Paolo VI Catechesi 31376

Mercoledì, 31 marzo 1976

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Noi diremo ancora una parola derivante dall’Anno Santo, che non possiamo considerare come un avvenimento del tutto passato, ma che vorremmo riscontrare tuttora operante nell’eredità di quel rinnovamento, di cui l’Anno Santo volle essere un principio, un impegno per il presente e per l’avvenire della Chiesa.

Quale può essere questa parola conclusiva delle nostre riflessioni postume sulla celebrazione dell’Anno Santo? Conclusiva di questi tardivi commenti, non finale della meditazione sul rinnovamento spirituale e morale della Chiesa, la quale meditazione reclama un ben più ampio sviluppo, anzi un ricorrente e perenne «aggiornamento». Ma per ora la parola conclusiva, che tutti dobbiamo portare nel cuore con un rifiorente ricordo di quel provvido avvenimento, sia questa: l’unità nella Chiesa.

Se noi riflettiamo sulle impressioni più significative e commoventi dell’Anno Santo troveremo facilmente che una vi fu e rimane, come un’esperienza soprasensibile, goduta nelle cerimonie, nelle preghiere, negli incontri, nelle stesse molestie dei pellegrinaggi, ed è appunto l’incontro, l’insieme, la comunione eterogenea e pur sinceramente fraterna di tanti credenti, fedeli, fratelli, concorrenti e componenti una famiglia sola, una società unica, una ecclesia, cioè un’assemblea compaginata in un organismo solidale, il Corpo mistico di Cristo, quale appunto è la Chiesa. L’esperienza anche momentanea psico-sensibile di questa misteriosa parentela ci ha confermato nella beata certezza: sì, questa è la Chiesa vera, è la realtà storica e visibile, ma nello stesso tempo trascendente, soprannaturale, fondata e voluta da Cristo; «siano tutti uno»; (
Jn 17,21) così è e dev’essere il Popolo di Dio; così si compie il disegno universale dell’Incarnazione e della Redenzione per la salvezza dell’umanità. Non c’è dubbio: così Dio, il Padre ineffabile ed ottimo di tutti gli uomini, così Cristo, il Verbo fatto uomo, fratello, maestro, agnello espiatore per una comune rigenerazione, così lo Spirito, divino animatore d’ogni singola anima aperta al suo soffio interiore e d’ogni gente, docile alla guida della fede e della carità, così, in una parola, la divina rivelazione vivente e operante nel mondo, plasma i destini presenti della storia e prepara quelli sfolgoranti oltre il tempo; così la Chiesa, segno e strumento della relazione dell’umanità con Dio, cioè della vera religione, «dell’intima unione con Dio e della unità di tutto il genere umano» (Lumen Gentium LG 1), manifesta «la sua natura e la sua missione universale» (Ibid.).

Questo pensiero dell’unità, specialmente nel suo primo aspetto di unità interiore alla composizione stessa della Chiesa, deve dominare i nostri ricordi e i nostri propositi derivati dall’Anno Santo: unità nella Chiesa.

E questo non è soltanto un pensiero che illumina dall’alto la nostra teologia; dev’essere anche un pensiero operante per quel rinnovamento ecclesiale, che è stato una delle mete spirituali e pratiche, tanto del recente Concilio, quanto dell’Anno Santo. L’unità nella Chiesa, luce posta allo zenit della speculazione dottrinale, dev’essere simultaneamente programma della nostra fedeltà a Cristo Signore: vogliamo che Cristo riviva nelle nostre anime e nel nostro tempo? procuriamo di mantenere, anzi di sviluppare quel senso di unità che da Lui stesso deriva. Nasce da questo senso di unità, che si fa bisogno, si fa dovere, si fa stile di vita il nostro ecumenismo (Cfr. Unitatis Redintegratio, praesertim 6 et 7). Ma di questo amplissimo tema ora non parleremo.

Accenneremo piuttosto alle infrazioni, alle tentazioni, alle paralisi, che al principio dell’unità si sono manifestate, anche dopo il Concilio, all’interno della Chiesa. Analisi delicata e discorso lungo richiederebbe la diagnosi dei fenomeni negativi, rispetto all’integrità della vera e vitale unione che deve caratterizzare la Chiesa, specialmente dopo la grande lezione del Concilio e dopo la tonificante esperienza dell’Anno Santo. Ci limitiamo a semplici e laconiche indicazioni.

