di missione, cooperatori ed ex-allievi, i quali, in questi giorni, sono riuniti in preghiera e studio per meditare sulle esigenze missionarie del carisma salesiano. Vi diciamo, anzitutto, figlie e figli carissimi, la letizia che invade il nostro cuore per questo incontro con voi, che intendete commemorare il primo centenario degli inizi dell’attività missionaria della vostra Congregazione, ripercorrendo insieme le tappe di una storia gloriosa, svoltasi in tutte le zone, anche le più impervie e difficili, dell’umanità, per continuare con rinnovato vigore la vostra opera missionaria nella Chiesa.

Anche a voi abbiamo inteso indirizzare la nostra recente Esortazione Apostolica circa l’evangelizzazione nel mondo contemporaneo, in data 8 dicembre scorso: abbiamo ricordato i sacerdoti, «educatori del Popolo di Dio nella fede» (PAULI PP. VI Evangelii Nuntiandi, 68); i religiosi e le religiose, il cui apostolato «è spesso contrassegnato da una originalità, una genialità che costringono all’ammirazione», in quanto «li si trova spesso agli avamposti della missione, ed assumono i più grandi rischi per la loro salute e per la loro stessa vita» (Ibid. 69); i laici che, per la loro vocazione specifica di trovarsi in mezzo al mondo e alla guida dei più svariati compiti, «devono esercitare con ciò stesso una forma singolare di evangelizzazione» (Ibid. 70).

Mantenendo saldi nel cuore e nella mente gli esempi e gli insegnamenti del vostro grande Fondatore, San Giovanni Bosco, rispondete con generosità ed entusiasmo all’invito della Chiesa che vi chiama ad essere instancabili operai della evangelizzazione.

Con questi voti, invochiamo su tutti voi larga effusione di favori e conforti celesti, in pegno dei quali vi impartiamo di cuore la propiziatrice Benedizione Apostolica.



Mercoledì, 4 febbraio 1976


Paolo VI Catechesi 31125