Il costume associativo, tanto in auge prima dell’ultima guerra, ha subito una forte crisi, tanto nel campo ecclesiale, quanto in quello sociale e profano; in quest’ultimo però le esigenze della organizzazione sindacale e politica hanno agevolato la formazione di nuovi quadri molto forti, di cui ora non parliamo. Le belle e fiorenti associazioni, che raggruppavano organicamente (se pur in forma sempre perfettibile) le file del Popolo di Dio, si sono in grande parte dissolte. Il criterio, legittimo e provvido, della libertà individuale ha prevalso su quello complementare e non meno provvido dell’organizzazione, ch’è in fondo un omaggio all’unione, all’unità. La comunità ecclesiale per eccellenza, la Parrocchia, anch’essa ha subito in molte parti un allentamento dei suoi consueti vincoli e spesso tanto belli e conformi allo spirito cattolico; il Popolo di Dio non si è più sentito «un Cuor solo e un’anima sola» (Ac 4,32) com’erano i credenti della prima generazione, e come lo furono tante nostre comunità ecclesiali. Motivi sociologici ben noti hanno fortemente contribuito ad «atomizzare» la cordiale compattezza delle nostre popolazioni cristiane. Bisogna studiare come rimediarvi.

Un altro fenomeno, sotto alcuni aspetti parimente negativo, ha pure corroso l’intima coesione del Popolo di Dio, con la contestazione alla consistenza organica e gerarchica della Chiesa cattolica, e con la rivendicata autonomia di individui o di gruppi di fronte all’obbedienza all’autorità legittima e responsabile derivata nella Chiesa da istituzione divina (Cfr. Lc 10,16). Un’eccessiva e spesso inesatta applicazione del «pluralismo» ha poi frantumato in diversi campi della vita ecclesiale e dell’attività cattolica quella esemplarità, quella armonia, quella collaborazione, e quindi quell’efficienza, che la presenza della Chiesa nel mondo ha non vano desiderio di attendere dai suoi figli. È la carità che esige l’unione; è la fede comune che le offre la base per goderne il corale concerto dei credenti.

Grandi temi! concentriamo il ricordo ed il proposito dell’unità nella Chiesa conservando scolpite nei cuori le parole di Gesù all’ultima cena: «amatevi anche voi gli uni gli altri come Io vi ho amato» (Cfr. J. HAMER, L’Eglise est une communion, Cerf, 1962; J. A. MOEHLER, L’Unité dam l’Eglise, Cerf, 1938).

Corrobori tale ricordo e tale proposito la nostra Benedizione Apostolica.


Mercoledì, 7 aprile 1976

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Noi ci prepariamo a celebrare la Pasqua; la Pasqua di Cristo e la Pasqua nostra (
1Co 5,7). La Pasqua ha il suo grande simbolismo nella liberazione del Popolo eletto dalla schiavitù in cui era caduto abitando in Egitto. E vuol dire passaggio, transito del Signore, che risparmia dalla rovina coloro che sono immunizzati dalla aspersione del sangue dell’agnello rituale. Il simbolismo dell’antico testamento diventa realtà, se pure ancora espressa in segni sacramentali, nel nuovo testamento. La Pasqua cristiana comporta due fondamentali elementi; quello umano, il nostro; ed è lo stato di necessità, in cui noi ci troviamo, che reclama una salvezza; quello divino, che se da noi accettato, ci è per somma grazia elargito, ed è la redenzione operata da Cristo mediante la sua morte e la sua risurrezione.

Fermiamo un istante la nostra attenzione sul primo elemento, la condizione umana, dicevamo, nella quale noi siamo, quella del bisogno radicale, universale, impossibile alle nostre sole forze, di essere strappati dalla sorte infelice e fatale, in cui si trova l’umana esistenza: «a nulla ci avrebbe giovato il nascere, - canta profeticamente il Diacono nella notte del Sabato Santo, prima dell’alba pasquale, - se non ci fosse stato concesso di rinascere nella redenzione».

Ora davanti a questa esigenza di salvezza, di vita vera e alla fine, come quella di Cristo, vittoriosa della morte, come si trova la moderna mentalità? La riconosce, o la impugna? Qui si pone una delle riflessioni capitali della psicologia moderna: ha bisogno l’uomo d’essere salvato? Se l’umanità riconosce questa esigenza, essa è alle porte della salute. Potremmo dire, semplificando per ora ogni questione esistenziale, che altro non si richiede, oltre la fedeltà alla salute conseguita. Nasce da questa coscienza la scoperta della nostra verità, della nostra drammatica situazione: noi siamo esseri condannati a fallire nel fatale esperimento della nostra vita nel tempo, se non ci è accordato quel supplemento di vita stessa, che chiamiamo salvezza, e che non ci può venire che da un intervento pianificato, da un’«economia» prodigiosa da parte divina. Ora noi vediamo come tanta parte degli uomini di oggi non vogliono ammettere questa fondamentale realtà. La grande sventura ereditaria, che ha colpito la nostra natura stessa, tutto il genere umano, il peccato originale, che ci ha posti in una posizione di sfavore rispetto al Dio della bontà, e ci ha meritato la qualifica di filii irae, meritevoli dell’ira divina (Ep 2,3 S. AUGUSTINI Enarr. in Ps 37,5, PL Ps 36,142), non ha oggi facile accesso nella mentalità profana, quantunque ancora, con Pascal, dovremo dire, che tutta la condizione dell’uomo dipende da questo punto impercettibile (B. PASCAL, Pensées, 445). Oggi il pensiero umano si alterna nella bilancia d’un pessimismo disperato e delinquente, o d’un ottimismo falso ed orgoglioso (Cfr. Rousseau), deciso in ogni modo a rifiutare il bisogno incolmabile e affliggente d’una trascendente salvezza.

Noi saremo invece umili e sinceri; noi riconosceremo il cumulo complesso e urgente delle nostre molte deficienze, delle nostre insoddisfatte necessità, delle nostre croniche infermità, prima fra tutte quella, personalmente involontaria, ma naturalmente a noi trasmessa dal disordine morale e funzionale proveniente dal peccato di Adamo; e troveremo soluzione e conforto e rimedio a questa digraziata situazione nella Redenzione di Cristo (Cfr. C. JOURNET, L’Eglise, III, 293 ss.).

Non si può celebrare altrimenti la Pasqua, che partendo da questa coscienza del bisogno che un Salvatore venga in nostro soccorso; e noi comprenderemo qualche cosa del suo tragico sacrificio, se lo confronteremo con la nostra altrimenti disperata condizione di vita.

Pregheremo così: de profundis clamavi ad Te, Domine (Ps 129,1).

Con la nostra Apostolica Benedizione.



Ai relatori e allievi del Corso di aggiornamento socio-giuridico, promosso dalla Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Lateranense

Salutiamo cordialmente il numeroso gruppo dei relatori e degli allievi, che hanno partecipato al corso di Aggiornamento Socio-Giuridico, promosso e patrocinato dall’«Institutum Utriusque Iuris» della Pontificia Università Lateranense. L’iniziativa conferma una duplice, consolante realtà: che, anzitutto, si consolida la consapevolezza dell’aggiornamento : ed è ciò che, con felice espressione, si qualifica col nome di «formazione permanente», per arricchire costantemente l’intelletto nella acquisizione di elementi sempre nuovi e stimolanti, che alimentino il substrato dell’attività sacerdotale.

In secondo luogo ci conforta la constatazione che questo bisogno si avverte oggi nel campo, certo specializzato, ma tanto vitale e importante, del diritto canonico. Ciò indica un risveglio degli studi giuridici che sono come la base e l’ossatura per capire l’ampio edificio della Chiesa, realtà misteriosa e spirituale (Regno di Dio, Popolo di Dio, Corpo Mistico di Cristo, ecc.) (Cfr. Lumen Gentium LG 5-8), ma calata in forme visibili e organizzate, non per imprigionare ma per dilatare gli spatia caritatis!

Vi incoraggiamo a saper trovare sempre il tempo per rifugiarvi in questo studio corroborante e sostanzioso, di cui avete bisogno voi e coloro a cui si rivolge il vostro ministero. Di più, ne ha bisogno la Chiesa!

Il Papa, sappiatelo, vi segue e vi benedice.

Ai partecipanti al XVI Congresso nazionale degli Economi di Istituzioni Religiose operanti in Italia

Siamo ora lieti di rivolgere uno speciale saluto al folto gruppo di Economi delle Comunità Religiose, operanti in Italia, i quali proprio questa mattina, nel quadro della «Settimana della Vita Collettiva», han dato inizio al loro annuale convegno e ci hanno espresso il desiderio di ascoltare una parola di incoraggiamento e di augurio.

Lo facciamo ben volentieri, Figli carissimi, perché ricordiamo i numerosi e sempre puntuali incontri degli anni passati, e conosciamo non soltanto la personale devozione che avete per noi, ma anche il vostro spirito di servizio e l’attiva vostra presenza nel tessuto ecclesiale. Diciamo presenza, per esprimere e riassumere con una sola parola la molteplicità delle prestazioni che sono affidate a ciascuno di voi, con conseguenti responsabilità talora assai gravi e delicate, talché il vostro lavoro si configura - pur nel mutare delle forme e delle circostanze - come un utile ed indispensabile servizio all’interno delle singole Istituzioni. Se oikonomía significa «regola della casa» ed esige, perciò, cura attenta degli affari, anche alla vostra diligenza e previdenza è affidato il normale ed ordinato funzionamento dei Seminari, degli Studentati, dei Collegi Religiosi, ai cui Superiori voi offrite una qualificata collaborazione.

Pensando a tale attività, vi invitiamo ad approfondire quelle parabole evangeliche, nelle quali il Signore ha racchiuso una parte cospicua dei suoi insegnamenti. Sono echi che stimolano a dissodare il campo e la vigna, a lavorare in tutte le ore del giorno, ad esser sempre vigilanti e fedeli in vista del rendiconto finale, e ci piace farne una privilegiata e particolare applicazione per voi, a conferma della stima con cui guardiamo alle vostre funzioni nella Chiesa e per la Chiesa.

Con viva riconoscenza vi impartiamo la Benedizione Apostolica, estendendola ai vostri confratelli e collaboratori.


Al gruppo folcloristico culturale della Scuola tecnica dei Fratelli di Notre-Dame de Lourdes a Oostakker (Belgio)

Ai 700 fanciulli del Coro e dei Ministranti della Diocesi di Lussemburgo


Mercoledì, 14 aprile 1976

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Fare la Pasqua, che cosa significa? Significa innanzitutto entrare nella contemplazione delle realtà supreme, che riguardano la nostra salvezza. Queste realtà, noi dicevamo, possono essere riassunte ed espresse in due quadri estremamente drammatici: il primo prospetta la condizione esistenziale dell’uomo, una condizione infelicissima, qual è quella d’una creatura mancata, vivente cioè in una natura decaduta e viziata, operante in un suo anormale funzionamento, ereditata dalla nascita stessa e aggravata di solito da falli personali e responsabili; la condizione cioè del peccato originale peggiorata dalle colpe volontarie, incapace di per sé di ridare al proprio essere uno stato d’innocenza e quindi di rapporti positivi e felici con Dio, a cui noi saremmo destinati come a nostra vera vita e a nostra perfetta beatitudine. La diagnosi teologica, secondo la fede convalidata dalla diagnosi etico-spirituale, e possiamo pur dire storico-biologica, risultante dall’esperienza, ci porta a questa conclusione desolata su la vita umana considerata solo in se stessa: la conclusione d’una necessità di salvezza. È a questa dolorosa coscienza che ci deve condurre l’umanesimo profano e pagano, alle soglie cioè della follia e del pessimismo. L’uomo non può salvarsi da sé.

Il secondo quadro, quello stupendo e originale della nostra religione, ci presenta il mistero dell’intervento divino per la nostra salvezza. Sì, Dio è venuto in soccorso dell’umanità, franata nella rovina dopo la rottura del primo anello che la agganciava alla Vita stessa di Dio, e resa inferma per giunta dalle colpe proprie degli uomini peccatori. Una prodigiosa rivelazione, di per sé non dovuta a noi creature trascinate nella disgrazia di Adamo e oppresse dalle nostre proprie mancanze, ci annuncia questa sorpresa: «Dove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (
Rm 5,20); e ciò: «per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore» (Ibid. 5, 21).

Stampiamo profondamente nei nostri animi questo duplice quadro delle supreme verità che descrivono la nostra sorte e la bontà ineffabile e potente di Dio nella celebrazione della nostra salvezza, della nostra Pasqua. S. Agostino, ancora una volta, ci rivela il suo genio di sintesi, sigillando in due parole questa storia dell’umana Redenzione; e le parole sono: «miseria», la quale condensa la condizione dell’uomo, la nostra fatale antropologia; e: «misericordia», il poema dell’amore salvifico di Dio, la sua folgorante teologia (Cfr. S. AUGUSTINI Enarr. in Ps 32,4, PL 36, 267). Miseria e misericordia: uno sforzo per entrare con la mente, col cuore, nell’abissale significato di queste due parole, l’una al fondo dell’analisi umana, l’altra in vetta alla divina rivelazione, ci può aiutare a comprendere qualche cosa del dramma pasquale, e ci può servire a raccogliere sopra queste schede decisive della nostra religione tante altre parole della Sacra Scrittura, non meno densa di rivelatrici ricchezze. Ricordiamone alcune. Scrive San Paolo agli Efesini: «Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati ci ha fatti rivivere con Cristo» (Ep 2,4-5). E Giovanni, nel suo Vangelo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Jn 3,16); e ancora: «Da questo noi abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi» (1Jn 3,16; cfr. C. SPICQ, Agapè, 11, 179 ss.).

La Pasqua diventa allora la scoperta meravigliosa dell’amore che Dio, mediante Cristo, nell’effusione dello Spirito Santo, ha per noi; e se questa scoperta accresce il pentimento della nostra coscienza per l’indegnità della nostra condotta, ci inonda poi di fiducia e di gaudio, sapendo ristabilito il nostro rapporto filiale e felice col Dio vivente.

In questa prospettiva, vi auguriamo, Figli tutti carissimi, la «buona Pasqua», e confermiamo l’augurio con la nostra Apostolica Benedizione.



Ai rappresentanti dell’Ordine Carmelitano

Porgiamo il nostro cordiale benvenuto al Superiore Generale dei Carmelitani, P. Falco Thuis, e al Consiglio generalizio, che accompagnano le Superiore Generali degli Istituti aggregati al medesimo Ordine, qui convenute per presentarci l’omaggio della loro devozione.

Vi siamo riconoscenti per questa attestazione di bontà e vi esprimiamo la nostra soddisfazione per il convegno di studio che ha preceduto questo nostro incontro: sappiamo, infatti, che vi siete riuniti per porre nel dovuto risalto i vincoli di fraterna solidarietà esistenti tra di voi e, soprattutto, per riscoprire gli autentici valori della spiritualità carmelitana in vista di un qualificato e sempre più generoso servizio alla Chiesa.

La preghiera e la contemplazione, unitamente all’imitazione della Madonna, a cui l’Ordine è dedicato, costituiscono il fondamento e l’anima di ogni apostolato; e ispirare, pertanto, la propria esistenza a tali principii significa voler vivere in intimità con Dio, propiziarne la misericordia sul mondo, sentirsi in spirituale e operante comunione col prossimo. Di qui il vostro comune programma, il modello di vita che vi stringe in una sola grande famiglia e che rende meritoria la vostra presenza nella Comunità ecclesiale universale.

Vi sia di stimolo e d’incoraggiamento nel vostro rinnovato impegno la nostra Benedizione Apostolica, che volentieri estendiamo a tutti i vostri Confratelli e Consorelle.

Agli aderenti all’Unione Nazionale Cooperative Italiane

E’ presente quest’oggi all’udienza una folta rappresentanza dei Soci dell’Unione Nazionale Cooperative Italiane, i quali son venuti a farci visita dopo aver celebrato comunitariamente la «Santa Pasqua del Cooperatore».

La prima parola che vi rivolgiamo vuol essere espressione del nostro compiacimento per questo gesto di pietà religiosa: riunendovi a pochi mesi dal riconoscimento giuridico della vostra Unione, avete offerto una pubblica dimostrazione di fede, nel ricordo del suo mistero centrale: il mistero del Signore Gesù ch’è morto e risorto per noi. La seconda parola va, poi, al prevalente rilievo che voi intendete dare alla famiglia, come prima fonte da cui deve scaturire la formula stessa della cooperazione. Un tale accento sembra a noi assai appropriato, nel momento in cui molte sono le insidie che minacciano i nuclei familiari, ed è, perciò, necessario salvaguardarli, assisterli, elevarli secondo una prospettiva non semplicemente economica, ma anche e soprattutto solidaristica e morale.

Siamo sicuri che anche in avvenire vi manterrete fedeli a questa impostazione, e ben volentieri vi impartiamo il conforto della Benedizione Apostolica.

A studenti partecipanti a un incontro dell’Istituto per la Cooperazione Universitaria



Mercoledì, 21 aprile 1976

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Noi abbiamo celebrato la Pasqua. Noi abbiamo con ciò stesso celebrato la nostra vitale riconciliazione con Dio, avvenuta con il nostro battesimo. Dobbiamo sempre ricordare il rapporto fra la morte e la risurrezione di Cristo, cioè la Pasqua del Signore, e l’efficacia del battesimo, la quale deriva appunto dall’avvenimento centrale della Redenzione operata da nostro Signore. Noi siamo diventati cristiani, quando siamo stati incorporati a Cristo, per noi morto e per noi risuscitato. Ricordiamo fra i molti testi scritturali, che ci erudiscono sulla relazione esistente fra Cristo e noi, fra la sua passione e risurrezione e la nostra rigenerazione alla vita nuova e soprannaturale, almeno questi due, che San Paolo ribadisce come cardini della nuova religione, la nostra religione, cattolica e, durante il tempo, definitiva: «Gesù Cristo . . . è stato messo a morte per i nostri peccati (ecco il senso, il valore sacrificale della croce), ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione» (ecco la nostra salvezza). Gesù e l’umanità sono da considerare intenzionalmente vincolati insieme negli avvenimenti che conclusero la vita temporale e simile alla nostra del Signore: Egli è morto ed è risorto per noi. E come questo scopo salvifico di Cristo morto e risorto si compie nella nostra vita? si compie in modo singolo, secondo il disegno normale stabilito da Dio, in una forma prodigiosa, sacramentale, che riflette in ciascuno di noi in maniera simbolica, ma con mistica efficacia di effetto, la morte di Cristo, operata in noi come morte all’uomo vecchio, all’uomo diseredato del contatto vitale e soprannaturale con Dio, e la risurrezione di Cristo medesimo, mediante una rigenerazione ad una vita novella, inserita in quella di Gesù risorto, e partecipe perciò della adozione del Padre celeste, e animata dal soffio misterioso dello Spirito Santo (Cfr. F. PRAT, La Théologie de St Paul; ID., Lumière et Vie, «Le Baptême» , 26 e 27, 1956; S. THOMAE Summa Theologiae,
I-II 106,0 III 66,0).

Una domanda: per conseguire una tale rinascita, destinata per sé ad avere una portata eterna, oltre il tempo del nostro soggiorno terreno, quale condizione si richiede? una duplice condizione: la conversione, cioè l’orientamento morale proprio della vita umana, quello morale; e la fede. Lo sappiamo.

Allora per noi battezzati sorge un modo di concepire la vita, che potremmo chiamare il «dopo battesimo», e che rifletta nel pensiero, nei sentimenti, nella condotta una mentalità coerente con l’avvenimento straordinario della nostra rinascita cristiana, mediante il battesimo. Ciò è dovremmo verificare se la nostra concezione della vita sia conforme alla grazia conferitaci con quel sacramento rigeneratore alla fede ch’esso reclama e all’impegno morale ch’esso comporta. Da notare la facilità, invalsa nella nostra società che pur cristiana si chiama, di vanificare praticamente ed anche idealmente l’importanza d’un tale sacramento, che pur troppo non sempre distingue lo stile esistenziale d’un cristiano da quello di chi cristiano non è. Grave, gravissima cosa, sia per l’uomo singolo, che praticamente abdica alla sua vocazione straordinaria, e sia per una società nella quale il costume caratteristico cristiano è diluito e sommerso da un costume, forse fortunatamente ancora improntato a principii cristiani, ma non più, o non sempre cosciente del generoso impegno che lo dovrebbe fare realmente umano e sovrumano per giunta.



Limitiamoci ora a raccomandare la buona accoglienza che il cristiano di oggi, adulto come si suole definirlo, deve fare alla letteratura biblico-teologica sul battesimo, ed anche a quella più semplice ma tanto provvida e sapiente, destinata all’informazione pastorale: noi lodiamo e incoraggiamo quanti autori, pastori, maestri e catechisti danno origine e diffusione a questa letteratura, che affonda le sue radici in una ricchissima tradizione patristica, scolastica e spirituale.

Per metterci un istante a livello dell’uomo moderno, che battezzato o no, non si dimostra in sintonia con l’intelligenza della fede battesimale, noi lo esorteremo a compiere un duplice superamento: quello dell’autosufficienza, in cui egli, l’uomo moderno, spesso si compiace e s’illude di poter qualificare come superata una mentalità religiosa, ritualizzata per di più, quale la santa Chiesa non cessa di predicare come necessaria e sublime, per dirsi ormai emancipato dalla fede cristiana e per professarsi pago della propria fede nella scienza, nella ragione, quasi che proprio dalla scienza e dalla ragione non sorgesse una implorazione insopprimibile alla sfera religiosa e alla certezza cristiana. E l’altro superamento è quello dell’insufficienza della nostra effettiva possibilità a varcare la penombra del dubbio, o la confusione del sincretismo: lo scetticismo, cioè, coperto da tanti nomi ed atteggiamenti, che ne celano, anche se rispettabili e gravi, il vuoto e la disperazione, che supplisce allora di fatto l’aberrante sofferenza di chi lo professa.

Umilmente, fervorosamente, noi cercheremo di ripensare alla fortuna del nostro battesimo nella gioia e nella fedeltà. Con la nostra Apostolica Benedizione.

Ai Catechisti parrocchiali della Diocesi di Roma partecipanti allo loro terza assemblea

Un particolare saluto vogliamo rivolgere al numeroso gruppo dei catechisti parrocchiali della nostra Diocesi di Roma, convenuti per la loro terza assemblea annuale.

Vogliamo dirvi anzitutto, Figlie e Figli carissimi, il nostro sincero compiacimento per la provvida iniziativa che da anni la nostra Diocesi ha promosso per la preparazione di esperti catechisti parrocchiali: le 33 scuole di catechesi con i loro bravi e numerosi catechisti stanno a testimoniare la generosa e costante serietà, con cui uno dei problemi fondamentali per l’articolazione della vita ecclesiale diocesana viene affrontato.

A voi tutti che, spinti dall’amore per il Cristo, avete voluto dedicare le vostre energie spirituali ed intellettuali per l’impegno insostituibile della catechesi, desideriamo ricordare che siete perciò stesso autentici «operai dell’evangelizzazione», e partecipate quindi alla missione essenziale della Chiesa, come abbiamo sottolineato nella nostra recente Esortazione Apostolica «Evangelii Nuntiandi» de11’8 dicembre 1975 (PAULI PP. VI Evangelii Nuntiandi, 44, 54, 60, 73).

Sia pertanto la vostra vita di ogni giorno una trasparenza luminosa della vostra fede: dovete credere veramente a quello che annunziate, vivere quello che credete, insegnare quello che vivete, perché la testimonianza della vita cristiana è più che mai una condizione fondamentale per l’efficacia profonda della catechesi.

Con questi voti vi impartiamo di cuore la nostra Benedizione.



Ai membri del Comitato promotore per la posa della statua della «Madonna della Pace» sulla vetta del monte Scalambra nella diocesi di Palestrina

Siamo lieti di accogliere, con Monsignor Vescovo di Palestrina, il Comitato costituito per le iniziative religiose che saranno prese, in quella cara diocesi, in occasione della posa di una statua della Madonna sul Monte Scalambra.

Siamo certi che l’avvenimento, alla cui realizzazione collaborano tante nobili energie, avrà benefici effetti sulla vita spirituale delle vostre operose e forti popolazioni; e facciamo voti che esso contribuisca ad accrescere in esse la devozione, l’amore, la confidenza, l’intimità, il culto alla Vergine Santissima, che giustamente avete voluto invocare con l’appellativo di «Madonna della Pace». Sì, Maria è la Regina della Pace, perché col suo consenso alla nascita verginale del Verbo ha dato al mondo Colui che è il Principe della pace (Cfr. Is 9,5), «la nostra Pace» (Ep 2,14), per il fatto che ha distrutto l’antica inimicizia del peccato, che straniava l’uomo da Dio, e ha riunito in un solo ovile i figli dispersi (Cfr. Jn 10,16 Jn 11,52). Portandoci a Gesù, offrendoci Gesù, tenendoci stretti a Gesù, Maria ci inserisce in questo piano divino di salvezza, ci ricorda la nostra dignità innata di cristiani e di figli di Dio, e alimenta in noi pensieri ed opere di pace, costruttiva e serena.

Che la vostra diocesi si distingua sempre per la convinzione e il fervore con cui vorrà vivere queste verità, e tradurle in pratica per l’incremento dell’autentica vita cristiana e della promozione umana e sociale: è il nostro augurio paterno, col quale saremo spiritualmente vicini a voi, con la nostra Benedizione.

Ai partecipanti al XXIV pellegrinaggio militare belga

A un gruppo di sacerdoti americani che celebrano il 40° anniversario di ordinazione sacerdotale

Our greetings go to Bishop Connare and to the group of priests from the United States who are observing the fortieth anniversary of their ordination. Dearly beloved Sons: we thank you and the other priests throughout the Church who have performed long years of ministry in faithful dedication to Jesus Christ and to his Gospel. And we are happy to attest, before this assembly and before the entire People of God, to the importance of your dedication and to the value of your fidelity. For each of you may this be a moment of renewal and an hour of joy. And as long as you live, may you give witness by world and example to the great works of the Lord, and celebrate the Eucharistic sacrifice with love and reverence.

Al gruppo di anglicani e di cattolici partecipanti ad un seminario di studi organizzato a Rocca di Papa

We are very happy to welcome Bishop Wickham and Canon Pawley of the Anglican Communion, as well as the entire ecumenical group from England. We do this all the more willingly at this time when the Church is celebrating Christ’s Easter triumph and extolling the mystery of death to sin and life to God (Cfr. Rm 6,10). We pray that your meeting at Rocca di Papa will mark another step forward in the Anglican-Catholic dialogue, and that, walking together humbly in newness of life, we may attain perfect unity in our Lord Jesus Christ.


Mercoledì, 28 aprile 1976

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Noi siamo ancora nella sfera spirituale della Pasqua, la quale ha nel nostro battesimo l’espressione rituale più significativa e l’efficacia rigeneratrice più decisiva per la nostra vita religiosa e morale. La celebrazione della Pasqua deve ravvivare in noi la coscienza del battesimo ricevuto. Perciò noi desideriamo risvegliare in noi nel periodo successivo alla Pasqua la maniera di pensare e di vivere propria di chi sa d’essere stato battezzato. Ricordiamo la teologia del battesimo, che può meritare studio e meditazione per tutto il tempo della nostra vita; cioè essa ci ricorda tutta la nostra storia religiosa: venuti al mondo in una condizione infelice rispetto al nostro rapporto con la sorgente vera e superiore della vita, che è il Dio vivente, a causa del peccato originale, noi siamo stati da esso purificati e ridonati alla grazia, la vita soprannaturale, mediante Cristo, nostro Salvatore e Fratello, morto e risorto per noi, al quale col battesimo nello Spirito Santo, siamo stati associati, e così inseriti in quella «comunanza di spiriti» (
Ph 2,1), ch’è la Chiesa, eccetera ... Questo noi conosciamo e sempre meglio dovremmo conoscere e crescere in questa scienza meravigliosa (Cfr. Ph 1,9).

Ma ora ci fermiamo alla consapevolezza complessiva della nostra appartenenza a questo piano divino della nostra salvezza, nel quale il battesimo ci ha introdotti; e ci riferiamo, per intenderci con linguaggio elementare, all’aspetto soggettivo del mistero pasquale, in noi non solo liturgicamente rievocato dalla Pasqua testé celebrata, ma in noi compiuto, quando noi abbiamo avuto la somma fortuna d’essere battezzati. Sarebbe interessante raccogliere le testimonianze dei Santi neofiti, a cominciare da quella notissima, frettolosa e quasi timida, di S. Agostino: «. . . e fummo battezzati, egli scrive nelle “Confessioni” (S. AUGUSTINI Confessionum, IX, 6), e scomparve da noi ogni apprensione della vita passata. Né io mi saziavo in quei giorni di mirabile dolcezza di considerare la profondità del tuo disegno (o Signore), circa la salvezza del genere umano. Quanto piansi agli inni ed ai cantici tuoi . . .». Simili a queste le testimonianze dei convertiti (Cfr., ad es., quella del Papini). Del resto il sapiente catechismo del Concilio di Trento, sempre attuale, ci ammonisce circa l’utilità di questo ripensamento (CONCILII TRID. Catechismus, II, 2, 2), al quale ci riporta la grande parola, che gli autori definiscono «l’idea madre della teologia di San Paolo» (Cfr. F. PRAT, La Théologie d e St Paul, 1, 243) quella che suona: «il giusto vivrà mediante la fede» (Rm 1,17 Ga 3,11), e che pone ad ogni cristiano la dottrina e il precetto della derivazione dalla fede, ricevuta e professata col battesimo, del principio ispiratore e originale di tutta la vita cristiana. «La fede è l’accettazione del Vangelo, e credere significa professare il cristianesimo» (F. PRAT, La Théologie de Sr Paul, 2, 283).

Quali conclusioni possiamo noi trarre da questi accenni fugaci? Due, a noi sembra. La prima conclusione è quella del dovere, un dovere gratissimo, se noi ne faremo l’esperienza, di modellare la nostra mentalità sopra queste dottrine e sopra le norme, anzi le grazie, derivanti dalla coscienza battesimale. Non possiamo penare cristianamente senza ricorrere a questa nuova e luminosa scienza della nostra esistenza. «Noi eravamo un tempo insensati, disobbedienti, traviati, schiavi d’ogni sorta di passioni e di piaceri . . . . Quando però si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati . . . . per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, effuso da lui abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo . . . .» (Tt 3,3-7).

Occorre cioè una rifusione del nostro modo di pensare e di vivere secondo la fede, nella cui luce il battesimo ci ha collocati. E di qui la seconda conclusione, quella di godere d’un particolare stato spirituale, proprio del cristiano, del perpetuo neofita, ch’è venuto nel regno di Cristo, lo stato spirituale della certezza, della chiarezza, della luce : «voi eravate un tempo (nelle) tenebre, ora siete luce nel Signore», ci ammonisce ancora S. Paolo (Ep 5,8). «Non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina» (Ibid. 4, 14). La fede è una luce, è una forza (Cfr. 1P 5,9). Essa è la logica, è il carisma del nostro battesimo.

Con la nostra Apostolica Benedizione.


Pellegrini della Diocesi di Münster

Ein wort herzlicher Begrüßung richten wir an die Gruppe priesterlicher Jubilare aus der Diözese Münster. Mit Ihren Angehörigen sind Sie nach Rom gekommen, um hier an den Gnadenstätten, der Ewigen Stadt Ihr vierzigjähriges Priesterjubiläum zu feiern. Ihnen allen und jedem einzelnen unsere tiefempfundenen Glückwünsche! Möge Christus, der Ewige Hohepriester, Ihenen überreich vergelten, was Sie in den vergangenen Jahrzehnten für ihn und Seine Kirche Gutes tun durften!

Pflegen Sie immer die Einheit mit Christus. Tragen Sie in Ihren Herzen eine innige Verehrung zur Gottesmutter und seien Sie auch weiterhin Diener der Geheimnisse Gotter in Treue zum Lehramt der Kirche. Solche Priester braucht heute die Kirche, die Gemeinschaft der Glaubigen, das Volk Gottes auf seinem Pilgerweg durch diese Welt.

Dazu Ihnen wie allen Anwesenden aus der Fülle des Herzens für reichste Gnaden Christi des Auferstandenen, unseren besonderen Apostolischen Segen.

Ai membri del Consiglio dell’Associazione Europea di Agenzie di pubblicità

Gruppi provenienti dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra

We are happy to welcome the American delegation from the State of Idaho, led by Governor Andrus. We know that you are on your way to Iran, and we hope that your mission will be successful. In particular, we hope that your activities will benefit true human progress, and promote friendship and brotherhood among peoples. Thank you for your visit.

With great paternal interest and affection we greet the group of Christian Brothers who have come to Rome for a course of spiritual renewal. In the name of the Lord, we thank you for your labour on behalf of Catholic education, and we urge you to dedicate yourselves anew to this great cause. And we want you to realize how important your religious consecration is for the vitality of the Church. By your lives you must always give convincing witness to the love of Christ and his brethren. Do not hesitate to repeat the words of Saint Paul: “To this end we toil and strive, because we have set our hope on the living God” (1Tm 4,10).

Our special greetings go to the group of seminarians from the North American College. Dear sons: tomorrow you will be ordained deacons of the Church. As ministers of God’s word, you yourselves must listen to it, guard it, and do it. We exhort each of you “to preach the word, to stay with this task whether convenient or inconvenient” (2Tm 4,2)-to preach by word and example. And the most effective witness will be the witness of your own fidelity-fidelity to Christ! fidelity for ever!


Mercoledì, 5 maggio 1976


Paolo VI Catechesi 31376